• Non ci sono risultati.

Con riferimento alle tecniche di tutela preventiva emerge tra tutte l’autotutela, da intendersi quale metodo di tutela apprestato dallo stesso lavoratore. Infatti, il prestatore, come parte fondamentale del rapporto giuridico alla base dell’obbligazione, essendo obbligato al solo svolgimento della prestazione convenuta, può legittimamente rifiutare l’esecuzione della stessa quando gli siano assegnate mansioni “diverse”, da ritenersi non appartenenti allo stesso livello di

- 160 - inquadramento del lavoratore o alternativamente inferiori nei casi non previsti dal nuovo art. 2103 c.c..

Secondo una partizione della manualistica tradizionale si opera una distinzione tra il caso in cui vi sia stato un esercizio legittimo del potere datoriale e un esercizio illegittimo del medesimo. Se il datore abbia esercitato in modo legittimo il proprio potere di jus variandi, attraverso l’assegnazione di mansioni appartenenti allo stesso livello di inquadramento o a mansioni inferiori, entro i limiti ex lege consentiti, ne consegue che il lavoratore, sulla base del principio dell’incoercibilità degli obblighi di fare infungibili, non può essere costretto, ma potrà agire nei termini dell’autotutela individuale: con atto estintivo del rapporto potrà dimettersi per giusta causa con la conseguenza della perdita del posto di lavoro.

Il lavoratore potrà eventualmente anche rifiutare lo svolgimento dei nuovi compiti legittimamente assegnati dal datore, ma in quest’ultimo caso si renderà inadempiente rispetto agli obblighi previsti contrattualmente, esponendosi pericolosamente a sanzioni disciplinari, incluso il licenziamento.247

Manca unanimità di opinioni sulla circostanza che il comportamento del lavoratore di rifiuto della prestazione legittimamente assegnata possa legittimare un licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo. Il rifiuto, infatti, potrebbe integrare l’ipotesi di assenza ingiustificata dal posto di lavoro o una forma di insubordinazione e dovrebbe dar luogo a licenziamento per giusta causa e quindi senza preavviso.

247 M. Brollo, la mobilità interna del lavoratore, mutamento di mansioni e

- 161 - Per quanto riguarda, invece, mansioni che siano assegnate al lavoratore in virtù di un comportamento datoriale illegittimo, ne deriva che il prestatore non può ritenersi obbligato ad espletare mansioni che non gli siano dovute in virtù di obblighi contrattualmente previsti; tali mansioni, di tipo diverso da quelle originarie, non sono dal lavoratore dovute perché imposte dal datore sulla base di un mero atto unilaterale o di un accordo contra legem. Tale imposizione datoriale non potrebbe, come tale, ritenersi legittima, al punto che parte della giurisprudenza ha affermato che è tamquam non esset (come se non esistesse)248.

Allorquando non ricorrano le condizioni previste dalla legge per un corretto esercizio del potere di jus variandi ne consegue che “riacquista efficacia il generalissimo principio per cui quod non conventum non debetur e la prima e principale conseguenza, esattamente percepita dalla giurisprudenza, è data dalla legittimità del rifiuto del debitore a svolgere la prestazione”249.

In questo caso il lavoratore che decida di rifiutare l’espletamento di dette mansioni non incorrerà in alcuna sanzione disciplinare, né alterazione della retribuzione, in quanto tale rifiuto non può dirsi propriamente inadempimento delle prestazioni oggetto del contratto. Inoltre, accanto al rifiuto si accompagna l’offerta di

248 Cfr. U. Gargiulo, nell’opera L’equivalenza delle mansioni nel contratto di

lavoro, critica in parte tale impostazione, in quanto non copre “l’ipotesi in cui

non vi sia un atto formale di adibizione: in questo caso non potendo essere individuato un atto nullo, improduttivo di effetti, mancherebbe la giustificazione del rifiuto del prestatore” e osserva che “è tutt’altro che pacifica la possibilità di far discendere dall’eventuale nullità di un atto- incerta finché una sentenza non la dichiari- la legittimità del rifiuto della prestazione che da quell’atto è stata, in definitiva, determinata. Il destinatario degli effetti dell’atto nullo ha dunque diritto al risarcimento del danno conseguente al venir meno dell’atto, ma solo successivamente alla pronuncia dichiarativa della nullità e nei limiti del danno di cui raggiunga la prova”.

- 162 - adempimento delle mansioni dovute ex contractu con la creazione di una situazione di mora accipiendi a carico del datore. Parte della dottrina250 sostiene che la richiesta, ad opera del

datore di lavoro, di svolgimento di una prestazione eccedente il contenuto del rapporto obbligatorio datore - prestatore non valga in nessun modo a incidere su quello che è il contenuto del contratto stesso, con la conseguenza che il vincolo contrattuale continuerà a sussistere, sia pure nell’indifferenza dello jus variandi datoriale. Tale circostanza al più potrà incidere “sull’efficienza del rapporto” laddove questa sia rappresentata dalla cooperazione tra creditore e debitore volta alla realizzazione della prestazione originaria prevista dal contratto e venga meno in questa situazione specifica251. Il lavoratore,

infatti, non si trova innanzi al rifiuto di una prestazione da lui dovuta, ma da lui “non dovuta.”252 Secondo questa

impostazione, nel caso di specie, la situazione in essere non è quella di cui all’art. 1460 c.c. (eccezione di inadempimento)253 in

250 Cfr. G. Giugni, mansioni e qualifica nel rapporto di lavoro, Jovene editore,

1963

251G. Giugni, mansioni e qualifica nel rapporto di lavoro, pag. 370 “Ora,

caratteristica del rapporto di lavoro subordinato, a differenza di quanto è proprio in genere dei vari contratti d’opera, è addirittura l’immanenza costante e necessaria della cooperazione del creditore rispetto all’attività solutoria della controparte, sicché è pressoché impossibile che l’ordine dato in eccesso dal potere direttivo o dal diritto di variazione temporanea della prestazione, non comporti il contestuale venir meno della cooperazione stessa ai fini dell’adempimento del compito dovuto. Ciò è di palmare evidenza: ordinare una prestazione non dovuta nell’unità di tempo in cui il debitore dovrebbe dedicarsi all’adempimento di quella dedotta dal contratto, implica di fatto, impedire quest’ultima e porre il presupposto per la mora

accipiendi. Orbene, che questa, a sua volta, possa eventualmente giustificare

il recesso per giusta causa della controparte, può darsi per certo, ma occorre inquadrare tale soluzione nella struttura della mora del creditore”.

252L.Ferluga, Tutela del lavoratore e disciplina delle mansioni, Giuffrè editore,

Milano, 2012, pag. 124

253 Art 1460 cc. Eccezione di inadempimento. Nei contratti con prestazioni

corrispettive, ciascuno dei contraenti può rifiutarsi di adempiere la sua obbligazione, se l’altro non adempie o non offre di adempiere

- 163 - quanto il prestatore di lavoro che rifiuti una prestazione non dovuta non può subire alcuna conseguenza negativa. Inoltre altre interpretazioni dottrinarie volgono nel senso di ritenere l’atto di mutamento delle mansioni inefficace in quanto il soggetto che ha esercitato lo jus variandi non deteneva in concreto tale potere.

La giurisprudenza prevalente, tuttavia, ha pacificamente ritenuto estensibile la figura di cui all’art. 1460 c.c. anche al prestatore di lavoro subordinato, il quale può legittimamente rifiutare di offrire la propria prestazione lavorativa in caso di gravi inadempienze della parte datoriale. I presupposti per l’attivazione di questa norma sono che l’inadempimento di parte datoriale deve in primo luogo essere grave, con riguardo alla natura del contratto. In tal senso, data la corrispettività del contratto, il rifiuto potrebbe opporsi solo se proporzionato alla gravità del primo inadempimento e se “proporzionato all'illegittimo comportamento del datore di lavoro e sia conforme a buona fede”254. In sostanza sulla base di questa

impostazione sarebbe consentito al lavoratore che deve eseguire la prestazione, eccepire l’inadempimento della controparte e quindi del datore: in tal senso il comportamento non legittimo del datore di adibire il lavoratore a mansioni “diverse” costituisce inadempimento dell’obbligo contrattuale ricadente sul datore di non facere (vale a dire del divieto di adibire il lavoratore a mansioni non appartenenti allo stesso livello di

contemporaneamente la propria, salvo che termini diversi per l’adempimento siano stati stabiliti dalle parti o risultino dalla natura del contratto. Tuttavia non può rifiutarsi l’esecuzione se, avuto riguardo alle circostanze, il rifiuto è contrario alla buona fede.

- 164 - inquadramento o inferiori, con esclusione dei casi previsti ex lege). Quindi, sulla base del fatto che la controparte datoriale non adempia al suo obbligo, in base al famoso brocardo latino inadimplenti non est adimplendum, il lavoratore potrà rifiutare lo svolgimento delle mansioni non rientranti nello stesso livello o eventualmente inferiori. La giurisprudenza si è a lungo dilungata nel valutare l’applicazione della disposizione dell’art. 1460 c.c. in tema di mutamento di mansioni e si osserva che in relazione allo ius variandi e all’eventuale ordine di adibizione a mansioni inferiori e dequalificanti, il rifiuto di obbedienza costituisce grave insubordinazione e il ricorso all’art. 1460 c.c. può avvenire solo in caso di inadempimento totale da parte del datore di lavoro.255 In particolare, la giurisprudenza in alcune

pronunce si è anche spinta oltre affermando che l’assegnazione a mansioni diverse e non rispondenti alla qualifica di appartenenza “può consentire al lavoratore di richiedere giudizialmente la riconduzione della prestazione nell'ambito della qualifica di appartenenza, ma non autorizza lo stesso a rifiutarsi aprioristicamente, e senza un eventuale avallo giudiziario, che, peraltro, può essergli urgentemente accordato in via cautelare, di eseguire la prestazione lavorativa richiestagli, in quanto egli è tenuto ad osservare le disposizioni per l'esecuzione del lavoro impartito dall'imprenditore, ex artt.

255Cass. 9 maggio 2007 n. 10547 che asserisce che “in merito alla tutela del

lavoratore in caso di assegnazione di mansioni inferiori alla qualifica di appartenenza, si rimarca che, ove pur sussista una situazione di dequalificazione di mansioni, non può il lavoratore sospendere in tutto od in parte la propria attività lavorativa, se potendo una parte rendersi inadempiente soltanto se è totalmente inadempiente l'altra parte, non quando vi sia contestazione e controversia solo su una delle obbligazioni a carico di una delle parti, obbligazione peraltro non incidente sulle immediate esigenze vitali del lavoratore (cfr. Cass. n. 1307/1998).”

- 165 - 2086 e 2104 cod. civ., da applicarsi alla stregua del principio sancito dall'art. 41 Cost. e può legittimamente invocare l'art. 1460 cod. civ., rendendosi inadempiente, solo in caso di totale inadempimento dell'altra parte, a meno che l'inadempimento del datore di lavoro sia tanto grave da incidere in maniera irrimediabile sulle esigenze vitali dei lavoratore.”256

Come alcuni hanno osservato, l’inconveniente dell’applicazione della disposizione è quello di aprire la strada alla verifica della gravità della dequalificazione. 257

La giurisprudenza, accanto alla necessità di ammettere il rifiuto in caso di inadempimento totale da parte del datore, ha ritenuto che il lavoratore, sia pur rifiutando l’adempimento della propria obbligazione, non potrà adempierla, però, in maniera inesatta258.

In questi termini si tratta di comprendere come vi sia stato, in realtà, uno svotamento del contenuto proprio dell’art. 1460 c.c.,

256 Cass. 20 luglio 2013 n. 12696

257 V. Ferrante, Potere e autotutela nel contratto di lavoro subordinato, Giappichelli

editore, Torino, 2004, p. 179: “Questa funzione dell’eccezione però viene negata dalla giurisprudenza quando rifiuta di ammettere l’eccezione per i casi di inadempimento non grave: in questo modo l’eccezione si riduce ad un mezzo propedeutico della risoluzione senza poter esplicare alcuna funzione sua propria. Eppur tuttavia si deve sottolineare come questa visione della giurisprudenza sia irrealistica, perché, negata la via dell’autotutela, al contraente che lamenti l’inadempimento non resta che quella della tutela giudiziaria, ma questa, in disparte dalle ben note lunghezze, è spesso del tutto incapace di garantire il raggiungimento di un risultato utile. A conferma di quest’ultima affermazione si faccia l’esempio di un contratto con obblighi incoercibili di fare, come ad esempio una scrittura teatrale: mentre l’eccezione, seppure non riesce a spingere all’adempimento il contraente infedele, garantisce perlomeno l’integrità del patrimonio, l’orientamento della giurisprudenza obbliga la parte, cui rifiuta l’eccezione per carenza del requisito di gravità dell’inadempimento, prima a pagare e poi ad iniziare il processo per ottenere, nel migliore dei casi, il solo risarcimento dei danni, stante la incoercibilità del suo credito. Ed esempi analoghi possono farsi nel campo del diritto del lavoro subordinato quando, ad. es. al diritto alle mansioni, posto che, come è noto, si afferma comunemente l’incoercibilità dell’ordine di condanna al conferimento di mansioni diverse da quelle di fatto espletate”.

- 166 - in quanto attraverso la richiesta di un inadempimento pieno da parte del datore, la maggior parte delle richieste di tutela riguardano, nella prassi, inadempimenti parziali, che determinano l’inutilizzabilità del rimedio dell’autotutela. La possibilità di esercitare il rifiuto, infatti, dovrebbe provenire dal lavoratore come mezzo per difendersi dall’assegnazione a mansioni definitive senza che ciò possa verificarsi previo “avallo giudiziario”, come invece molte sentenze riportano. Secondo l’impostazione della giurisprudenza, quindi, si realizza una compressione stessa dell’autotutela.

Il lavoratore potrebbe richiedere tale avallo in via d’urgenza, al fine di consentirgli di inibire ex ante le conseguenze negative mediante un proprio comportamento, assumendosi il rischio di un eventuale accertamento giudiziale259; tuttavia tale

giurisprudenza limita fortemente la libertà di scelta del lavoratore, il quale si trova a dover aspettare non solo la verifica del periculum in mora e del fumus boni iuris, ma ad attendere che il giudice ponga in essere la scelta che lui già aveva compiuto, ma senza la possibilità di esplicarne gli effetti in assenza di un avallo ex ante.

Il giudizio successivo che possa derivare dal rifiuto del lavoratore comporta non pochi rischi, in quanto potrebbe eventualmente produrre anche la condanna a sanzioni disciplinari, una volta accertata l’illegittimità del suo comportamento.

A tale impostazione giurisprudenziale, la dottrina maggioritaria, ha ritenuto che tale orientamento presuppone un

259 Cfr. L. Ferluga, Tutela del lavoratore e disciplina delle mansioni, Giuffrè

- 167 - modello d’impresa in cui vi è la prevalenza di un dovere di obbedienza incondizionato che esula al di fuori degli schemi tipici del rapporto di corrispettività datore/lavoratore, ritenendo perciò scorretto l’esercizio dell’autotutela condizionatamente ad un avallo giudiziario.260

Altri orientamenti della Suprema Corte si sono poi in parte discostati: in particolare, vi è stata una pronuncia che ha ritenuto che la valutazione dell’inadempimento del datore dovesse compiersi in via comparativa, mostrando attenzione alla funzione economico sociale del contratto, alla rispettiva incidenza sull’equilibrio sinallagmatico, alle posizioni delle parti e agli interessi delle stesse, nonché a buona fede.261

Alla stregua di questa interpretazione possiamo ipotizzare un’esaltazione della flessibilità e una valutazione più articolata di entrambe le parti in gioco, tuttavia non senza margini di incertezza, dato il ruolo maggioritario riconosciuto al giudice in tale contesto.

In altri casi esigenze aziendali ritenute improrogabili hanno escluso l’utilizzazione del rimedio dell’autotutela262, mediante

un’interpretazione “evolutiva” del dettato dell’art. 2103 c.c. al fine di consentire l’assegnazione a mansioni equivalenti (si trattava del vecchio art 13 dello Statuto).

Inoltre, una sentenza ha ritenuto illegittimo il rifiuto del lavoratore allo svolgimento delle mansioni inferiori che gli erano state assegnate in via transitoria con lo scopo di consentirgli l‘acquisizione di nuove tecniche lavorative e quindi

260 M Brollo, Art. 2103. La mobilità interna del lavoratore in Commentario diretto

da P. Schlesinger, Giuffrè, 1997

261 Cass. 16 maggio 2006 n. 11430 262 Cass. 12 luglio 2002 n. 1087

- 168 - un grado più elevato di professionalità263. Sono comunque

orientamenti minoritari, riportati al fine di consentire una completezza dell’argomento.