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Il comma 5: jus variandi in pejus e retribuzione

Il comma 5 presenta la peculiarità di garantire al lavoratore, interessato da un provvedimento di mobilità in pejus, il mantenimento dello stesso trattamento retributivo goduto in precedenza, con l’eccezione di quegli elementi retributivi che siano collegati a particolari modalità proprie della prestazione cui era adibito in precedenza.

Nell’ambito della giurisprudenza, in tema di mansioni inferiori e jus variandi, da sempre si era dato ampio respiro alla teoria del “miglior favore”: dato che l’art. 2103 c.c. avrebbe avuto come scopo quello di tutelare il lavoratore, si riteneva ammissibile ogni sorta di deroga che potesse presupporsi a favore del lavoratore. In sostanza, poteva dirsi “un male minore per il lavoratore” l’adibizione a mansioni inferiori in casi in cui vi fosse una crisi aziendale, la sopravvenuta inabilità del prestatore, casi di licenziamento collettivo o per giustificato motivo oggettivo.

Altro principio che aveva preso il sopravvento nelle sentenze opera dei giudici della Cassazione era quello del bilanciamento

- 131 - dei contrapposti interessi, vale a dire si ritenevano ammissibili adibizioni a mansioni inferiori, quando attuate al fine di garantire un migliore equilibrio tra le esigenze datoriali di proficua gestione delle risorse umane e del diritto del lavoratore al mantenimento e alla salvaguardia del proprio posto di lavoro. Da ultimo in una sentenza si legge che “la disposizione dell'art. 2103 c.c. sulla disciplina delle mansioni e sul divieto di declassamento va interpretata alla stregua del bilanciamento del diritto del datore di lavoro a perseguire un'organizzazione aziendale produttiva ed efficiente e quello del lavoratore al mantenimento del posto, con la conseguenza che, nei casi di sopravvenute e legittime scelte imprenditoriali, comportanti, tra le altre, ristrutturazioni aziendali, l'adibizione del lavoratore a mansioni diverse, ed anche inferiori, a quelle precedentemente svolte, restando immutato il livello retribuivo, non si pone in contrasto con il dettato del Codice Civile”212. Una delle ipotesi

più frequenti era stata quella della possibilità e non contrasto con il Codice Civile di patti in deroga, al fine di evitare il licenziamento, anche se talvolta si è affermato che al fine di ritenere legittimo tale tipo di demansionamento sarebbe stato necessario il consenso del lavoratore213.

212 Cass. 22 maggio 2014 n. 11395

213 Cass. 1 luglio 2014 n. 14944 afferma che: “come più volte affermato da

questa Corte, tale norma ha carattere “speciale” perché – statuendo che, nel corso delle procedure di mobilità, gli accordi sindacali, al fine di garantire il reimpiego almeno ad una parte dei lavoratori, possono stabilire che il datore di lavoro assegni, in deroga all’art. 2103 c.c., mansioni diverse da quelle svolte- non solo sottintende la possibilità di attribuzione di mansioni anche peggiorative, ma non pone alcuna preclusione nell’assegnazione delle mansioni inferiori, anche attribuendo all’impiegato quelle proprie dell’operaio; e ciò si spiega considerando che trattasi per un verso di un rimedio per evitare il licenziamento e per altro verso di una deroga che non vincola i lavoratori, i quali ben potrebbero rifiutare la dequalificazione, andando però incontro al rischio del licenziamento”. (Cass. 7 settembre 2000,

- 132 - Uno dei problemi interpretativi che si è posto in dottrina dopo l’emanazione della nuova norma, e che troverà soluzione solo quando le azioni sul punto arriveranno all’attenzione dei giudici, è data dal modo in cui si intende l’accezione “trattamento retributivo in godimento” e in particolare se si intenda esclusivamente quello acquisito o anche quello che si potrà acquisire successivamente grazie alla dinamica evolutiva del rapporto di lavoro. Secondo parte della dottrina laddove l’interpretazione dei giudici dovesse volgersi verso la seconda accezione, vale a dire considerandolo onnicomprensivo anche di quello che si potrebbe acquisire successivamente, l’assegnazione a mansioni inferiori avrebbe carattere tendenzialmente temporaneo214, in quanto sancirebbe una netta convenienza

economica a favore del datore di lavoro.

n. 11806; Cass. 10 novembre 1999n. 12498; Cass. 29 settembre 1998, n. 9734; Cass. 7 settembre 1993 n. 9386)

Sullo stesso profilo Cass. 18 settembre 2013 n. 21356 afferma che: “Certamente rientrava nei poteri dell'imprenditore quello di operare la ristrutturazione indicata con la soppressione del CED della Banca; tuttavia dovevano essere affidate al lavoratore ex art. 2103 c.c., (come ormai chiarito da tempo dalla giurisprudenza di questa Corte) mansioni compatibili con il livello di inquadramento e con la professionalità acquisita. La sentenza impugnata ha accertato che tale compatibilità non sussiste in quanto le nuove mansioni appaiono totalmente prive di autonomia e di responsabilità, elementi che connotavano, in piena evidenza, quelle svolte in precedenza. La Corte di appello ha già osservato che non può ritenersi che il demansionamento sia legittimato dalla volontà di impedire il licenziamento in quanto mansioni dequalificanti devono essere comunque accettate (e prima ancora proposte, il che non sembra neppure essere stato dedotto) dal lavoratore (cfr. Cass. N. 28774/2008; Cass. N. 29832/2008; Cass. N. 6572/2006). Ancora la Corte di appello ha osservato che le dedotte finalità del trasferimento (ripristinare la professionalità del L.C.) non sono state provate; nello stesso ricorso non si allega nulla in proposito”

214 A. Bellavista, Jobs act: la nuova disciplina delle mansioni, in il Quotidiano

giuridico, 23 febbraio 2015, in relazione allo schema di decreto legislativo e ripreso da M. Brollo, disciplina delle mansioni, (art 3), pubblicato in Commento

al d.lgs. 15 giugni 2015, n.81: le tipologie contrattuali e lo jus variandi (a cura di)

- 133 - L’enunciazione della garanzia retributiva riprende l’orientamento che aveva trovato spazio in giurisprudenza, sia pur non senza modifiche, talvolta incidenti sull’essenza stessa della norma. Infatti, nella formulazione dell’art. 2103 c.c. risalente al 1970 che si esprimeva al comma 1 nell’ambito delle modifiche orizzontali, la garanzia retributiva si coagulava nell’assunto “senza alcuna diminuzione della retribuzione”, con la peculiarità che la Corte introdusse fin dal 1981215 una serie di

partizioni circa gli emolumenti della stessa, individuando elementi estrinseci legati alla pericolosità, al disagio e alla responsabilità della prestazione, contrapposti ai cd. elementi intrinseci riguardanti le capacità professionali proprie del dipendente.