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La conquista simbolica dello spazio coloniale

Nonostante la guerra d’Africa abbia coinvolto da parte italiana più di mezzo milione di uomini dotati di mezzi bellici ingentissimi, e abbia causato centinaia di migliaia di vittime tra la popolazione civile etiope — senza considerare la distruzione di intere città e villaggi e la sostanziale «desertificazione» di alcune aree del paese — , ciò che inevitabilmente colpisce l’attenzione guardando le pellicole realizzate dal RAO tra l’ottobre 1935 e il maggio 1936, è l’apparente assenza della «guerra guerreggiata». Ciò non dovrebbe stupirci dato che, come abbiamo già osservato in precedenza, lo stesso Mussolini si era lamentato con il presidente del Luce, Giacomo Paulucci Di Calboli, proprio di questo aspetto, sottolineando come le imma- gini di guerra risultassero degli episodi quasi accidentali all’interno della narrazione audiovi- siva dell’impresa africana, che, al contrario, risultava per lo più incentrata su altre tematiche (le attività logistiche dell’Intendenza militare, le ricognizioni aeree, la costruzione di infra- strutture, le varie «opere di civilizzazione» compiute dai soldati italiani a vantaggio della po- polazione indigena). 1

Quali sono le ragioni che spiegano questo fenomeno? Sebbene risulti certamente complica- to, con i mezzi tecnici dell’epoca, filmare azioni belliche in un contesto strategico caratteriz- zato da piccoli scontri isolati — assai meno spettacolari delle grandi battaglie campali —, il fattore determinante che, a mio parere, va messo in relazione all’assenza della guerra dalle pellicole dell’Istituto Luce è la scomparsa totale del nemico abissino. Al più evocato nei cine- giornali e nei documentari che descrivono le azioni offensive degli italiani, l’esercito del Ne- gus risulta, di fatto, invisibile, come se si trattasse di un elemento integrato nel paesaggio. E 2

Cfr. Capitolo 3, § n. 2, in particolare pp. 103-105.

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Uniche eccezioni sono il documentario Su un settore del fronte durante la battaglia dell’Amba Aradam in cui si

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vedono reparti italiani bersagliati dalle armi abissine e il documentario Reparti avanzati in cui si mostrano i sol- dati del Negus impegnati in combattimento, avvalendosi di alcune riprese effettuate «da operatori americani». Cfr. ACL, D064701, 1936, «Su un settore del fronte durante la battaglia dell'Amba Aradam»; D036801, 1936,

anche nelle rare occasioni in cui i nemici catturati vengono mostrati alla cinepresa, la man- canza dell’uniforme, cioè dell’unico segno che permetterebbe allo spettatore l’identificazione immediata di un esercito avversario, impedisce che essi siano facilmente riconoscibili dal re- sto degli indigeni. Dobbiamo quindi evidenziare che, lungi dal descrivere una guerra tra eser3 - citi contrapposti, la narrazione audiovisiva delineata dalle pellicole del RAO sembra piuttosto riferirsi a una guerra combattuta contro la natura, in cui l’avversario altro non è che un enor- me spazio da colonizzare, concepito, al tempo stesso, come vuoto, sterile e caotico. 4

La definizione di uno spazio «Altro», che funga da elemento «negativo» per evidenziare l’azione «positiva» dei colonizzatori, è una meccanica discorsiva di lunga durata che caratte- rizza l’intera esperienza del colonialismo occidentale e che nel caso specifico della narrazione della guerra d’Etiopia, diviene funzionale ad evidenziare l’instaurazione del nuovo ordine fa- scista sulle terre e sulle genti africane. Attraverso l’azione della guerra meccanizzata, degli 5 strumenti tecnologici e delle pratiche civilizzatrici, che vengono mostrate dalle cineprese del Luce agli spettatori, i conquistatori italiani sembrano quindi plasmare lo spazio di conquista, imponendoli un ordine razionale che è volto, da un lato, a rendere l’Etiopia un’estensione del- la Madre-patria, e dall’altro, a disciplinare gli elementi di alterità costringendoli all’interno di precisi confini invalicabili.

Nei film Luce, la trasformazione dell’Etiopia in una propaggine del territorio nazionale avviene, innanzitutto, attraverso l’iscrizione dello spazio «Altro» all’interno di sistemi simbo- lici e di significato facilmente riconoscibili agli occhi del pubblico italiano. Uno degli stru- menti principali che viene utilizzato per compiere questa operazione è la carta geografica, un tipo di mappa visuale, che permette allo spettatore di visualizzare la terra africana come uno spazio di conquista sul quale si esercita l’azione del colonizzatore. Prendiamo ad esempio il 6 documentario Sulle orme dei nostri pionieri, dove la conquista simbolica dell’Etiopia passa per il ricordo degli esploratori che per primi si erano spinti nel misterioso e indistinto conti- nente africano, consacrandone talvolta il suolo col proprio sangue sacrificale:

Cfr. ad esempio ACL, B0849, 11/3/1936, «Sul fronte del Tembien»; B0845, 4/3/1936, «L’avanzata delle truppe

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italiane e dei Dubat sul fronte somalo».

Cfr. Federico Caprotti, The invisible war on nature: the Abyssinian war (1935–1936) in newsreels and docu

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mentaries in Fascist Italy, in «Modern Italy», Vol. 19, n. agosto 2014, pp. 305-321.

Cfr. David Atkinson, Constructing Italian Africa, cit.

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La carta geografica si presta particolarmente bene a questa funzione poiché, come osserva Benedict Anderson,

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essa agisce come un’icona, selezionando elementi della realtà e restituendone una rappresentazione sintetica. Cfr. Benedict Anderson, Comunità immaginate, cit.

L’Africa […] — afferma il commentatore — , ad ogni passo ricorda l’opera dei pionieri ita- liani, che con il loro sangue e la loro audacia hanno aperto la via alla espansione e ricchezza di altre nazioni. Maschie forze di una stirpe che si identifica in una schiera di audaci che nel secolo decimonono segnò alla patria le vie dei suoi destini imperiali.

Ché tale visione conferma lo spirito eroico, avventuroso di sacrificio ed altruismo della no- stra gente, l’esplorazione sistematica e completa dell’Africa orientale da parte quasi soltanto di italiani, conferisce al nostro paese un diritto di cittadinanza che nessuno può negare. 7

Se i riferimenti alle esplorazioni del passato nel Corno d’Africa servono a legittimare i di- ritti dell’Italia fascista sull’Etiopia, le unità illustrative che vengono sincronizzate alla suddet- ta enunciazione, rafforzano tali rivendicazioni dal punto di vista visuale, evidenziando l’ap- propriazione simbolica dello spazio, che si attua, da un lato, tramite didascalie in sovrimpres- sione — che al solito mutuano forme tipiche del linguaggio pubblicitario —, che riportano i nomi degli esploratori italiani, e dall’altro, mediante lo strumento della carta geografica, che illustra i percorsi compiuti dagli esploratori stessi. Poco più avanti, nello stesso documentario, il modello visivo adottato per le narrazioni delle esplorazioni viene esteso alle sequenze filmi- che che illustrano l’avanzamento delle operazioni militari in Etiopia. Anche in questo caso la 8 mappa animata, che serve a segnalare le città conquistate dall’esercito italiano e i movimenti delle truppe di De Bono e Graziani, diviene uno strumento di conquista simbolica dello spa- zio. (Fig. 8) 9

In altre pellicole la mappa visuale assolve a funzioni differenti, che hanno a che fare con la geografia immaginaria della nazione. Ad esempio, negli episodi della rubrica Cronache del-

l’impero, distribuiti nei cinema italiani dal 1937 al 1939, la carta geografica viene inserita nel

montaggio per illustrare agli spettatori i dipartimenti in cui è suddiviso il nuovo impero fasci- sta in Africa Orientale, presentandoli come regioni della Madre-patria e contribuendo così a creare quella dimestichezza tra gli italiani e le colonie necessaria a supportare i progetti di im- perialismo demografico. Ogni servizio è infatti anticipato da una carta stilizzata, che rappre- senta il singolo dipartimento, in cui viene segnalata tramite un puntino e una didascalia,

ACL, D028702, 1936, «Sulle orme dei nostri pionieri».

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Cfr. Ivi.

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Pur esprimendosi in termini diversi dai nostri, anche Siegfried Kracauer evidenzia la funzione simbolica della

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mappa animata nell’ambito del cinegiornale e del documentario di guerra: «[le mappe animate] enfatizzano la funzione di propaganda di quanto si sostiene a proposito degli sviluppi strategici nella misura in cui sembrano illustrare, attraverso una varietà di frecce in movimento e di linee, dei test su una qualche nuova sostanza. Pur

somigliando a dei grafici di processi fisici, dimostrano come tutti i materiali noti sono distrutti, penetrati, fatti arretrare e sussunti da quello nuovo, così dimostrando la sua assoluta superiorità nella maniera più sconvolgen- te» Cfr. Siegfried Kracauer, La propaganda e il cinema di guerra tedesco, cit., pp. 344-45. (corsivo mio)

l’esatta località in cui esso è ambientato. In questo senso, come suggerito da alcuni studi che accolgono la prospettiva decostruzionista, la carta geografia va considerata un dispositivo che produce e riproduce elementi discorsivi, rafforzandoli e garantendone la circolazione a livello sociale. La funzione della mappa come dispositivo risulta ancora più accentuata nel caso 10 delle carte-logo, cioè di quelle immagini stilizzate che riportano il profilo geografico della nuova colonia, facendone un’icona visuale che incorpora determinati valori e che diviene im- mediatamente riconoscibile agli occhi del pubblico. Un esempio in questo senso è rappresen- tato dalla sequenza iniziale del documentario Il cammino degli eroi in cui la carta-logo del Corno d’Africa, giustapposta all’immagine di una statua in pietra con le fattezze del duce, evoca l’epopea della conquista coloniale. (Fig. 9) 11

Fig. 8. La conquista simbolica dello spazio coloniale: gli itinerari degli esploratori del Corno d’Africa e le direttrici dell’avanzata di De Bono e Graziani in Etiopia, serie di fotogrammi da Le orme dei no- stri pionieri (1936).

Cfr. Edoardo Boria, Bianca Maria Mennini, Il discorso della nazione in Italia dal Risorgimento al fascismo

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attraverso le carte geografiche in Silvia Aru, Valeria Deplano (a cura di), Costruire una nazione, Politiche, di- scorsi, rappresentazioni che hanno fatto l’Italia, Ombre corte, Verona 2013 pp. 17-38.

Cfr. ACL, D037101, 1936, «Il cammino degli eroi». Cfr. inoltre la sequenza iniziale di qualsiasi episodio di

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Fig. 9. L’impero come logo, fotogramma da Il cammino degli eroi (1936).

Nelle attualità prodotte coi materiali del RAO, la conquista simbolica dello spazio colonia- le passa inoltre per la costruzione di mappe testuali che si strutturano sulle etichette attribuite dai colonizzatori, del presente o del passato, alla terra incognita africana, per renderla un og- getto conoscibile. Prendiamo ad esempio un servizio del Giornale Luce n. 832 in cui si parla di una ricchissima zona di confine tra l’Etiopia e il Sudan, esplorata alla fine del XIX secolo dall’«africanista» italiano Vittorio Bottego:

Nell’Ualleaga, al confine tra l’Abissina e il Sudan, dove in una zona bagnata da numerosi corsi d’acqua ricca di pascoli e mandrie, si snoda il grande affluente del Nilo che gli indigeni conoscono col nome di Sobat, ma che per noi italiani è il fiume Saint-bon come lo battezzò un nostro grande africanista, Vittorio Bottego, che ne esplorò le sorgenti. […] Anche in queste fer- tili terre intere popolazioni mal sopportano il gioco scioano e forse ricordano ancora la maschia figura del Bottego, che qui presso, nel 1897, sullo spartiacque tra il Saint-bon e il Nilo Azzurro cadde vittima [?] abissina.12

Cfr. ACL, B0832, 12/2/1936, «Visita ad una zona al confine fra l’Abissinia e il Sudan». (corsivo mio; sonoro

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Come si evince da questo reperto testuale, la legittimazione dei diritti italiani sull’Etiopia passa per un riferimento alle pratiche di nominazione attraverso cui Vittorio Bottego — di cui, tra l’altro, si mette ben in evidenza il duplice ruolo di esploratore-martire e la mascolinità del- la sua figura — aveva attuato l’iscrizione di uno spazio «Altro» in un sistema di significato, nonché per il suo eroico sacrificio, che rimanda alla metafora della consacrazione del suolo attraverso il sangue italiano versato. 13

Esempi come questo, seppur abbastanza diffusi nelle pellicole, risultano tuttavia surclassati da un’altra modalità di conquista simbolica del territorio africano e cioè quella, per così dire, della sua «italianizzazione». Visionando i cinegiornali è infatti molto facile imbattersi in enunciazioni che, attraverso parallelismi descrittivi tra il territorio nazionale e quello africano, definiscono, dal punto di vista discorsivo, l’Etiopia come un’estensione della Madre-patria italiana. Ad esempio, in un’attualità del Giornale Luce n. 763 intitolata Immagini del paesag-

gio africano e della vita quotidiana dei soldati italiani, si afferma che il «suggestivo panora-

ma» africano catturato dalla cinepresa «sembra un verde angolo della nostra Penisola, ondula- to di colline su cui spiccano nitide levigatissime strade carrozzabili»; in un filmato di Crona-

che dell’impero si descrive il panorama della regione di Uondo come simile a quello «del-

l’Appennino umbro-marchigiano». In un cinegiornale incentrato sull’inaugurazione della 14 strada Decameré-Nefasit, lo speaker mostra come, soltanto facendo caso agli — irriducibili — elementi esotici del paesaggio, è possibile cogliere le differenze tra la colonia e il territorio «metropolitano»:

Percorrendo questa bella arteria di comunicazione aperta delle nostre maestranze, il panora- ma che ci circonda ci appare familiare come quello di uno dei nostri paesi mediterranei. Solo alcune euforbie delle zone temperate, tipica vegetazione dell’altipiano e gli agglomerati di tucul ci ricordano che siamo in Africa.15

Lo stesso Bottego viene evocato in altre occasioni: in un servizio sul villaggio minerario di Judo si fa ancora

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riferimento al «fiume Saint-bon, che ricorda il nome di un nostro ardito pioniere»; in un altro, sulla conquista del villaggio di Gambela si mostra attraverso una ripresa aerea «il grande lago cui Vittorio Bottego diede il nome della regina Margherita». Per ragioni legate all’economia del testo ho ritenuto opportuno citare soltanto uno tra i tanti esploratori evocati nei film Luce. Cfr. ad esempio ACL, CI00403, 1937, «Galla e Sidamo - Jubdo»; CI00103, 1937, «Governo dei Galla e Sidamo - Gambela»; CI00101, 1937, «Governo dell'Amhara - Gondar».

Cfr. ad esempio ACL, B0763, 9/10/1935 «Immagini del paesaggio africano e della vita quotidiana dei soldati

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italiani e dei campi e delle esercitazioni militari in Eritrea»; B1064, 24/3/1937, «Le terre dei Galla e Sidamo»; CI004, 1937, «Galla e Sidamo - Gimma»; D049502, 1936, «Un episodio dell'avanzata italiana nel Tigrai».

Cfr. ACL, B0757, 2/10/1935 «L’Alto Commissario De Bono e il ministro Ciano inaugurano la nuova strada

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Nonostante descrizioni di questo genere compaiano già nei filmati distribuiti durante la guerra, esse trovano la loro massima diffusione nel periodo successivo della stabilizzazione dell’impero, nel momento, cioè, in cui diviene necessario per il regime convincere gli italiani delle possibilità economico-lavorative offerte della nuova colonia. Lungi dall’evocare una dimensione di profonda alterità, che potrebbe certamente turbare la sensibilità del pubblico, disincentivando l’auspicata emigrazione di massa, tali descrizioni attribuiscono quindi al terri- torio africano delle caratteristiche note e al tempo stesso rassicuranti, che, unitamente all’esal- tazione delle risorse che si troverebbero in Etiopia, rendono lo spazio coloniale appetibile agli occhi dei potenziali emigranti.

L’italianizzazione del territorio etiopico passa, infine, per l’evocazione visiva di quei segni che rivelano una presenza italiana precedente all’epoca fascista, e che vengono utilizzati per presentare la conquista dello spazio coloniale come una sorta di reconquista. È quello che ac- cade in due attualità che descrivono la vita dei legionari italiani nella piana di Adigrat: nei filmati, mentre la cinepresa indugia sulle rovine del forte «che vide l’eroica resistenza del maggiore Prestinari assediato […], l’arrivo liberatore del generale Barattieri e ora l’avanzata vittoriosa» dei legionari di Mussolini — il quale viene evocato indirettamente attraverso delle gigantografie —, lo speaker ricorda agli spettatori come la «piana di Adigrat», sia stata «resti-

tuita all’Italia dal valore dei» propri soldati. In un altro servizio del novembre 1935, che in16 - vita gli spettatori a compiere un «istruttivo viaggetto» ad Addis Abeba, il tema della presenza italiana nello spazio coloniale viene declinato in una forma diversa, legandolo indissolubil- mente alle uniche tracce di civiltà presenti nel territorio etiopico: «Le antenne della stazione radio ci ricordano che siano in una capitale del ventesimo secolo. È questo uno dei pochi ap- porti della civiltà ad Addis Abeba, ed è un apporto italiano come anche l’unico monumento equestre della città e la grande chiesa di San Giorgio». 17

Cfr. ACL, B0778, 6/11/1935, «Al Forte di Adigrat il generale Santini da il benvenuto al Maresciallo Badoglio

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e al Sottosegretario alle colonie, on. Lessona. Incontro con Hailé Selassié Gugsà, nominato Ras del Tigrai per la sua totale sottomissione». Cfr. inoltre B0781, 13/11/1935, «La piana di Adigrat ed il suo forte. Immagini della vita quotidiana nei campi di ascari e dei legionari italiani».

Cfr. ACL, B0790, 27/11/1935, «Documentario sull'Africa orientale».

Mitografie africane: la civiltà contro la natura

«L’orgoglio italiano è di portare una civiltà che è ordine, giustizia, lavoro, benessere, soli- darietà umana». Queste parole, che concludono un’attualità del Giornale Luce n. 836 incen18 - trata sulla visita degli inviati della stampa estera in un settore del fronte eritreo, potrebbero essere utilizzate idealmente per commentare qualsiasi pellicola realizzata dal RAO durante la guerra d’Africa e la successiva fase di stabilizzazione dell’impero. Declinato in forme diffe- renti, il mito della missione civilizzatrice è infatti un topos narrativo che caratterizza — come abbiamo visto — l’intera esperienza dell’imperialismo fascista, divenendo nel caso del con- flitto italo-etiopico un argomento fondamentale per legittimare e giustificare l’intervento ita- liano, tanto sul piano interno, quanto agli occhi dell’opinione pubblica internazionale.

Nei film Luce, tale topos risulta indissolubile dal più ampio orizzonte mitico dell’universa- lismo romano, dal quale esso stesso, per così dire, trae linfa vitale. L’Italia fascista, infatti, concepisce l’espansione coloniale in Etiopia come il punto di partenza per creare un impero universale, che rifacendosi all’esperienze storiche della Roma imperiale e della Roma dei papi, illumini la strada che conduce alla civiltà permettendo ad altri popoli, altre razze ed altre nazioni di percorrerla. Prendiamo ad esempio due frammenti testuali che chiariranno meglio questo passaggio. Il primo è l’enunciazione introduttiva del documentario Sulle orme dei no-

stri pionieri:

Roma, che condusse le sue legioni in Europa e conquistò l’intero bacino del mediterraneo, giungendo in Africa alle sorgenti del Nilo, guida oggi spiritualmente i suoi figli nella impresa in Africa Orientale. Da Roma discesero nelle civiltà del medioevo e nel rinascimento gli esplorato- ri, i navigatori, i ricercatori che conquistarono imperi per tutte le nazioni del mondo donando ad esse il sacrificio e la genialità dei figli d’Italia. La luce della civiltà partente da Roma doveva illuminare quasi tutti i continenti. 19

Come emerge da questo brano, la missione civilizzatrice dell’Italia fascista in Etiopia deve essere considerata espressione di un tratto caratteristico della razza italica che si è conservato immutato nei secoli, dall’epoca della Roma imperiale, fino al XX secolo, passando per il me- dioevo e il rinascimento. Tali riferimenti alle continuità storiche vanno messi in relazione alla

Cfr. ACL, B0836, 19/2/1936, «La visita della stampa estera sul fronte eritreo».

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ACL, D028702, 1936, «Sulle orme dei nostri pionieri».

concezione genealogico-parentale della nazione fascista, la quale, come abbiamo visto, postu- la l’esistenza di una comunità formata da tutti quegli individui che condividono «il sangue e il suolo», collocandosi su una stessa linea di sviluppo e di formazione spirituale che attraversa le generazioni. Arriviamo così al secondo frammento testuale, estratto da un Giornale Luce che tratta delle manifestazioni di consenso a favore degli italiani nel Tigrai liberato «dal giogo scioano», in cui l’essenza biopolitica della nazione emerge con vigore:

Lo spettacolo che nelle zone dove sventola il tricolore si rinnova ogni giorno ininterrotta- mente e costituisce l’indiscutibile prova di come in tutto il Tigrai lungamente attanagliato dal giogo scioano viene invocata ed accolta l’avanzata civilizzatrice delle nostre truppe, avanguar- die della civiltà e della giustizia che da Roma hanno origine ed ininterrotte tradizioni e di cui già beneficiano le popolazioni redente dalla schiavitù e dalla miseria. 20

Nella narrazione audiovisiva del conflitto, gli italiani divengono quindi dei liberatori, un’avanguardia di civiltà inviata dalla Provvidenza a redimere le «povere popolazioni» del «mosaico etiopico» schiacciate dalla malvagia minoranza abissina, portandole sotto l’ombrel- lo protettivo della nuova Roma e quindi verso «un’era di giustizia, di progresso e di pace». I cinegiornali e i documentari del RAO illustrano la fenomenologia dell’incontro tra gli indige- ni e i liberatori italiani, seguendo dei pattern standardizzati che rispondo alle meccaniche ite- rative tipiche di questo tipo di produzione culturale: si va dalle richieste d’aiuto inoltrate agli

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