Da Vittorio Veneto ad Addis Abeba
La prima impressione che si ricava delle pellicole Luce sulla guerra d’Etiopia è quella di assistere alla messa in scena di un conflitto etico di enormi dimensioni, che si snoda seguendo i repertori stilistici tipici di quella forma estetica moderna che prende il nome di melodramma. Le narrazioni cinematografiche che compongono la grande epica africana del 1 fascismo, infatti, come i migliori melodrammi, sono basate su una visione manichea del mon- do che oppone a forze moralmente positive, altre forze irrimediabilmente corrotte e malvagie. Ponendo gli spettatori davanti a una scelta tra alternative morali tra cui non vi può essere al- cun tipo di compromesso, le rappresentazioni melodrammatiche tratteggiano una sorta di «drammaturgia della virtù» che si sviluppa secondo lo schema seguente: il dramma si apre con una presentazione della virtù, prosegue con l’introduzione delle forze negative che opera- no per minacciarla e si conclude con la loro irrimediabile sconfitta in seguito ad un’azione spettacolare e risolutiva. L’ammirazione della virtù da parte del pubblico avviene gradual2 - mente, prima attraverso il superamento, da parte delle forze positive, di ostacoli, scontri e si- tuazioni critiche in cui gli antagonisti sembrano avere la meglio, e poi, alla fine, con lo scio-
Il riferimento obbligato è il saggio L'immaginazione melodrammatica del critico letterario statunitense Peter
1
Brooks. «[Nel melodramma] — si legge nell’opera — spicca un’intensa conflittualità emotiva ed etica basata sulla lotta manichea fra il bene e il male: un mondo in cui tutto ciò per cui si vive, e di cui si vive, è determinato da rapporti psichici fondamentali e forza morali di respiro cosmico. La stessa polarizzazione del bene e del male rivela la realtà della loro presenza operante nel mondo, e il loro conflitto implica la necessità di riconoscere il male, di affrontarlo e di eliminarlo per la purificazione dell’ordine sociale. L’uomo agisce in un teatro dove si scontrano imperativi trascendenti e irriducibili, fra i quali nessun compromesso è possibile; così viene presentato e così deve imparare a vedersi egli stesso, dato che questa è la realtà del mondo in cui viviamo. Lo spettacolo del melodramma cerca costantemente di esprime queste forze e questi imperativi, di portarli a una piena rivelazione, di imporli all'attenzione di tutti. Si tratta dunque di una forma di teatralità che fornirà più di un modello alla
rappresentazione romanzesca e alla produzione di senso nelle trasposizioni fantastiche del quotidiano.[…] Il
melodramma cerca di localizzare, articolare e dimostrare al di là di ogni dubbio possibile l’esistenza di un uni- verso etico che, pur essendo messo in dubbio e offuscato dalla malvagità e dalla perversione, non potrà non riaf- fermare la sua presenza e la sua forza categorica nella società». Peter Brooks, L’immaginazione melodrammati-
ca, Pratiche, Parma 1985 [1976], pp. 29-30 e p. 38. (corsivo mio)
Sul rapporto tra la guerra e il melodramma nella cultura fascista. Cfr. Simonetta Falasca Zamponi, Lo spettaco
2 -
glimento della trama che sancisce la sconfitta definitiva del male e il trionfo del bene, spesso attraverso qualche forma di «violenza morale» che ristabilisce un ordine che precedentemente era stato perturbato.
Allo stesso modo, i materiali filmici commercializzati e distribuiti dall’Istituto Luce tra il gennaio 1935 e il maggio 1936, tratteggiano un vero e proprio «dramma africano» che segue pedissequamente lo schema che abbiamo precedentemente enunciato. Partiamo quindi dal principio per ripercorrere le tappe in cui si articola questa grande narrazione audiovisiva.
Nella sezione centrale del film Sulle orme dei nostri pionieri, un documentario ad alto
budget distribuito dal Luce nel primo semestre del 1936, il commentatore ripercorre con l’au-
silio di carte geografiche, animazioni e sequenze filmate, le motivazioni che hanno spinto l’Italia a prendere le armi contro gli abissini per conquistare un «posto al sole».
Il popolo italiano aveva diffuso nel mondo la sua civiltà millenaria. Contro questo magnifico dono, quasi 10 milioni di emigrati erano perduti per noi. Nuova fonte di ricchezza e potenza per le nazioni straniere. Non bastava ancora: l’intervento e Vittorio Veneto dovevano dare la prova storica della potenza decisiva dell’Italia che per la forza delle sue armi anticipava di un anno la fine della Grande guerra, lasciando anche in terra di Francia i suoi eroici caduti.
Una lotta si era aspramente combattuta: quasi dieci milioni di morti dovevano consacrare due principi: Il diritto dei popoli alla vita e la libertà dei mari. Il Mediterraneo, mare nostro, doveva rimaner chiuso tra due barriere d’acciaio: Gibilterra e Suez.
Quali le possibilità di espansione dell’Italia? Il giuoco ben condotto delle grandi potenze im- periali aveva raccolti, intorno allo stesso tavolo, i giocatori, ma le carte distribuite, indici dei territori di conquista, trascuravano i diritti delle grandi nazioni proletarie, la necessità demogra- fica di vita era posta nel nulla. La superficie coloniale era di per sé la beffa più atroce: l’Italia era costretta a divenire, per quasi tre quinti, collezionista di deserti. Di contro la ricchezza agri- cola, minerale e industriale delle altrui colonie di oltre confine e di oltremare. […]
Il territorio coloniale è elemento funzionale della vita del paese, il popolo delle nazioni pro- letarie ne ha bisogno nelle sua fiera povertà contro la rapace pretese dei popoli ricchi per cui la conquista coloniale è ingorda avarizia. In nome dei principi della democrazia si nega un posto al sole e un diritto a una migliore esistenza a decine di milioni di lavoratori. […]
Il nostro popolo, generoso e leale, sente l’iniquità di un’ingiustizia che si ripete dopo quella amara di Versailles. Esso sa che i mandati furono ottenuti in seguito alla sua vittoria ed accapar- rati da nazioni prive, irreparabilmente, di spinta demografica. Versailles diveniva un vero tavolo da giuoco dove i più abili erano i vincitori. Il mondo delle fiches, indice proporzionale della va- stità dei mandati ripartiti con il bottino dell vittoria, vedeva una nuova consacrazione di ingiu-
stizia e di disconoscimento del diritto italiano consacrato del sangue di quasi 700.000 morti. Alle nazioni più ricche nuova immensa messe di territori, all’Italia nulla.3
Come si evince da questo brano, la strategia retorica su cui si sviluppa la narrazione audio- visiva del «dramma africano» del fascismo, è quella di riproporre il mito della «vittoria muti- lata» presentando l’Italia come la vittima di un complotto ordito dalle nazioni plutocratiche che, a Versailles avevano operato per disattendere le clausole contenute nel patto di Londra e spartirsi l’ex impero coloniale tedesco. L’atteggiamento già di per sé deplorevole di queste potenze, insaziabili e senza morale, era stato aggravato dalla mancata considerazione del con- tributo italiano alla vittoria finale: in cambio di centinaia di migliaia di caduti e di mutilati, l’Italia proletaria non aveva ricevuto che «poche briciole» del bottino coloniale ed alcuna pro- spettiva concreta di espansione nel continente africano.
Date queste premesse non stupisce il fatto che nei cinegiornali e nei documentari distribuiti durante il conflitto con l’Etiopia, le tematiche relative all’esperienza della prima guerra mon- diale siano costantemente evocate. Se considerassimo queste produzioni culturali al di fuori di qualsiasi tipo di contestualizzazione, l’onnipresenza di tali tematiche non dovrebbe affatto stupirci, in quanto —come ha scritto lo storico Giorgio Zunino — la Grande guerra costituisce «il cardine d’acciaio intorno al quale ruota il processo rimemorativo del fascismo», l’orizzon- te mitico «che occupa quasi per intero l’immagine del passato che fa da sfondo all’ideologia fascista». Il culto dei caduti, l’esaltazione del reducismo e tutto l’apparato liturgico incentrato 4 sull’esperienza bellica sono infatti elementi essenziali della religione politica fascista che ine- vitabilmente si trovano a circolare nei circuiti comunicativi della società italiana.
Tuttavia, se si allarga lo sguardo per inquadrare il contesto generale fino a ricomprendere nella nostra analisi le altre attualità che nello stesso periodo vengono inserite nei cinegiornali, possiamo notare come i servizi incentrati sulle tematiche relative alla Grande guerra debbano essere considerate parte di una costellazione narrativa più ampia, complessa e stratificata, che pone in strettissima relazione il conflitto mondiale con la guerra d’Africa, attraverso un gioco di risonanze e allusioni, costruzioni metaforiche e reticoli simbolici. Alla base di tale fenome- no si pongono alcune fondamentali strutture discorsive che definiscono la morfologia del- l’immaginario nazional-patriottico di epoca fascista.
Cfr. ACL, D028702, 1936, «Sulle orme dei nostri pionieri».
3
Cfr. Piergiorgio Zunino, L’ideologia del fascismo. Miti, credenze e valori nella stabilizzazione del regime, Il
4
Innanzitutto, molto banalmente, il contesto della guerra di massa rende operativo quello che è il ruolo normativo essenziale prescritto per gli uomini nell’immaginario nazional-pa- triottico, cioè quello di combattere per l’onore e la grandezza della nazione, imbracciando le armi per difenderla od ampliarne i confini. Nei cinegiornali distribuiti tra il febbraio e l’otto- bre 1935, si susseguono numerose le attualità incentrate sulla partenza dei soldati per il fronte. Le strutture narrative di tali attualità si configurano come variazioni su un tema stan5 - dardizzato: normalmente si mostrano le truppe che sfilano per le vie della città, salutano affet- tuosamente i congiunti per poi imbarcarsi sui piroscafi o salire sui treni diretti ai porti, mentre la folla saluta la loro partenza «con incontenibile entusiasmo» e «ardenti manifestazioni di fede». Spesso viene evocato indirettamente anche Mussolini, sia attraverso unità sonore — ad esempio le grida «duce! duce!» — che attraverso unità illustrative — ad esempio cartelli, ri- tratti o fotografie che lo raffigurano. 6
Tra queste narrazioni audiovisive si trovano molteplici riferimenti, più o meno espliciti, alla continuità tra l’esperienza dei soldati della prima guerra mondiale e quella delle truppe dirette nel Corno d’Africa. Facciamo alcuni esempi. Nel Giornale Luce n. 681, pubblicato il 22 maggio 1935, si mostrano «800 camicie nere del 174° battaglione» che a Fidenza, prima di imbarcarsi per l’Eritrea, «ricevono la fiamma offerta dal fascio femminile benedetta con la sacra acqua del Piave» mentre in un altro Giornale, distribuito nel luglio dello stesso anno, viene immortalata «la Divisione XXVIII Ottobre» che, «in attesa di partire per l’Africa Orien- tale» omaggia «il monumento dei caduti formiani» e riceve un «vessillo benedetto»; in una
Cfr. ad esempio ACL, B0632, 27/2/1935, «I volontari per l’Africa Orientale»; B0638, 6/3/1935, «La divisione
5
Gavinana mobilitata per l'Africa Orientale»; B0681, 22/5/1935, «Battaglione in partenza per l’Africa Orientale»; B0702, 26/6/1935, «Il saluto entusiastico di Chieti alle camicie nere in partenza per l’Africa Orientale»; B0711, 10/07/1935, «La Legione delle Camicie Nere “Santorre di Santarosa” e la Legione Universitaria “Principe di Piemonte” in partenza per l'Africa Orientale»; B0747, 11/9/1935, «L’imbarco sul piroscafo Liguria di 4000 militi delle divisioni “Ventuno Aprile” e “Ventotto Ottobre” per l'Africa Orientale»; B0767, 16/10/1935, «La partenza degli ufficiali e dei soldati della scuola “Arnaldo Mussolini” per l'Africa Orientale. Giunti a Napoli i soldati si imbarcano sulla nave Cesare Battisti con il loro comandante console generale Agostini».
Quando parlo di enunciazione, unità illustrativa o unità sonora, utilizzo una terminologia mutuata dall’appara
6 -
to analitico messo a punto dal sociologo e teorico del cinema Siegfried Kracauer nei suoi studi sulla propaganda e sulla cinematografia di guerra nazista. Molto brevemente, definisco l’enunciazione, come un’unità basilare composta da una o più frasi che serve ad illustrare o a commentare le immagini che la seguono o che appaiono sullo schermo contemporaneamente ad essa. Sia una didascalia, che un commento parlato possono tradursi in una enunciazione. L’unità basilare che accompagna o segue l’enunciazione, facendo riferimento al medium delle immagini, prende invece il nome di unità illustrativa e si compone da una o più inquadrature, carte o disegni che costituiscono «un’unità di tema, di luogo, di tempo, di azione, un’unità simbolica o una qualsiasi combinazione di questi fattori». Al medium del suono, infine, corrisponde l’unità sonora, che può essere definita da un rumore uniforme, da un motivo musicale, oppure da una voce registrata in presa diretta che accompagna un’unità illu- strativa. La combinazione tra queste tre unità basilari definisce una sezione, che generalmente è determinata da una singola enunciazione a cui sono sincronizzate una o più unità illustrative e/o unità sonore. Cfr. Siegfried Kracauer, La propaganda e il cinema di guerra tedesco, 1942 in appendice a Siegfried Kracauer, Da Caligari a
pellicola di poco successiva, invece, di «3000 radio-telegrafisti dell’VIII Genio», che a Roma, prima di partire «per l’Africa orientale, rendono omaggio alla tomba del Milite Ignoto». Tal7 - volta a partire sono direttamente i reduci della Grande guerra, come sembra suggerire un’at- tualità incentrata sulla visita di Mussolini a Littoria, dove si parla «di 300 volontari in parten- za per l’Africa Orientale» tra i quali vi sono «molti ex combattenti» decorati con «medaglie d’argento». 8
In altre occasioni i fili che legano l’impresa d’Africa alla guerra mondiale si dipanano tra le attualità contenute in uno stesso cinegiornale: accanto ai servizi incentrati sulla partenza dei soldati per l’Eritrea e la Somalia se ne trovano spesso altri, simbolicamente densissimi, relati- vi al culto dei caduti e al mito dell’esperienza bellica. Sono perfettamente consapevole che tali corrispondenze potrebbero, in alcuni casi, essere frutto del caso, ma penso sia necessario prenderle in considerazione per almeno due ordini di ragioni. In primo luogo penso che il ci- negiornale vada considerato, ove possibile, nella sua totalità, visto che esso è concepito per essere fruito integralmente e non nelle singole unità che lo costituiscono. In secondo luogo, se si lancia uno sguardo d’insieme sull’intera produzione del periodo bellico è difficile non scor- gere un disegno, una certa regolarità che — possiamo ipotizzare — è rivolta alla creazione del consenso attorno all’impresa etiopica, attraverso meccanismi di drammatizzazione che vanno a toccare corde profonde nell’animo di quegli spettatori che magari avevano partecipato diret- tamente alla guerra, oppure avevano avuto un parente stretto, un congiunto o un conoscente deceduto o mutilato. 9
Ad esempio, nel Giornale n. 640 del marzo 1935, accanto a un servizio sulla partenza di mille avieri per l’Eritrea, se ne inserisce un altro che illustra una mostra organizzata al Quiri- nale che accoglie «le opere […] eseguite a celebrazione della grandi gesta della guerra e della Vittoria» e «destinate a costituire il primo nucleo della erigenda galleria celebrativa dell’eroi- smo del soldato italiano». Sincronizzata all’enunciazione del commentatore, scorre un’unità 10
Come a ribadire il carattere fascista della guerra, dobbiamo notare che nelle attualità si parla perlopiù della par
7 -
tenza dei reparti della MVSN, relegando le truppe regolari, che pure, come abbiamo visto, rappresentavano la gran parte del contingente mobilitato, ai margini della narrazione. Cfr. ACL, B0681, 22/5/1935, «8000 camicie nere in partenza per l’Africa»; B0713, 1935, «La Divisione XXVIII Ottobre in partenza per l’Africa Orientale»; B0750 18/9/1935 «3000 radio-telegrafisti dell'VIII Genio in partenza per l'Africa orientale rendono omaggio alla tomba del Milite Ignoto».
Cfr. ACL, B0704, 3/7/1935, «Giornata fitta d’impegni del Duce».
8
Da segnalare che i servizi incentrati sulla celebrazione del martirio eroico dei fanti italiani sui campi di batta
9 -
glia del Grande guerra, inseriti di frequente nel Giornale Luce dal febbraio 1935, sembrano scomparire totalmen- te con l’avvio delle ostilità nell’ottobre dello stesso anno.
Cfr. ACL, B0640, 13/03/1935, «La galleria celebrativa dell’eroismo del soldato italiano»; Ibidem, «I mille
10
illustrativa composta da varie inquadrature che riprendono i busti di grandi generali (tra cui, probabilmente, Diaz e Cadorna), quadri raffiguranti la battaglia del Piave, la beffa di Buccari e il trasporto del Milite Ignoto sulle scale del Vittoriano. In altri casi sono le immagini delle «liturgie della memoria» a giustapporsi a quelle dei soldati in partenza, come nel caso delle attualità incentrate sulle cerimonie di inaugurazione di cimiteri, sacrari, cappelle votive e mo- numenti agli «eroi noti ed oscuri caduti nella Grande guerra» e ai martiri della rivoluzione fa- scista. Anche in questo caso gli schemi narrativi risultano fortemente standardizzati: le ceri- monie, ambientate in località dall’alto contenuto simbolico bagnate dal sangue sacrificale «dei figli della Patria», avvengono sempre in «una atmosfera di ardente entusiasmo e di vibrante fede» tra le «acclamazioni di un’imponente massa di popolo» e la presenza «di tutte le autori- tà e le gerarchie», comprese personalità di spicco del mondo del combattentismo. 11
Reperti testuali come quelli che abbiamo appena passato in rassegna, definiscono un preci- so immaginario nazional-patriottico in cui la separazione tra i vivi e i defunti sembra venir meno: l’esempio di coloro che hanno sacrificato la propria vita per la grandezza della Patria, non solo è meritevole di rispetto, ma deve divenire un monito per i viventi, un viatico per la loro educazione, un modello da emulare. In netta continuità con l’originaria matrice discorsi- va elaborata durante il Risorgimento e sviluppatasi nella successiva età liberale, il discorso nazional-patriottico di epoca fascista concepisce la nazione come una «comunità sacrificale» in cui chiunque, a prescindere dal ruolo di genere e dal rango sociale che ricopre, deve essere disposto al sacrificio di sé stesso, dei propri familiari e della propria cerchia affettiva, per un fine superiore che trascende il singolo individuo: la gloria, l’onore e la grandezza della nazio- ne. 12
A questo proposito dobbiamo notare come durante il conflitto vengano inserite nei cine- giornali alcune attualità che riguardano le celebrazioni di quegli italiani che «descrissero col sangue, sulle zolle africane, il poema dell’italica civiltà» durante le campagne del 1887 e del 1895-96. Gli eroi di Dogali e di Adua, dopo esser rimasti per un lungo tempo ai margini del 13
Cfr. ad esempio B0733, 21/8/1935, «La consacrazione della Campana Votiva dedicata ai caduti della Grande
11
Guerra»; «Sfilata della Divisione XXVIII Ottobre alla presenza del Duce»; B0694, 12/6/1935, «Reparti dell’e- sercito e di battaglioni di camicie nere sfilano davanti al duce in Sardegna»; «Inaugurazione del monumento di Nazario Sauro»; B0738, 28/8/1935, «I volontari in partenza per l’Africa Orientale»; «La partenza dei volontari per l’Africa Orientale»; «Inaugurazione di una Cappella Votiva»; B0755, 25/9/1935,«Consacrazione del nuovo cimitero del littorio in commemorazione dei caduti nella Grande Guerra».
Cfr. Alberto Mario Banti, Sublime madre nostra, cit., passim.
12
Cfr. ad esempio B0850, 18/3/1936, «Il cardinale Schuster, alla presenza del Conte di Torino, ha commemorato
13
nel Duomo di Milano i caduti delle guerre d’Africa»; B0862, 8/04/1936, «L’anniversario della battaglia di Adua, celebrato ad Asmara con un funzione religiosa alla presenza del Governatore Militare e delle truppe».
martirologio della nazione a causa dei meccanismi di rimozione della bruciante sconfitta pati- ta nei confronti degli abissini operanti a livello di memoria pubblica, vengono ora calati nella narrazione del «dramma africano». Come si evince, ad esempio, dal Giornale Luce n. 842, in cui viene illustrata la cerimonia «dedicata alla memoria gloriosa dei morti di Adua nel 40° anniversario» della battaglia, alla presenza del Re, del duce, dei reduci e «delle rappresentan- ze di tutte le forze del regime», i caduti incarnano un duplice ruolo: da un lato, essi sono eroi sacrificali morti per la grandezza dell’Italia, che assolvono il ruolo di numi tutelari per le truppe combattenti, ma dall’altro sono vittime della barbarie abissina che chiedono di essere vendicate. In questo senso, l’incipit del documentario di guerra Da Adua ad Axum, distribui14 - to nei cinema italiani nel primo semestre del 1936, risulta abbastanza eloquente: «finalmente i morti di Adua possono riposare in pace nel suolo italiano riconsacrato dall’ardente giovinezza della nuova Italia». Il ricordo dei martiri d’Africa sancisce quindi, simbolicamente, la giu15 - stezza dell’intervento italiano in Etiopia, contribuendo, attraverso il tropo della vendetta, a motivare il sostegno popolare all’azione politica del regime.
Spesso nei film Luce le cerimonie di congedo organizzate per i reparti della MVSN in par- tenza per l’Africa, risultano disseminate di simbologie che richiamano lo squadrismo e il culto dei caduti della rivoluzione fascista. Proclamandosi interprete legittimo ed esclusivo della comunità nazionale, il fascismo aveva infatti posto sullo stesso piano i propri eroi e quelli del-