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Agenti situati e “Symbol grounding problem”

della conoscenza.

4.4 Agenti situati e “Symbol grounding problem”

Nei modelli fin qui illustrati il problema della formazione dei concetti è stato affrontato cercando di individuare gli aspetti comuni o simili di oggetti o eventi del mondo, astraendoli e codificandoli in modo da utilizzarli in seguito per poter classificare altre istanze di oggetti o eventi simili ai primi. L’assunzione che i concetti siano definiti sulla base di features non permette di considerare alcuni aspetti che potrebbero essere fondamentali per l’elaborazione cognitiva, quali, ad esempio, le modalità con cui le features primitive sono state acquisite, vale a dire, si sono formate. Per far fronte a queste critiche si è sviluppata di recente una linea di ricerca che centra la propria attenzione soprattutto sul modo in cui i dati sensoriali vengono codificati internamente, anche grazie all’interazione dell’agente con il mondo in cui è inserito. Da questo punto di vista, diventano fondamentali lo studio dei processi di interazione con il mondo e la considerazione esplicita delle primitive sensoriali e motorie di cui l’agente è fornito. A differenza dei modelli classici basati su un approccio di tipo “realistico”, questi nuovi modelli affrontano il problema della concept formation a partire dalla constatazione che le regolarità percepite fra oggetti o situazioni simili

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potrebbero essere il risultato di processi percettivi e cognitivi volti proprio a massimizzare la differenza fra i confini percepiti e a minimizzare quella al loro interno. Questi processi porterebbero, quindi, alla formazione di rappresentazioni interne che possono assomigliare poco a quello che il mondo è realmente.

Nell’ambito di questi nuovi modelli, la formazione di concetti viene dunque a delinearsi come un fenomeno emergente in cui la semantica degli elementi è assegnata in seguito all’interazione fra un agente e il

suo ambiente.120 Resta quindi valida l’ipotesi che esista una

corrispondenza fra oggetti del mondo e una loro codifica interna, ma si vuole approfondire come viene assegnato il significato alle codifiche interne in modo da poter dire che queste rappresentano aspetti del

mondo (symbol grounding problem).121 Ciò permetterebbe di

giustificare e modellizzare la flessibilità che si fa nell’uso dei concetti, flessibilità derivata dall’influenza del contesto sulla loro semantica.

Nell’ambito di questo nuovo approccio al problema della concept

formation, sono stati, quindi, assunti dei principi di base. Innanzitutto è

stato assunto che il mondo non contiene informazioni ma dati, che è l’agente stesso a trasformare in informazioni. L’informazione viene, in

120 Cfr.: PATEL, M.L. & SCHNEPF, U., “Concept Formation as Emergent Phenomena”, in European Conference on Artificial Life, Cambridge, MIT Press, 1992.

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questo modo, a costituire il risultato di un processo di interazione con il mondo e, quindi, è relativa e soggettiva. L’informazione è tale solo se permette all’agente di svolgere più efficacemente le attività, volte al raggiungimento di qualche obiettivo, in cui esso è, o è stato coinvolto. Le modalità di estrazione dei dati hanno poi un impatto profondo su tutti i processi cognitivi, anche di alto livello, che non possono prescindere dal modo in cui le informazioni stesse sono state formate. Il processo di apprendimento è, pertanto, continuo, l’agente è in costante interazione con il mondo e aggiorna continuamente le proprie rappresentazioni interne degli aspetti del suo ambiente rilevanti rispetto al contesto e agli obiettivi correnti.

Una prima nozione di agente situato, ossia di sistema in grado di adattarsi con successo all’ambiente, esibendo comportamenti essenzialmente reattivi ed evitando l’uso di rappresentazioni simboliche e di complessi processi di inferenza, si ha in un articolo di Rodney Brooks.122 Condizione necessaria di tale successo adattivo è costituito

secondo Brooks dalla fitta e continua rete di interazioni tra l’agente ed il proprio ambiente, interazioni che consentono allo stesso agente di evitare la costruzione di modelli del mondo in un formato simbolico/rappresentazionale per “affidarsi”, per così dire, alle risorse

122 Cfr.: BROOKS, R.A., “Intelligence without representation”, in Artificial Intelligence,

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sensoriali offerte dall’ambiente stesso. Tali risorse, nel caso dei sistemi progettati da Brooks si configurano come un insieme di stimoli sensoriali locali in grado di attivare risposte comportamentali predefinite. Il punto di partenza di Brooks è la critica rivolta alle architetture cognitive tradizionali, in quanto gravate di un carico computazionale eccessivo. Tale carico è costituito dalle rappresentazioni e dai processi di inferenza, che impedirebbero la produzione di risposte adattivamente efficaci ed in tempo reale alle situazioni problematiche che vengono a presentarsi nell’ambiente esterno, fornendo così un modello alquanto implausibile delle attività cognitive di base di un sistema. Queste attività, diversamente da quanto prospettato dalle ricerche dell’IA classica, non sarebbero rappresentate dai processi di ragionamento logico e di pianificazione, ma dalla capacità da parte di un sistema di interagire strettamente con l’ambiente, proprio in vista della riduzione del carico computazionale individuale, selezionando “invarianti sensoriali” nell’ambiente stesso. La riduzione di tale carico, nei modelli di agente situato, è realizzata riducendo il percorso di calcolo complessivo che porta dalla sensazione al comportamento, eliminando i processi di codifica dell’informazione in rappresentazioni simboliche e di inferenza logica in favore di un più stretto legame tra percezione e azione. Gli agenti in questione sarebbero quindi guidati dall’ambiente stesso nella

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produzione dei comportamenti attraverso la rilevazione di stati parziali ed indicatori di configurazioni sensoriali in grado di attivare risposte adeguate. L’agente sarebbe situato nel proprio ambiente in quanto coinvolto in cicli continui di percezione – azione - nuova percezione che consentono un adattamento efficace ed allo stesso tempo consentono una rinnovata concezione dell’ambiente stesso inteso non più come semplice “deposito” di informazioni o come scenario passivo delle azioni degli agenti cognitivi, ma come fattore paritario all’interno del ciclo computazionale complessivo che porta alla produzione dei comportamenti.

Tra i modelli formali della cognizione elaborati negli ultimi decenni quello che più sembra essere di supporto per la definizione di questo tipo di processi di apprendimento è il modello connessionista. In effetti, come vedremo subito meglio nel prossimo capitolo, nelle reti neurali emergono dei pattern di attivazione dinamici, sulla base di un controllo distribuito sulle reti stesse. I processi di apprendimento sono, quindi, continui, in quanto collegati ai processi percettivi, ed auto- organizzantisi.

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CAPITOLO 5

Simulazione e cognizione: reti neurali ed automi