Fare del pensiero una potenza nomade non significa necessariamente muoversi, ma scuotere il modello dell’apparato statale, l’idolo o l’immagine che pesa sul pensiero […]. Dare al pensiero una velocità assoluta, una macchina da guerra, una geografia, e tutte quelle forme di divenire o di cammino che percorrono una steppa. Epicuro, Spinoza e Nietzsche come pensatori556.
In Conversazioni, Deleuze parla del suo lavoro su Spinoza come quello più ligio alle regole della storia della filosofia, pur riconoscendo in lui una portata assolutamente incontenibile rispetto a qualsiasi corrente di pensiero, strabordante persino in relazione al filone del cartesianismo, tradizione in cui spesso lo si collocava: «egli eccede da ogni parte, non c’è un altro morto vivente che sollevi con tanta forza la propria tomba e dica tanto chiaramente: io non sono dei vostri»557.
Un filosofo difficile da comprendere, forse mai compreso fino in fondo, e che ha ispirato uno dei primi, ma anche più importanti lavori di Deleuze che, giovanissimo, nel 1968 pubblicava la sua seconda tesi di dottorato dal titolo Spinoza et le problème de
l’expression558, sotto la guida e la cura di Alquié, poco prima che si consumasse la
rottura definitiva del loro rapporto,
Ma perché Deleuze sceglie Spinoza? Siamo alla fine degli anni ´50 e in Francia ci si comincia ad interrogare politicamente sulle condizioni di un processo di liberazione collettivo che, «al campione liberale della laicità dello Stato fino a quel momento dipinto dalla critica», preferisce la forza di una rivoluzione possibile, «la genealogia di una diversa modernità, il dischiudersi di un presente virtuale che può essere riattualizzato»559.
La risposta di Spinoza, usando le parole del nostro autore, arriva “nel mezzo” della sua filosofia. In più luoghi Deleuze sottolineerà l’importanza di leggere Spinoza «non a partire del suo principio primario, (sostanza unica per tutti gli attributi)», ma dalle congiunzioni alla base della sua filosofia, vere concatenazioni in divenire di un puro
556 G. Deleuze G., C. Parnet, G. Comolli (trad. italiana dal francese), Conversazioni, cit., p. 39. 557 Ivi, p. 20.
558 G. Deleuze, Spinoza et le problème de l'expression, Les Éditions de Minuit, Parigi 1968, trad. italiana a cura di S. Ansaldi, Spinoza e il problema dell’espressione, Quodlibet, Macerata 1999.
559 Cfr. E. Barettoni, Lo Spinoza di Deleuze. Nous au milieu de Spinoza, Esercizi Filosofici 12, 2017, pp. 40-57, cit. p. 40.
piano di immanenza560. Tale piano, e qui ci avviciniamo all’interesse propriamente
deleuziano, Spinoza non lo consegna come se fosse un baluardo di precetti utili a confermare la natura razionale di un essere umano nato libero: al contrario, l’Etica, intesa come la scienza di tali rapporti, è essa stessa un metodo di conquista della libertà e, nella lettura di Deleuze, di adempimento delle condizioni richieste dall’espressione, ovvero di uscita dal «comune ordine della natura», in cui nulla è esplicato, e accedere a quello in cui l’individuo conquista le sue determinazioni espressive ed esercita la sua potenza di espressione senza mediazioni, la sua libertà561.
Dall’Etica emergerebbe un nuovo individuo che, come un complesso di anima e corpo, dotato di un’infinità di parti che «gli appartengono sotto un certo rapporto più o meno complesso»562, è in fieri perché graduale è la sua acquisizione del «possesso di organi e funzioni corrispondenti agli effetti di cui è capace»563; perché egli conquista la sua liberazione in, e attraverso, una serie di incontri che lo «segnano affettivamente». Il frutto di tali intrecci, il complesso di parti che è l’individuo, a sua volta parteciperebbe della forma ancora più complessa della Natura, la quale è trama ma nello stesso tempo spazio reale di questi incontri. Così, «tutti gli individui si trovano nella Natura come su un piano di coesistenza di cui formano la figura intera, variabile in ogni momento. […] Ogni cosa è incontro nell’universo, bello o brutto incontro»564.
L’accento sulla coesistenza dei piani favorisce una certa interpretazione della filosofia non come storia, visione in cui prevarrebbe l’interesse per la successione dei sistemi, ma come divenire. Questo ci rimanda alla concezione espressa da Deleuze in Che cos’è la
filosofia?, quando afferma che «il tempo filosofico è un grandioso tempo di coesistenza
che non esclude il prima e il dopo ma li sovrappone in un ordine stratigrafico. È un divenire infinito della filosofia, che interseca ma non si confonde con la sua storia». Grazie al concetto di “coesistenza”, è possibile per Deleuze pensare, in alternativa alla linearità dell’evento storico, la sismicità dell’evento filosofico che permette di
560 G. Deleuze, C. Parnet, Conversazioni, cit., p. 70. Per altri luoghi si intende G. Deleuze, Spinoza et nous, trad. italiana in Spinoza. Filosofia pratica, pp. 151-162. Sul tema riportiamo V. Jaques, Spinoza par le milieu: notions communes et expérimentation, in P. Séverac, A. Sauvagnargues, (a cura di), Spinoza- Deleuze: lectures croisées, Ens Édition, Lyon 2016, pp. 35-36; P. Macherey, Deleuze dans Spinoza, in Avec Spinoza. Études sur la doctrine et l’histoire du Spinozisme, Puf, Parigi 1992, pp. 237-44; lo studio già citato di E. Barettoni, ispirato da quest’ultimo.
561 Cfr. D. Cecchi, Deleuze lettore di Spinoza, in Segni e comprensione, XIX, 55, 2005 p. 59; per la citazione B. de Spinoza, S. Giametta (a cura di), Etica Dimostrata Secondo L'ordine Geometrico, Bollati Boringhieri, Torino 1992, vol. 2, p. 29 c.
562 G. Deleuze, C. Parnet, Conversazioni, cit., p. 70. 563 Ivi, p. 71.
concepire, al di sotto dell’apparente statica immagine del pensiero, figlia di una determinata epoca, il gioco dei piani che in essa possono separarsi o riunirsi, accomunati «dal fatto di restaurare trascendenza e illusione (non possono farne a meno), ma anche di combatterle con accanimento», attraverso «il proprio modo particolare di fare entrambe le cose»565.
Ciò che dunque si ripeterebbe, ma in modo sempre profondamente diverso, nella storia della filosofia, è questa dinamica complessa tra trascendenza e immanenza, un antagonismo che pare tuttavia giocare a sfavore della seconda, la cui affermazione assoluta è sempre macchiata da qualche “mimica trascendentale”.
Sembrerebbe infatti che l’istaurazione del piano di immanenza si leghi necessariamente al suo fallimento: «si direbbe che il piano di immanenza sia contemporaneamente ciò che deve essere pensato e ciò che non può essere pensato»566.
Il cuore di ogni pensiero, questo «non-pensato del pensiero», batterebbe fuori dal suo petto: è tensione verso il Fuori o, riprendendo Blanchot, a sua volta citato da Deleuze, «l’intimità come Fuori, l’esterno trasformatosi nell’intrusione che soffoca, nel capovolgimento dell’uno e dell’altro»567.
Deleuze definisce questo rimandare costitutivo della filosofia a qualcosa che sfugge alle sue argomentazioni «il gesto supremo della filosofia», il quale poté diventare azione, modo di condurre il pensiero e non sua semplice direzione, solo con Spinoza:
ciò che non può essere pensato, e che tuttavia deve essere pensato, fu pensato una volta, come una volta si è incarnato il Cristo per mostrare la possibilità dell’impossibile. Spinoza è quindi il Cristo dei filosofi, e i maggiori filosofi non sono altro che degli apostoli che si allontano o si avvicinano a questo mistero568.
Lungi dal significare un privilegio, l’accostarsi a tale mistero, per Spinoza, deve essere possibile per ciascuno di noi. Non a caso Deleuze lo descrive come «il più puro dei filosofi» proprio per aver messo a disposizione dell’umanità «il grande libro del concetto»569 che è l’Etica, pensato e composto per assecondare l’ordine della mente, per
565 G. Deleuze, F. Guattari, C. Arcuri (trad. italiana dal francese), Che cos'è la filosofia?, cit., p. 48. 566 M. Blanchot, L’infinito intrattenimento, Einaudi, Torino 1981, p. 62.
567 Ibidem. Per l’impensato nel pensiero, cfr. M. Foucault, Les mots et les choses: une archéologie des sciences humaines, Gallimard, Parigi 1966; trad. italiana Le parole e le cose, Rizzoli, Milano 1967, pp. 347-53.
568 G. Deleuze, Che cos’è la filosofia?, cit., pp. 48-49.
raggiungere i non filosofi con rigore filosofico570, per creare, mediante le sue opere,
autentici momenti di incontro con il lettore e i concetti che le hanno precedute571.
In questo, e ce lo conferma anche Dosse, l’approccio di Deleuze all’autore è di rottura rispetto alla visione accademica ancora prevalente dei suoi tempi, la quale legge Spinoza come il «maestro di un sistema disincarnato, inaccessibile», un puro metafisico dalle quasi ovvie implicazioni ateistiche e amorali572, e che vede in questo atteggiamento silenziosamente sprezzante573 dell’autore nei confronti dei maggiori argomenti, come l’Essere, Dio e la coscienza, la portata nefasta del suo pensiero.
Deleuze invece ritrova in questa attitudine la portata smascheratrice della prospettiva spinoziana, fine strumento metodologico, utile a far vibrare «quella famosa cupa risonanza che parla dai visceri enfiati»574, il concetto vivo, ma sepolto negli idoli concettuali, e rivitalizzare il pensiero. Secondo il nostro autore infatti, Spinoza, è «innanzitutto, un filosofo della forza della vita e del trionfo della gioia sul dolore», dove per vita non si intende «un’idea o qualcosa di teoretico», ma «un modo di essere, lo stesso eterno modo in tutti i suoi aspetti”»575. Inoltre, come ci suggerisce Cecchi, «lo
Spinoza di Deleuze è apertamente materialista, immoralista e ateo: la coscienza è l’illusione di una causa finale delle determinazioni materiali; l’essere sta al di là del bene e del male; Dio non trascende il mondo», fino a considerare che «la vera eredità
570 Ci sembrava opportuno riportare le parole di Deleuze che in Spinoza e noi si esprime in questi termini: «vi è un curioso privilegio di Spinoza, qualcosa che sembra non sia riuscito che a lui. É un filosofo che dispone di un apparato concettuale straordinario, estremamente spinto, sistematico ed erudito; e tuttavia egli è al massimo grado l'oggetto di un incontro immediato e imprevedibile, tale che anche un non filosofo, o perfino chi è privo di ogni cultura, può riceverne una illuminazione improvvisa, un «lampo»» (in G. Deleuze, M. Senaldi (tra. italiana a cura di), Spinoza. Filosofia pratica, Guerini, Milano 1991, p. 159).
571 «Ed è nel libro quinto, che non è affatto il più difficile, ma il più rapido, di una velocità infinita, che il filosofo e il non filosofo si ricongiungono, come un solo e medesimo essere. Straordinaria composizione del libro quinto, e del modo in cui vi ha luogo l'incontro del concetto e dell'affetto. E il modo in cui questo incontro è preparato, reso necessario dai movimenti celesti e sotterranei che, tutti e due insieme, compongono i libri precedenti», G. Deleuze, Spinoza. Filosofia pratica, cit., p. 160.
572 «Spinoza was decried to the point of making ‘Spinozism’ an insult if not an incendiary label because the atheological and amoral implications of his metaphysics (deformed and caricatured) were immediately obvious.” (Guillaume Libertini-Blanc, intervista con l’autore). Hegel considered Spinoza to be the author of a purely theoretical system; Kojève claimed that nothing could be done with Spinoza, whose philosophy was built on a moribund system that excluded freedom as much as it excluded subjectivity», F. Dosse, Gilles Deleuze and Félix Guattari, Intersecting Lives, cit., p. 144.
573 «È come se l’amore della verità trascinasse Spinoza a tacitare la propria prudenza, a smascherarsi, anche davanti a qualcuno che egli percepisce come ostile o malevolo, su un tema scottante», G. Deleuze, Spinoza. Filosofia pratica, cit., p. 44.
574 F. Nietzsche, G. Colli, M. Montinari (ed. italiana a cura di), Il caso Wagner, Crepuscolo degli idoli, L'anticristo - Ecce homo, Nietzsche contra Wagner, cit., citazione dal Crepuscolo degli idoli, p. 53. 575 Cfr. F. Dosse, Gilles Deleuze and Félix Guattari, Intersecting Lives, cit., p. 144, trad. italiana mia.
dello spinozismo è l’immoralismo nietzschiano, altra grande filosofia della selezione e della sperimentazione»576.
Il forte legame tra pensiero e vita, pensiero ed esistenza, suscita il raro interesse biografico di Deleuze: se nella produzione del filosofo tedesco prevale il suo faccia a faccia con la follia, quella di Spinoza appare profondamente segnata dal contrasto tra la fragilità, la precarietà del corpo, e il suo strenuo combattere a favore del pensiero libero. A tal proposito in Spinoza: philosophie pratique577, una raccolta di testi che Deleuze consacra all’autore dell’Etica, l’autore ci offre una descrizione del filosofo dagli evidenti accenti nicciani:
in tutto il suo modo di vivere come di pensare Spinoza eleva un’immagine di vita positiva, affermativa, contro i simulacri di cui gli uomini si accontentano. Non solo se ne contentano: ma l’uomo che ha in odio la vita, che se ne vergogna, l’uomo dell’autodistruzione che moltiplica i culti della morte, che fonda la sacra unione del tiranno con lo schiavo, il prete, il giudice e il guerriero, sono sempre impegnati a perseguitare la vita, a mutilarla, a farla morire a fuoco rapido o lento, a mascherarla o a soffocarla con leggi, proprietà, doveri, autorità: ecco ciò che Spinoza diagnostica nel mondo, questo tradimento dell’universo e dell’uomo578.
Questo incontro senza tempo tra questi due filosofi è l’ennesima dimostrazione dell’attitudine, già delineata in Deleuze, ad intrecciare con la sua forte interpretazione temi e personalità assolutamente distanti cronologicamente, nate in culture e fallimenti diversi tra loro, avvicinate da un desiderio di ribaltamento del pensiero comune che, nell’attualità di chi legge, diventa provocazione per rimettere in questione il suo presente e suscitare una nuova cesura. Di fatto, e ci rifacciamo nuovamente a Dosse, potremmo dire che lo stesso Deleuze utilizzi Spinoza contro il suo tempo, «come un’arma contro lo strutturalismo e la psicanalisi», in quanto «esalta le forze della vita contro la cultura della colpa e qualsiasi forma di pensiero che cominci con una mancanza o un’assenza»579.
Se un’affinità di intenti lo collega a Nietzsche, Spinoza è accostato anche a Hume, soprattutto in virtù del suo metodo. In Spinoza e il problema dell’espressione vediamo
576 D. Cecchi, Deleuze lettore di Spinoza, cit., p. 60. Cfr. G. Deleuze, Spinoza. Filosofia pratica, cit., pp. 27-29, 31-33, 36, 44.
577 G. Deleuze, Spinoza. Philosophie pratique, Minuit, Parigi 1981; trad. italiana di M. Senaldi, Spinoza. Filosofia pratica, Guerini, Milano 1991.
578 G. Deleuze, Spinoza. Filosofia pratica, cit., pp. 21-22.
come Deleuze legga nel modo dell’autore di trattare l’argomento della verità, oppure quello della libertà, l’espressione di un atteggiamento che definisce, appunto, empirista:
per Spinoza, la verità è come la libertà: non è data fin dall'inizio, ma è il risultato di una lunga attività, nel corso della quale si producono idee adeguate che sfuggono alla concatenazione della necessità esterna. Da questo punto di vista, l'ispirazione spinoziana è profondamente empirista580.
La prospettiva razionalista secondo cui il principale problema da porsi sarebbe quello di capire come Adamo, nato libero e razionale, abbia potuto perdere la sua libertà errando, adesso si rovescia: anziché la logica della caduta e della perdita, nell’ottica empirista, «quel che sorprende è il fatto che gli uomini possano talvolta conoscere il vero, talvolta intendersi fra di loro, e talvolta liberarsi da ciò che li imprigiona».
In questo scenario la posizione di Spinoza è definita “paradossale”:
uno dei paradossi di Spinoza, e non è il solo caso in cui lo vediamo all'opera, consiste nell'aver ripreso le forze concrete dell'empirismo per metterle al servizio di un nuovo razionalismo, fra i più rigorosi che siano mai stati concepiti. Spinoza si domanda: in che modo possiamo formare e produrre idee adeguate, pur avendo necessariamente così tante idee inadeguate, che ci distraggono dalla nostra potenza e ci separano da ciò che possiamo?581
In ballo non c’è la speculazione filosofica, ma la possibilità pratica dell’essere umano di ricollegarsi alla sua potenza per sottrarsi alle logiche dello stato, della società, e di qualsiasi altro ambito che ha «interesse a comunicarci degli affetti tristi», istituzioni che hanno bisogno di indebolirci con la tristezza «per fare di noi degli schiavi», amministrando «i nostri piccoli intimi terrori»582: «finché il pensiero è libero, dunque vitale, nulla è compromesso; quando cessa di esistere, tutte le altre oppressioni sono allora possibili, e già effettive, poco importa quale azione sia colpevole, l'intera vita è minacciata»583.
La comprensione razionale acquista così il suo carattere sovversivo584 legandosi al tema del potere affermativo di essere, della potenza di agire e, necessariamente, alla
580 G. Deleuze, Spinoza e il problema dell’espressione, cit., p. 117. 581 Ivi, pp. 117-18.
582 G. Deleuze, C. Parnet, Conversazioni, cit., p. 71. 583 G. Deleuze, Spinoza. Filosofia pratica, cit., p. 12.
584 «Certamente, il filosofo trova nello Stato democratico e negli ambienti liberali le condizioni più favorevoli. Ma in nessun caso confonde i suoi fini con quelli di uno Stato, né con gli scopi di un ambiente, poiché sollecita nel pensiero forze che si sottraggono all'obbedienza come alla colpa, e riveste
dimensione del corpo, compreso come mezzo e dominio della vita così com’è intesa da Spinoza, ovvero come «campo di effetti», «ambito in cui si delineano le relazioni e si producono gli incontri tra gli individui»585, dunque come il volto espressivo dell’esistenza.
Considerando che, in questo spazio di dialogo con Spinoza, si tenta di capire in che modo lo studio dell’autore abbia influenzato il metodo di Deleuze, ci sembrava opportuno cominciare proprio dal concetto di espressione che, come ci segnala Dosse, è presente nel filosofo francese in maniera del tutto originale, poiché fa di esso il punto risolutivo di una filosofia che vuole affermare, contemporaneamente, l’unicità della sostanza e la diversità dei suoi attributi, e che «indica la necessità, per la sostanza esistente, di produrre infinite cose»586.
Deleuze infatti parte da questo principio primario in Spinoza per dimostrare che esso non è primo nell’ordine dei concetti utili a leggere in profondità la sua filosofia: esiste, invece, un «concatenamento-Spinoza» che fa di essa un modello di «arte di un funzionamento, di un concatenamento»587, che si manifesterebbe a partire dalla nozione di espressione.
Se «espressione e produzione si riflettono l’una nell’altra», è perché, in Spinoza, «la sostanza soddisfa univocamente la condizione della concepibilità per sé sia la condizione dell’autocausazione»: la sostanza è ciò che conosciamo di lei, ed essa è nello stesso tempo il conoscibile, il conosciuto e, in forma di attributo, ciò che rende possibile questa nostra conoscenza. Come in natura, «pensiero e produzione sono omogenei e paralleli»588, fornendo le basi a quello che Cecchi chiama “espressionismo filosofico”, «possibile solo in quanto il pensiero sia un aspetto della natura, e in quanto l’ordine della natura sia l’oggetto immediato del pensiero»589, e dal momento che esso «unifica
le potenze di pensare e di agire, l’espressione e la produzione», senza alcun intermediario590.
La purezza che Deleuze attribuisce al razionalismo spinoziano deriva dal fatto che «se la sostanza deve essere integralmente conoscibile» è impossibile che essa consista
l'immagine di una vita al di là del bene e del male, rigorosa innocenza senza merito né colpevolezza», G. Deleuze, Spinoza. Filosofia pratica, cit., p. 12.
585 D. Cecchi, Deleuze lettore di Spinoza, cit., p. 47.
586 G. Deleuze, Spinoza e il problema dell’espressione, cit., p. 73. 587 G. Deleuze, C. Parnet, Conversazioni, cit., p. 73.
588 Cfr. D. Cecchi, Deleuze lettore di Spinoza, cit., p. 49.
589 Ivi, p. 49. L’autore fa riferimento a B. Spinoza, A. Droetto (a cura di), Epistolario, Einaudi, Torino 1951, XXXII, p. 170.
esclusivamente in un sostrato, poiché in questo modo «il concetto di espressione non la esaurirebbe»: «il principio dell’espressione impone al contrario la completa identità tra la ragione e l’essere: nessuna determinazione di una cosa può sfuggire alla ragione per cui essa è una cosa»591. Ciò spiega il motivo per cui Deleuze ritrova in Spinoza un’ontologia pura giacché, nell’espressione, la sostanza unica “si esprime” da se stessa a condizione che nello stesso tempo “sia espressa” nei differenti attributi che l’esprimono.
Tale capacità della sostanza di porsi come unica, differenziandosi, è concepibile solo stabilendo che il processo di differenziazione è interno ad essa, in ragione della sua essenza composita: ciò che distingue infatti la sua essenza dalle altre è il fatto di esser costituita da infinite nature, al contrario di quella delle cose finite per le quali sarà sufficiente che presentino almeno una di tali infinite nature, per essere.
Come afferma Guéroult in Spinoza, testo del ´68 definito da Deleuze come quello che «fonda lo studio veramente scientifico dello spinozismo»592,
la dimostrazione dell’Etica è più ricca nel suo seguito, poiché, contemporaneamente, essa libera il concetto da un sostrato occulto e indifferenziato di cose, e fonda positivamente, e in modo necessario, l’attributo come essenza costitutiva di ogni sostanza593.
Se ogni attributo inerisce ad un’unica sostanza, in qualità di sua espressione, e gli attributi, intesi nella loro totalità, costituiscono la natura unica della sostanza, la differenza reale tra loro non potrà che essere formale: gli attributi, alla stregua dei modi, in quanto loro affezioni, ovvero «ciò che è in altro» e «mediante i quali gli attributi di