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Che cosa può un pensiero? Gilles Deleuze incontra la storia della filosofia

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Academic year: 2021

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Dipartimento di Civiltà e Forme del Sapere

Corso di Laurea in Filosofia e Forme del Sapere

Tesi di Laurea

“Che cosa può un pensiero?”

Gilles Deleuze incontra la storia della filosofia

RELATORE

Prof. Giovanni Paoletti

CANDIDATA

Rosachiara Giannoccaro

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INDICE

INTRODUZIONE p. 3

CAPITOLO PRIMO

L’apprendistato di Deleuze: tra avant-garde e tradizione

1.1 Dalle origini borghesi all’incontro con Sartre p. 5

1.2 Le ragioni della filosofia: il modello di Alquié e Guéroult p. 27 1.3 Per una filosofia della differenza: l’insegnamento di Jean

Hyppolite

p. 57

CAPITOLO SECONDO

Deleuze storico della filosofia: il progetto filosofico attraverso l’incontro con gli autori

2.1 Ri-conoscere il reale: l’empirismo di Hume e l’intuizione di Bergson

p. 77 2.2 La filosofia come critica totale per un’affermazione gioiosa:

Nietzsche

p. 107 2.3 Agire la filosofia: il progetto etico-politico di Deleuze au

milieu di Spinoza p. 129 CONCLUSIONI p. 148 BIBLIOGRAFIA p. 150

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Introduzione

Sul solco di una frase utilizzata da Deleuze riferendosi a Spinoza, in questo elaborato, “scoprirsi deleuziani”1 ha significato per noi tentare di comprendere l’autore

ricostruendone il metodo. Per questo è stato necessario mettersi in ascolto dei suoi testi al fine di delinearne le possibili fonti e le direzioni, e avvalerci degli strumenti privilegiati dallo stesso autore, quelli della storia della filosofia.

Tale lavoro infatti si è prefisso l’obiettivo di riconoscere a Deleuze un ruolo importante non solo in quanto filosofo sperimentatore, produttore di concetti assolutamente nuovi, ma come studioso scrupoloso e accurato storico della filosofia. A testimoniare la sua vicinanza a questo particolare tipo di indagine ci sono le sue monografie, luogo di comparazione e critica, le numerose recensioni alle opere più importanti del suo tempo e il suo costante ritorno alla tradizione, dagli stoici ai suoi contemporanei, presente in ogni suo contributo.

Non nascondiamo che il percorso è stato insidioso: il dialogo aperto che Deleuze istaura con gli autori che tratta, commenta o interpreta, attività che nel suo caso non sono certo da intendersi come distinte, spesso ci ha messi di fronte alla difficoltà di distinguere la voce del filosofo francese da quella dei suoi interlocutori, fino a non riuscire a stabilire il confine tra una citazione, un suo commento e una vera e propria interpretazione. Tuttavia è possibile distinguere almeno due atteggiamenti del nostro autore nei suoi testi: se in alcuni casi sembra che Deleuze scelga quasi di farsi da parte per far emergere in maniera nitida la filosofia della sua controparte, in altri pare rendere visibile la sua presenza attraverso una chiara selezione degli argomenti di quest’ultima. Da qui la sensazione che Hume, Bergson, Nietzsche e Spinoza siano chiamati, di volta in volta, ad articolare un problema posto dal nostro autore in anticipo rispetto all’incontro con loro, e destinato a fungere da guida sotterranea alla sua sperimentazione concettuale.

Il ruolo del problema all’interno della produzione deleuziana, inteso come postura filosofica, sarà uno dei temi principali del nostro elaborato all’interno del quale verrà analizzato sia in qualità di lascito gueroultiano, sia come aspetto peculiare in ogni monografia di Deleuze, e di cui la lettura definita “nel mezzo” di Spinoza è l’esempio più evidente, in quanto il nostro autore sceglie di illuminare l’intera produzione dal filosofo ebreo attraverso un concetto da lui mai elaborato, quello di espressione.

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Questo doppio punto di vista sui temi, quello della discendenza intellettuale e quello della sua messa in atto, funge da asse per lo sviluppo del nostro elaborato, il quale prevede una prima parte di analisi dei rapporti che Deleuze intrattenne con i suoi maestri e del modo in cui la loro vicinanza, ricercata anche fuori dalle istituzioni come nel caso di Sartre, abbia plasmato gli strumenti del suo lavoro filosofico; e una seconda di approfondimento degli studi condotti da Deleuze su alcuni filosofi da noi selezionati, nella speranza di offrire un’occasione per osservare più da vicino il nostro autore nel ruolo dello storico della filosofia.

Più nello specifico, nel primo capitolo, intitolato L’apprendistato di Deleuze: tra

avant-garde e tradizione, si cercherà appunto di indagare più a fondo i legami che hanno dato

l’imprinting alla filosofia del nostro autore, da Sartre, il maestro che Deleuze ha ricercato per uscire dalla “trappola” della storia della filosofia, a coloro che l’hanno accompagnato, al contrario, proprio nel suo percorso all’interno di essa, contribuendo in modo significativo alla costruzione del suo pensiero. Dunque ci si imbatterà, in ordine di trattazione, in Alquié, Guéroult e infine Hyppolite, anello tra questa sezione e la seconda, intitolata Deleuze, storico della filosofia: il progetto filosofico attraverso

l’incontro con gli autori.

Questo secondo capitolo presenta un andamento diverso dal primo in quanto mira a fornire un quadro dinamico della filosofia dell’autore attraverso quei testi che sembrano metterlo in dialogo diretto con Hume, Bergson, Nietzsche e Spinoza, ciascuno dei quali ha contrbuito a suo modo, attraverso temi e metodologie, ad alimentare la macchina deleuziana, un pensiero che si è dimostrato bisognoso di arricchirsi costantemente del suo passato per dare nuovo respiro alla filosofia, intesa non come puro esercizio intellettuale, ma come esperienza di totale risignificazione del reale a favore della vita.

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1.1 Dalle origini borghesi all’incontro con Sartre

Sono gli anni ’20 del 900 e l’Europa vive lo stravolgimento prodotto dal conflitto mondiale: sia vincitori che vinti devono rispondere alla grande instabilità politica causata dal crollo delle potenze secolari e i nuovi tumulti popolari. Pur essendo uscita vincitrice dal conflitto, la Francia deve contare sui prestiti degli alleati e la “riparazione” ai danni di guerra imposta alla Germania per ricostruirsi.

La delicata situazione economica si traduce in una grave incertezza politica e in un susseguirsi di diversi governi di entrambi gli schieramenti, incapaci di ottenere una maggioranza tale da riuscire a governare con stabilità. Ad una situazione già precaria si aggiungono gli effetti della grande depressione e le misure per evitare la crisi occupazionale adottate dai governi di centro-destra che gravano soprattutto sui ceti medi.

Mentre l’opinione pubblica francese comincia a guardare di nuovo a sinistra, dopo il fallimento del governo di Édouard Herriot, la vittoria di Adolf Hitler in Germania dà un nuovo e pericoloso slancio alla destra2, che si concretizza nella fondazione di piccole leghe para-militari dagli echi nazisti e fascisti, tra cui la Croix de Feu, un’associazione di ex combattenti della prima guerra mondiale diventata un’unione di estrema destra nel 1933.

Luis Deleuze, ingegnere e proprietario di una piccola compagnia che si occupa di lavori edilizi, costretta a chiudere negli anni trenta a causa della crisi, è un acceso simpatizzante di questo movimento, tant’è che saluta con disprezzo e preoccupazione le conquiste del Fronte Popolare di Léon Blum3 che, nel 1936, vince le elezioni unendo socialisti e comunisti.

Di tutt’altro spirito è suo figlio, un appena undicenne Gilles Deleuze per il quale, come affermerà lui stesso molti anni dopo, l’evento è grandioso4, a dimostrazione di un precoce e vivo interesse per la realtà in fermento intorno a lui e di una certa consapevolezza politica che mal si concilia con il conservatorismo della sua famiglia. Una differenza di vedute che farà da sfondo alla maggior parte dei suoi ricordi familiari.

2 T. Detti, G. Gozzini (a cura di), Storia Contemporanea, Il novecento, Mondadori, 2002, pp. 81-83. 3 «The Popular Front’s victory in the 1936 elections distressed Louis Deleuze, who was a right-wing sympathizer of the Croix-de-Feu: he and his friends all hated the Jewish president, Léon Blum» F. Dosse, Gilles Deleuze and Félix Guattari, Intersecting Lives, Columbia University Press, 2011, p. 89.

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Gilles Louis René Deleuze nasce il 18 gennaio 1925 a Parigi. Lì trascorre un’infanzia che matura nel conflitto familiare, profondamente segnata da eventi tragici, come la morte del fratello Georges sui “treni della morte”5 nazisti diretti ad Auschwitz, arrestato per aver aderito alla Resistenza, e da una grande distanza affettiva.

Deleuze stesso confida all’amico Michel Tournier di essersi allontanato presto dalla sua famiglia proprio a causa dell’atteggiamento svilente adottato dei genitori nei suoi confronti, che finì per causargli anche un certo complesso di inferiorità rispetto allo stesso George6.

Ma è all’indomani della fine della Guerra che i rapporti si scuciono definitivamente: Gilles Deleuze ha quindici anni quando

i suoi genitori decisero di lasciarlo in un collegio in Bretagna, dove viveva in un albergo che era stato trasformato in una scuola. La separazione fu la prima decisiva personale rottura per Deleuze che fino a quel momento descriveva se stesso come uno studente mediocre e che aveva preso a collezionare francobolli per uscire dalla noia7.

È Pierre Halbwachs, un giovane insegnante di letteratura, a rompere questo stato di insoddisfazione e inerzia avvicinando Deleuze alla letteratura francese. Questi studi, però, saranno sospesi a causa dell’incursione nazista a Parigi e riprenderanno solo a seguito dell’armistizio del 1940 quando Deleuze potrà iscriversi al liceo Carnot.

Il ’43 è un anno importante per l’autore, la cui vita e pensiero sembrano inseparabili fin dal principio. In primo luogo è l’anno del folgorante incontro con il concetto8, nella

classe di filosofia di Pierre Vial, in cui all’autore si fa chiaro quale sarebbe stato il suo destino9: come dimostrano le parole del suo caro amico Tournier, conosciuto in questi anni di scoperta, Deleuze non perde occasione per dibattere di filosofia

noi sparavamo parole come palle di cotone o di gomma, e lui le rilanciava indietro, incurante e forte, come palle di cannone di acciaio e di piombo. Siamo rimasti

5 G. Bianco, Introduzione, in G. Bianco, F. Treppiedi (a cura di), Da Cristo alla borghesia e altri scritti, saggi, recensioni, lezioni 1945-1957, Mimesis, Milano-Udine 2010, nota n. 21, p. 13.

6 «he was the second child, the mediocre son, while Georges was the hero», F. Dosse, Gilles Deleuze and Félix Guattari, Intersecting Lives, cit., p. 88.

7 Ivi, pp. 90-91, traduzione mia.

8 «When I learned that there were such things as concepts, the effect on me was something like the effect of fictional characters on others. They seemed just as alive and lively», ivi, p. 90.

9 «From the very first philosophy classes, I knew that that was what I’d do.» F. Fourquet, letter to Gérard Laborde (August 19, 1969), related by F. Fourquet, in F. Dosse, Gilles Deleuze and Félix Guattari, Intersecting Lives, cit., p. 90.

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subito impressionati dal suo regalo di mettere in evidenza la stupidità, e la debolezza del nostro pensiero attraverso una singola parola10.

Deleuze è intraprendente, impetuoso e manifesta un atteggiamento ambiguo nei confronti delle istituzioni. Il suo temperamento attira l’attenzione di Marie- Magdeleine Davy, una donna eclettica, fautrice di una serie di incontri culturali nella sua tenuta, nei pressi di Parigi, che gli permettono di imbattersi e discutere con «buona parte dell’intellighenzia ancora presente nella Parigi occupata dai nazisti»11, come Gaston

Bachelard, Jean Wahl, Jean Hyppolite, professore di Deleuze nell’hypokhâgne del liceo Henri IV durante l’anno accademico 1943-1944, e molti altri. A questi si aggiungono gli appuntamenti mensili nell’appartamento di Marcel Moré, luogo di discussione filosofica frequentato dallo stesso Jean-Paul Sartre, da Alexandre Kojève, Georges Bataille, Pierre Klossowski. Si tratta di luoghi di forte concentrazione culturale, ma che costituiscono altresì una copertura per le attività partigiane in corso durante l’Occupazione.

Deleuze, a differenza di molti suoi coetanei, deciderà però di non unirsi alla Resistenza: si iscrive alla facoltà di Filosofia della Sorbona e trascorre l’inverno nell’intensa lettura di un testo che diventerà fondamentale nella sua prima formazione.

Infatti il ’43 è anche l’anno della pubblicazione de L’essere e il nulla12, opera che giunge poco prima della Liberazione e “come una liberazione” per Deleuze giacché

alla Liberazione si rimase singolarmente impigliati nella storia della filosofia. Si entrava semplicemente in Hegel, Husserl e Heidegger, eravamo precipitati in una scolastica peggiore di quella medievale13.

Rispetto ai suoi maestri14 più che fornire un metodo, un modello, Sartre rappresenta l’“al di fuori”:

fra tutte le probabilità della Sorbona, era lui la combinazione unica che ci dava la forza di sopportare il nuovo ordinamento […] una corrente d’aria anche quando arrivava dal Cafè Flore, un intellettuale che mutava singolarmente la situazione dell’intellettuale. È inutile chiedersi se Sartre segna l’inizio o la fine di qualcosa.

10 Traduzione dell’intervento riportato da Dosse, da M. Tournier, Le vent Paraclet, Gallimard, Parigi 1977, p. 155.

11 G. Bianco, F. Treppiedi, op. cit., p. 13.

12 J. -P. Sartre, L’être et le néant. Essai d’ontologie phénoménologique, Gallimard, Parigi 1943, trad. italiana J. -P. Sartre, G. Del Bo (a cura di), L’essere e il nulla. Saggio di ontologia fenomenologica, Il Saggiatore, Milano 1965.

13 G. Deleuze, C. Parnet, G. Comolli (trad. italiana dal francese), Conversazioni, Feltrinelli, Milano 1980, p. 17.

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Come tutte le cose e le persone creative, si trova nel mezzo, preme attraverso il mezzo15.

E lo fa attraverso un’opera filosofica che in virtù del suo successo, anche accademico, presto si affianca alla Fenomenologia dello Spirito di Hegel e alla Fenomenologia della

percezione di Merleau-Ponty, ma che soprattutto si rivela un’occasione, per la

generazione «che aveva vent’anni alla Liberazione»16, «di aspettare con una qualche

speranza dei momenti a venire, delle riprese, quando il pensiero si riformerà e costituirà le sue totalità, in quanto potenza al contempo collettiva e privata»17.

In questa citazione, tratta da Conversazioni, non solo si evince la straordinaria importanza del “fenomeno Sartre”, la sua incidenza a livello filosofico in quegli anni, i motivi per i quali venne definito “maestro” da Deleuze, ma anche quale sia l’aspettativa nutrita, dallo stesso autore, nei confronti del pensiero e della libertà che deve caratterizzarlo affinché esaurisca il suo compito: esso deve poter rompere le catene del già dato, le rigidità istituzionali per generare nuove direzioni, un senso che non possa prescindere dalle necessità, dagli entusiasmi e le difficoltà del suo tempo.

La filosofia sartriana da un lato si inserisce nel dibattito politico ad essa contemporaneo, contestando «il mondo borghese così com’è messo in questione dal comunismo», nonostante intrattenga rapporti altalenanti con lo stesso, dall’altro però si pone come obiettivo principale quello di restituire all’essere umano quella totalità attraversata dalla politica, dalla sessualità, dalla volontà e dall’inconscio18, negatagli da tutta una tradizione filosofica moderna, tesa a privilegiare l’aspetto riflessivo dell’Io, separato dal mondo.

La forza di questo progetto filosofico consiste proprio nel suo sguardo pervasivo che fa di Sartre un punto di riferimento su più fronti: come scrive Hyppolite, teorizzando una possibile partizione dell’esistenzialismo in base alla sua incidenza teorica, dalla sua comparsa fino alla seconda metà degli anni ’5019, egli non solo domina un’intera

15 G. Deleuze, C. Parnet, Conversazioni, cit., p. 17.

16 G. Deleuze, S. Paolini S. (a cura di), Lo Strutturalismo, SE Piccola enciclopedia, Milano 2004, p. 32. 17 G. Deleuze,C. Parnet, Conversazioni, cit., p. 19.

18 «Tuttavia, ciò che manca oggi, ciò che Sartre seppe riunire e incarnare per la generazione precedente, sono le condizioni di una totalizzazione: quella in cui la politica, l’immaginario, la sessualità, l’inconscio, la volontà si riuniscono dei diritti della totalità umana. Noi oggi sussistiamo con le membra sparse» da G. Deleuze, L’isola deserta e altri scritti. Testi e interviste 1953-1974, Einaudi, Torino 2007, p. 97.

19 J. Hyppolite, A Chronology of French Existentialism, in Yale French Studies, No. 16, Foray Through Existentialism (1955), Yale University Press, pp. 100-102.

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generazione filosofica che si forma in accordo o in contrasto con lui20, ma si afferma

anche come moralista e artista che è riuscito ad attualizzare il suo pensiero nella creatività delle sue opere.

Ne L’età forte, Simone de Beauvoir racconta che

Sartre viveva per scrivere; la sua missione era di dar testimonianza di tutte le cose e d rielaborarle alla luce delle necessità […] Nulla, dunque, ci limitava, nulla ci definiva, nulla ci assoggettava; eravamo noi stessi a creare i nostri legami con il mondo; la libertà era la nostra sostanza stessa […] Commedie, parole, apologhi, le nostre invenzioni avevano una funzione precisa: ci difendevamo da quello spirito di serietà cui ci rifiutavamo con lo stesso vigore di Nietzsche, e per ragioni analoghe21.

Il secondo apporto fondamentale della filosofia sartriana è infatti questa traccia di libertà permanente nella sua vita come nelle sue opere, una traccia da condividere soprattutto con i suoi lettori. A questo proposito sembra opportuno citare un’opera, ossia Che cos’è la letteratura?22, che pur essendo più tarda rispetto alla pubblicazione de L’essere e il nulla, potrebbe fornire qualche elemento utile alla comprensione del tipo di libertà a cui Sartre cercava di dare espressione e cosa essa poteva promettere. Come si legge nel testo, la letteratura non poteva limitarsi a garantire all’autore la libertà di poter «dire tutto»: il suo compito infatti non si sarebbe esaurito finché fosse rimasta sciolta dalla libertà del suo pubblico di poter

cambiare tutto, il che significa […] abolizione di qualsiasi dittatura, il continuo rinnovamento dei quadri, il rovesciamento senza soste dell’ordine, appena questo accenna a volersi fissare. La letteratura è, per essenza, la soggettività di una società in rivoluzione permanente23.

Il motivo forse potrebbe ricercarsi già all’interno de L’immaginario24, uno scritto giovanile che finisce per assumere un taglio meta-storico e psicologista25, e trova certamente il suo centro nella tematica dell’immagine e dell’immaginazione, il quale però suggerisce di pensare la letteratura come quello strumento che, fondando il suo discorso appunto sull’immaginazione, certifica e nello stesso tempo mette in atto quella

20 «Sappiamo che c’è soltanto un valore d’arte e di verità: la «prima mano», l’autentica novità di ciò che si dice, la “piccola musica” con cui la si dice. Sartre è stato questo per noi» da G. Deleuze, L’isola deserta e altri scritti. Testi e interviste 1953-1974, cit., p. 95.

21 S. de Beauvoir, L’età forte, Einaudi, Torino 1979, pp. 16, 19.

22 J. -P. Sartre, Qu’est-ce que la littérature? (1947), Gallimard, Parigi 1985.

23 J. -P. Sartre, D. Tarizzo (trad. italiana dal francese), Che cos'è la letteratura?, Il Saggiatore, Milano 1963, pp. 113-114.

24 J. -P. Sartre, L'imaginaire, psychologie phénoménologique de l'imagination, Gallimard, Parigi 1940. 25 S. Moravia, Introduzione a Sartre, Editori Laterza, Roma-Bari 1979, p. 29.

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libertà di poter essere tra le cose e contro le cose stesse, senza dover rinunciare al mondo. Immaginare, lungi dall’essere un rappresentare qualcosa che semplicemente non c’è, mostra la capacità del soggetto che immagina di sapersi svincolare dall’esistente non sottraendosi ad esso, affermando così la propria libertà. Attraverso questa attività l’essere umano dimostra la possibilità del cambiamento negando «l’essere nella prospettiva di un nuovo essere, che ancora non-è ma che può essere»26.

Dunque «l’uomo produce immagini solo perché è trascendentalmente libero»27 ed è

libero non in virtù di un “dentro” ma per il suo essere estroflesso, per il suo movimento di uscita da se stesso perché costitutivamente situato, mai isolato e, come si vedrà più avanti, scavato da una distanza28.

L’ennesimo contributo sartriano consiste dunque nel mettere in luce un nuovo umano che cerca i suoi contorni non a partire dall’interiorità che la filosofia moderna ha cristallizzato nel mito dell’Io, ma da un mondo in cui agisce e che nello stesso tempo patisce. Un umano che deve essere conosciuto attraverso le cose e che, orfano di un’essenza o di una natura, riconosce come suo unico e implacabile destino quello di essere libero.

Lo studio della struttura intenzionale dell’immagine condotta ne L’imaginaire29 (1940)

si pone infatti in continuità con il progetto favorito dall’incontro con la fenomenologia, e già intrapreso ne L’immaginazione30 (1936) e La trascendenza dell’Ego31 (1936-37),

di emanciparsi dal culto dell’interiorità dello spiritualismo e della psicologia francese, di cui Bergson era stato eletto da Sartre come massimo riferimento filosofico.

Di particolare importanza, per il ventennio successivo alla sua prima edizione, sarà il testo del ’37 il cui baricentro è costituito dalla critica alla prospettiva “egologica” delle

26 S. Moravia, op. cit., p.27.

27 J. -P. Sartre, L’immaginazione. Idee per una teoria delle emozioni, E. Bonomi (a cura di), Bompiani, Milano 1962, p.287.

28 Mi riferisco alla dialettica che coinvolge l’Ego e la coscienza sviluppato in La trascendenza dell’Ego. In questa sede mi limiterò a riportare un passo di Hyppolite, tratto da Figures de la pensée philosophique. Écrits de J. Hyppolite, Puf, Parigi 1971, p.763: «Le moi que je vis dans ma manière d’être au monde, ce mystère en pleine lumière, n’est pas le centre de ma conscience; la conscience qui est liberté radicale ne coïncide pas pleinement avec lui, elle l’a choisi gratuitement, elle peut encore s’en détacher, elle ne peut se constituer prisonnière d’une essence inaliénable».

29 J. -P. Sartre, L'imaginaire, psychologie phénoménologique de l'imagination, (1940), Gallimard, Parigi 1948, trad. italiana, R. Kirchmayr (a cura di), L’immaginario: psicologia fenomenologica dell'immaginazione, Einaudi, Torino 2007.

30 J. -P. Sartre, L'imagination, Alcan, Parigi 1936.

31 J. -P. Sartre, S. Le Bon (a cura di) La transcendance de l’Ego. Esquisse d’une description phénoménolgique, Vrin, Parigi 1965; trad. italiana, J. -P. Sartre, R. Ronchi R. (a cura di), La trascendenza dell’Ego. Una descrizione fenomenologica, Christian Marinotti Edizioni, Milano 2011.

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filosofie cosiddette “alimentari”32, vale a dire realismo ed idealismo, che avrebbero

conferito all’Io il suo statuto privilegiato causando una serie di errori che, a parere di Sartre, avrebbero condizionato irreparabilmente il pensiero a venire. In particolare, l‘idealismo non avrebbe fatto che ridurre la conoscenza ad «assimilazione, unificazione, identificazione del reale», in modo che tutto potesse dirsi “soggetto” oppure contenuto della sua coscienza o ancora derivazioni dell’Esprit33.

Attraverso lo studio di Husserl, che gli aveva mostrato la natura intenzionale della coscienza, l’autore opera un originale rovesciamento di prospettiva riducendo l’Ego solamente ad una specifica modalità della coscienza, quella riflessiva, che assume un ruolo secondario rispetto alla sua capacità creatrice.

«L'Ego non è proprietario della coscienza, ne è l'oggetto»34 e se così non fosse, se fosse invece una struttura necessaria della coscienza, saremmo allora in presenza di una monade35: la coscienza allora sarebbe gravata da un’opacità che contraddirebbe l’importante risultato fenomenologico secondo cui essa non si definirebbe e non acquisterebbe la propria fisionomia se non attraverso i suoi rapporti con il mondo36. La coscienza per l’autore «è tutta leggerezza, tutta traslucidità»37: nulla la precede e nulla la riempie, e questo non senza ricadute sul piano politico e morale. Se il Me si fa «un esistente rigorosamente contemporaneo del mondo» le preoccupazioni filosofiche circa la contrapposizione del soggetto con l’oggetto spariscono facendo emergere quelle resistenze esteriori frutto della reciproca compromissione del Me con il Mondo, le uniche dalle quali è possibile ripensare ad «una morale e una politica assolutamente positive»38.

Il bersaglio polemico in queste ultime righe dell’opera sarebbe l’idealismo accademico di Léon Brunschvicg, figura centrale nell’accademia francese fino agli anni ’40, propugnatore di una «filosofia senza male» il cui sforzo di assimilazione aveva

32 J. -P. Sartre, Un’idea fondamentale della fenomenologia di Husserl: l’intenzionalità, in F. Fergnani e P. A. Rovatti (a cura di), in Materialismo e rivoluzione, Il Saggiatore, Milano 1977, p. 139.

33 «La tavola non è forse il contenuto attuale della mia percezione, la mia percezione non è lo stato presente della mia coscienza? […] invano i più rudi tra di noi, i più semplici, cercavano qualcosa che non fosse lo spirito; dappertutto non incontravano che una nebbia soffice e raffinata: se stessi!», ibidem. 34 J. -P. Sartre, La trascendenza dell’Ego, cit., p. 89.

35 Ivi, p. 35.

36 Cfr. S. Moravia, op. cit., p. 34.

37J. -P. Sartre, La trascendenza dell’Ego, cit., p.35. 38 Ivi, p. 98.

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«stornato l’attenzione dai veri problemi», dissolvendo «la sofferenza, la fame, la guerra […] in un lento processo di unificazione delle idee»39.

Rispetto a questa attitudine filosofica si potrebbe forse affermare che la filosofia sartriana le si opponga, nei termini di una “filosofia del male” in quanto decisa a non edulcorare l’esperienza di un Me che ha di fatto perso il suo illusorio fondamento40, come gettato in una caotica contingenza:

questa coscienza assoluta, quando è purificata dall’Io, non ha più niente di un

soggetto, non è nemmeno una collezione di rappresentazioni: è semplicemente una

condizione prima ed una sorgente assoluta di esistenza. E il rapporto di interdipendenza che essa stabilisce fra il Me e il Mondo basta perché il Me appaia «in pericolo» davanti al Mondo41,

e perché tragga da esso tutto il suo contenuto.

Nonostante il grande debito nei confronti del maestro, La trascendenza dell’Ego è anche il testo con il quale Sartre comincia a prendere le distanze da Husserl, accusato di essere ricaduto anch’egli nell’errore idealista di separare l’Io trascendentale da quello empirico42 e di riproporre così una riformulazione di quella “dottrina rifugio”43 che Sartre mira a demolire44.

Le mancanze teoriche del filosofo tedesco verranno compensate successivamente dalla lettura di Heidegger, nel quale Sartre rileva un rifiuto radicale «di qualsiasi assolutizzazione dell’Io, di qualsiasi privilegiamento idealistico o solipsistico della

39 J. -P. Sartre, La Trascendenza dell’Ego, cit., p. 97.

40 «L’Ego è suscettibile di subire affezioni. Niente può agire sulla coscienza perché essa è causa di sé. L'Ego che produce, invece, subisce il colpo di rimbalzo da ciò che produce. È «compromesso» da ciò che produce. C'è qui un'inversione del rapporto: l'azione o lo stato si rovescia sull'Ego per qualificarlo. Questo ci riporta ancora alla relazione di partecipazione. Ogni nuovo stato prodotto dall'Ego colora e dà una sfumatura all'Ego nel momento in cui l'Ego lo produce», ivi, p. 74.

41 Ivi, p. 98.

42 Sartre si riferisce al passo molto dibattuto di Idee I «I predicati sono predicati di ‘qualcosa’, ed anche questo ‘qualcosa’ appartiene, inseparabilmente, al nocciolo in questione: esso è il punto centrale di unità, di cui abbiamo parlato sopra. È il punto di annodamento o il ‘portatore’ dei predicati, ma non può dirsi affatto la loro unità nel senso in cui sarebbe da dire unità un qualunque nesso dei predicati. Sebbene non ne sia separabile, né collocabile accanto ad essi, esso va tenuto necessariamente distinto dai predicati: impensabili senza di esso e tuttavia distinguibili da esso» H. Husserl, Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica, I, in Introduzione generale alla fenomenologia, V. Costa (a cura di), Einaudi, Torino 2002, pp. 292-293.

43 «finché l’Io resterà una struttura della coscienza assoluta, si potrà ancora rimproverare alla fenomenologia di essere una “dottrina rifugio”, di trarre ancora una particella dell’uomo fuori dal mondo e di stornare così l’attenzione dai veri problemi», J. -P. Sartre, La trascendenza dell’Ego, cit., p. 97. 44 «Per queste stesse ragioni ci rifiuteremo di vedere nell'Ego una specie di polo X che sarebbe il supporto dei fenomeni psichici. Un tale X sarebbe per definizione indifferente alle qualità psichiche di cui sarebbe il supporto. L'Ego, come vedremo, non è però mai indifferente ai suoi stati, è «compromesso›› da loro.», J. -P. Sartre, La trascendenza dell’Ego, cit., p. 66.

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coscienza» concependo «l’esistenza de-assolutizzata del soggetto e il suo ontologico rapportarsi alle cose del mondo»45.

Con Heidegger diventa possibile liberarsi da Proust e nello stesso tempo dalla vita interiore46: il soggetto è completamente immerso nelle cose, la sua «esistenza ha le stesse caratteristiche essenziali del mondo»47 e il suo conoscere non può che essere il frutto dell’incontro con esso, ciò che Sartre definisce un «s’éclater vers»48, e non il suo assorbimento in una coscienza che ormai ha perso il suo fondo, assumendo più l’aspetto di una «fuga da se stessa»49.

Attraversata nel suo essere dal Nulla, ogni coscienza infatti non è che «coscienza di qualche cosa»50, problema a cui è dedicata l’introduzione de L’essere e il nulla, saggio di approfondimento teorico e sistematico di quei temi che l’autore aveva già affrontato in precedenza, arricchiti dalla lettura di Essere e tempo.

Una volta distinto l’essere del fenomeno (in sé) da quello della coscienza (per sé), di aver definito l’indipendenza del primo rispetto alla percezione e la seconda come la capacità di trascendere lo stesso fenomeno, Sartre li analizza in modi diversi in ragione della loro natura divergente: «mentre l’in-sé è increato e atemporale, il per-sé si auto-crea continuamente nel tempo. Mentre il primo è sempre identico a se stesso, il secondo non può coincidere con sé»51 poiché «è obbligo del per sé di esistere solo sotto forma di

altrove in rapporto a sé»52.

Il per-sé che, contrapponendosi radicalmente al in-sé, in sede ontologica, si configura come non essere53, trova invece la propria positività “traslucida” nei suoi tentavi di fuggire al nulla che lo attraversa, provando ad afferrarsi in un in-sé stabile. È solo attraverso questo movimento di autolimitazione che implica la relazione col tempo, con

45 S. Moravia, op. cit., p. 35.

46 «eccoci liberati da Proust. Liberati nello stesso tempo dalla “vita interiore”», J. -P. Sartre, Un’idea fondamentale della fenomenologia di Husserl: l’intenzionalità, cit., p. 281.

47 J. -P. Sartre, La trascendenza dell’ego, cit., pp. 97-98.

48 «conoscere è esplodere verso, strapparsi dall’umidiccia intimità gastrica per correre al di là di sé, verso ciò che non è sé, laggiù accanto all’albero e tuttavia fuori di lui, perché esso mi sfugge e mi respinge ed io non posso perdermici più di quanto l’albero non possa diluirsi in me: fuori di esso, fuori di me», J. -P. Sartre, Un’idea fondamentale della fenomenologia di Husserl: l’intenzionalità, cit., p. 140.

49 «una delle direzioni della filosofia contemporanea sta nel vedere nella coscienza umana una specie di fuga da se stessa: tale è il senso della trascendenza in Heidegger; l’intenzionalità di Husserl e di Brentano ha anch’essa in molti punti il carattere di un distacco da sé.», J. -P. Sartre, L’essere e il nulla, cit., p. 62. 50 Ivi, p. 16.

51 S. Moravia, op. cit., p. 41.

52 J. -P. Sartre, L’essere e il nulla, cit., p. 123. 53 Cfr. Moravia, op. cit., p. 41.

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l’altro, in una situazione, che la coscienza privata dell’Io, dunque impersonale, acquista una sua individualità.

Il generalismo dei discorsi sul soggetto, sull’astratta umanità, lascia spazio alla concretezza e la singolarità dei momenti in cui l’uomo continuamente si sperimenta nella sua distanza da ogni possibile definizione ontica.

È a tali conclusioni che probabilmente si deve l’affermazione, più tarda, di Deleuze per cui Sartre avrebbe restituito all’immanenza i suoi diritti presupponendo, con una coscienza così teorizzata, un campo trascendentale impersonale54: quando Sartre afferma che «la coscienza può essere limitata (come la sostanza di Spinoza) soltanto da se stessa» costituendo una totalità a se stante di cui l’Ego non è che un’espressione55, Deleuze vede realizzato quel piano di immanenza, in cui «si danno soltanto eventi […] e “altri”»56 in quanto

l’evento non riconduce il vissuto ad un soggetto trascendente = Io, e si rapporta, al contrario, al sorvolo immanente di un campo senza soggetto; Altri non restituisce trascendenza a un altro io, ma riporta agni altro io all’immanenza del campo sorvolato.

Si tratta di un empirismo la cui forza «comincia nel momento in cui definisce il soggetto: un habitus, […] nient’altro che un’abitudine in un campo di immanenza, l’abitudine a dire Io»57 e le cui condizioni sono quelle dell’esperienza reale, così come

Sartre suggeriva, presenta le caratteristiche di quello che Deleuze definirà “empirismo radicale”.

Questo forse spiegherebbe lo choc che travolse la generazione di Deleuze alla lettura di un libro assolutamente promettente: «Un intero libro, enorme, di pensiero nuovo. Che choc!»58.

Con la sua opera Sartre riesce a delineare una nuova ontologia, anche se solo in funzione preparatoria rispetto alla sua psicanalisi esistenziale, che sostituisce «all’essere

54 Cfr., G. Deleuze, F. Guattari, C. Arcuri (a cura di), Che cos’è la filosofia?, Piccola Biblioteca Einaudi, Torino 2002, p. 36.

55 «Per un altro verso l'individualità della coscienza proviene evidentemente dalla natura della coscienza. La coscienza può essere limitata (come la sostanza di Spinoza) soltanto da se stessa. Essa costituisce dunque una totalità sintetica e individuale completamente isolata dalle altre totalità dello stesso tipo e l'Io non può essere, evidentemente, che una espressione (e non una condizione) di questa incomunicabilità e di questa interiorità delle coscienze» J. -P. Sartre, La trascendenza dell’Ego, cit., p.34.

56 In questa sede Deleuze definisce gli “eventi” come «mondi possibili in quanto concetti», e “altri” «espressioni di mondi possibili e di personaggi concettuali», G. Deleuze, Che cos’è la filosofia?, p. 38. 57 Ivi, pp. 37-38.

58 G. Deleuze, Mi ricordo, in Oltre l’uno e il molteplice. Pensare (con) Gilles Deleuze, A. Badiou (a cura di), Ombre Corte, Verona 2007, p. 112.

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il progetto dell’essere, all’essenza, eterno passato, il senso», che definisce la persona come «nodo singolare, un modo singolare di stare al mondo»59 accomunata alle altre

dalla verità che ciascuno sia “désir d’être, project d’être”. Sartre fa filtrare il movimento laddove tutto sembra gravato da una tradizione che non soddisfa più quel desiderio di possibile che cerca il giovane Deleuze, le cui parole bastano ad esprimere l’entusiasmo e insieme il disorientamento che invece questo attraente pensatore privato riuscì a produrre.

L’opposizione allo spiritualismo di Bergson, il suo atteggiamento selettivo nei confronti della fenomenologia di Husserl e dell’essere-nel-mondo di Heidegger, l’impossibilità di rinunciare al concreto e di combattere l’illusione “digestiva” dell’idealismo, fanno di Sartre l’inauguratore di un nuovo punto di vista della modernità, di una nuova immagine del pensiero che fa sperare in una filosofia «che scuota le pietre che sono i blocchi delle filosofie della storia che danno la sensazione di essere rinchiusi come in una bara»60, in una filosofia «deborghesizzata»61, in cui i concetti sono sempre in relazione con esempi esistenziali, utili a mostrare come l’essere concreto dell’uomo si manifesti nella sua esistenza, contrariamente ad ogni teologia62.

Al di là di un’esistenza condotta nell’espressione del suo pensiero63, il forte legame tra

speculazione e vita in Sartre è dimostrato anche dal ruolo che riveste la nozione di situazione all’interno della sua filosofia. Come scriverà Deleuze, in un ritratto scritto poco dopo la morte del maestro64, proprio con questa nozione Sartre avrebbe

propriamente avviato una nuova fase della fenomenologia introducendo al suo interno una certa “pragmatica”.

La situazione si rivela essere quell’«elemento pragmatico che trasforma tutto», ciò che informa dall’interno questo nuovo concetto il cui senso e la cui struttura non possono

59 J. Hyppolite, Figures de la pensée philosophique. Écrits de J. Hyppolite, cit., pp. 776-777, trad. italiana mia.

60 «(Il) ébranle les pavés que sont alors les blocs de philosophies de I' Histoire, qui donnent le sentiment d'y être enfermé comme dans un cercueil» in Deleuze-Sartre: pistes, in Deleuze épars (a cura di A. Bernold e R. Pinhas), Hermann, Parigi, 2005, p. 44.

61 Come riporta G. Gioli, Deleuze lettore di Sartre: Dissoluzione dell’Ego ed emergenza del campo trascendentale, Tesi di dottorato, Università degli studi di Parma 2008, in nota a p. 37: «Varet ha giustamente notato che Sartre, non pensando più la coscienza come una proprietà dell’Io, la «deborghesizza». G. Varet, L’ontologie de Sartre, Puf, Parigi, 1948, p. 156.

62 Cfr., J. Hyppolite, Figures de la pensée philosophique. Écrits de J. Hyppolite, cit., p. 787.

63 «Sartre ha appena rifiutato il premio Nobel. Séguito pratico dello stesso atteggiamento, orrore di fronte all’idea di rappresentare praticamente qualchecosa, anche solo dei valori spirituali o, come dice lui, di essere istituzionalizzato», L’isola deserta e altri scritti. Testi e interviste 1953-1974, cit., p. 96.

64 G. Deleuze, Sartre, riportato da J. Colombel in A. Bernold e R. Pinhas (a cura di), Deleuze épars, cit., pp. 39-47.

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mai sganciarsi dalla mise en scéne da cui hanno preso vita65. Il concetto trae il suo

contenuto, il suo funzionamento dall’esistenza: «la ricchezza e la novità dei concetti sartriani discende dal fatto che questi sono l’enunciato di situazioni e allo stesso tempo le situazioni sono concatenamenti (agencements) di concetti»66. In questo modo «essenza ed esempi entravano in rapporti complessi che davano uno stile nuovo alla filosofia»67 basata non più sulle rigidità e la prevedibilità dei ruoli del sistema rappresentativo, ma su una dinamica che interpella l’incontro con il reale, che serva a metterlo in scena senza eliminarne le contraddizioni e le fratture, senza modellizzarlo68. Un incontro che si rivela per lo più espropriante poiché mette la coscienza al cospetto della spontaneità da cui si difende costruendosi un Io sul quale si “ipnotizza”.

L’utilità della struttura dell’Ego si riduce quindi a quella di fornire alla coscienza, esposta spontaneamente ad una libertà priva di supporti69, la garanzia di operare tutte quelle quiete distinzioni tra «il possibile e il reale, fra l’apparenza e l’essere, fra il voluto e il subito»70 che le servono ad orientarsi.

Tuttavia come spiega Sartre in La trascendenza dell’ego, se la coscienza riuscisse sempre a prodursi perfettamente in questo atto riflessivo verrebbe meno l’utilità della stessa riduzione fenomenologica.

È solo quando accade che la coscienza si produce «da sola improvvisamente sul piano riflessivo puro […] tale da fuggire da ogni parte l’Ego, da dominarlo e sostenerlo fuori di sé attraverso una continua creazione», è solo quando la coscienza si angoscia della «fatalità della sua spontaneità»71, interrompendo quell’attitudine naturale della ragione ad ordinare l’esperienza, di cui l’Ego si limita a riflettere un’unità ideale, che si fa urgente una «conversione filosofica».

Sartre in questo modo dimostra che è ai limiti delle possibilità dell’Io husserliano che sorge la necessità stessa della filosofia la quale, lungi dall’essere l’esercizio naturale di

65 «Una tale pragmatica non si aggiunge dal di fuori ai concetti, essa li attraversa da parte a parte […] È attraverso lo studio delle situazioni che Sartre fa sorgere i concetti che ha creato e imposto. Da L’être et le néant, la malafede Sartriana non è separabile dalla messa in scena del ragazzo del caffè, come lo sguardo non lo è dal giardino pubblico in cui si esercita», Sartre, in G. Gioli, op. cit., p. 182.

66 G. Gioli, op. cit., p. 181.

67 G. Deleuze, È stato il mio maestro, in Gilles Deleuze. L’isola deserta e altri scritti. Testi e interviste 1953-1974, cit., p. 98.

68 «È probabile che codesta credenza abbia la stessa origine degli altri postulati dell’immagine dogmatica: si tratta sempre di esempi infantili separati dal loro contesto, arbitrariamente innalzati a modelli.», G. Deleuze, Differenza e ripetizione, Il Mulino, Bologna 1971, p. 256.

69 Cfr. J. Hyppolite, Figures de la pensée philosophique. Écrits de J. Hyppolite, cit., p. 764. 70 J. -P. Sartre, La trascendenza dell’Ego, cit., p. 73.

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una facoltà che si fonda sul riconoscimento, deve rispondere all’esigenza più profonda di pensare il reale nelle sue contraddizioni. É questo il senso della sua opposizione al cosiddetto “spirito di serietà” che «percepisce i valori partendo dal mondo e che risiede nel consolidamento rassicurante e cosista dei valori»72: nell’angoscia ciascuno comprende di non essere l’artefice del senso del mondo, di essere totalmente impotente rispetto ad esso, eppure totalmente libero e dunque responsabile73.

La stessa urgenza del pensiero attraversa le opere di Deleuze e analogamente, in particolare in Differenza e ripetizione, essa diventa motivo di denuncia al pensiero dogmatico, un pensiero acquiescente che riduce i problemi ai fantasmi di loro stessi. Esso ci indurrebbe a credere che i problemi «siano dati già pronti, e che scompaiano nelle risposte o nella soluzione»74 e che questo sia “pensare”.

Quasi come a paragonare due differenti immagini, nello stesso testo, Deleuze contrappone a questa rappresentazione del pensiero quella di cui si fa portavoce Artaud, celebre autore e regista largamente citato da Deleuze, per il quale

il problema non è di orientare il suo pensiero, né di completare l’espressione di ciò che egli pensa, né di acquisire applicazione e metodo, o di portare a perfezione le sue poesie, ma di arrivare semplicemente a pensare qualcosa. Questa gli sembra essere la ·sola «opera» concepibile: un’opera che presuppone una pulsione, una coazione a pensare che passa per ogni sorta di biforcazioni, e che partendo dai nervi si comunica all’anima per giungere al pensiero. Perciò, quanto il pensiero è costretto a pensare, è anche il suo sprofondarsi centrale, la sua incrinatura, il suo proprio «non-potere» naturale, che si confonde con la più grande potenza»75.

La ricerca della verità infatti, lungi dall’essere esercizio di un’ intelligenza incapace di cogliere la necessità delle cose76, «si tradisce attraverso segni involontari», si impone con la violenza di un incontro, l’unica che può spalancare l’intelligenza stessa alla profondità di senso che in ogni segno resta come avviluppato. Chi vuole la verità non lo fa che sotto la morsa di questo incontro con il segno, chiamato come si sente a

72 J. -P. Sartre, L’essere e il nulla, cit., p. 78.

73 «Non ricorro, né posso ricorrere ad alcun valore contro il fatto che sono io a conservare i valori all’essere; niente mi può assicurare contro me stesso; separato dal mondo e dalla mia essenza da quel nulla che io sono, ho da realizzare il senso del mondo e della mia essenza: io ne decido solo, ingiustificabile e senza scuse», J. -P. Sartre, L’essere e il nulla, cit., p. 78.

74 G. Deleuze, Differenza e ripetizione, cit., p. 256. 75 Ivi, p. 239.

76 «abbiamo visto quale sia il limite delle verità propriamente intellettuali: mancano di “necessità”», G Deleuze, C. Lusignoli (a cura di), Marcel Proust e i segni, Einaudi, Torino 1967, p. 25.

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«interpretare, decifrare, tradurre, trovare» il suo senso temporaneo, poiché ogni verità «è sempre condizionata dal tempo»77.

Ed è questo che ha prodotto Sartre: dividendo l’in-sé dal per-sé, mettendo in un dialogo inesorabile l’Essere e il nulla, ha procurato alla conoscenza una ferita che ha costretto il pensiero a pensarsi povero, in fuga. Sartre riapre la domanda sul senso della filosofia durante l’Occupazione, provocando nei suoi giovani lettori quello «stordimento/abbagliamento»78 che trova spazio all’interno dei saggi che Deleuze scrive per la rivista “Poésie” ed “Espace”.

Da queste due riviste nate «dall’esperienza della Resistenza e delle pubblicazioni in zona libera»79 emerge la volontà, condivisa anche con i suoi coetanei80, di ripartire proprio da Sartre per attuare una condanna serrata a quell’umanismo che

si incarna nelle differenti figure della psicologia, del moralismo, dei valori borghesi, della religione, della soggettività autoriale e nei comportamenti tradizionalmente associati alla femminilità81,

fino a affermare che l’avvenire dell’uomo sarà appunto l’inumano82.

Se ci si sofferma sugli scritti deleuziani di questi anni non si può fare a meno di notare che il rapporto che il nostro autore instaura con Sartre e i suoi temi rimane sempre critico, tant’è che l’accoglimento entusiasta della novità assoluta di separare il soggetto dalla coscienza si rivelerà in conclusione il punto di avvio di un superamento della stessa fenomenologia con l’elaborazione del suo empirismo trascendentale.

Nonostante l’affermazione di Giuseppe Bianco secondo cui, in questi anni, tra i prestiti alla filosofia sartriana, da parte di questi giovani intellettuali, non ci siano quei temi più marcatamente esistenzialisti, ossia quelli «della libertà, dell’essere-nel-mondo, dell’angoscia o dell’impegno, i quali costituirebbero la prova della compromissione di Sartre con l’umanesimo»83, e la scelta del disimpegno politico, sarebbe difficile non

77 G Deleuze, C. Lusignoli (a cura di), Marcel Proust e i segni, cit., pp. 18-20.

78 G. Deleuze, Mi ricordo, in A. Badiou (a cura di), Oltre l’uno e il molteplice. Pensare con Gilles Deleuze, p. 112.

79 G. Bianco, Introduzione, in Da cristo alla borghesia e altri scritti. Saggi, recensioni, lezioni 1945-1957, cit., p. 17.

80 In particolare l’amico M. Tournier e A. Clément con i quali Deleuze cura il primo numero di Espace del 1946.

81 G. Bianco, Introduzione, cit., p. 19.

82 «l’avvenire dell’uomo non è né l’uomo né il mondo, ma l’inumano», A. Clément, G. Deleuze, M. Tournier, Presentazione, in “Espace”, n.1, 1946, p. 13.

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notare come dal punto di vista di un Deleuze più maturo84, questi stessi argomenti,

compreso il particolare posizionamento politico di Sartre in quegli anni, avrebbero costituito un importante momento di rottura con il passato e una base di lancio per un nuovo progetto filosofico che si sarebbe fatto carico delle conseguenze di questa rottura per superarla.

In questo senso il saggio Descrizione della donna85 costituisce un esempio di ripresa profonda dei problemi sartriani e insieme di un loro oltrepassamento.

Primo tra tutti quello di “Autrui”, nozione con un certo successo nella filosofia francese e che Deleuze sosterrà essere stata rivoluzionata proprio da Sartre: oltre aver reso lo stesso Io sempre estraneo a se stesso, ponendo la questione dell’alterità al di là del soggetto e dell’oggetto, egli si sarebbe fatto precursore dello strutturalismo, anche se con evidenti limiti86.

Se si prende in esame la sezione dedicata al rapporto con gli altri de L’essere e il nulla, si può notare come l’autore spieghi che la relazione fondamentale tra l’in-sé e il per-sé, della coscienza con i suoi oggetti, ha «in sé implicita la relazione originale con altri come sua struttura essenziale e suo fondamento»: tutto è di fronte ad altri87 e ogni fuga che è il per-sé, in cerca dell’in-sé, è concretizzata da Altri.

Altri con il suo sguardo «mi cristallizza tutto nella mia fuga, che diventa fuga prevista e considerata, fuga data», che «non è mai la fuga che io sono per me»88.

L’esistenza di Altri, all’interno di quest’ottica, sarebbe ciò che mi conferirebbe una forma dall’esterno, ciò che mi coglie nel futuro, rivelandomi, in una costrizione, l’essere che io sono: «io provo l’oggettività della mia fuga come alienazione che non posso trascendere né conoscere»89.

84 Mi riferisco, ad esempio, ai passi riportati precedentemente da Marcel Proust e i segni (1964), Differenza e ripetizione (1968), Logica del senso (1969), Che cos’è la filosofia? (1991).

85 G. Deleuze, Description de la femme. Pour une philosophie d’autrui sexuée, in Poésie 28, 1945, pp. 28-39.

86 «Qui Sartre è il precursore dello strutturalismo, infatti è il primo ad aver considerato Altri come struttura propria o specificità irriducibile all’oggetto e al soggetto. Ma, in quanto definiva questa struttura mediante lo “sguardo,” ricadeva nelle categorie di oggetto e di soggetto, facendo di altri colui che mi costituisce come oggetto quando mi guarda, salvo diventare oggetto egli stesso quando io lo guardo. Sembra che la struttura Altri preceda lo sguardo; esso contraddistingue piuttosto l’istante in cui qualcuno riempie la struttura: lo sguardo non fa che effettuare, attualizzare una struttura che deve essere definita indipendentemente», G. Deleuze, M. De Stefanis (trad. italiana dal francese), Logica del senso, Feltrinelli Editore, Milano 2014, nota n.49, p. 272.

87 J. -P. Sartre, L’essere e il nulla, cit., p. 444. 88 Ivi, p. 445.

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Da ciò deriverebbero gli unici atteggiamenti conflittuali che posso adottare nei suoi confronti: posso decidere o di negare l’essere che mi è stato attribuito oggettivando a mia volta quello di Altri, oppure posso assimilarlo per ritrovare in me il fondamento della mia libertà.

La critica che Deleuze muove nel suo saggio giovanile verte proprio sulle ricadute che avrebbe avuto questo approccio sartriano per il concetto di Altri: a causa della dinamica dello sguardo, Sartre sarebbe rimasto impigliato nella logica di un’oggettivazione/assimilazione necessaria di un termine da parte dell’altro90, e non

avrebbe potuto differenziare pienamente questo “altro”, in particolare sessualizzarlo. Pur avendo criticato le filosofie esistenzialiste a lui precedenti91, l’autore non avrebbe prodotto che un progresso apparente. Ciò che di fatto emergerebbe, anche nelle varie situazioni in cui si concretizza questo rapporto duale92, sarebbe «la classica illusione della reciprocità delle coscienze» in cui «altri sarebbe semplicemente un altro IO che non ha strutture proprie se non in quanto soggetto»93.

Infatti, anche nel caso dell’amore, Altri è tale solo nella misura in cui è amante, non amato. Privo di uno statuto specifico, esso si delinea di riflesso rispetto all’Io che lo ama e che fa con lui l’amore.

Ma questo mondo descritto da Sarte, per Deleuze, «è ancora più desolante di quello precedente: un mondo oggettivamente di asessuati, con i quali si pensa soltanto a fare l’amore, un mondo assolutamente mostruoso»: per lui «la fenomenologia deve essere quella dell’amato» perché il significato di ogni cosa non ha aspettato alcun Io per venire al mondo, esso «si inscrive oggettivamente nella cosa»94.

È a questo punto che la posizione sartriana viene radicalizzata: se Sartre aveva stabilito il nulla che ogni Io è, Deleuze estremizza affermando che ciascuno non può definirsi

90 «Ma, in quanto definiva questa struttura mediante lo “sguardo”, ricadeva nelle categorie di oggetto e di soggetto, facendo di altri colui che mi costituisce come oggetto quando mi guarda, salvo diventare oggetto egli stesso quando io lo guardo», G. Deleuze, Logica del senso, cit., nota 59, p. 272.

91 «Deleuze si riferisce alla prima sezione La prima attitudine verso altri: L’amore, il linguaggio, il masochismo del terzo capitolo della terza parte (Il per altri) dell’Essere e il nulla. Qui Sartre scrive che “le filosofie esistenzialiste non hanno creduto doversi preoccupare della sessualità, Heidegger in particolare, non ha fatto alcuna allusione nella sua analitica esistenziale, tanto che il suo Dasein ci appare come asessuato.», G. Deleuze, Descrizione della donna: per una filosofia d’altri sessuato, in Da cristo alla borghesia e altri scritti, nota n.3, p. 65.

92 Come riporta lo stesso Deleuze, Sartre dedica un capitolo al desiderio e uno all’amore riferendosi alla sezione La prima attitudine verso altri: l’amore, il linguaggio, il masochismo e a quella intitolata La seconda attitudine verso altri: l’indifferenza, il desiderio, l’odio, il sadismo, de L’essere e il nulla. 93 G. Deleuze, Descrizione della donna: per una filosofia d’altri sessuato, cit., p. 65.

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nemmeno questo nulla: «io non sono nient’altro che un’espressione. Non attribuisco i miei piccoli significati alle cose. L’oggetto non ha un significato, è il suo significato»95.

Per non ricadere nella dinamica dell’intersoggettività, perché Altri sia descritto a partire unicamente da se stesso e dalla sua capacità espressiva, esso deve mantenere quel carattere aprioristico per cui, in ogni sistema, si presenta come nucleo di significato indipendente da me96. Come «il più oggetto tra gli oggetti», Altri è quella resistenza assoluta ad essere riportato al soggetto, è l’espressione di un mondo ulteriore assente, nel caso dell’Altri-maschile, e totalmente presente, per il femminile.

La donna, scrive Deleuze, fa assistere alla genesi di Altri, nel senso di passaggio dall’oggetto ad Altri, come «autoespressione, innocenza, serenità» che non può essere in nessun modo negato. Al contrario che nell’Altri-maschile, essa appare come un blocco, in cui «l’interno è esterno, l’esterno è interno», e questa coincidenza tra l’esprimente e l’espresso Deleuze la chiama “coscienza”, ossia un possibile che si “possibilizza” in se stesso: «La donna è il suo possibile»97.

Nella sua enorme presenza la donna, attraverso il suo corpo, da espressione di sé «diventa il possibile che ella è. In quanto cosa, ella è cosciente e in quanto cosciente ella è cosa». In questo suo non poter promettere un altro mondo, la sua necessità conquista un’altra totalità rispetto a quella che incarna.

La donna offre a Deleuze il luogo per risemantizzare il concetto di “vita interiore” come «questa identità del materiale e dell’immateriale» che ne costituirebbe l’essenza. La donna indicherebbe, nella sua forma di persona, un’interiorità segreta che, nonostante proliferi all’esterno, resta inviolabile, incomprensibile, spiazzante.

Tuttavia essa può essere portata a compimento nell’atto modellante della carezza, la quale nega ogni spessore, «piega incessantemente l’esteriorità, la attira a sé, la rende interna a sé»98 realizzando così una momentanea esteriorizzazione dell’interno di cui la donna è il segreto.

Se questa interiorità fosse pura, o come dire indifferente alla carezza, essa si dissolverebbe. Allo stesso modo, se fosse «totalmente realizzata in riflesso, non avrebbe esistenza propria, esisterebbe soltanto in rapporto al riflesso»99.

95 G. Deleuze, Descrizione della donna: per una filosofia d’altri sessuato, cit., p. 66.

96 «L'altro che non è nessuno, ma l’io per l'altro e l’altro per me nei due sistemi, l’Altro a priori si definisce in ciascun sistema per il suo valore espressivo, ossia implicito e inviluppante», G. Deleuze, Differenza e ripetizione, cit., p. 415.

97 G. Deleuze, Descrizione della donna: per una filosofia d’altri sessuato, cit., p. 68. 98 Ivi, p. 75.

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Di conseguenza lo statuto della donna si pone al di qua della definizione di soggetto e oggetto perché non può dirsi né cosa che si “ha” ma nemmeno che raggiunga l’essere: Deleuze la definisce come «lo slancio dell’oggetto verso la soggettività» il cui essere «non esiste se non sotto forma dell’atto compiuto da un altro»100, che non esiste che

come dissoluzione.

La carezza però non disegna che una linea sempre aperta: Altri rimane il mistero, «azione di presenza svuotata, ma che basta a soffocare dentro di me l’antico universo, a ricacciarmelo in gola»101.

Non solo: Altri prova che la stanchezza di cui credo di essere vittima rispetto alle cose del mondo sono Io, ridisegnando la mia esperienza con esse.

Come spiegherà in Logica del senso102, in dialogo con Venerdì o il limbo del pacifico103, testo dell’amico Tournier, l’effetto fondamentale che produce la presenza di Altri non è certificare la mia presenza, in qualità di soggetto esperienziale che fa delle cose oggetti significanti e dell’altro solo un “analogo me”, appunto un Alter ego privo di qualsiasi specificità, com’è proprio della concezione fenomenologica.

Al contrario, essa agisce marcando la «distinzione della mia coscienza e del suo oggetto»104: Altri rompe l’ordine della loro coincidenza, della coltre dei miei oggetti,

per esprimere «la possibilità di un mondo sconvolgente, che non viene sviluppato senza far passare il precedente»105 e mi dice che io ero qualcuno che adesso non sono più106.

Se Sartre può affermare che l’originalità consista nel fatto che io «sono la prova d’altri»107, in Deleuze la presenza di Altri prova solamente e immediatamente se stessa,

nonché l’assenza della mia. È possibile dire Io solo al passato e solo alla luce della differenza provocata dall’insorgere di Altri che permette, a sua volta, «la distinzione tra la coscienza e il suo oggetto».

Oltre il ribaltamento della posizione dell’Io, che in questa prospettiva può solo seguire l’irrompere dell’Autrui, Deleuze mostra che la posta in gioco più profonda è la possibilità di un’esperienza veritiera e di una temporalità: nell’assenza di Altri non si verifica più la possibilità né di errore né di passato. Senza Altri verrebbe meno il

100 G. Deleuze, Descrizione della donna: per una filosofia d’altri sessuato, cit., p. 76. 101 Ivi, p. 66.

102 G. Deleuze, Logique du sens, Minuit, Parigi 1969.

103 M. Tournier, Venerdì o il limbo del Pacifico, trad. it. di C. Lusignoli, Einaudi, Torino 1968. 104 G. Deleuze, De Stefanis M. (trad. italiana dal francese), Logica del senso, cit., p.273. 105 Ivi, p. 272.

106 «Io sono soltanto i miei oggetti passati, il mio Io è fatto soltanto di un mondo passato, appunto quello che altri fa passare. Se altri è un mondo possibile, Io sono un mondo passato», ibidem.

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«tribunale della realtà, per discutere, infirmare o verificare ciò che credo di vedere» e si lascerebbe che «la coscienza aderisca o coincida con l’oggetto in un eterno presente»108.

La funzione di altri come «struttura trascendentale propria al campo dell’esperienza»109

è ripresa anche nel saggio successivo, Detti e profili110, in cui viene posto un accento ulteriore su come si dispiega concretamente questo rapporto con altri.

Già in Descrizione della donna Deleuze fa riferimento al sentimento di vergogna, sentimento largamente trattato da Sartre in qualità di modo della coscienza attraverso il quale l’Io realizza una relazione intima con se stesso e che, primariamente, è sempre «vergogna di fronte a qualcuno»111.

La presenza degli Altri, il fatto che mi osservi, spinge perché io esprima un giudizio su me stesso, «come su un oggetto» e che provi questo stato d’animo rispetto al modo in cui appaio ad altri. Per quanto possa ribellarmi a quello che mi sembra un «cattivo ritratto di me stesso», nella vergogna io «riconosco di essere come altri mi vede» poiché essa «è, per natura, riconoscimento»112.

Attraverso la vergogna io sperimento punti di vista diversi su di me, utili a «cogliere a pieno tutte le strutture del mio essere»113.

Anche in Deleuze la vergogna è portatrice di verità. La presenza di Altri che «distrugge ogni serena e oggettiva descrizione», provoca dentro di me la vergogna di aver appesantito il mondo rivestendolo della patina dell’oggettività, che ha finito per gravare su me stesso. Vergogna è ciò che provo nel momento in cui mi si rivela la verità della fatica che è solo mia:

in questo mondo oggettivo, proprio accanto a me, Altri può rivelarmi un mondo esteriore […] espresso da lui attraverso il suo passo leggero, […] nel quale non c’è stanchezza. Questo mondo è la negazione di quello precedente: la rivelazione del fatto che la mia stanchezza non ha una consistenza oggettiva, che sono io, proprio io questa volta, che sono stanco, che conferisco alle cose […] in loro significati stancanti»114.

Ma altri non è solo senso di vergogna e mediocrità rispetto a se stessi, è anche prospettiva di superamento di tale stato nel momento dell’amicizia, all’interno del

108 G. Deleuze, Logica del senso, cit., p. 273. 109 G. Bianco, Introduzione, cit., p. 24.

110 G. Deleuze, Dires et profils, in “Poésie 47”, n. 36, pp. 68-78. 111 J. -P. Sartre, L’essere e il nulla, cit., p. 286.

112 Ibidem.

113 J. -P. Sartre, L’essere e il nulla, cit., p. 287.

114 G. Deleuze, Detti e profili, in Da Cristo alla borghesia e altri scritti, saggi, recensioni, lezioni 1945-1957, Mimesis, Milano-Udine 2010, p. 77.

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gruppo. Anche questo è un concetto che Deleuze riprende da Sartre115 e che chiama in

causa in entrambi gli scritti giovanili finora citati.

In particolare, in Detti e profili, l’équipe si presenta come l’unica alternativa all’interiorizzazione della mediocrità. Deleuze definisce questa «storicizzazione dell’Io mediocre» onanismo, rivelando un ennesimo punto di contatto con il “maestro” che consiste nella particolare scelta stilistica di mescolare di un registro linguistico alto con termini triviali, spesso legati alla sessualità116.

Deleuze aggiunge dunque un’ulteriore conseguenza alla rinuncia d’Altri: privarsi della presenza di altri, rifiutarsi di realizzare il mondo possibile che Altri stesso ci offre, significa ridursi ad un pezzo da museo che rinvia solamente a se stesso: «questi libri meravigliosi che nessuno legge mai perché si leggono da soli… questa è la vita della Storia»117. Significa rinunciare agli oggetti che «esistono soltanto in funzione di mondi possibili di cui altri popola il mondo»118 per “mineralizzarsi” al suo fondo, ed esibire con se stesso solo la violenza e la sorpresa del suo gravare irrimediabile119.

In conclusione, se fino a questo a punto abbiamo potuto considerare una certa continuità tra gli argomenti sartriani e la loro ripresa personale da parte di Deleuze, in Da Cristo

alla Borghesia120, articolo pubblicato in “Espace” nel ’46, il dialogo con Sartre si fa più

aspro.

I motivi risiedono probabilmente nella delusione che suscita il discorso pronunciato a Parigi da Sartre quell’anno, intitolato L’esistenzialismo è un umanismo, che la generazione della Liberazione interpreta come il sentore di un errore di valutazione nei confronti della loro guida.

Come scrive Tournier ne Il vento paracleto121, il loro maestro

recuperava dal bidone della spazzatura, dove l’avevano gettato, questo imbecille trito e ritrito, che puzzava il sudore e la vita interiore, l’Umanismo, e l’affiancava,

115 «Deleuze riprende il concetto di squadra dalla sezione “Fare e avere”, dell’Essere e il nulla, in cui Sartre discute la concezione heideggeriana della co-esistenza (Mit-sein) a partire dall’immagine di una squadra e soprattutto dell’equipaggio di una nave», G. Bianco, Da Cristo alla borghesia e altri scritti. Saggi, recensioni, lezioni 1945-1957, cit., nota n.7, p. 67.

116 Cfr. G. Bianco, Introduzione, cit., pp. 16-17. 117 G. Deleuze, Detti e profili, cit., p. 79. 118 G. Deleuze, Logica del senso, cit., p. 274. 119 Cfr. G. Deleuze, Detti e profili, cit., p. 82.

120 G. Deleuze, Du Christ à la bougeoisie, “Espace” n.1, 1946, pp. 93-106. 121 M. Tournier, Il vento Paracleto, Garzanti, Milano 1992.

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