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Per una filosofia della differenza: l’insegnamento di Jean Hyppolite

«Cercavo il mio uomo nelle classi preparatorie. Alquié era Descartes e Hyppolite era Hegel. Ora, io detestavo Descartes e Hegel»270.

Eppure il lavoro di Deleuze testimonia un’ammirazione profonda per entrambi i professori. Due legami intellettuali profondi, entrambi recisi in maniera anche piuttosto brusca271, ma assolutamente fecondi.

Di Alquié abbiamo avuto già modo di parlare nelle pagine precedenti e la seconda figura, quella di Hyppolite, ci consente ora di indagare un altro elemento importante nell’apprendistato di Deleuze, tale da determinarne sia le scelte in qualità di storico della filosofia sia i temi, i quali conoscono, con l’aiuto del maestro, la loro prima formulazione. Infatti, proprio come una cornice che va completandosi, Hyppolite si presenta come l’ennesima “source de la pensée deleuzienne”, l’ultima che tratteremo in questo capitolo, al fine di ricreare le maggiori forze all’opera nel tessuto preparatorio del nostro autore.

Introdotto alla filosofia dallo studio di Bergson, poco più che ventenne, negli anni trenta, Hyppolite comincia a collaborare con un’importante rivista filosofica nata intorno a Paul Arbousse-Bastide et Georges Bénézé, “Méthode. Revue de

l’enseignement philosophique”. Sono gli esordi di un uomo certamente non annoverato

tra i geni filosofici di quegli anni, quelli attraversati da un’originalità folgorante e dai testi unici, ma che definisce, già dalle prime batture, il suo sincero e fondamentale ruolo da intellettuale272.

Interessato da subito alle questioni metodologiche e istituzionali, all’insegnamento filosofico, secondo una testimonianza di Foucault, anch’egli suo studente, non amava definirsi storico della filosofia: «più volentieri, parlava di una storia del pensiero

270 F. Dosse, Gilles Deleuze and Félix Guattari, Intersecting Lives, cit., pp. 113-114. Gli autori riportano un commento di Deleuze raccontato da Dominique Séglard.

271 Per quanto riguarda Hyppolite, Dosse riporta che i rapporti tra i due si sarebbero deteriorati oltre che per divergenze teoretiche sulla lettura di Hegel anche per una strana denuncia da parte della moglie di Hyppolite circa il loro rapporto. (F. Dosse, Gilles Deleuze and Félix Guattari, Intersecting Lives, cit., pp. 120-21). Rispetto ad Alquié invece le divergenze furono di carattere esclusivamente intellettuale. Infatti, come ci riporta Dosse (ivi, p. 118), Alquié rimproverò Deleuze per «essersi perso nei meandri di una metodologia strutturale che ha voltato le spalle all'essenza stessa della filosofia: la metafisica e la domanda del soggetto», e non comprese la rilettura deleuziana del “che cos’è?” in filosofia, durante la sua presentazione sul metodo della drammatizzazione (La méthode de la dramatisation, Bulletin de la Société française de Philosophie, 61º année, n° 3, juillet-septembre, 1967, pp. 89-118), provocando un profonda delusione nel suo allievo e il suo successivo distacco.

272 Cfr. G. Bianco, Jean Hyppolite, entre structure et existence, Éditions Rue d’Ulm/Presses de l’École normale supérieure, Parigi 2013, p. 9.

filosofico», sottolineando una sfumatura di significato sulla quale avrebbe costruito la sua attività273.

Il pensiero filosofico avrebbe significato per lui eccedenza, uno strabordare, ciò che sfugge anche al sistema apparentemente più definito e in un rapporto «insieme di scambio e di mancanza con la filosofia stessa». O ancora, sempre seguendo Foucault, questo tipo particolare di pensiero sarebbe stato inteso dal maestro come «quel momento così difficile da cogliere, coperto (com’è) dalle sue apparizioni, dove il discorso filosofico si decide, si strappa dal suo mutismo, e prende le distanze rispetto a ciò che allora sta emergendo come non-filosofia»274.

Più che la determinazione oscura e preliminare di un sistema, Hyppolite intendeva il pensiero filosofico come «questa torsione e questo raddoppiamento, l’uscita e la ripresa di se stesso, attraverso i quali il discorso filosofico dice ciò che è, si pronuncia in merito alla sua giustificazione, e […] manifesta ciò che può fondarlo e fissare i suoi limiti»275,

senza tuttavia esaurirsi.

Descrivendolo come una vibrazione, un risuonare perenne che attraversa il tempo e si riverbera in ogni suo manifestarsi, la bellezza dell’interpretazione di Hyppolite consisterebbe nell’intendere l’attualità della filosofia non come una presenza ma come un’assenza che scava nella pluralità delle filosofie, permettendole così di non estinguersi mai, in nessuna determinazione. Inoltre è proprio questa mancanza ha stimolare il cambiamento, il volgersi plurale del dispiegarsi filosofico, del quale lo storico deve riprendere i fili.

Se «dopo Kant il discorso filosofico è piuttosto discorso sulla finitudine»276, ovvero sui limiti della conoscenza e della libertà umane, Hyppolite raddoppierebbe la questione, chiedendo alla filosofia di rendere conto dei suoi stessi limiti e del suo essenziale tendere all’assoluto, di cui la storia è luogo privilegiato d’espressione.

Come si è potuto osservare in Guéroult, anche con Hyppolite, il quale lo succederà pure alla cattedra di storia del pensiero filosofico al Collège de France nel ‘63, primeggia il problema del proprio della filosofia, ponendo in secondo piano tutto ciò che riguarda il carattere finito dell’opera filosofica, ovvero ciò che di essa si dà come specificamente legato alla contingenza del tempo e dell’autore che la vedono nascere.

273 M. Foucault, Jean Hyppolite. 1907-1968, in Revue de métaphysique et de morale, 74e année, n. 2, avril-juin 1969, pp. 131-136, in M. Foucault, Dits et écrits, pp. 781-785, cit. p. 780, trad. italiana mia. 274 Ivi, p. 780, trad. italiana e parentesi mie.

275 Ibidem.

Lungi dal voler cadere nella «nella trappola di fin troppo facile della riconciliazione tra la logica e la storia», Hyppolite si mantiene fedele all’approccio critico del suo predecessore, «deciso a rispettare l’irriducibile specificità dei sistemi filosofici»: il cuore di ogni sistema è costituito dalla concezione dell’essere che tenta di sviluppare e il compito dello storico non è che di scorgere questo nucleo per dipanarne le implicazioni277. Da questo punto di vista, la storia è vista come il banco di prova dell’assoluto, così come l’autore lo strumento della sua esposizione.

Parlare di un testo «non era per lui descrivere un oggetto, capirlo, rinchiuderlo dei suoi contorni, ma piuttosto aprirlo, individuare le sue rotture, i suoi sfasamenti, gli spazi vuoti, insediarlo nella sua irruzione e sospensione, dispiegarlo in questa mancanza o non detto attraverso cui parla la filosofia stessa»278.

La finitezza che attraversa lo storico e l’opera che maneggia fa sì che il primo si insedi perfettamente nella materia filosofica senza dovervi emergere come soggettività, con la modestia di chi sa di dover fare i conti con un limite che gli appartiene intimamente e che supera le sue capacità di coglierlo. Modestia che Foucault descrive come uno strumento di risonanza, all’interno del testo, di una voce diversa dalla sua, favorendo il fluire del dialogo con l’autore ogni volta analizzato, commentato, incontrato.

Ma Guéroult non è l’unico riferimento importante per Hyppolite: «un grande assente è stato costantemente presente» nel corso della sua lezione inaugurale al Collège de France279, ovvero Merleau-Ponty. Se Guéroult aveva contribuito a rinnovare la

relazione tra filosofia e sistema, il secondo rimetteva in questione quella tra senso ed esistenza. Attraverso una «filosofia della mediazione», l’originalità di Merleau-Ponty, così com’era stato interpretato da Hyppolite, «è d’aver fatto della riflessione del filosofo una riflessione insieme trascendentale e ontologica»280, che non può rinunciare alla divisione tra lo spirito e il suo oggetto281 e ad un’esistenza intesa proprio «come mondo e fatto di essere al mondo».

277 Cfr. A.-A. Devaux, Existence et Vérité. À propos de la leçon inaugurale de M. Jean Hyppolite au Collège de France (16 décembre 1963), in Revue Philosophique de Louvain, Troisième série, tome 62, n.73, 1964. pp. 152-155, cit. p. 153, trad. italiana mia.

278 M. Foucault, Jean Hyppolite. 1907-1968, cit., p. 781, trad. italiana mia.

279 J. Hyppolite, Leçon inaugurale au Collège de France (19 décembre 1963), in Figures de la pensée philosophique, Parigi, P.U.F., coll. Épiméthée, 1971, t. II, pp. 1003-1028.

280 A. -A. Devaux, op. cit., pp. 153-54, trad. italiana mia.

281 «Eloignée d'une philosophie de l'intuition, telle que celle de Bergson où se réalise une coïncidence comparable à celle que Bergson lui-même discernait chez Spinoza, «entre l'acte par lequel notre esprit connaît parfaitement la vérité et l'opération par laquelle Dieu l’engendre», la philosophie de Merleau- Ponty est philosophie de la «non-coïncidence», où le visible se double d'un invisible, car l'être est caché par nature, le partiel est dans l'être même», A-. A. Devaux, op. cit., p. 154.

La lettura di Hyppolite del fenomenologo francese fa di quest’ultimo il suo importante antecedente per la fondazione di un’autentica “ontologia della finitudine”: il suo progetto consisterebbe infatti

nel individuare il pensiero “allo stato nascente nella non filosofia” e di cercare ciò che lega la filosofia alla vita non filosofica, nella convinzione che il filosofo ha per vocazione quella di unire la preoccupazione della dimostrazione rigorosa al desiderio del contatto con la vita282.

La relazione trascendentale con l’essere non è separabile dall’esistenza ed in questo Hyppolite farebbe propria la lezione hegeliana «che chiama la filosofia a decifrare l’esperienza umana»: contrario all’idea di una philosophia perennis e alla possibilità di stabilire un discorso sull’essere a priori rispetto alla scienza del mondo283, un’ontologia com’era quella della filosofia antica, «Hyppolite intende legare meglio tra loro la riflessione filosofica sull’essere e il pensiero dell’esistenza quale relazione immediata con la vita, col mondo, con l’altro»284.

Ponendosi tra logica ed esistenza, quella di Hyppolite «può essere letta anche come una fenomenologia del rigore filosofico, o come un’ epistemologia dell’esistenza pensata filosoficamente»285, finalizzata a mettere in luce «il punto in cui il tragico della vita trova senso in un Logos, dove la genesi del pensiero diventa struttura di un sistema, o l’esistenza stessa si trova articolata in una Logica»286.

Dunque, pensare filosoficamente, vivere filosoficamente, “essere” filosoficamente: la filosofia per Hyppolite rappresenta una specifica chiave di lettura dell’esperienza che si delinea, da un lato, rispetto al mondo degli oggetti esteriori, il cui volgersi determina il suo aspetto pratico, dall’altro, proprio a partire dall’interno di tutto ciò che essa non è

282 A.- A. Devaux, op. cit., p. 154, trad. italiana mia.

283 Nei suoi interventi, riportati in A. Badiou, G. Canguilhem, D. Dreyfus, J. Hyppolite, P. Ricoeur Philosophie et vérité, (in Pédagogiques de la radio-télévision scolaire, 27 mars 1965, pp. 1-11), Hyppolite afferma: «Serions-nous d'accord pour dire: il n'est plus possible, aujourd'hui, d'avoir une pensée philosophique qui ressemble à l'ontologie ancienne, c'est-à-dire à une théorie préalable de l'Être; que, donc, il n'y a plus de théologie: qu'il n'y a plus de catégories objectives préexistantes à la science, substituables à une pensée révolutionnaire active?», «mais ce que je voulais éviter, c'est une conception des problèmes philosophiques tirée d'une philosophia perennis à laquelle je ne crois pas». O ancora in A.- A. Devaux, op. cit., p. 153: «M. Hyppolite se refuse à juger cette opposition au nom d'une philosophia perennis (à la manière de M. Etienne Gilson) aussi bien qu'en fonction de quelque «vérité finale» (à la manière hégélienne)».

284 A.- A. Devaux, op. cit., p. 154, trad. italiana mia.

285 M. Foucault, Jean Hyppolite. 1907-1968, cit., p. 783, trad. italiana mia. 286 Ibidem.

ma «che già abita silenziosamente»287. Un’attitudine che non può darsi uno statuto se

non nell’esistenza e per essa.

La stessa scienza avrebbe bisogno della filosofia per svilupparsi e non perdere la sua tensione a riunire gli esseri umani, restituendole quel terreno esistentivo fondamentale, quel legame con l’uomo che può garantirle universalità e rigore, anziché diventare eccessivamente particolaristica e culturale288.

In un dialogo con Canguilhem, durante un incontro avvenuto nella seconda metà degli anni ’60 sul tema della verità nel rapporto tra la filosofia e le altre scienze, Hyppolite afferma che

vi è un fondamento, un territorio che appartiene alla filosofia, sebbene non si possa distinguere se si tratti di verità o di una verità. Ed è l’esplorazione di questo territorio che è attualmente in questione, e il nome che noi andremo a dargli… l’esplorazione di questo di questo territorio a partire dal quale le scienze si sviluppano rompendo con esso, e al quale occorrerà pur ritornare quando vorremo valutare la diversità delle scienze in rapporto all’esistenza umana289.

Il dominio scientifico e quello filosofico devono combinarsi: se da una parte le scienze si particolarizzano e si intrecciano l’un l’altra innescando così la necessità di ritrovare il loro fondamento con l’aiuto della filosofia, quest’ultima, dall’altra, non può esimersi dai bisogni del suo tempo «e deve riconoscere e accettare la mutazione della sua situazione nella cultura». A ciò si deve probabilmente la decisione dello studioso di cambiare il nome del corso di studi da lui ereditato al Collège de France, da quello di “histoire de la

philosophie” a “histoire de la pensée philosophique”. Infatti se «la storia della filosofia

corre il rischio di chiudere le filosofie su loro stesse o sui rapporti privilegiati che affermano di sostenere a vicenda», «la storia del pensiero filosofico affronta la difficoltà di aprire costantemente la filosofia alle forme della cultura da cui si separa senza ignorarle, preservando la sua autonomia senza vantarsi della sua indipendenza»290. L’analisi filosofica deve poter guardare ad ogni campo capace di darle contenuti, avvalendosi per questo anche di un linguaggio accessibile, che riesca a tradurre le

287 M. Foucault, Jean Hyppolite. 1907-1968, cit., p. 783, trad. italiana mia.

288 «Plus la science deviendra culturelle, moins elle sera cosmique et totale, plus il y aura besoin de philosophie pour rassembler les hommes. La philosophie sera d'autant plus indispensable que la science sera plus vraie, plus rigoureuse, plus technique, dans un domaine spécial.», A. Badiou, G. Canguilhem, D. Dreyfus, J. Hyppolite, P. Ricoeur, Philosophie et vérité, cit., pp. 1-11.

289 Ivi, p. 2, trad. italiana mia.

290 G. Canguilhem, F. Brunner, La vie philosophique, in Revue Internationale De Philosophie, vol. 23, n. 90 (4), 1969, pp. 548–551, cit. pp. 549-50, trad. italiana mia.

verità, persino quelle tecniche, in qualità di luogo di incontro e connessione di quest’ultime.

Hyppolite non mancherà di dire che «una grande filosofia è una filosofia che è in grado di tradursi in un certo modo nel linguaggio comune di tutti» e che «il carattere acuto de genio filosofico […] è di entrare in contatto con la sua epoca, non attraverso un lavoro da epigoni, ma per un contatto profondo con ciò che l’epoca comincia a balbettare»291.

Rientra in questo progetto di comunicazione filosofica profonda il fatto, riportato anche dall’amico e collega Canguilhem, che Hyppolite avesse inserito, all’interno della Prefazione alla sua traduzione della Fenomenologia dello spirito292, la premessa secondo la quale un lavoro completo su questa grande opera hegeliana avesse portato con sé la necessità della sua traduzione, per favorire il confronto e la verifica del suo stesso commento293: «c’est en préparant un travail d’ensemble sur la Phénoménologie

que nous avons été conduit à rédiger cette traduction»294.

Tale affermazione, non solo testimonia una certa volontà di Hyppolite di mettere a disposizione uno spazio di confronto e libertà attraverso il lavoro filosofico, ma anche un particolare sforzo in direzione di una filosofia chiara per tutti, capace di contribuire ad una riflessione meno elitaria, più comune e partecipativa295.

Hyppolite sceglie Hegel quando gli intellettuali francesi sono radicalmente divisi nella recezione del filosofo tedesco, rimasti per lungo tempo invischiati in uno stato di diffidenza nei confronti del sistema hegeliano, quello dell’Enciclopedia «la cui conoscenza sembra pretendere di generare, dentro e attraverso la sua stessa astrazione, l'intero contenuto dell'essere, della natura»296, preferendo ad esso il rigore dell’universalismo kantiano.

Assieme a lui, in questi anni, molti tra disprezzo e fascino, si accostano ad Hegel per reintrodurlo in Francia297 causando quella che è stata definita una “Hegel Renaissance”,

291 A. Badiou, G. Canguilhem, D. Dreyfus, J. Hyppolite, P. Ricoeur, Philosophie et vérité, cit., p. 8, trad. italiana mia.

292 Come riporta Bianco, La Phénoménologie de l’esprit sarà pubblicata per la prima volta in francese, in due tomi, nel 1939 e nel 1941, nella collana Philosophie de l’esprit diretta da L. Lavelle e R. Le Senne. 293 J. Hyppolite, Genèse et structure de la phénoménologie de l’esprit de Hegel, Aubier, Parigi 1946. 294 G. Canguilhem, M. Foucault, Jean Hyppolite (1907-1968), in Revue de métaphysique et de morale, 74e année, n. 2, pp. 131-136, cit. p. 130.

295 Questo sforzo inesauribile di chiarezza si ritrova anche nel «commento perpetuo», fatto di «note particolarmente chiarificatrici» che Hyppolite aggiunge alla sua traduzione della Fenomenologia. (Cfr. G. Bianco, Jean Hyppolite, entre structure et existence, p. 36).

296 B. Bourgeois, Jean Hyppolite et Hegel, in Les Études Philosophiques, no. 2, 1993, pp. 145–159, cit. p. 147, trad. italiana mia.

297 «Méprisé par Brunschvicg, mais placé par les surréalistes au panthéon des auteurs les plus importants pour la nouvelle génération intellectuelle, Hegel avait fait l’objet d’une tentative de réintroduction en

dopo una scomparsa «proprement scandaleuse» del filosofo dalle università francesi, all’epoca, a detta di Raymond Aron, basate «sul principio assurdo di preparazione finalizzata ad esami e concorsi» e per questo, «ripiegate su loro stesse»298.

Ma quello di Hyppolite sembra da subito un approccio rivoluzionario: come riporta ancora Canguilhem, in un articolo pubblicato nel 1948 nella Revue d’histoire et de

philosophie religieuses299, il suo lavoro si distingue da quelli dei suoi contemporanei per non essere declinato a scopi estrinseci rispetto alla comprensione dell’opera e per il suo rifiuto di adottare lo stesso testo hegeliano a sostegno di questa o quell’altra tesi300. Al contrario, Hyppolite, vuole offrire al suo pubblico una reale apertura al pensiero dell’autore perché anche lui possa partecipare, «come parte integrante», al suo tentativo di fare del testo hegeliano «lo strumento di una riflessione filosofica effettiva, sempre attuale», e di Hegel il testimone e lo strumento di un pensiero in atto301, condividendo con il lettore la responsabilità di essere più fedele possibile alla sua parola302.

Citando il collega, il merito di Hyppolite sarebbe quello di «aver permesso l’apertura di una serie di problemi filosofici concreti»303. Infatti, la “ritrovata novità” hegeliana, utile

France: par Jean Wahl qui avait publié, en 1929, Le Malheur de la conscience dans la philosophie de Hegel et, peu après, par Henri Lefebvre et le groupe de jeunes philosophes marxistes réunis dans la Revue marxiste et dans Avant-poste. En 1932, dans le numéro un de la revue Méthode […] paraît un court texte de Raymond Aron, écrit en réponse à l’enquête sur les études hégéliennes que Lefebvre avait lui-même lancée dans la revue Université syndicaliste afin de réagir au “Rapport sur l’état des études hégéliennes en France” qu’Alexandre Koyré avait rédigé en 1930», G. Bianco, Jean Hyppolite, entre structure et existence, cit., p. 11.

298 Cfr. G. Bianco, Jean Hyppolite, entre structure et existence, cit., p. 12; il virgolettato è tratto da R. Aron, À propos d’une enquête, in Méthode. Revue de l’enseignement philosophique, n. 1, mai, Parigi 1932, pp. 28-30, trad. italiana mia

299 G. Canguilhem, Hegel en France, in Revue d’histoire et de philosophie religieuse, t. 28, n. 4, 1948- 1949, p. 294; Magazine littéraire, n.i 290-294, 1991.

300 Come ci riporta Bianco, Canguilhem si riferisce in particolare a La Médiation dans le système de Hegel di R. P. Niel e a l’Introduction à la lecture de Hegel d’A. Kojève, nei quali l’autore nota «lo sforzo di recuperare il pensiero hegeliano, messo a servizio, in un caso, di un tentativo di rinnovamento della teologia cattolica, e nell’altro, di un’impresa di legittimazione teorica del concetto politico di lotta delle classi basata su un’antropologia atea della finitudine, rapportate in entrambi i casi a delle questioni di propaganda che richiedevano una notevole, e senza dubbio eccessiva, libertà rispetto alla letteralità del testo hegeliano come un pretesto piuttosto che come un oggetto», G. Bianco, Jean Hyppolite, entre structure et existence, cit., p. 34, trad. italiana mia.

301 Cfr. G. Bianco, Jean Hyppolite, entre structure et existence, cit., p. 37.

302 A tal proposito mi sembrava opportuno citare lo stesso Hyppolite che nell’Avvertissement du traducteur, all’inizio della sua traduzione della Phénoménologie, scrive: «Une traduction est sans doute une interprétation, mais en tant que traduction elle ne saurait être un commentaire; et on risque, en commentant le mot au lieu de le traduire, d'alourdir le texte et d'ajouter encore des difficultés et des obscurités», G. W. F., Hegel, J. Hyppolite (trad. francese a cura di), La phénoménologie de l'esprit, Aubier, Éditions Montaigne, Parigi 1939, p. VII.

a combinare insieme l’esigenza di «rinnovamento delle istituzioni e (quella) di rigore filosofico e storico»304, promette un ritorno alla «conquête du concret»:

La Phénoménologie vaut par son contenu, et on doit se plonger en lui. Elle est