Sotto la guida di Hyppolite e Canguilhem, alla fine degli anni quaranta, Deleuze comincia a preparare la sua tesi di dottorato su Hume. Essa verrà resa nota col titolo di
Empirismo e soggettività nel 1953, solamente un anno dopo la pubblicazione del suo
lavoro, in collaborazione con André Cresson, David Hume, sa vie, son œuvre, avec un
exposé de sa philosophie369.
Empirismo e soggettività, come abbiamo avuto modo di constatare tramite diversi
studi370, è un testo che Deleuze costruisce sulla base di alcune caratteristiche che, secondo l’autore, un’opera filosofica, per definirsi tale, deve assolutamente soddisfare. Si tratta quasi di un elenco programmatico, ben esposto in una corrispondenza privata di Deleuze negli anni ´80, e riportata da Arnaud Villani, secondo cui il senso di ogni testo filosofico è dato dal fatto che esso nasce, rispetto a testi precedenti che vertono sullo stesso oggetto, sia per correggere un errore che ha deviato l’interpretazione di tale oggetto, sia per segnalare, al suo interno, l’assenza di alcuni elementi ai quali si vorrebbe dare nuova luce; dal punto di vista più creativo invece, la sua liceità, dipende dalla pretesa del suo autore di poter generare, attraverso la sua scrittura, nuovi concetti. Riportando le parole dello stesso Deleuze: «bien sûr, c'est le minimum quantitatif: une erreur, un oubli, un concept»371.
Tra i molti lavori dedicati a Hume, la scelta di analizzare in modo particolare
Empirismo e soggettività, e nella seconda parte di questo paragrafo, dedicata a Bergson, Il bergsonismo, rispetta la volontà alla base del nostro studio, di conoscere più da vicino
il metodo deleuziano, in quanto, in entrambi i casi, di tratta di opere estremamente ricche di indicazioni che lo riguardano.
Pertanto sembrava opportuno ripartire proprio da quella griglia valutativa, e di autovalutazione, dei testi filosofici, per analizzare uno dei temi principali che il nostro autore affronta nella sua tesi di dottorato, ovvero quale sia il modo corretto di obiettare ad un’opera, e dunque ancor prima, quale sia il modo giusto di leggerla perché sia possibile discuterne la veridicità.
369 A. Cresson, G. Deleuze, David Hume, sa vie, son œuvre, Puf, Parigi 1952.
370 Cfr. F. Dosse, Gilles Deleuze and Félix Guattari, Intersecting Lives, cit.; J. Canavera, Hume en Deleuze: los primeros lineamientos del empirismo trascendental, in Logos. Anales Del Seminario de Metafísica, Universidad Complutense de Madrid, Madrid 2012, vol. 45, pp. 123-144; A. Villani, La guêpe et l’orchidée. Essais sur Gilles Deleuze, Éditions Belin, Parigi 1999.
Una giusta obiezione, l’unica che può costituire la valida ragione interna di ogni critica filosofica, presuppone uno specifico atteggiamento nei confronti del testo. Esso va infatti interrogato a livello delle domande che tenta di articolare, non in base alle sue risposte: «bisogna comprendere una teoria filosofica a partire dal suo concetto». Ogni teoria filosofica, in quanto «domanda sviluppata», non consiste nella risoluzione di un problema, «ma nello sviluppare fino all’estremo le implicazioni necessarie di una domanda formulata», la quale, solo se posta in maniera «giusta e rigorosa»372, fa emergere un certo stato di cose.
La filosofia ha dunque per Deleuze la capacità, nonché il dovere, di sottoporre il reale alle sue domande, ai suoi problemi, perché esso possa risponderle rivelando «un’essenza, una natura». La vera critica coincide dunque con la valutazione attenta di questa domanda che subordina la realtà, perché si possano comprendere le condizioni per le quali è stata posta e il modo in cui, questa stessa sottomissione, ha agito.
Ne consegue che «in filosofia, la domanda e la critica della domanda fanno tutt’uno: o se si preferisce, non può darsi una critica delle soluzioni, ma solo una critica dei problemi»373.
Cercando di analizzare meglio la questione, bisogna chiedersi in che rapporti siano quindi la teoria e la sua critica, rispetto al reale, e proveremo a comprenderli sciogliendo il complesso discorso di Deleuze in vari passaggi.
Innanzitutto criticare una teoria significa criticare il modo in cui essa interroga il reale, con il quale lo forza a rispondere, che significa, a sua volta, vagliare le condizioni per cui questo problematizzare è stato posto. Solo dopo aver rintracciato tali condizioni, sarà possibile obiettare e formulare una nuova teoria che dovrà riconciliare, in sé, la critica delle condizioni precedentemente poste e una loro nuova articolazione, nuovi concatenamenti.
Nel grande laboratorio che è il mondo degli oggetti e delle relazioni, se ogni teoria si costruisce attorno ad una forzatura delle cose, le quali interagiscono con essa, concretizzandola, mettendola alla prova, la critica consisterà nell’osservazione di tale assoggettamento, che è già di per sé un esame, una verifica delle premesse scelte da tale teoria a discapito di altre.
372 G. Deleuze, Empirismo e soggettività, saggio sulla natura umana secondo Hume, Cappelli Editore, Bologna 1981, p. 114.
Infatti «una scelta si definisce sempre in funzione di ciò che esclude, un progetto storico è una sostituzione logica»374, in un sistema in cui critica e teoria convergono nel
medesimo movimento attento di costruzione del progetto filosofico, a partire dalla domanda che lo origina, e di valutazione di questo stesso movimento.
Poiché non tutte le obiezioni alle teorie filosofiche seguono questo iter, poche possono ritenersi accettabili:
le obiezioni filosofiche sono di due generi. Le une, la maggior parte, di filosofico non hanno che il nome. Esse consistono nel criticare una teoria senza considerare la natura del problema al quale essa risponde375.
Solo la ricerca del problema, e qui emerge forse la grande eredità gueroultiana, «nel quale trova il suo fondamento e la sua struttura», l’obiezione può dirsi propriamente filosofica. Prevale in Deleuze quell’impostazione filosofica dedita al dispiegamento delle ragioni interne e alla ricerca, anche se risemantizzata, del sistema in filosofia, perché quest’ultima possa essere riletta a partire delle sue connessioni profonde piuttosto che dalla «fittizia psicologia delle intenzioni» del filosofo che, spinto da un suo «gusto particolare» o dallo «spirito del suo tempo», l’avrebbe prodotta. Tale atteggiamento ha fatto sì che la critica filosofica si riducesse ad una semplice critica delle intenzioni, per la quale «ciò che un filosofo dice, viene presentato come se fosse ciò che fa o ciò che vuole»376: nulla di più distante dall’intento riparatore di Deleuze. Ritrovare il valore dell’enunciato filosofico, la vera critica, quella per la quale ogni teoria filosofica «deve essere compresa a partire dal concetto», in Empirismo e
soggettività, assume un valore particolare per Hume, in quanto potrebbe, in un certo
senso, redimerlo dall’accusa di aver «atomizzato il dato»377.
Ritorniamo allora al problema. Qual è quello posto da Hume? E in quali domande esso si articola?
Innanzitutto, secondo Deleuze, Hume si chiede «in che modo la mente diviene natura
umana»378 partendo dal presupposto che la mente, lungi dall’essere in sé una natura, lo
diviene per la sua caratteristica principale di essere affetta.
374 G. Deleuze, Empirismo e soggettività, cit., p. 7. 375 Ibidem.
376 Ivi, p. 113. 377 Ibidem. 378 Ivi, p. 7.
Alla base di ogni scienza dell’essere umano, e dunque di un possibile soggetto umano, Hume pone infatti una passione: convenzionalmente si pone che «l’affezione passionale e sociale è soltanto una parte della natura umana» e che dall’altra parte regni l’intelletto, ma, benché per il filosofo scozzese le due cose vengano presentate come distinte, egli arriva a mostrare che «in sé l’intelletto non è che il movimento della passione che si fa sociale». Questo accostamento si basa sull’identità che egli pone tra l’idea, come «dato in quanto dato, [..] esperienza», l’immaginazione, intesa come la collezione vaga di queste idee e non come la facoltà di formarle, e la mente379.
L’immaginazione inizialmente non è che il luogo delle azioni e reazioni delle idee, simile ad una «collezione senza album, rappresentazione senza teatro ovvero un flusso di percezioni», la quale però diventa natura umana attraverso dei principii che la superano e che le suggeriscono una certa coerenza ed uniformità che, inizialmente, non le competono. Quest’ultime infatti sono date a posteriori, da un tipo d’associazione che oltrepassa l’immaginazione, che l’affetta e la modifica, trovando in essa non l’origine, ma il suo termine e il suo oggetto: «l’associazione è una qualità che unisce le idee, non una qualità delle idee in se stesse».
La credenza fa sì che l’ipotesi humiana proceda nell’affermazione, molto cara a Deleuze, che il soggetto «è, nella mente, l’effetto di principii che oltrepassano la mente, che la modificano»380.
Come scrive Manola Antonioli, in Deleuze et l’histoire de la philosophie, il nostro autore «trova l’essenza dell’empirismo nel problema della soggettività e il soggetto in Hume è la sua capacità di credere e inventare: la credenza è il fondamento del soggetto conoscente, l’invenzione il fondamento del soggetto morale e politico»381. Tralasciando
per ora l’invenzione, sembra che la credenza, con la sua straordinaria capacità di conferire «all’idea dell’oggetto ̶ un oggetto non direttamente sperimentato, non dato
dalla mente
̶
una solidità, un’oggettività che questa non avrebbe se esso fosse associato all’impressione presente soltanto per contiguità e somiglianza», attraverso il «privilegio della causalità», costituisca la prova del secondo aspetto della soggettività humiana, quello che all’apparenza renderebbe contradditorio il suo empirismo. In questione è la capacità della natura umana, e poi del soggetto, di «oltrepassare il dato», «ciò che la mente gli dà», nel momento stesso in cui crede in qualcosa. Il funzionamento della379 Cfr., G. Deleuze, Empirismo e soggettività, cit., pp. 8-9. 380 Ivi, p. 10.
causalità si spiega infatti attraverso la sua proprietà di fondere nell’immaginazione quei casi simili, che restano distinti nell’intelletto e che sono acquisiti attraverso l’esperienza, fino a permettere l’inferenza «da qualcosa che mi è data all’idea di qualche cosa che non mi è mai stata data, o addirittura che non può essere data nell’esperienza»382.
In questo avvicendarsi di principii, in particolare quello di abitudine e quello di esperienza, «che mette la credenza alla base a al principio della conoscenza» e permette di considerare il soggetto nella sua duplice tensione, apparentemente contraddittoria, di darsi nel dato e superarlo, consiste una delle grandi conquiste dell’empirismo di Hume, tale da eliminare il trascendentale dalla sua descrizione: «è proprio perché la natura umana nei suoi principii oltrepassa la mente, che niente nella mente oltrepassa la natura umana; non vi è niente di trascendentale»383. Non esiste alcun soggetto preliminare. Naturalizzando il limite e il suo superamento, Hume porta alle estreme conseguenze il tentativo di «una filosofia come scienza dell’uomo», che non è ricerca di cause ma esame degli effetti384, poiché è proprio la capacità della mente di essere affetta a costituirne la condizione necessaria.
Considerato questo, l’analisi di Deleuze può procedere oltre, sottoponendo la teoria ad un’altra domanda: «finora abbiamo mostrato soltanto che il problema della filosofia di Hume era questo: in che modo la mente diviene una natura? Ma perché è questo?». Per sviluppare questo interrogativo, il nostro autore deve spostarsi sul piano dei fatti: «Quid facti? Qual è il fatto della conoscenza?»385, il dato è esperienza o il suo
superamento?
L’esperienza assume ora due significati opposti […] il dato è l’idea così come è data nella mente, senza alcunché che la oltrepassi […]. Ma il superamento stesso è il dato, in tutt’altro senso e in tutt’altra maniera, come pratica, come affezione della mente, come impressione386.
Questo non è un semplice enunciato, è un criterio di selezione: la scienza incapace di cogliere questo doppio non potrà che essere definita una cattiva psicologia: «la vera psicologia, quella delle affezioni» sarà in ogni suo momento raddoppiata, e necessariamente, «dalla critica di una falsa psicologia» attraverso cui
382 G. Deleuze, Hume, in Gilles Deleuze. L’isola deserta e altri scritti. Testi e interviste 1953-1974, cit., pp. 205-6.
383 G. Deleuze, Empirismo e soggettività, cit., p. 10. 384 Ibidem.
385 Ivi, p. 14. 386 Ivi, p. 15.
esprimere il superamento di un’idea, produrre la contraddizione, manifestare l’incompatibilità come fatto della conoscenza. […] La mente è nello stesso tempo l’oggetto di una critica e il termine di un riferimento necessario. Da qui la necessità della critica387.
In Empirismo e soggettività potremmo ritrovare le prime manifestazioni di quella che Deleuze ha considerato la vera critica, un elemento radicale e potremmo dire onnipresente nei suoi lavori, associata ad una lotta contro il negativo al fine di «fondare una teoria positiva dell’organizzazione etica e sociale»388. Come abbiamo potuto
leggere, la critica che Deleuze ritrova in Hume è rigorosa e punta allo sviluppo delle contraddizioni interne e all’analisi degli elementi negativi, affinché siano posti nuovamente, ma trasformati, rischiarati dal loro interno, mostrati per il movimento intestino che sottendono, e non semplicemente dati.
L’ideale di critica che porta a Nietzsche, annunciatore della forza creatrice e della rinuncia ad ogni compromesso teorico e falso contenuto389, passa attraverso la delusione nei confronti della critica kantiana, che si riverbera anche nel confronto con Hume. Il nostro autore, pur definendo le obiezioni kantiane quelle di un grande filosofo, marca le differenze tra il suo metodo di indagine, che definisce propriamente critico, e quello espresso attraverso il commento del filosofo tedesco, in questo modo:
a noi basta sapere che l’empirismo è definibile, che si definisce solo attraverso la posizione di un problema preciso e attraverso la presentazione delle condizioni di questo problema. Nessun’altra definizione è possibile. La definizione classica dell’empirismo, proposta dalla tradizione kantiana, è: teoria secondo cui la conoscenza non solo comincia con l’esperienza, ma ne deriva390.
Ogni filosofia comincia con l’esperienza ma l’empirismo, così descritto, avrebbe solamente il valore aggiunto di derivare interamente da essa. Una definizione tiepida, secondo Deleuze, che evita solo il controsenso di definirlo a partire da ciò che già gli appartiene in quanto filosofia, ma che basta a caratterizzarlo come specifico metodo di indagine. Infatti, tale definizione, risulta insufficiente
387 G. Deleuze, Empirismo e soggettività, cit., p. 15.
388 M. Hardt, G. De Michele (trad. italiana a cura di), Gilles Deleuze. Un apprendistato in filosofia, DeriveApprodi, Roma 2016, p. 21.
389 Cfr. J. –N. Vuarnet, G. Deleuze, Entretien avec Gill Deleuze, in Les lettres françaises, n. 1223, 28 febbraio – 5 marzo, 1968, pp. 5, 7, 9, trad. italiana a cura di D. Borca, in Gilles Deleuze. L’isola deserta e altri scritti. Testi e interviste 1953-1974, pp. 167-176.
innanzitutto perché la conoscenza non è per l’empirismo la cosa più importante, ma solo il mezzo di un’attività pratica, e poi perché l’esperienza non ha per l’empirista, e per Hume in particolare, quel carattere univoco e costituente che le si attribuisce391.
Ciò si sposa benissimo con l’inclinazione di Deleuze al quale, come spiega Godani, «non interessa un empirismo praticato come mera descrizione dell’esperienza, bensì un empirismo superiore capace di sperimentare condizioni differenti da quelle che determinano il mondo del senso comune»392.
L’esperienza, in nessuna delle definizioni di Hume, può dirsi costituente:
se chiamiamo esperienza la collezione delle percezioni distinte, dobbiamo riconoscere che le relazioni non derivano dall’esperienza; esse sono l’effetto dei principii di associazione, dei principii della natura umana la quale, nell’esperienza, costituisce un soggetto capace di oltrepassare l’esperienza. E se usiamo il termine nel suo secondo significato, per designare le diverse connessioni degli oggetti del passato, dobbiamo ancora una volta riconoscere che i principii non provengono dall’esperienza, poiché, al contrario, è l’esperienza che deve essere compresa come un principio393.
L’empirismo humiano offre dunque l’occasione di comprendere, quasi paradossalmente, l’insufficienza dell’esperienza sia nella costituzione del dato che in quella del soggetto, tale che «l’empirismo potrà essere pensato solo con un dualismo», dove la dualità «è tra i termini e le relazioni, o più esattamente tra le cause delle percezioni e le cause delle relazioni, tra i poteri nascosti della Natura e i principii della natura umana». Il problema del rapporto tra questi poli, che «dovrà essere pensato come un accordo»394, è ciò che dà all’empirismo una metafisica.
Su questo terreno si gioca per Deleuze la partita della differenza tra il criticismo, il cui portavoce è Kant, e l’empirismo. Come dimostra la critica kantiana alla teoria humiana, secondo la quale il dualismo di Hume «obbligava a concepire il rapporto tra il dato e il soggetto come un accordo del soggetto con il dato»395, pur avendo posto giustamente il problema della conoscenza sul piano dell’immaginazione, questa visione non riuscirebbe a spiegare come il soggetto riesca ad accordarsi con il dato, che non è una
391 G. Deleuze, Empirismo e soggettività, cit., pp. 115-16. 392 P. Godani, Deleuze, Carocci, Roma 2009, p. 32.
393 G. Deleuze, Empirismo e soggettività, cit., p. 116, Deleuze cita Trattato della natura umana, in Opere filosofiche, vol. I, Laterza, Roma-Bari 1987, p. 277.
394 G. Deleuze, Empirismo e soggettività, cit., p. 119. 395 Ibidem.
cosa in sé, senza presupporre una sintesi a priori già in atto nelle cose stesse, i fenomeni, senza preventivare «una sintesi che ha la stessa origine delle relazioni».
In Kant, l’esigenza del trascendentale si lega alla necessità degli oggetti della conoscenza, poiché da essi dipende ogni relazione. Al contrario, ed è questo ciò che fa della teoria di Hume una teoria propriamente empirista, per il filosofo scozzese «niente del pensiero oltrepassa l’immaginazione, niente è trascendentale, poiché questi principii sono unicamente principii della nostra natura», la quale si accorda con il dato secondo il principio di finalità. Inoltre tale accordo «si presenta a noi attraverso tante diverse espressioni», ciascuna delle quali corrisponde «ad un momento del soggetto, a una tappa, a una dimensione»396.
Il soggetto humiano si presenta come un progetto in fieri, ma cosa unisce questi suoi diversi momenti? «Il soggetto è l’effetto dei principii nella mente, non è altro che la mente in quanto attività, […] è la mente attivata dai principii», i quali agiscono su di essa come «impressioni di riflessione». Quest’ultime procedono, a loro volta, dalle impressioni di sensazione attraverso un principio comunque esterno, ma diverso da quelli di associazione indicati da Hume: continuità, rassomiglianza, causalità «conferiscono una costanza alla mente, la naturalizzano», occupandosi «in modo particolare» di ciò che la riguarda solo rispetto alla «contiguità ai sensi; la causalità al tempo; la rassomiglianza all’immaginazione»397.
Al contrario, l’aspetto selettivo e produttivo di questo processo, spetta all’«affettività, la circostanza»398 che, all’occorrenza, come dimostra la credenza, unisce arbitrariamente alcune impressioni di sensazioni che producono quelle di riflessione.
Sembra dunque che tra le due tipologie di impressione vi sia una differenza di ruolo rispetto alla costruzione della mente e, nello specifico, della mente che dice io:
se la passione può secondo le circostanze particolari e i bisogni del momento, sostituire i principii di associazione nel primo loro ruolo […] selettivo, è perché questi principii non selezionano le impressioni di sensazione senza essere già per conto loro sottomessi alle necessità della vita pratica […]. In conclusione, i
principii della passione solo assolutamente primi. Tra l’associazione e la passione c’è il medesimo rapporto che tra il possibile e il reale, una volta stabilito che il reale precede il possibile399.
396 G. Deleuze, Empirismo e soggettività, cit., pp. 119-20. 397 Ivi, p. 104.
398 Ivi, p. 123.
Da qui l’implicazione fondamentale: se «l’associazione dà al soggetto una struttura possibile, solo la passione gli dà un essere, un’esistenza», tant’è che il ruolo dell’associazione delle idee non è che quello di essere lo strumento utile, al soggetto pratico, per realizzare i suoi fini reali che «sono tutti di ordine passionale, morale, politico, economico»400.
Il soggetto inteso da Hume, prima di conoscere, crede; prima di essere e agire come soggetto, patisce in quanto mente che, attraverso l’azione dei principii, si attiva e gradualmente diviene tale; allo stesso modo il dato, inteso come «collezione d’impressioni e d’immagini, un insieme di percezioni», «questo insieme di ciò che appare, l’essere uguale all’apparenza, è il movimento, il cambiamento, senza legge né identità»401.
L’empirismo humiano dà a Deleuze l’occasione di rivalutare la domanda sulla soggettività, del suo rapportarsi con l’oggetto, in termini di movimento, di divenire e di