Le generalità. L'agricoltura emiliano - romagnola riveste una grande rilevanza in ambito sia nazionale che regionale. In poche altre regioni troviamo una presenza dell'agricoltura che abbia lo stesso significato in termini di reddito, ma anche di integrazione nelle dinamiche di sviluppo dell'economia regionale nel suo complesso. La peculiarità più rilevante del settore primario è rappresentata dalla sostanziale tenuta della produzione nonostante i profondi cambiamenti in atto nella struttura produttiva.
Il settore agricolo perde, infatti, costantemente addetti, senza che il fenomeno incida proporzionalmente sulla capacità di produrre. In Emilia – Romagna, secondo la nuova serie dei conti economici elaborati da Istat, tra il 2001 e il 2005 il peso del settore primario sul totale del valore aggiunto regionale ai prezzi di base, compresa silvicoltura e pesca, è diminuito in termini reali dal 3,5 al 3,0 per cento, in proporzioni inferiori rispetto al calo dal 6,6 al 5,2 per cento della quota delle corrispondenti unità di lavoro sul totale regionale. Questo andamento ha sottinteso, nello stesso arco di tempo, una crescita reale della produttività per unità di lavoro, rappresentata da un incremento medio annuo del 4,4 per cento (+3,6 per cento in Italia), a fronte della leggera diminuzione dello 0,2 per cento del totale dell'economia (+0,0 per cento in Italia). Il miglioramento della produttività dipende da svariati fattori: tecniche di coltivazione sempre più moderne, mezzi di produzione (sementi, concimi ecc.) in grado di aumentare le rese, impiego di macchine sempre più moderne in grado di accrescere la produttività, economie di scala consentite dagli accorpamenti aziendali.
Quest’ultimo fenomeno è tra le cause della costante diminuzione delle aziende.
I dati definitivi del Censimento dell’agricoltura 2000 hanno evidenziato un calo della consistenza delle aziende agricole, in linea con quanto avvenuto nel Paese. Dalle 174.767 e 150.736 aziende censite rispettivamente nel 1982 e 1990 si è scesi alle 107.787 del 2000. In termini di superficie totale da 1.711.888,94 ettari del 1990 si è passati a
1.465.277,56 del 2000. Un analogo calo ha riguardato la superficie agricola utilizzata scesa da 1.232.219,57 a 1.114.287,92 ettari. La superficie agricola utilizzata media per azienda è tuttavia aumentata da 8,17 a 10,34 ettari.
Nell’arco di un decennio sono “scomparsi” più di 246.000 ettari di superficie agraria, che sottintendono un “consumo”
del territorio che si può in gran parte attribuire al processo di urbanizzazione. Sotto questo aspetto, giova sottolineare che tra il 1990 e il 2000, il territorio dell’Emilia-Romagna ha assorbito più di 202 milioni di metri cubi di nuovi fabbricati, senza considerare gli oltre 64 milioni e mezzo di ampliamenti. Tra il 2000 e il 2004, secondo la nuova serie Istat dell’attività edilizia realativa ai permessi di costruire, i fabbricati nuovi residenziali e non, compresi gli ampliamenti, si sono estesi su di una superficie pari a oltre 33 milioni e 200 mila metri quadrati, equivalenti al 10,4 per cento del totale nazionale.
In termini di valore aggiunto ai prezzi di base l’Emilia-Romagna è la seconda regione italiana per importanza, dopo la Lombardia e figura tra le prime regioni in termini di potenza meccanica per ettaro. Inoltre se rapportiamo il reddito lordo standard per azienda - i dati si riferiscono al 2003 - ne discende per l'Emilia-Romagna un rapporto pari a 22,82 ude, rispetto alla media nazionale di 9,86.
Il contributo dell’agricoltura, silvicoltura e pesca alla formazione del valore aggiunto ai prezzi di base emiliano - romagnolo, secondo i dati provvisori divulgati da Istat, è stato pari nel 2005 al 2,7 per cento contro il 2,3 per cento del Paese. Nel 2000 era del 3,5 per cento. Il minore peso del reddito si è coniugato al concomitante calo dell’occupazione, in linea con la tendenza nazionale, senza tuttavia intaccare, come osservato precedentemente, la produttività.
Per quanto riguarda le colture erbacee, in Emilia-Romagna sono particolarmente sviluppati i cereali (frumento tenero, mais, orzo, frumento duro, sorgo e risone ), mentre tra le colture industriali si segnalano barbabietola da zucchero, soia, girasole e ultimamente colza e canapa. Tra le orticole gli investimenti più ampi, vale a dire oltre i 1.000 ettari, sono abitualmente costituiti da pomodoro, fagiolo fresco, pisello fresco, cipolla, carota, melone, cocomero, lattuga, zucche e zucchine, fragola e asparago. Fra i tuberi primeggia la patata comune. Le colture orticole specializzate sono abbastanza diffuse soprattutto nel territorio romagnolo. Nel campo delle leguminose da granella, oltre i 1.000 ettari troviamo la fava da granella e il pisello proteico. Nell’arco di un ventennio sono avvenuti non pochi cambiamenti, spesso determinati dalla possibilità o meno di ricevere aiuti comunitari e dalla nuova Pac che contempla il cosiddetto
“disaccoppiamento”. Rispetto alla situazione in essere nel 1985, hanno perso terreno barbabietola da zucchero, orzo, frumento, sia tenero che duro, riso, cocomero, patate, pisello fresco, fragola mentre ne hanno acquistato mais, pomodoro, sorgo, pisello proteico, carote, lattuga, zucche e zucchine, radicchio, girasole e fagiolo e fagiolino. Il caso del sorgo da granella, che è stato ammesso agli aiuti comunitari, è tra più emblematici, essendo passato nell’arco di circa un ventennio da 2.090 a oltre 21.000 ettari.
Nel 2006 le colture legnose, escluso la vite, hanno occupato poco più di 79.000 ettari. Nel 1985 gli investimenti occupavano più di 96.000 ettari. Il ridimensionamento appare evidente, ed è stato determinato soprattutto dalle scarse remunerazioni spuntate negli ultimi tempi da alcune varietà frutticole. Le colture legnose sono caratterizzate dal forte sviluppo della frutticoltura: pesche, nettarine, mele, pere e kiwi in particolare. Non sono inoltre trascurabili le coltivazioni di ciliegie, albicocche, susine e loti. La viticoltura è largamente diffusa. In Emilia – Romagna, secondo l’ultimo censimento del 2000, sono circa 44.000 le aziende che se ne occupano. Tra i vini più rinomati si ricordano Albana, Lambrusco, Sangiovese, Bosco Eliceo, Pignoletto, Pagadebit, Trebbiano, Montuni, Bonarda e Gutturnio.
Nel panorama italiano, l'agricoltura dell'Emilia Romagna si conferma tra quelle maggiormente internazionalizzate, meno assistite, più produttive e più propense ad investire al proprio interno per elevare l'efficienza delle aziende.
Passiamo ora ad esaminare l’andamento dell’annata agraria 2005-2006 sotto i vari aspetti climatici, produttivi, commerciali, occupazionali ecc.
Le condizioni climatiche. L’annata agraria 2005-2006 è stata caratterizzata da una stagione invernale nella norma, con precipitazioni che tra gennaio e marzo sono apparse sostanzialmente sufficienti. Le nevicate sono invece risultate sporadiche e piuttosto limitate come quantità. Nella stazione di Piacenza San Damiano sono stati registrati 124,2 mm di precipitazioni rispetto ai circa 61 mm dell’analogo periodo del 2005. A Cervia la piovosità è ammontata a circa 79 mm, rispetto agli 89 dei primi tre mesi del 2005. A Rimini sono stati registrati più di 115 mm, rispetto ai quasi 100 del primo trimestre 2005. Nei mesi primaverili le piogge sono apparse più intense, rispetto al periodo invernale, senza tuttavia arrivare ai livelli piuttosto cospicui del 2005. Tra aprile e giugno a Piacenza San Damiano sono caduti circa 106 mm di pioggia, rispetto ai 258 mm dell’analogo periodo del 2005. Un analogo ridimensionamento è stato registrato sia a Cervia (136 mm contro 179 mm) che Rimini Miramare (144,3 contro 172,4 mm). Le temperature minime primaverili non sono mai scese sotto lo zero, con evidenti vantaggi per le produzioni frutticole.
Dalla seconda decade del mese di giugno è subentrata una fase siccitosa, accompagnata da temperature massime che nell’ultima decade hanno spesso superato i trenta gradi, con una punta di 35 gradi rilevata a Rimini il giorno 26. Nel mese di luglio si è protratta la fase siccitosa, mentre le temperature sono apparse particolarmente elevate soprattutto nella seconda metà. In tutta la pianura interna in numerose giornate sono stati superati i 35 gradi con punte fino a 38 gradi. Le precipitazioni sono mancate del tutto su buona parte del modenese e bolognese, sono state scarse sul resto della pianura con le eccezioni del reggiano e di aree limitate delle province di Piacenza, Ferrara e Rimini. In agosto c’è stato un ribaltamento della situazione meteorologica. Nella prima metà del mese sono affluiti numerosi fronti freddi che hanno causato diversi temporali e copiose precipitazioni. In genere le piogge sono risultate abbondanti sui rilievi e lungo il fiume Po e intorno alla norma sulle città della via Emilia, a eccezione di Modena e Bologna che, come sottolineato da Arpa, sono state evitate dai temporali con precisione quasi chirurgica. L’abbassamento della temperatura
è risultato brusco. Nelle zone costiere, ad esempio, non sono mai stati superati i 30 gradi. Per quanto concerne le precipitazioni, nella sola giornata del 2 agosto, a Rimini sono state registrate piogge superiori ai 30 mm. Non sono mancati gli eventi estremi quali ad esempio la tromba d’aria che ha colpito vaste zone del ferrarese il 3 agosto.
In settembre c’è stato il ritorno dell’estate. Per alcuni giorni le temperature massime si sono attestate oltre i 32, 33 gradi, con assenza di nubi, mentre i venti, a regime di brezza, hanno mantenuto le massime sotto i 30 gradi solo lungo la costa. La sera del giorno 8 un fronte freddo sull'Adriatico ha generato temporali sul settore centro-orientale: su Rimini sono caduti 38 mm in poche ore. Dalla metà del mese correnti umide hanno portato piogge estese e prevalentemente moderate, escluso il settore occidentale che ha registrato precipitazioni più intense, soprattutto sull'Appennino. Sono poi seguiti alcuni giorni di bel tempo e temperature miti, interrotti da un nuovo sistema nuvoloso che ha causato forti rovesci su tutta la regione tra il 25 e il 26. Gli ultimi giorni del mese sono stati caratterizzati da tempo stabile e soleggiato.
Il totale di pioggia registrato nel mese è stato ovunque intorno al doppio del valore atteso, alleggerendo così di molto le condizioni siccitose preesistenti. Le temperature sono state superiori alla media di circa un grado e mezzo, con le massime che hanno contribuito di più all'anomalia.
In ottobre, mese nel quale l’agricoltura raccoglie una piccola parte di quanto prodotto, c’è stata una sostanziale assenza di precipitazioni. I tre quarti circa del territorio hanno ricevuto meno di 25 mm, compreso quasi tutto l'Appennino romagnolo. Le temperature sono state di molto superiori alla media durante la prima e la terza decade. L'anomalia di temperatura è stata superiore ai due gradi.
Il risultato economico. L’annata agraria 2006, come sottolineato precedentemente, è stata caratterizzata dalla sostanziale siccità del bimestre giugno-luglio e dagli eventi rovinosi dei primi giorni d’agosto, risultando di conseguenza meno favorevole rispetto al 2005. Il calo della produzione è stato tuttavia reso meno amaro dalla ripresa delle quotazioni.
Il valore aggiunto ai prezzi di base della branca agricoltura dell’Emilia-Romagna, compresi i servizi connessi e le attività secondarie, secondo le prime stime divulgate da Istat, ha sfiorato a valori correnti i 2 miliardi e mezzo di euro, vale a dire il 3,5 per cento in meno rispetto al 2005, che a sua volta aveva accusato una flessione del 14,7 per cento nei confronti del 2004. Rispetto al valore medio degli ultimi cinque anni, emerge una flessione leggermente più sostenuta, pari al 15,7 per cento. Nel Paese è stato registrato, fra il 2005 e il 2006, un decremento pari al 3,6 per cento, che sale al 10,5 per cento se il confronto viene effettuato con la media del quinquennio 2001-2005. Se consideriamo che in termini quantitativi l’Emilia-Romagna ha registrato una diminuzione del valore aggiunto pari al 6,3 per cento, a fronte di una flessione a prezzi correnti, come visto, del 3,5 per cento, ne discende di conseguenza un andamento espansivo dei prezzi impliciti, rappresentato da un incremento del 3,0 per cento (-0,1 per cento in Italia). In sintesi, il risultato economico complessivo è apparso nella sostanza tutt’altro che esaltante e solo la ripresa, comunque moderata, dei prezzi ha reso meno amaro il bilancio dell’annata agraria 2006-2006. Il recupero delle quotazioni implicite, pari, come visto, al 3,0 per cento, è venuto dopo due anni caratterizzati da una flessione media leggermente superiore all’11 per cento. A determinare il calo del valore aggiunto non è stata la sola diminuzione del valore della produzione, pari allo 0,9 per cento, ma anche la ripresa dei consumi intermedi, vale a dire mangimi, carburante, sementi, fitofarmaci, servizi bancari ecc., il cui valore è cresciuto dell’1,8 per cento rispetto al 2005, a causa della ripresa dei prezzi, dovuta in primo luogo al rincaro delle materie energetiche.
In pratica la redditività dell’agricoltura emiliano-romagnola, secondo i dati Istat, ha subito una ulteriore erosione, inserendo l’annata 2005-2006 tra le meno intonate degli ultimi anni. Per trovare un valore più contenuto a prezzi correnti, occorre risalire al 1988, quando il valore della produzione ammontò a circa 2 miliardi e 476 milioni di euro.
Nell’ambito delle coltivazioni agricole, la ripresa delle quotazioni è apparsa piuttosto consistente soprattutto nei cereali (+10,8 per cento), apparsi in parziale recupero sulla forte flessione che aveva caratterizzato il 2005. I prezzi impliciti di patate e orticole, che hanno rappresentato circa un quarto delle coltivazioni agricole, sono apparsi in crescita del 4,9 per cento, accelerando sul moderato incremento dell’1,0 per cento rilevato nel 2005. Il comparto frutticolo, che in Emilia-Romagna ha costituito circa il 14 per cento della produzione agricola e zootecnica, ha registrato quotazioni mediamente in crescita del 4,4 per cento, dopo due anni caratterizzati da una flessione media superiore al 7 per cento. La ripresa dei prezzi della frutta si è associata alla flessione dei consumi. Secondo le rilevazioni dell’Osservatorio Ismea-Nielsen, nei primi nove mesi del 2006 gli acquisti domestici di frutta fresca sono diminuiti quantitativamente del 5,8 per cento, mentre in valore c’è stato un incremento dello 0,6 per cento. La crescita dei prezzi al consumo che deriva da questi andamenti, ha riflesso nella sostanza gli aumenti delle quotazioni alla produzione, raffreddando tuttavia gli acquisti.
Per quanto concerne la produzione ai prezzi di base del settore dell’agricoltura, zootecnia e servizi connessi, escludendo le attività secondarie, Istat ha stimato nel 2006 un valore a prezzi correnti pari a poco più di 5 miliardi di euro, vale a dire lo 0,9 per cento in meno rispetto al 2005, che a sua volta era diminuito del 10,0 per cento nei confronti del 2004. Questo andamento è da attribuire alla scarsa intonazione sia delle coltivazioni agricole (-1,4 per cento), che degli allevamenti zootecnici (-1,1 per cento). Nell’ambito delle coltivazioni agricole, spicca il forte decremento, pari al 51,2 per cento, delle colture industriali e del comparto, comunque marginale, della olivicoltura. La riforma dell’Ocm zucchero che ha drasticamente tagliato il numero di zuccherifici e di conseguenza gli investimenti di barbabietole da zucchero è alla base della pesante flessione accusata dalle colture industriali. Negli allevamenti i problemi maggiori sono emersi nella produzione di latte apparsa in flessione del 6,3 per cento. Note negative sono venute anche dal piccolo comparto della produzione di miele, che ha accusato una diminuzione in valore del 10,2 per cento.
Dal punto di vista quantitativo Istat ha stimato una diminuzione reale della produzione di beni e servizi agricoli pari al 4,1 per cento, superiore a quella a prezzi correnti dello 0,9 per cento, sottintendendo di conseguenza una crescita dei relativi prezzi impliciti pari al 3,4 per cento.
Come visto, la statistica ufficiale elaborata da Istat ha registrato una flessione dei ricavi complessivi dovuta essenzialmente al calo delle quantità prodotte, sottintendendo una ripresa delle quotazioni, che ha parzialmente recuperato sui magri risultati degli anni precedenti.
Le valutazioni dell’Assessorato regionale all’Agricoltura, non hanno confermato al cento per cento quanto emerso dalle rilevazioni Istat. A valori correnti è stato stimato un incremento della produzione lorda vendibile del 2,6 per cento, a fronte della flessione quantitativa del 5,6 per cento. Per Istat la produzione di beni e servizi agricoli avrebbe invece, come visto, accusato un calo a prezzi correnti dello 0,9 per cento (-1,3 per cento escludendo i servizi connessi) salito al 4,1 per cento in termini quantitativi. In pratica le due fonti differiscono sulla valutazione dei dati a valori correnti, mentre in termini quantitativi si trovano sostanzialmente sulla stessa linea. Senza entrare nel merito delle diverse metodologie, sono di conseguenza i livelli dei prezzi adottati dalle due fonti a far pendere la bilancia in un senso oppure nell’altro, generando comprensibili dubbi nell’interpretazione del reale andamento dell’annata agraria. Entrambe le fonti sono tuttavia apparse concordi nel registrare un livello dei ricavi inferiore a quello medio del quinquennio precedente, consegnando il 2006 alle annate meno positive per l’agricoltura emiliano-romagnola.
Secondo l’Assessorato regionale all’Agricoltura, il miglioramento del valore della produzione è stato determinato dalla ripresa dei prezzi, tornati a quote più normali, dopo due annate decisamente deludenti sotto l’aspetto della redditività.
Al di là del recupero, il valore della Plv è risultato tuttavia ancora al di sotto, come accennato, della media del quinquennio 2001-2005, in piena sintonia con quanto emerso dalle stime dell’Istat.
Il rapporto 2006 sul sistema agro-alimentare dell’Emilia-Romagna ha registrato una situazione sostanzialmente analoga a quella evidenziata dall’Assessorato regionale all’agricoltura. Il valore della produzione, ricavato dai dati economici di un gruppo di aziende agricole, è aumentato del 2,4 per cento, in misura più contenuta rispetto alla crescita del 3,3 per cento dei costi intermedi, che hanno risentito, soprattutto, dell’impennata dei costi delle materie prime energetiche (+9,6 per cento). Ciononostante, il valore aggiunto al netto degli ammortamenti ha registrato un aumento del 2,6 per cento. Le aziende agricole, come sottolineato nel Rapporto agro-alimentare, sembrano avere conseguito significativi risparmi nell’impiego di manodopera e nei costi legati agli affitti. Il reddito netto è conseguentemente cresciuto del 7,5 per cento rispetto al 2005, risultando tuttavia ancora inferiore ai livelli conseguiti nel biennio 2003-2004. Questo andamento all’insegna del recupero si è calato in un contesto internazionale di uguale segno. Nell’Unione europea i redditi agricoli, misurati come valore aggiunto al costo dei fattori per unità di lavoro, sono cresciuti mediamente del 3,8 per cento, rispetto alla diminuzione di circa il 7 per cento rilevata nel 2005. Il dato medio nasconde situazioni piuttosto differenziate, anche se ben diciotto stati hanno beneficiato di incrementi superiori a quelli rilevati nel 2005. I paesi più dinamici sono risultati Olanda (+15,1 per cento), Francia (+8,5 per cento) e Austria (+6,2 per cento). L’Italia è andata in contro tendenza rispetto all’andamento medio, accusando una diminuzione del 3,4 per cento, che si è sommata alla flessione del 9,6 per cento riscontrata nel 2005.
Nel commentare l’andamento delle varie colture, occorre tenere presente che dal 1° gennaio 2005 è entrata in vigore in Italia la cosiddetta Mid Term Review (MTR) della Politica agricola Comunitaria (PAC). La riforma ha comportato una svolta radicale nelle modalità con cui l’Unione europea sostiene il settore agricolo, essendo stata costruita intorno al fondamentale concetto di disaccoppiamento delle forme di sostegno alla produzione agricola. Questo termine indica genericamente lo spostamento della spesa effettuata per sostenere i redditi degli agricoltori, verso forme di pagamento che siano quanto più possibile indipendenti dal livello delle produzioni. L’assenza di qualsiasi vincolo sulla destinazione produttiva dell’azienda ha pertanto ampliato le possibilità di una gestione veramente imprenditoriale dell’azienda stessa: i produttori possono infatti scegliere liberamente i comparti che promettono migliori risultati. Tutto ciò ha comportato la riduzione di quelle produzioni non in grado di garantire remunerazioni soddisfacenti, provocando conseguenti diminuzioni delle aree investite. Queste, in estrema sintesi, le linee principali della riforma, il cui commento, curato da Benedetto Rocchi, ricercatore presso il Dipartimento di Economia Agraria e delle Risorse Territoriali dell’Università di Firenze, è stato estratto dalla rivista on line “agraria.org”.
Le produzioni erbacee.
Cereali. Il frumento tenero ha fatto registrare una flessione degli investimenti passati dai 176.800 ettari del 2005 ai 164.450 del 2006, per una variazione percentuale negativa del 7,0 per cento, più elevata rispetto al calo del 4,1 per cento registrato nel Paese. La flessione delle aree coltivate è da attribuire a diversi fattori. Come sottolineato dall’Assessorato regionale all’Agricoltura. Le prolungate e persistenti piogge cadute nel corso della stagione autunnale 2005 hanno ostacolato e in alcuni casi impedito le operazioni di semina. Nel settore orientale della regione, dove al calo delle superfici si è aggiunto quello delle rese, la situazione è stata aggravata dai problemi di avvicendamento con la barbabietola da zucchero, coltura qui particolarmente diffusa, il cui raccolto è stato oltremodo rallentato e procrastinato dalle difficoltà di ritiro da parte degli zuccherifici. Non ha infine sicuramente inciso positivamente sugli investimenti, l’insoddisfacente livello dei prezzi registrato nel corso della precedente annata 2005, risultato il più basso degli ultimi anni. L’aspetto produttivo è stato caratterizzato da rese eccellenti, prossime ai 64 quintali per ettaro, largamente
superiori ai quantitativi medi degli cinque e dieci anni. Questo ottimo risultato è stato determinato da un andamento
superiori ai quantitativi medi degli cinque e dieci anni. Questo ottimo risultato è stato determinato da un andamento