Considerazioni sulla metodologia dell’indagine delle forze di lavoro. L’andamento del mercato del lavoro dell’Emilia-Romagna viene prevalentemente analizzato sulla base della nuova rilevazione Istat delle forze di lavoro.
Rispetto al passato, siamo in presenza di un’indagine definita continua in quanto le informazioni sono rilevate con riferimento a tutte le settimane dell’anno, tenuto conto di una opportuna distribuzione a livello trimestrale del campione complessivo.
I cambiamenti non hanno riguardato le sole modalità di rilevazione, ma anche alcune definizioni delle varie condizioni, arricchendo nel contempo le informazioni sull’occupazione, facendo emergere il lavoro coordinato e continuativo e interinale. Nell’ambito della disoccupazione è stato accresciuto il campionario di possibilità e la precisione dell’individuazione delle azioni di ricerca effettuate. Tra le motivazioni che spingono ad uscire dal mercato del lavoro sono state introdotte la cura della famiglia per assenza di servizi adeguati - la mancanza di asili è tra queste - e la indisponibilità di impieghi part-time.
Per quanto concerne la figura di occupato, nella vecchia rilevazione veniva considerato tale chi dichiarava di esserlo, sottintendendo un criterio soggettivo basato sulla percezione di essere in questa condizione. Con la nuova rilevazione è considerato occupato colui che nella settimana precedente l’intervista ha svolto almeno un’ora di lavoro remunerato, o anche non remunerato se l’attività è svolta in un’azienda di famiglia. Siamo pertanto di fronte ad un criterio di sapore più oggettivo, che prescinde dalla percezione soggettiva della persona intervistata. Per le persone in cerca di occupazione, che devono essere comprese tra i 15 e i 74 anni, siamo in presenza di parametri sostanzialmente uguali a quelli in vigore precedentemente. Si deve essere disponibili a lavorare nelle due settimane successive all’intervista e si deve avere effettuato almeno una ricerca attiva di lavoro nelle quattro settimane precedenti. Non tutte le informazioni sopra riportate sono state divulgate a livello regionale, come ad esempio, nel caso delle collaborazioni continuative a progetto.
Il confronto fra il 2006 e l’anno precedente è omogeneo, come modalità di rilevazione. Bisogna tuttavia sottolineare che i dati potrebbero risentire ancora dalle massicce regolarizzazioni di cittadini stranieri avvenute su finire del 2002, che in Italia hanno riguardato circa 650.000 soggetti. Queste persone, dopo avere ottenuto il permesso di soggiorno, si sono progressivamente iscritte nei registri anagrafici, accrescendo la popolazione residente e modificando di conseguenza l’universo a cui rapportare i dati campionari. In Emilia-Romagna, al primo gennaio 2006, la popolazione straniera residente è ammontata a 288.844 unità, contro le 257.161 di inizio 2005 e 163.838 di inizio 2003. Nell’arco di un triennio c’è stato un aumento percentuale del 76,3 per cento, a fronte della crescita nazionale del 72,4 per cento. La popolazione complessiva dell’Emilia-Romagna tra il primo gennaio 2003 e il primo gennaio 2006 è cresciuta da 4.030.220 a 4.187.557 unità, vale a dire il 3,9 per cento in più.
Le regolarizzazioni oltre ad aumentare la popolazione ufficiale della provincia, hanno fatto emergere posizioni lavorative di cittadini stranieri prima sconosciute. Ne consegue che l’analisi dell’andamento occupazionale deve essere effettuata con la dovuta cautela, anche se occorre sottolineare che gli effetti delle regolarizzazioni sono andati progressivamente stemperandosi nel tempo, rendendo più attendibile il confronto tra la situazione del 2006 con quella del 2005.
L’evoluzione generale. Nel 2006 il mercato del lavoro dell’Emilia-Romagna si è chiuso con un bilancio positivo.
Nel 2006 le rilevazioni Istat sulle forze di lavoro hanno stimato mediamente in Emilia-Romagna circa 1.918.000 occupati, vale a dire il 2,4 per cento in più rispetto alla media del 2005, equivalente, in termini assoluti, a circa 46.000 persone. L’andamento dell’Emilia-Romagna è risultato più dinamico non solo rispetto all’evoluzione del 2005 (+1,4 per cento), ma anche rispetto a quanto avvenuto in Italia (+1,9 per cento) e nella circoscrizione Nord-orientale (+2,2 per cento). Se analizziamo l’evoluzione trimestrale, possiamo vedere che l’aumento su base annua dell’Emilia-Romagna è stato determinato da tutti i trimestri, con una particolare accentuazione tra il secondo e il terzo trimestre, entrambi cresciuti ad un tasso tendenziale del 2,7 per cento. Secondo le stime di Unioncamere nazionale e Prometeia, anche l’andamento delle unità di lavoro, che misurano l’effettiva intensità dell’occupazione, è apparso positivo, dall’alto di un incremento del 2,2 per cento, superiore sia a quanto registrato nel Nord-est (+2,0 per cento), che in Italia (+1,7 per cento). Un ulteriore segnale di dinamismo del mercato del lavoro emiliano-romagnolo è venuto dall’Osservatorio dell’Inail che nel 2006 ha registrato in Emilia-Romagna 571.521 assunzioni, a fronte di 512.625 cessazioni, per un saldo positivo di 58.896 unità, superiore all’attivo di 37.365 unità del 2005. Da sottolineare il forte impatto degli stranieri extracomunitari, che hanno dato corpo a 132.017 assunzioni rispetto a 112.581 cessazioni, con un saldo attivo di 19.436 unità, superiore al surplus di 13.386 del 2005.
In ambito nazionale – siamo tornati all’indagine Istat - cinque regioni hanno evidenziato una crescita più sostenuta, in un arco compreso tra il +2,5 per cento del Molise e il +3,1 per cento del Friuli-Venezia Giulia. Non c’è stato alcun
decremento. La crescita più bassa, pari allo 0,2 per cento, ha riguardato la Campania. L’Emilia-Romagna è in sostanza apparsa tra le realtà più dinamiche del Paese.
Per quanto concerne il sesso, la componente femminile è apparsa più dinamica di quella maschile (+3,2 per cento contro +1,8 per cento). Questo andamento è apparso in linea con quanto avvenuto in Italia, dove le donne sono cresciute del 2,5 per cento rispetto all’incremento dell’1,5 per cento degli uomini. Il peso della componente femminile sul totale dell’occupazione dell’Emilia-Romagna è passato dal 43,0 per cento del 2005 al 43,4 per cento del 2006. Nel 1993, ultimo anno oggetto della ricostruzione sulla base dei nuovi criteri della rilevazione, si aveva un rapporto superiore al 41,0 per cento.
La crescita della consistenza degli occupati è coincisa con il migliore tasso specifico di occupazione del Paese, rappresentato da una percentuale di occupati in età di 15-64 anni sulla rispettiva popolazione pari al 69,4 per cento (68,4 per cento nel 2005), a fronte della media nazionale del 58,4 per cento, precedendo Trentino Alto Adige (67,5 per cento) e Valle d’Aosta (67,0 per cento). I tassi più contenuti hanno riguardato le regioni del Sud, con le ultime posizioni occupate da Campania (44,1 per cento), Sicilia (45,01 per cento), Calabria (45,6 per cento) e Puglia (45,7 per cento). Rispetto al 2005 ogni regione italiana ha migliorato il proprio tasso di occupazione in un arco compreso tra +1,7 punti percentuali del Friuli-Venezia Giulia e +0,1 punti della Campania. L’Emilia-Romagna, come accennato precedentemente, è cresciuta di un punto percentuale, in misura leggermente superiore al miglioramento medio nazionale.
Sotto l’aspetto delle varie classi di età, in Emilia-Romagna, come nel resto del Paese, è nuovamente quella intermedia da 35 a 44 anni a registrare il tasso di occupazione più elevato pari all’89,1 per cento, davanti alle fasce da 25 a.34 anni (83,4 per cento) e 45-54 anni (83,7 per cento). I tassi si riducono notevolmente, e non può essere altrimenti, nella classe da 15 a 24 anni, che comprende larga parte della popolazione studentesca (33,5 per cento), e in quella da 55 anni e oltre, che è largamente costituita da pensionati. Nel gruppo da 65 anni e oltre, ad esempio, il tasso di occupazione scende al 4,5 per cento. L’esiguità della serie disponibile non consente di analizzare compiutamente i mutamenti in atto.
Qualche tendenza tuttavia emerge. Tra il 2004 e il 2006, appaiono in riduzione i tassi di occupazione giovanili, mentre aumentano quelli delle classi di età con almeno 35 anni. Se nel 2004 i giovani occupati costituivano il 34,1 per cento del totale, nel 2006 la percentuale scende al 31,4 per cento. L’invecchiamento degli occupati non è che lo specchio di quanto avviene per la popolazione.
Se analizziamo i tassi di occupazione calcolati sulla popolazione in età di 15 anni e oltre dal lato del titolo di studio, possiamo vedere che i valori più elevati hanno nuovamente riguardato i possessori di laurea breve, laurea e dottorato (81,4 per cento) e di diploma 2-3 anni (76,0 per cento), vale a dire un titolo che sottintende delle qualifiche professionali. Nell’ambito del diploma 4-5 anni il rapporto scende al 71,9 per cento. In ambito nazionale troviamo una situazione analoga, ma articolata su tassi più contenuti rispetto a quelli proposti dall’Emilia-Romagna. I tassi tendono a ridursi per i possessori di licenza media e licenza elementare. In Emilia-Romagna il tasso di occupazione della licenza media si è attestato nel 2006 al 57,9 per cento, per scendere al 14,4 per cento nell’ambito della licenza elementare. In Italia i rispettivi tassi sono ammontati al 47,3 e 13,3 per cento.
Il tasso di attività è costituito dal rapporto fra la forza lavoro, intesa come insieme delle persone in cerca di occupazione e occupate, e la popolazione. L’aumento di questa variabile può essere messo in relazione all’esaurirsi delle migrazioni verso l’estero, dalla crescita dell’immigrazione straniera, oltre alla progressiva accelerazione dell’ingresso delle donne nel mercato del lavoro. Tende invece a decrescere quando, ad esempio, la popolazione inattiva aumenta a causa del progressivo invecchiamento, oppure a seguito dell’innalzamento del livello d’istruzione scolastica, che accresce la durata degli studi, ritardando l’entrata dei giovani nel mondo del lavoro. Il tasso di attività emiliano-romagnolo è senza dubbio intaccato dalla diffusione della scolarizzazione e dall’invecchiamento della popolazione, ma l’antidoto principale al suo ridimensionamento è rappresentato soprattutto dalla immigrazione straniera. Senza di essa avremo una drastica riduzione del tasso di attività e non solo, come dimostrato da una proiezione dell’Istat fino all’anno 2050 effettuata su dati regionali e nazionali. Il tasso di attività in età 15-64 anni dell’Emilia-Romagna è risultato nel 2006 il più elevato del Paese, con una percentuale del 71,9 per cento, in miglioramento rispetto al 71,1 per cento del 2005. Alle spalle dell’Emilia-Romagna si è nuovamente collocato il Trentino-Alto Adige (69,5 per cento), seguito da Lombaridia e Valle d’Aosta, entrambe con un tasso del 69,1 per cento. Nel Paese la partecipazione al lavoro si è attestata al 62,7 per cento (era il 62,4 per cento nel 2005). I rapporti più basso sono stati nuovamente riscontrati nel Mezzogiorno, in particolare Campania (50,7 per cento), Sicilia (52,1 per cento) e Calabria (52,4 per cento).
Il primato dell’Emilia-Romagna in termini di partecipazione al lavoro trae origine dalla forte presenza di donne nel mercato del lavoro. Nel 2006 il relativo tasso di occupazione sulla popolazione in età 15-64 anni è risultato il più elevato del Paese, attestandosi al 61,5 per cento (60,0 per cento nel 2005), precedendo Valle d’Aosta (58,5 per cento), Trentino-Alto Adige (56,9 per cento) e Lombardia (56,5 per cento). Man mano che si discende la Penisola i tassi femminili di occupazione tendono a decrescere, fino a raggiungere la punta minima del 28,4 per cento della Campania.
Una classifica sostanzialmente analoga emerge in termini di tasso specifico di attività. In questo caso la partecipazione al lavoro delle donne emiliano-romagnole in età di 15-64 anni è stata del 64,3 per cento (63,4 per cento nel 2005), davanti a Valle d’Aosta (60,8 per cento), Lombardia e Trentino-Alto Adige, entrambe con un tasso del 59,4 per cento.
Ultima la Campania, con un tasso di attività femminile del 34,6 per cento, davanti a Puglia (34,7 per cento) e Sicilia (36,0 per cento).
L’evoluzione degli occupati per rami di attività economica. Il settore dell’agricoltura, silvicoltura e pesca ha accusato una diminuzione dello 0,6 per cento, equivalente in termini assoluti a circa 500 addetti. L’incidenza sul totale dell’occupazione si è ridotta dal 4,4 per cento del 2005 al 4,3 per cento del 2006. In Italia è stata invece riscontrata una crescita percentuale del 3,6 per cento, che è corrisposta a circa 34.000 persone. Il calo delle “teste” registrato dall’indagine sulle forze di lavoro, ha avuto un analogo riscontro per quanto concerne le unità di lavoro, che misurano l’effettiva intensità dello stesso. Secondo le stime di Unioncamere nazionale e Prometeia nel 2006 c’è stata una diminuzione del 3,8 per cento.
La perdita di addetti è una costante del settore primario, emersa in tutta la sua evidenza anche dalle vecchie indagini sulle forze di lavoro. Le cause sono per lo più rappresentate dalla mancata sostituzione di chi abbandona l’attività, vuoi per raggiunti limiti di età, vuoi per motivi economici, e dal processo di razionalizzazione che vede sempre meno aziende, ma più ampie sotto l’aspetto della superficie utilizzata. Dal lato del sesso, la leggera diminuzione dell’occupazione complessiva è stata determinata dalle donne (-13,6 per cento), a fronte della crescita del 4,8 per cento degli uomini. Per quanto concerne la posizione professionale, sono stati gli indipendenti a impoverirsi, con una flessione del 2,3 per cento, in massima parte ascrivibile alla componente femminile. Questo andamento può sottintendere una riduzione della figura dei coadiuvanti, che in agricoltura è prevalentemente rappresentata da donne.
L’occupazione dipendente è cresciuta del 3,4 per cento, grazie all’apporto della componente maschile che ha colmato i vuoti lasciati dalle femmine. Per quanto concerne l’orario di lavoro, la diminuzione complessiva degli occupati è stata prevalentemente determinata dagli occupati a tempo parziale, la cui consistenza è scesa da circa 9.000 a circa 8.000 unità (-3,7 per cento), rispetto alla diminuzione dello 0,2 per cento accusata dalla componente più numerosa degli occupati a tempo pieno. Sotto l’aspetto della durata dei contratti, l’occupazione dipendente a tempo indeterminato è salita da circa 13.000 a circa 16.000 unità (+17,7 per cento), a fronte della flessione del 12,4 per cento evidenziata dagli occupati a tempo determinato, scesi a circa 10.000 unità rispetto alle circa 12.000 del 2005. In sintesi l’occupazione agricola ha perso un congruo numero di braccianti, in particolare donne. Le cause possono essere rappresentate da avverse condizioni climatiche, da cambiamenti colturali più estensivi e dall’introduzione di macchinari sempre più sostitutivi di manodopera. Nel 2006 in Emilia-Romagna non sono mancati eventi rovinosi, che in talune zone a vocazione frutticola hanno compromesso i raccolti, riducendo di conseguenza il bisogno di manodopera.
Le attività industriali hanno beneficiato di un andamento ben intonato, che ha riflesso la ripresa congiunturale. Nel 2006 l’occupazione si è attestata su circa 675.000 unità, vale a dire l’1,8 per cento in più rispetto al 2005 (-0,2 per cento in Italia), per un totale di circa 12.000 addetti. Sull’incremento ha pesato la vivacità della componente femminile, i cui occupati sono aumentati del 3,6 per cento, a fronte della crescita dell’1,1 per cento rilevata per i maschi. Dal lato della posizione professionale, sono stati gli occupati indipendenti a crescere maggiormente (+5,5 per cento), a fronte del moderato incremento dei dipendenti (+0,8 per cento). Per quanto concerne il tipo di orario, è stata ancora una volta l’occupazione a tempo parziale ad apparire più dinamica (+4,4 per cento), rispetto a quella a tempo pieno (+1,6 per cento). L’aumento del part-time è arrivato a coprire il 6,7 per cento dell’occupazione industriale rispetto al 5,9 per cento del 2004 e 6,5 per cento del 2005. Cresce in sostanza l’occupazione “leggera” sotto l’aspetto dell’intensità del lavoro e quindi delle retribuzioni. In Italia è emerso un andamento di segno opposto, in quanto il leggero calo delle attività industriali è stato prevalentemente determinato dall’occupazione a tempo parziale (-0,7 per cento), rispetto a quella a tempo pieno (-0,2 per cento). Il peso del part-time è conseguentemente rimasto ancorato al 6,3 per cento del totale dell’occupazione industriale. Se guardiamo invece all’aspetto del precariato, che interessa in quanto tale la sola occupazione alle dipendenze, possiamo vedere che nel 2006 c’è stata una crescita di questa condizione pari al 5,1 per cento, a fronte del lieve incremento dello 0,4 per cento registrato negli occupati a tempo indeterminato. In Italia quest’ultima condizione è invece diminuita dello 0,9 per cento, rispetto all’aumento del 7,6 per cento degli occupati a tempo determinato. In Emilia-Romagna l’incidenza del precariato sul totale degli occupati dell’industria ha superato il 9 per cento, contro l’8,7 per cento del 2005. In Italia la percentuale si è attestata su valori superiori (9,7 per cento), oltre che più elevati rispetto al 2005 (9,0 per cento).
Nell’ambito delle attività industriali, l’industria in senso stretto, rappresentata dai settori estrattivo, manifatturiero ed energetico, ha visto salire la consistenza dell’occupazione, secondo l’indagine Istat, dalle circa 528.000 unità del 2005 alle circa 538.000 del 2006 (+2,1 per cento). Se misuriamo l’andamento del mercato del lavoro sulla base dell’effettiva intensità dell’occupazione, valutata sulla base delle unità di lavoro, si ha, secondo le stime Unioncamere-Prometeia una crescita ancora più elevata, pari al 3,7 per cento.
L’andamento del comparto – siamo tornati all’indagine sulle forze di lavoro - ha ricalcato quello del complesso dell’industria. E’ stata la componente femminile a crescere maggiormente, mentre per quanto concerne la posizione professionale è stata l’occupazione indipendente ad apparire più dinamica rispetto a quella alle dipendenze. Dal lato dell’orario, l’aumento percentuale più consistente, pari al 6,0 per cento, ha caratterizzato l’occupazione a tempo parziale. Nell’occupazione alla dipendenze l’incremento dell’1,4 per cento, è stato trainato dal tempo indeterminato (+1,4 per cento), rispetto alla leggera crescita evidenziata dai precari.
Il comparto delle costruzioni è apparso in leggero aumento, frenando rispetto agli andamenti emersi negli anni precedenti. Tra il 2005 e il 2006 la consistenza dell’occupazione è salita da circa 136.000 a circa 137.000 unità, per una variazione pari allo 0,8 per cento, in contro tendenza rispetto al decremento dello 0,6 per cento registrato in Italia. In un settore dove prevale nettamente la componente maschile, è stata la posizione professionale degli indipendenti a determinare la leggera crescita dell’occupazione complessiva, a fronte della flessione del 2,6 per cento accusata dai
dipendenti. Questo andamento sembra tradurre le trasformazioni che sono in atto, ormai da anni, nel mercato del lavoro edile. Le imprese preferiscono disporre di manodopera formalmente autonoma, incoraggiando di conseguenza i dipendenti ad iscriversi alla Camera di commercio. Il fenomeno appare piuttosto diffuso, soprattutto nell’ambito delle maestranze straniere. Per quanto concerne l’orario di lavoro, c’è stata una diminuzione del part-time, mentre dal lato del precariato, il comparto ha evidenziat una crescita di questa condizione dalle circa 6.000 unità del 2005 alle circa 8.000 del 2006, a fronte della flessione del 5,6 per cento dell’occupazione a tempo indeterminato, che nel settore è largamente preponderante.
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I servizi sono cresciuti nel 2006 del 3,0 per cento rispetto all’anno precedente, per un totale di circa 34.000 addetti, accelerando sul moderato aumento dello 0,8 per cento riscontrato nel 2005. Siamo in presenza di un andamento che assume una valenza ancora più positiva se si considera che in Italia c’è stata una crescita un po’ più contenuta, pari al 2,8 per cento. Anche sotto l’aspetto delle unità di lavoro – le stime sono di Unioncamere nazionale e Prometeia – è emerso un andamento ben intonato, rappresentato da una crescita del 2,2 per cento, uguale a quella riscontrata nel Nord-est e superiore all’incremento nazionale del 2,0 per cento.
Il peso del terziario sul totale dell’occupazione si è attestato al 60,5 per cento, in miglioramento rispetto alla percentuale del 60,2 per cento rilevata nel 2005. Le donne, che costituiscono la maggioranza degli occupati, con una percentuale del 53,4 per cento, sono aumentate del 3,8 per cento. Gli uomini sono cresciuti in misura meno sostenuta (+2,1 per cento). L’analisi dell’andamento occupazionale per tipo di orario evidenzia che ancora una volta è stata l’occupazione a tempo parziale ad aumentare più velocemente: +5,8 per cento rispetto al +2,5 per cento di quella a tempo pieno. La relativa incidenza sul totale degli occupati nel 2006 è arrivata a sfiorare il 17 per cento, contro il 16,4 per cento del 2005 e il 16,0 per cento del 2004. Nell’occupazione femminile il part time ha rappresentato il 26,4 per cento del totale delle donne occupate, a fronte del 5,7 per cento maschile. Il fenomeno è insomma squisitamente femminile, cosa questa abbastanza comprensibile in quanto un’occupazione a tempo parziale consente alle donne di avere più tempo da dedicare alla cura della famiglia. Sotto l’aspetto del precariato, gli occupati a tempo determinato dei servizi sono aumentati da 99.000 a 105.000, per una variazione percentuale del 5,8 per cento, appena superiore all’aumento riscontrato per i dipendenti a tempo indeterminato. Nel Paese l’occupazione precaria è invece aumentata a tassi decisamente più sostenuti rispetto a quella a tempo indeterminato: +11,7 per cento contro +2,1 per cento.
Nell’ambito dei servizi, il comparto del commercio e riparazione di beni di consumo, ha accresciuto l’occupazione da circa 289.000 a circa 310.000 addetti, per una variazione percentuale del 7,2 per cento, da attribuire essenzialmente alla forte crescita dell’occupazione alle dipendenze (+13,3 per cento), che ha annullato la diminuzione dell’1,5 per cento accusata dagli indipendenti. La componente maschile è apparsa più dinamica di quella femminile: +9,1 per cento contro +4,9 per cento.
L’evoluzione degli occupati per forme contrattuali. In Emilia-Romagna sono circa 248.000 gli occupati a tempo parziale, equivalenti al 12,9 per cento del totale. Nel biennio 2004-2005 la percentuale era attestata al 12,3 per cento.
L’evoluzione degli occupati per forme contrattuali. In Emilia-Romagna sono circa 248.000 gli occupati a tempo parziale, equivalenti al 12,9 per cento del totale. Nel biennio 2004-2005 la percentuale era attestata al 12,3 per cento.