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Pedagogia della differenza nella mediazione corporea

Gruppo 3 Alba Giovanna Anna Naccar

l’autentica capacità di ascolto, l’apertura ad una civiltà plurale ed alla differen- za si rivelano come le strategie più congrue per un confronto critico ma anche costruttivo con l’altro. Quest’ultimo nella sua differenza può consentire, se ce lo permettiamo, un rispecchiamento profondo cosicché “il cammino verso il diverso è il cammino verso noi stessi, è l’incontro con la nostra realtà profon- da” (Canevaro-Chieregatti, 1999, pp.106-107), ovvero aspetti dell’Unitas che rischiamo di non vedere; senza con questo negare gli aspetti che rimangono comunque differenti.

La ricerca dell’Unitas, può agevolare un percorso educativo, orientato verso l’evoluzione della consapevolezza personale, e verso l’individuazione di valori transculturali, che inverta, o trasformi radicalmente dove possibile, “il proces- so ancora in atto che sembra spingersi sempre più verso il relativismo etico e assiologico, l’individualismo e l’edonismo” (Portera, 2013, p. 157).

2. Corporeità, differenza, relazione

Questa dinamica dialettica, tra ricerca e conoscenza di ciò che abbiamo in co- mune da un lato e confronto dialogico e critico con l’identità del diverso (nei suoi aspetti sia Unitas che Multiplex), può molto efficacemente essere indagata ed agevolata attraverso la mediazione corporea. Il corpo stesso esprime questi aspetti della persona nella morfologia e negli aspetti funzionali. Condividiamo gli aspetti essenziali e strutturali del bios del corpo, palesando anche caratteri- stiche somatiche e atteggiamenti culturali relativi al corporeo diversissimi tra loro. Il corpo, inoltre, manifesta una innegabile struttura relazionale, i diversi sensi ci mettono sempre e comunque in comunione con il mondo. “La dimen- sione della sensorialità lascia intravedere quasi un’ontologia […] che privilegia l’accoglienza rispetto all’autosufficienza dell’essere” (Goffi., Piana, 2001, p. 60). Il corpo proprio determina in maniera imprescindibile la possibilità stessa della nostra presenza nel mondo e al mondo (Merleau Ponty, 2003), e sostan- zia l’atteggiamento fondamentale (Grundwort) verso l’alterità dell’altro (Bu- ber, 1993). Ancora, la relazione umana non può prescindere dalla componen- te non verbale della comunicazione, che completa e complica nello stesso tem- po la comprensione interculturale (Portera, 2013, p. 79). Le indagini sui neu- roni specchio testimoniano, poi, diversamente, l’imprescindibilità dell’onto- logia relazionale così come è inscritta nelle differenti componenti corporee dell’umano.

Questi aspetti relazionali della corporeità, consapevolmente messi in gioco nella mediazione corporea, possono consentire di ricercare, sperimentare e co-

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noscere sia ciò che c’è di simile, sia ciò che c’è di diverso tra gli esseri umani, così da comprenderlo meglio e forse arricchire di colori il mondo plurimo del- le nostre appartenenze identitarie; qualunque sia l’appartenenza culturale al- l’interno del gruppo educativo. Il corpo ed il movimento, infatti, accorciano le distanze. La cosiddetta matrice gruppale si forma più velocemente e più in- tensamente che se attivata solo attraverso la comunicazione verbale (Bellia, 2001). Le attività ludico-motorie, se intenzionalmente proposte con queste fi- nalità, accelerano con grande efficacia e semplicità i processi di condivisione empatica e la strutturazione di simpatia e buone relazioni gruppali al di là delle lingue, delle gestualità culturalmente connotate e delle nazionalità presenti.

La mediazione corporea si esplicita da un punto di vista didattico come mediatore attivo ed analogico (Moliterni, 2013). Ovvero come espressione ge- stuale simbolica, che coinvolge sia il movimento e il fare (mediatori attivi) sia i processi di significazione esperienziale ed i vissuti della persona (mediatori analogici). Dunque, attraverso i giochi-esercizi di attività motoria è possibile coinvolgere e mettere in gioco il mondo emotivo in sicurezza, poiché si gioca, dunque si mette in atto un “come se” simbolico che rinvia però a vissuti ana- loghi alla situazione vera rappresentata nel gioco (Naccari 2016). Il gioco esplicita così un valore evolutivo poiché intenzionalmente proposto e rielabo- rato come opportunità di consapevolezza e di cambiamento di sé.

Generalmente al termine di ciascun incontro un momento di rielaborazio- ne e verbalizzazione dei vissuti (nelle varie lingue possibili, sempre sostenute dalla gestualità dell’unicità dei singoli), con la guida e la mediazione dell’edu- catore, consente di spiegarsi, capirsi, confrontarsi e fare memoria delle scoper- te fatte. È questo un momento per fare tesoro di una regola del setting di me- diazione corporea che è quella di sospendere il giudizio sia verso di sé che verso gli altri e di andare verso “il silenzio degli occhi” (Madre Teresa di Calcutta, 2003, p.19), ovvero occhi che guardano, appunto, non per giudicare, ma per porsi in ascolto dell’unicità dell’altro con il cuore.

3. La danza etnica per condividere ciò che abbiamo in comune

Tra le opportunità della mediazione corporea vi sono diverse forme e tipi di danza. La danza, così come l’arte in genere, è espressione delle forme primige- nie della cultura, dunque l’aspetto Unitas dell’umanità. Ovvero quelle forme culturali che racchiudono ed esprimono l’universo simbolico dei significati condivisi dai popoli (Cassirer, 1968). Lingua, storia, scienza, religione ed arte, pur nella specificità e differenza che le contraddistingue nelle diverse espres-

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sioni e connotazioni delle comunità umane, mantengono strutture e caratte- ristiche comuni. L’arte si connota generalmente, ovunque, come espressione di ciò che viene percepito come bellezza e come manifestazione del mondo in- terno. La danza, tra le arti, sembra essere quella più evanescente poiché non lascia una traccia, ma proprio per questo sembra poter esprimere e permettere di condividere la complessità e la differenza dell’etereo mondo dell’esperienza interna (insieme unitas e multiplex), mettendo in comunicazione le persone al di là delle parole.

La specificità della danza etnica, come danza tradizionale e popolare insie- me, permette di ritrovare forme simili di movimento nello spazio al di là della connotazione specificatamente culturale, forme che rinviano a significati e va- lori comuni. Per fare solo un esempio, “la disposizione spaziale dei danzatori più diffusa nella danza etnica è quella in cerchio. […] – che è – uno dei simboli più antichi, presente in tutte le epoche ed in tutte le culture […] In ebraico il termine chag che indica la danza in cerchio ha la medesima radice -ch-g-g - di festeggiare, esultare, celebrare e di altri termini che indicano il danzare” (Nac- cari, 2004, pp.94-95). In generale il cerchio è simbolo di unità, perfezione, to- talità, ma anche di eguaglianza e democrazia. Il movimento circolare è consi- derato perfetto e immutabile, senza inizio né fine, anche perché somiglia al movimento dei pianeti. Come nell’immagine del mandala il cerchio rinvia alla corrispondenza tra macro e microcosmo (Jung, 1997, pp. 33-35). Ma ciò che più interessa sul piano del movimento, è che la danza in cerchio ha il potere di generare un senso di “condivisione qualitativa” (Von Laban), che permette a chi vi partecipa di provare velocemente un senso intimo di piacevole appar- tenenza in relazione alle presone con le quali danza e, nello stesso tempo, un andare verso un’attivazione emotiva comune (Naccari, 2016). Vi sono molti altri simboli e archetipi di movimento transculturali (Cr. Naccari 2004; 2017) che adesso non ho lo spazio di analizzare, ma ciò che mi preme sottolineare è appunto come i laboratori pedagogici impostati sulle danze etniche possano, se condotti in un setting congruo, permettere di scoprire forme, vissuti e valori comuni e accomunanti, senza appiattire o assimilare le differenze, ma proprio attraverso esse….

Per valorizzare la portata pedagogica ed interculturale dei laboratori di dan- za etnica, è possibile proporre alla fine di ciascun incontro un’amplificazione culturale degli archetipi e/o dei simboli danzati, ovvero raccontare alcuni miti e tradizioni connesse ad essi, così da permettere ai partecipanti di focalizzare, gli elementi simili e transculturali delle danze, insieme a quelli specifici di al- cune collettività umane. Va da sé che ogni partecipante che conosca una danza del proprio paese di appartenenza la può proporre, magari dedicando ciascun

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incontro ad una forma spaziale comune, sperimentata attraverso proposte cul- turali differenti, così da poter poi riflettere insieme sulle assonanze di signifi- cato, sulle differenze e sul modo personale e soggettivo di ciascuno di percepire il tutto.

Bibliografia

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