Tiziana Chiappell
VI. Donne migranti e formazione alla cittadinanza attiva
Alcune ricerche in area italiana hanno messo in luce come l’attivismo delle donne migranti sia però spesso non supportato, e anzi al contrario ostacolato, da alcune pratiche (Pojman, 2006; Bernacchi, 2014): in particolare, si è sot- tolineato come, ad esempio, i movimenti dal basso e l’associazionismo locale, compreso quello delle donne e di area femminista, tendano ad avere una at- teggiamento, per così dire, “paternalista” rispetto alle migranti, sostituendosi a loro nei processi decisionali e rappresentandole, in molti casi, come vittime, con forti sfumature di passività, sprovviste di agency personale e di strategie di resilienza3. Questi studi evidenziano anche il fatto che le organizzazioni con
protagonismo delle donne migranti vengono percepite come concorrenti ri- spetto all’accesso alle risorse economiche e agli spazi istituzionali e pubblici, quindi di fatto in contrasto con il tessuto associativo “nativo”. Inoltre, come ha ben mostrato Moller-Okin, un approccio “multiculturale” può essere fero- cemente “maschilista”, se applicato senza una riflessione profonda sul tema dei diritti delle donne (Moller-Okin 2007). In questo senso, occorre che le agen- zie formative e i centri di ricerca che si occupano di educazione e di cittadi- nanza, così come il terzo settore spesso incaricato di svolgere i percorsi nei vari territori, riconcettualizzino l’immagine delle donne immigrate adottando una prospettiva post-coloniale e di genere con al centro i diritti umani (Nussbaum, 2001; Cambi et al., 2003; Ulivieri, 2003, 2017a, 2017b).
Per concludere
La presenza delle donne immigrate potrebbe offrire un’importante opportuni- tà per una crescita morale e intellettuale in relazione alla promozione dei diritti delle donne, dell’attivismo civico/politico e del contrasto ai pregiudizi e agli stereotipi razzisti. Per fare questo, i percorsi di cittadinanza attiva possono es- sere uno strumento molto efficace, andando a lavorare sull’empowerment per- sonale e di gruppo, sulla costruzione di reti territoriali amicali, di comunità, sociali e istituzionali, riconoscendo alle donne immigrate un ruolo centrale nella promozione dei diritti, non necessariamente collegati esclusivamente al tema delle migrazioni, e dell’arricchimento culturale in ottica democratica. Per la riuscita di questo tipo di percorsi, altamente formativi del cittadino, oc-
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3 Per una discussione critica dell’immagine e dell’agency delle donne nere e/o appartenenti a minoranze, si veda: Spivak, 1988, Williams, 1988, Mohanty, 2003 e 2013; Hooks 1981 e 1988.
Gruppo 3 - Tiziana Chiappelli
corre però farsi consapevoli della situazione che vivono le donne immigrate e di cui loro stesse, in prima persona, possono dare sia la concreta testimonianza che le chiavi di lettura e concettualizzazione; e fare questo non isolando l’ana- lisi della situazione specifica da quella contestuale (italiana, in questo caso), in cui le asimmetrie e disparità di genere sono molto evidenti e dove il supporto al welfare è principalmente se non esclusivamente pensato al femminile – che siano le “donne di famiglia” o le donne immigrate “a servizio”. Tenere presenti le differenze di potere all’interno della società, attraverso l’approccio interse- zionale degli studi femministi è necessario sia per capire in quale contesto so- ciale stiamo vivendo sia per attivare processi trasformativi dello stesso, come ad esempio proprio attraverso percorsi di cittadinanza. Occorre quindi com- binare l’ottica di genere con la fuoriuscita dal pensiero coloniale, che inquadra comunque le persone che arrivano dai sud del mondo come subordinate, per definizione oggetto di politiche e interventi (laddove ve ne siano) e non sog- getti da coinvolgere attivamente nell’ideazione e attuazione degli interventi stessi.
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