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Alcune considerazioni sul dialogo tra Corte costituzionale e Corte europea de

CAPITOLO III Il dialogo tra Corte costituzionale e Corte europea dei diritti dell’uomo

5. Alcune considerazioni sul dialogo tra Corte costituzionale e Corte europea de

A differenza di quanto visto relativamente ai rapporti con l’ordinamento comunitario e

la Corte di Giustizia, dalla ricognizione del discorso della Corte costituzionale sulla

Convenzione europea dei diritti dell’uomo, emerge un’unica evenienza del dialogo tra

giudici, in riferimento - per ovvie ragioni - alla tutela dei diritti fondamentali.

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La Convenzione europea dei diritti dell’uomo, infatti, istituisce un meccanismo finalizzato

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alla protezione dei diritti fondamentali “entro la giurisdizione” degli Stati che a tale convenzione hanno aderito (art. 1 CEDU): si tratta, pertanto, di un meccanismo giurisdizionale esclusivamente interessato a tale profili. Del pari, la Corte europea di Strasburgo non ha mai fatto ricorso, perlomeno expressis verbis, al ‘lessico costituente’ della Corte di Giustizia.

Nella storia del cammino convenzionale della Corte costituzionale, vi è un momento

ben preciso che, unanimemente, è reputato segnare l’apertura dell’ordinamento alle

ragioni della Convenzione : quando, con le due sentenze cosiddette ‘gemelle’ del

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2007, il Giudice costituzionale aggiorna la gerarchia delle fonti interne, attribuendo alla

Convenzione valore superiore alla legge ordinaria.

In ogni caso, è bene evidenziare che l’affermazione della gerarchia normativa

sussistente tra Costituzione e Convenzione - e il conseguente dovere, per il giudice

comune, di “prestare obbedienza”, innanzitutto, alla Costituzione - convive con l’idea

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della integrazione delle garanzie, del confronto tra sistemi di tutela, nella ricerca di un

omogeneo “spazio unico europeo” , con conseguente perdita di rilevanza e centralità

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della posizione monista o dualista dell’ordinamento rispetto al diritto internazionale .

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Il tutto senza soluzione di continuità rispetto alla fase antecedente, quando era diffusa la

percezione di una aporia tra il valore giuridico formalmente attribuito alle disposizioni

convenzionali - per ripetizione dalla legge di adattamento, secondo le (consolidate) tesi

dogmatiche sul dualismo dell’ordinamento statale - e la sostanza materialmente

costituzionale delle stesse. Percezione evidentemente favorito dalla valorizzazione di

quella parte del documento costituzionale costituita da un catalogo di diritti,

evidentemente considerata come il connotato proprio e tipico delle “Costituzioni”.

Come che sia, occorre evidenziare che, a partire dal 2007, la Corte costituzionale ha

deciso di non ignorare le ragioni della Convenzione, di tenere conto nei propri processi

In tal senso anche la Cassazione, sez. III civ., in sent. 18203/2008 in cui si legge che con le

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sentenze in questione è stato “compiuto un punto di svolta per l’apertura del nostro sistema di giustizia costituzionale verso il diritto europeo, consentendo alla Corte italiana di instaurare un dialogo con la Corte europea dei diritti dell’uomo”. Si veda anche la nota di: O. Pollicino “Constitutional Court at the crossroads between constitutional parochialism and co- operative constitutionalism. Judgments No. 348 and 349 of 22 and 24 October 2007” in

European Constitutional Law Review, vol. 4, 2008, pagg. 363 e ss. (“It is never too late. In two

decisions handed down at the end of October 2007, the Italian Constitutional Court seems finally to have begun to take seriously one of the Italian Constitution’s fundamental principles: the openness to international law which is embodied in Articles 10, 11 and – the provision chosen by the Constitutional Court in the judgments being examined – 117, paragraph 1 of the Constitution, which was added by the constitutional revision of 2001”).

Sentenza della Corte costituzionale n. 49 del 2015.

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Testualmente, la “Relazione del Presidente della Corte costituzionale Francesco Amirante

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sulla giurisprudenza costituzionale del 2009”, reperibile sul sito istituzionale della Corte costituzionale italiana.

decisionali di propria competenza del diritto giurisprudenziale creato dalla Corte

europea dei diritti dell’uomo, per il tramite della dottrina delle “norme interposte” nel

giudizio di costituzionalità.

In quelle (invero sempre più frequenti ) ipotesi in cui è chiamata a rapportarsi con la

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dimensione convenzionale nello svolgimento della propria funzione, il ragionamento

giuridico della Corte costituzionale si fa sempre più complesso. Si moltiplicano, infatti,

le operazioni di bilanciamento tra principi e diritti fondamentali di matrice

costituzionale e di matrice convenzionale: operazioni volte ad individuare, di volta in

volta, la soluzione più ragionevole, più adeguata, reputata comporre al meglio il novero

dei valori fondamentali coinvolti, senza tralasciarne alcuno, evitando che alcuno diventi

tiranno .

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Tuttavia, a fronte della “naturale convergenza” degli operatori giuridici “verso approcci

condivisi” in materia di diritti fondamentali, vi sono ipotesi in cui gli sviluppi del

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diritto giurisprudenziale convenzionali possono essere reputati non adeguati o non

confacenti all’ordinamento interno. In simili ipotesi, occorre incidere sulla formazione

di tale diritto, suggerendone il mutamento, esplicitando la preferibilità di una diversa

soluzione con argomentazioni rivolte (anche) all’altro attore, aggiungendo il proprio

‘punto di vista’, ad esempio affermando che certe decisioni non sono coerenti con le

caratteristiche dell’ordinamento italiano tramite l’argomento del carattere non

consolidato di tale diritto convenzionale .

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Le questioni di costituzionalità da affrontare in relazione alla CEDU hanno comportato non

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solo il superamento di molteplici decisioni politiche condensate in una o più disposizioni legislative, ma anche il superamento di previe decisioni costituzionali, di precedenti orientamenti giurisprudenziali consolidati.

Da ultimo, sentenza della Corte costituzionale n. 58 del 2018, (estensore M. Cartabia),

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considerato in diritto, par. 3.1.: “Per essere tale, il bilanciamento deve essere condotto senza consentire ‘l’illimitata espansione di uno dei diritti, che diverrebbe tiranno nei confronti delle altre situazioni giuridiche costituzionalmente riconosciute e protette, che costituiscono, nel loro insieme, espressione della dignità della persona’. Il bilanciamento deve, perciò, rispondere a criteri di proporzionalità e di ragionevolezza, in modo tale da non consentire né la prevalenza assoluta di uno dei valori coinvolti, né il sacrificio totale di alcuno di loro, in modo che sia sempre garantita una tutela unitaria, sistemica e non frammentata di tutti gli interessi costituzionali implicati”. Eppure, si potrebbe forse obiettare che è proprio il parlare e pensare per valori che conduce ad un “eterno conflitto”: C. Schmitt, La tirannia dei valori, Milano, Adelphi, 2008.

Sentenza della Corte costituzionale n. 49 del 2015, paragrafo 7.

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Vedi le considerazioni svolte nel paragrafo 4.2 (“La dottrina dell’interpretazione conforme a

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La decisione di aprire alle ragioni della istanza di tutela internazionale, in ogni caso,

non è casuale - o, peggio ancora, discrezionale - ma guidata (ordinata) dal criterio della

massima espansione delle garanzie.

Eppure, l’invocata massima espansione delle garanzie dei diritti, al netto della sua

enunciazione assiologicamente connotata, si risolve in un criterio poco più che

indeterminato, vuoto e privo di un reale contenuto, nonostante affermazioni di segno

contrario . Un criterio con cui offrire giustificazione al giudizio di valore insito nella

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ponderazione di principi o diritti nell’orizzonte delle tutele (non gerarchicamente

ordinate ma) integrate.

In realtà, dunque, proprio laddove si fa aperto sfoggio di discrezionalità giudiziale -

come nel caso dei bilanciamenti tra diritti fondamentali o di comparazione di tutele - si

fa riferimento ad un criterio massimamente opaco, idoneo a giustificare le più diverse

decisioni .

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La Corte costituzionale, di fondo, quando viene chiamata a giudicare se una determinata

legge contrasti con uno dei diritti fondamentali previsti nella Convenzione, prende atto

della giurisprudenza della Corte di Strasburgo sul punto e decide se condividerla o

meno, utilizzando un criterio che, permettendo di perseguire le più diverse politiche del

M. Cartabia, “Convergenze e divergenze”, op. cit., in cui “… come era stato da tempo intuito

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dai commentatori più profondi, i criteri di tipo quantitativo, incentrati sulla misurazione del minimo e del massimo standard di protezione, sono intrinsecamente inidonei a risolvere i conflitti tra diritti, per la struttura relazionale che li connota. La giurisprudenza della Corte costituzionale italiana conosce un principio che per alcuni aspetti è assimilabile a quello del massimo standard, ma che è altresì dotato di caratteristiche significativamente diverse. Si tratta del criterio della ‘massima espansione delle garanzie’: essa richiede il più ampio livello di tutela riferito, però, non già al singolo diritto, interesse o principio costituzionale singolarmente individuato, bensì all’insieme delle garanzie, derivante da una lettura sistematica, non frammentata di tutti i beni costituzionalmente rilevanti”.

E che si ritrova anche in relazione al dialogo sui diritti fondamentali con la Corte di Giustizia

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dell’Unione europea: già nella sentenza della Corte costituzionale n. 269 del 2017, considerato in diritto punto 5.2 (“affinché sia assicurata la massima salvaguardia dei diritti a livello sistemico - art. 53 della CDFUE -) e, da ultimo, nell’ordinanza n. 184 del 2020 (“Spetta dunque a questa Corte salvaguardar[e] [i diritti] in una prospettiva di massima espansione”).

diritto, permette altresì di esprimere una preferenza etico-politica diversa da quella

avanzata del giudice internazionale .

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Anche in questa evenienza di dialogo nello spazio costituzionale europeo, dunque, il

giudice costituzionale partecipa attivamente alla costruzione del diritto, svolge la

propria funzione mediante un “confronto costruttivo” sul significato da attribuire ai

diritti fondamentali, in “ottica di dialogo e cooperazione” con la Corte di Strasburgo,

contribuendo a rendere effettiva la “responsabilità condivisa” dell’attuazione della

Convenzione .

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Sullo sfondo di uno spazio avvertito come non (più) esclusivo, in cui è impossibile

ordinare altrimenti i rapporti tra Corte costituzionale e Corte europea di Strasburgo e tra

Costituzione e Convenzione - e così lo scivolamento lessicale (e, a valle, concettuale) da

una gerarchia materiale tra CEDU e Costituzione a una (meramente) assiologica -, si

arriva, dunque, ad ipotizzare un dialogo “nella costante tensione verso la ricerca di

adeguate soluzioni per le questioni, sovente complesse, da quei rapporti originate” .


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Si veda il molto discusso caso delle “pensioni svizzere” (sentenza n. 264 del 2012), in cui ad

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esempio, la Corte Edu aveva accordato tutela al diritto (individuale) del singolo ad un giusto processo e al rispetto dei propri beni, mentre la Corte costituzionale (più che condivisibilmente) accorda preferenza al principio di uguaglianza e solidarietà sociale (“è ispirata, invero, ai principi di uguaglianza e di proporzionalità una legge che tenga conto della circostanza che i contributi versati in Svizzera siano quattro volte inferiori a quelli versati in Italia e operi, quindi, una riparametrazione diretta a rendere i contributi proporzionati alle prestazioni, a livellare i trattamenti, per evitare sperequazioni e a rendere sostenibile l’equilibrio del sistema previdenziale a garanzia di coloro che usufruiscono delle sue prestazioni”).

Corte costituzionale n. 49 del 2015, considerato in diritto par. 7.

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F. Bile, Relazione sulla giurisprudenza costituzionale dell’anno 2007, 14 febbraio 2008.

CAPITOLO IV - Il dialogo tra Corte di Giustizia e Corte