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Diritto internazionale pattizio

CAPITOLO III Il dialogo tra Corte costituzionale e Corte europea dei diritti dell’uomo

2. La CEDU nell’ordinamento italiano: dottrina e giurisprudenza dagli anni Sessanta

2.1. Diritto internazionale pattizio

La Convenzione europea dei diritti dell’uomo è un trattato multilaterale adottato nel

1950 a Roma nell’ambito del Consiglio d’Europa, organizzazione internazionale a

carattere regionale e governativo, avente sede a Strasburgo . Il trattato, che nasce per

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“assicurare la garanzia collettiva di alcuni dei diritti enunciati nella Dichiarazione

universale” , prevede un elenco di diritti e di libertà civili (artt. 2-18), che gli Stati

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aderenti si obbligano a garantire “a ogni persona sottoposta alla loro giurisdizione” (art.

1) e, significativamente, crea delle istituzioni, quali la Commissione (poi abolita) e la

Corte europea dei diritti dell’uomo, chiamate a vigilare sul “rispetto degli impegni

derivanti dalla Convenzione” (art. 19).

Orbene, nell’ordinamento italiano è stata data piena ed intera esecuzione a tale trattato

internazionale - firmato e ratificato previa autorizzazione parlamentare - con la legge

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ordinaria n. 848 del 1955 “Ratifica ed esecuzione della Convenzione per la salvaguardia

Sul Consiglio d’Europa e la Convenzione europea dei diritti dell’uomo, ex multis: A.H.

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Robertson, The Council of Europe. Its Structure, Functions and Achievements, Londra, Stevens, 1956; G. Raimondi, Il Consiglio d’Europa e la Convenzione europea dei diritti dell’uomo, Editoriale Scientifica, Napoli 2008;A. Bultrini, La pluralità dei meccanismi di tutela dei diritti

dell’uomo in Europa, Giappichelli, Torino 2004; B. Nascimbene (a cura di), La Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Profili ed effetti nell’ordinamento italiano, Giuffré, Milano 2002;

M. De Salvia, La Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Procedure e contenuti, Editoriale Scientifica, Napoli 2001.

Al termine del secondo conflitto mondiale, andarono proliferando molti e diversi movimenti

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e organizzazioni mossi da uno stesso ideale (l’unità europea occidentale), guidati da personalità politiche di spicco del tempo e rappresentativi della società civile. Lo sbocco istituzionale di questa pluralità di istanze fu la costituzione del Comitato internazionale di coordinamento dei movimenti per l’unità, promotore del “Congresso dell’Europa”, svoltosi a L’Aja dal 7 al 10 maggio 1948. Nell’ambito di questi “Stati Generali dell’Europa” furono elaborate in nuce le proposte che caratterizzeranno la storia dell’Europa: la creazione di un’unione economica e politica per assicurare la sicurezza, l’indipendenza economica e il progresso sociale del vecchio continente, l’elaborazione di una Carta Europea dei diritti dell’uomo e la creazione di una Corte per renderla effettiva. Sotto quest’ultimo punto di vista, direttamente rilevante per il tema della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, è evidente il collegato con il fenomeno della cd. “internazionalizzazione dei diritti”: se la tutela dei diritti è affidata esclusivamente allo Stato nazione, detta tutela può dimostrarsi una garanzia illusoria, poiché è ormai comprovato che il primo “violatore” dei diritti è proprio lo stesso Stato.

Precisamente, una volta redatta la Convenzione, l’apertura alle firme fu ufficializzata il

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giorno 4 Novembre 1950 a Roma, presso palazzo Barberini, giorno in cui fu firmato dal rappresentante del Belgio, Danimarca, Francia, Germania, Islanda, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Norvegia, Turchia e Regno Unito; seguita a distanza di qualche settimana da Svezia e Grecia.

dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali firmata a Roma il 4 novembre 1950 e

del Protocollo addizionale alla Convenzione stessa, firmato a Parigi il 20 marzo 1952”.

L’individuazione della “posizione e del ruolo delle norme della CEDU e la loro

incidenza sull’ordinamento italiano” non si presentava, da un punto di vista formale,

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come una questione dogmatica particolarmente oscura o spinosa.

Come noto, nella letteratura predominante e nella stessa giurisprudenza

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costituzionale, è acquisizione pacifica la differenziazione del trattamento riservato

dall’ordinamento al diritto internazionale cosiddetto pattizio (o convenzionale) e al

diritto internazionale cosiddetto consuetudinario (o generale).

L’art. 10 Costituzione, il quale dispone, tra le altre cose, che “l’ordinamento giuridico

italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute”,

viene considerato il ‘viatico’ per il diritto internazionale consuetudinario

nell’ordinamento interno: per il tramite del rinvio mobile effettuato nel testo

costituzionale, le norme consuetudinarie internazionali devono essere considerate

applicabili nell’ordinamento, senza che occorrano leggi statali di adattamento . Da un

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punto di vista interno, inoltre, il diritto internazionale generale si colloca in una

posizione sovra-ordinata alla legge ordinaria : già a partire dagli anni Sessanta, la

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Questa la questione affrontata nelle sentenze cosiddette ‘gemelle’: così, testualmente nella

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sentenza n. 348 del 2007, considerato in diritto. par. 4.2.

Le eccezioni sono le note dottrine pacta sunt servanda (Rolando Quadri) e pacta recepta

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sunt servanda (Giuseppe Barile) delle quali, in via di sintesi, si può leggere in G. Itzcovich, Teorie e ideologie, op. cit., pagg. 347-357 e in G. Tesauro, “Costituzione e norme esterne”, in Il Diritto dell’Unione europea 2/2009, pagg. 195 e ss..

T. Perassi, “La Costituzione italiana e l'ordinamento internazionale”, in Scritti giuridici,

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Milano, 1958, pag. 433, in cui si parla di “trasformatore permanente. Vedi anche: E. Cannizzaro, A. Caligiuri,” Art. 10” in Commentario alla Costituzione Padova, CEDAM: “L’art. 10, co.1, predispone un meccanismo di adattamento automatico nei confronti del diritto internazionale generale. Questo emerge dal tenore letterale della disposizione e si desume dalla volontà dei redattori del testo costituzionale. Esso non si limita quindi a stabilire un obbligo di adattamento, ma lo dispone direttamente, assicurando istante per istante un regime di conformità fra ordinamento interno e diritto internazionale generale. Il meccanismo contenuto nella disposizione costituzionale è, quindi, un meccanismo di adattamento automatico mediante rinvio. L'adattamento è automatico in quanto è effettuato indipendentemente dall'esistenza di un atto di adattamento ad hoc. Esso utilizza la speciale tecnica del rinvio in quanto provvede a conformare l'ordinamento interno non già operando direttamente le modifiche normative necessarie a ciò, bensì rinviando alle medesime norme del diritto internazionale generale”.

Tuttavia, è discusso se le norme richiamate dall’art. 10 assumano una valenza infra-

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costituzionale ovvero siano pari ordinate alle norme costituzionali. Il diritto giurisprudenziale costituzionale, senza invero particolari argomentazioni, sembra attualmente attestato sulla posizione che vede le norme richiamate ripetere il rango dalle norme che effettuano il rinvio.

Corte costituzionale si trovò ad esaminare questioni di legittimità costituzionale di

alcune disposizioni ordinarie per asserite violazioni del diritto internazionale

generale .

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Dal campo applicativo di tale articolo risulta escluso il diritto internazionale pattizio o

convenzionale: “l'adeguamento automatico dell’ordinamento giuridico” è indirizzato

“alle sole norme del diritto internazionale generalmente riconosciute, e non anche agli

impegni assunti dallo Stato in forza di accordi particolari” . Le norme internazionali

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pattizie necessitano, per poter essere immesse nell’ordinamento, di un intervento ad

hoc, il cosiddetto ordine di esecuzione - normalmente (ma non esclusivamente) una

legge ordinaria - da cui le norme ripetono la veste formale.

Alla luce di tali consolidate dottrine, la Convenzione europea dei diritti dell’uomo, in

quanto diritto internazionale pattizio, assume la forma e la posizione nella gerarchia

delle fonti interne dell’ordine di esecuzione, ovvero della legge n. 848/1955. In quanto

legge ordinaria, essa è formalmente e materialmente subordinata alla Carta

costituzionale, è astrattamente suscettibile di essere abrogata, derogata o modificata da

Oggi, una simile eventualità si è verificata (sentenza della corte costituzionale n. 238 del

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2014), ma negli anni Sessanta, vedi la sentenza della Corte costituzionale n. 67 del 1961 in cui viene sollevata una questione di legittimità costituzionale di una disposizione di legge ordinaria (la n. 1409/1956) in riferimento - perlomeno presuntivamente, data la mancanza di specificazioni sul punto del giudice a quo- di diritto internazionale consuetudinario; sentenza n. 135/1963 in cui viene sollevata una questione di legittimità costituzionale dell’articolo unico della legge n. 1263/1926 in riferimento, tra i vari parametri, all’art. 10 Cost. La Corte costituzionale, peraltro, rigetta la censura poiché “nella legislazione e nella giurisprudenza e dottrina dei vari Paesi non vi é concordanza di indirizzi e sistemi relativamente all'esenzione dai procedimenti conservativi e di esecuzione su beni di Stati esteri che non sono destinati a funzioni attinenti all'esercizio della sovranità”.

Sentenza della Corte costituzionale n. 32 del 1960, in cui: “l'obbligo giuridico di rispettare i

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trattati e di adeguare il proprio ordinamento alle clausole di essi, é un obbligo di diritto internazionale, che può essere fatto valere soltanto dall'altra Alta Parte Contraente, nelle forme previste dall'accordo, e la cui violazione non comporta un vizio di legittimità costituzionale”.

una legge ordinaria successiva e può, del pari, astrattamente abrogare tacitamente,

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derogare o modificare le leggi ordinarie antecedenti . In uno scritto del 1969, Antonio

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Cassese fotografa precisamente l’opinione “di gran lunga più diffusa” nella dottrina

italiana e straniera: “le norme di adattamento alla Convenzione, essendo state immesse

attraverso una legge ordinaria, hanno il rango proprio di tale legge” .

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È bene evidenziare che questa ricostruzione dei rapporti tra diritto interno e diritto

internazionale pattizio sub species CEDU, diversamente da quanto visto in relazione al

diritto comunitario, non ha suscitato reazioni della Corte europea di Strasburgo (o della

Commissione). Sebbene alcuni affermassero che gli articoli 1 e 13 CEDU potessero

costituire fondamento di un obbligo di rendere la Convenzione direttamente applicabile

Una parte della dottrina cercava, comunque, di affermare l’impossibilità che le norme

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internazionali veicolate dall’ordine di esecuzione fossero abrogate tacitamente o modificate da leggi interne successive. Si veda, ad esempio l’elaborazione della dottrina del “principio della prevalenza sostanziale delle norme di adattamento” sulle leggi successive, declinato da Cesare Fabozzi oppure i tentativi di fondare l’applicazione del criterio della lex specialis ad opera di Antonio Malintoppi e Benedetto Conforti. Vedi: C. Fabozzi, L’attuazione dei trattati

internazionali mediante ordine di esecuzione, Giuffré, Milano 1961; C. Fabozzi, “La

Convenzione europea dei diritti dell’uomo nell’ordinamento italiano” in Temi romana, 1963 pagg. 798 e ss.; A. Malintoppi, Diritto uniforme e diritto internazionale privato in tema di

trasporto, Giuffré, Milano 1955, pag. 65 (nota 58; 76 a pag. 73); B. Conforti, “Diritto

comunitario e diritto degli Stati Membri” in Rivista di diritto internazionale privato e

processuale, 1966 pag. 18.

Non a caso, gli studiosi processualpenalisti degli anni Sessanta (su cui vedi infra) cercavano

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di evidenziare fenomeni di abrogazione tacita di singole disposizioni del (previgente) codice di procedura penale da parte delle sopravvenute norme convenzionali.

A. Cassese, “L’efficacia delle norme italiane di adattamento alla Convenzione europea dei

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diritti dell’uomo” in Rivista di diritto internazionale privato e processuale 4/1969 pagg. 918 e ss.: “le norme di adattamento alla Convenzione, essendo state immesse attraverso una legge ordinaria, hanno il rango proprio di tale legge con la conseguenza - talvolta enunciata in termini espressi; e più spesso implicitamente- che esse non possono in alcun modo costituire un parametro di giudizio per accertare la legittimità costituzionale di leggi ordinarie, o di altri atti equiparati, con esse incompatibili”tale opinione [di cui al testo] muove dall’esatto presupposto che l’esecuzione dei trattati internazionali avviene in virtù non dell’art. 10 comma I, ma del procedimento ordinario di adattamento o dell’ordine di esecuzione, i quali danno vita a norme che rivestono il valore formale proprio dell’atto normativo con cui sono state poste”. Vedi, anche: F. Margiotta Broglio, La protezione internazionale della libertà religiosa nella

convenzione europea dei diritti dell’uomo, Giuffrè, Milano 1967; I. Telchini, “A proposito di

negli ordinamenti degli Stati aderenti - così avvicinando la CEDU ai Trattati

comunitari -, la Corte europea ha sempre recisamente rifiutato queste posizioni .

285 286

Le modalità di incorporazione della Convenzione nel diritto interno sono reputate

questioni prettamente domestiche e prive di rilevanza per il sistema convenzionale: la

giurisdizione della Corte di Strasburgo viene esercitata tanto nel caso in cui la

Convenzione sia formalmente diritto valido nell’ordinamento interno quanto nel caso in

cui non lo sia; tanto nel caso in cui la Convenzione, incorporata, abbia rango

costituzionale quanto di fonte ordinaria .

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Alla Corte europea dei diritti dell’uomo, infatti, interessa unicamente che la sostanza

dei diritti contenuti nell’elenco convenzionale sia garantita dagli Stati, poco importa in

quale veste formale: “although there is thus no obligation to incorporate the Convention

into domestic law, by virtue of Article 1 of the Convention the substance of the rights

and freedoms set forth must be secured under the domestic legal order, in some form or

another, to everyone within the jurisdiction of the Contracting States” . Ciò che

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T. Buergenthal, “The Effect of the European Convention on Human Rights on the Internal

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Law of Member States” in International and Comparative Law Quarterly Supplementary

Publication vol. 11, 1965, pagg. 76 e ss.; P. Pescatore, “L’application judiciarie des traités

internationaux danno la Communauté européenne et dans se etats membres” in AA.VV.,

Mélanges offerts à Pierre-Henri Teitgen, Paris, Pedone, 1984, pagg. 355 e ss.

(Plenary), Case of the Observer and Guardian v. the United Kingdom, app. 13585/88, 26

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Novembre 1991, par. 75 e 76: “O.G. complained of the fact that the English courts did not apply the proper principles in relation to Article 10 and that neither that provision nor the case-law relevant thereto had been incorporated into English law. They alleged that on this account they had been victims of a violation of Article 13 of the Convention. […] The Court agrees with the Government and the Commission that this allegation has to be rejected. […] As regards the specific matters pleaded, the Court has held on several occasions that there is no obligation to

incorporate the Convention into domestic law. Again, Article 13 does not go so far as to

guarantee a remedy allowing a Contracting State’s laws as such to be challenged before a national authority on the ground of being contrary to the Convention“.

Al massimo, questo si ripercuoterà sulla regola della sussidiarietà e del previo esaurimento

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dei rimedi interni: ad esempio, (Plenary) Case of De Wilde Ooms and Versyp v. Belgium, app. nn. 2832/66 2835/66 2899/66, 18 giugno 1971, par. 82: The applicants could also have contended before the Conseil d’État, as they did before the Commission, though not very precisely, that their detention had in any event violated Article 5.1 of the Convention, particularly because, due to supervening circumstances, they had lost their character of vagrants. In fact Article 5 of the Convention is directly applicable in the Belgian legal system, such that its violation could have been complained of before the Conseil d’État and it cannot be affirmed a priori that it would not have decided speedily.

Case of James and others v. United Kingdom, app. n. 8793/79, 21 febbraio 1986, par. 84.

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Conformemente, (Chamber) Case of Swedish Engine Drivers’ Union v. Sweden, app. n. 5614/72 (par. 50: “In addition, neither Article 13 nor the Convention in general lays down for the Contracting States any given manner for ensuring within their internal law the effective implementation of any of the provisions of the Convention”).

importa, quindi, è che i diritti e le libertà posti nella Convenzione siano attribuiti e

garantiti a chiunque si trovi entro la giurisdizione degli Stati parte .

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In definitiva, nonostante l’entusiasmo politico mostrato dall’Italia per il progetto

internazionalista in questione , sul piano più squisitamente giuridico la partecipazione

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alla CEDU non determinò, nel breve periodo, alcuno ‘stravolgimento rivoluzionario’,

come invece si verificò relativamente alla partecipazione alle Comunità Europee (e

nonostante alcune affermazioni della Corte europea richiamassero alla mente i

precedenti della Corte di Giustizia CE ): nei fatti, la Convenzione rimase per lungo

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tempo oggetto di interesse di branche settoriali della dottrina italiana, in modo

Case of Ireland v. the United Kingdom, app. n. 5310/71, 18 gennaio 1978, par. 239: “By

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substituting the words ‘shall secure’ for the words ‘undertake to secure’ in the text of Article 1, the drafters of the Convention also intended to make it clear that the rights and freedoms set out in Section I would be directly secured to anyone within the jurisdiction of the Contracting States. That intention finds a particularly faithful reflection in those instances where the Convention has been incorporated into domestic law. The Convention does not merely oblige the higher authorities of the Contracting States to respect for their own part the rights and freedoms it embodies; as is shown by Article 14 and the English text of Article 1 (‘shall secure’), the Convention also has the consequence that, in order to secure the enjoyment of those rights and freedoms, those authorities must prevent or remedy any breach at subordinate levels”.

L’Italia, paese fondatore del Consiglio d’Europa, è tra i primi Stati ad aver aderito alla

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Convenzione europea dei diritti dell’uomo, ad aver accettato la giurisdizione della Corte di Strasburgo e il diritto di ricorso individuale, nel 1973, il tutto pressoché in assenza di riserve al trattato, a differenza di altri paesi, come ad esempio la Spagna.

In particolare, se da una parte la Corte europea affermò di fare riferimento alla Convenzione

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di Vienna sull’interpretazione dei Trattati del 1969, in quanto ricognitiva di principi generalmente riconosciuti del diritto internazionale (Golder 1975: “The Court is prepared to consider […] that it should be guided by Articles 31 to 33 of the Vienna Convention of 23 May 1969 on the Law of Treaties […] its Articles 31 to 33 enunciate in essence generally accepted principles of international law to which the Court has already referred on occasion”), per poi utilizzare criteri evolutivi nell’interpretazione del testo (Wemhoff 1978 “…the most appropriate [interpretation] in order to realize the aim and achieve the object of the treaty, not that which would restrict to the possible degree the obligation undertaken by the Parties”) e dare vita a interpretazioni estensive e, come diverrà poi evidente, ad imporre nuove obbligazioni sugli Stati parte della Convenzione. Del resto, anche la Convenzione è un non comune trattato internazionale (Ireland v. UK 1978: “unlike international treaties of the classic kind, the Convention comprises more than mere reciprocal engagements between contracting States. It creates, over and above a network of mutual, bilateral undertakings, objective obligations which, in the words of the Preamble, benefit from a ‘collective enforcement’).

particolare processual-penalistica .

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La posizione tutto sommato marginale e settoriale della CEDU nel dibattito accademico

italiano è cristallizzata nel testo di una relazione presentata da Giovanni Conso ad un

convegno torinese del 1967 in cui viene ricordato come secondo le opinioni di una parte

della dottrina - e precisamente dell’Andrioli, del Carrelli e dell’Amodio - “saremmo, da

molti anni ormai, di fronte ad una serie imponente di violazioni di legge, ad

un’autentica crisi della Convenzione europea che non sarebbe applicata dai nostri

magistrati, che sarebbe disconosciuta dal nostro legislatore. Gravissime, stando a questa

diagnosi, le colpe della giurisprudenza, della legislazione e, naturalmente, anche della

dottrina” .

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2.2. … avente carattere materialmente costituzionale

Per quanto riguarda la posizione della Corte costituzionale sulla rilevanza della CEDU

nell’ordinamento interno, dall’esame delle pronunce precedenti la presa di posizione

V. Andrioli, “La Convenzione europea dei diritti dell’uomo e il processo penale” in Temi

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romana: raccolta mensile della giurisprudenza della Corte d'appello, dei tribunali e delle preture dipendenti, 1964, pagg. 457 e ss; Id, Appunti di procedura penale, Jovene, Napoli 1965;

M. Pisani, “Convenzione europea dei diritti dell’uomo e riforma del processo penale” in Foro

italiano 4/1966; ID, “Un ’caso clinico’ in tema di Convenzione europea dei diritti dell’uomo”,

in Indice penale 1967, pagg. 391 e ss.; N. Carulli, Il diritto di difesa dell’imputato, Jovene, Napoli 1967; M. Chiavario, La convenzione europea dei diritti dell’uomo nel sistema delle fonti

normative in materia penale, Giuffré, Milano 1969; ID, “Le garanzie fondamentali della

persona umana nella Convenzione di Roma e nel processo penale italiano” in Rivista di dritto

matrimoniale 1966, pagg. 501 e ss.; E. Amodio, “La tutela della libertà personale dell’imputato

nella Convenzione europea dei diritti dell’uomo”, in Rivista italiana di diritto e procedura

penale 1967, pagg. 860 e ss.; G. Vassalli, “Il diritto alla prova nel processo penale” in Rivista italiana di diritto procedura penale, 1968; V. Grevi, “Spunti sull’art. 6.3 lett. d) della

Convenzione europea dei diritti dell’uomo (in tema di citazione dei testimoni a discarico nella fase del giudizio)” in L’indice penale 1968.

G. Conso, “I diritti dell’uomo e il processo penale” in Rivista di diritto processuale 1968,

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pagg. 307 e ss. che continua “ […] Io sono, [invece], con quegli altri pochi studiosi del settore, cioè il Pisani ed il Chiavario, i quali non negano l’esistenza di uno scarto fra il sistema processuale penale vigente in Italia ed i diritti dell’Uomo, ma parlano di uno scarto non eccessivo. […] A quei pochi processual-penalisti che hanno affrontato il problema, va indubbiamente tributato il merito di averne sentito per primi l’importanza e di aver iniziato il difficile cammino di una chiarificazione su questo piano […]”.

spartiacque del 2007, emergono alcune curiose tendenze, indubbiamente degne di