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Alcune considerazioni.

第二百一十五条 [非法制造、销售非法制造的注册商标标识罪]

2.2 Il fenomeno della contraffazione nel complesso.

2.2.6 Alcune considerazioni.

La contraffazione è un fenomeno che esiste pressoché da sempre. Che si tratti della civiltà latina o della civiltà cinese, essa si è radicata nelle società fin dall’antichità. Ha riguardato in particolar modo le monete, siano esse state di argento, di rame o di carta, ma non solo. Roger Greatrex ci ricorda che in Cina alcuni reperti archeologici hanno dimostrato che gli artigiani firmavano in qualche modo le loro opere, per identificare chi le aveva prodotte, la provenienza o l’autenticità. Sono stati scoperti alcuni segni (una sorta di marchio) anche su pezzi attribuibili ai soldati di terracotta, datati dinastia Qin, vale a dire fine del terzo secolo avanti Cristo.61

Lo stesso Greatrex ci dice che questa sorta di identificazione della provenienza e dell’autenticità era legata anche al concetto della sincerità. Sul Libro dei Riti era scritto: “Il nome di un lavoratore dovrebbe essere inciso sull’opera [che ha prodotto], per accertarsi della sua sincerità ( 诚 chéng). Se la lavorazione è difettosa, il lavoratore deve essere punito. I prodotti che sono difettosi o fatti con materiale scadente sono confiscati dallo Stato”. La sincerità quindi ha avuto ed ha tuttora un ruolo centrale nella cultura cinese.

Viene da chiedersi dunque quale motivo spinga i cinesi ad aggiudicarsi il primato di paese contraffattore al mondo, fatto che non si sposa propriamente con il concetto di sincerità. Il motivo chiaramente si può desumere dalle analisi sul mercato della contraffazione e dai grafici visti finora: è una questione prettamente economica e che

61 Cfr. Roger GREATREX, The authentic, the copy and the counterfeit in China, in TIMOTEO,

investe proprio il marchio. Si può affermare che il marchio è legato a doppio filo con l’economia: più l’economia di un paese è prosperosa, più marchi vi sono. Essi allo stesso tempo sono un indicatore importante dell’economia. Yu Shicun li definisce addirittura il volto:

Come diceva il filosofo Ludwig Wittgenstein, soltanto ciò che ha un nome esiste. L’esistenza e la reputazione dei marchi dimostra l’efficienza produttiva e la prosperità economica di un paese. Il fatto che nel mercato globale non si trovino quasi marchi cinesi famosi dimostra l’inefficienza della nostra economia come moltiplicatore di influenza, ossia di potenza. Giacchè i marchi sono il volto dell’economia. L’ex primo ministro Yasuhiro Nakasone era solito dire: “Nei rapporti internazionali, la Sony è il mio profilo sinistro e la Panasonic il mio profilo destro”. In termini pratici, i marchi rappresentano non solo il progresso delle industrie di un paese, ma anche la sua potenza e la sua immagine internazionale. […] L’importanza che la Cina attribuisce ai marchi è incredibile. Quasi pari al desiderio di pubblicità che spinge alcuni uomini cinesi a comportarsi come bambini viziati e alcune donne a rendere spudoratamente pubblica la loro vita privata e a mettere in mostra il loro corpo. Questo rientra nella distorta mentalità economica dei cinesi, convinti che tutto ciò che è famoso porterà profitti, avrà successo sul mercato e farà piazza pulita della concorrenza. In termine di marchi di fabbrica, questa mentalità spinge i cinesi a pensare che, senza alcuno sforzo creativo, possono sperare in un colpo di fortuna grazie al fatto che i loro marchi hanno un basso tasso di registrazione. Di conseguenza, sfruttare i marchi altrui, soprattutto i più famosi, è diventata un’abitudine diffusa e contraffarli una moda alla quale dedicano tutti i loro sforzi.62

La contraffazione dunque è legata al desiderio di ricchezza dei cinesi; in secondo luogo anche ad alcuni limiti culturali, al gusto della parodia e tutto sommato alla loro abilità nel contraffare.

Yu Shicun scrive anche:

[…] ogni volta che un personaggio, un evento o uno slogan diventa sufficientemente famoso nella società cinese, qualcuno cerca di trasformarlo in marchio. […] Che cosa fanno i cinesi quando un marchio viene finalmente

II. La contraffazione

registrato? Lo mettono semplicemente all’asta. […] Sulla scia di tale fenomeno, simile a quello verificatosi con i nomi dei domini Internet, molti hanno cominciato a pensare che bastasse registrare un marchio per guadagnare una fortuna. […] Potremmo concluderne che la corsa alla registrazione dei marchi riflette un tale disprezzo dello Stato e del partito che personaggi, istituzioni ed eventi un tempo trattati con serietà e rispetto adesso vengono sviliti. Rivelando una totale indifferenza nei confronti della creatività e un’avidità assoluta. I truffatori non vengono criticati dal pubblico cinese, anzi sono elogiati per la loro intelligenza. […] I cinesi chiudono un occhio sulla protezione dei marchi e con l’altro calcolano quanto possono guadagnare violando la legge.63

Pare che la contraffazione in Cina fosse necessaria per accumulare ricchezza. Yu Shicun comunque denuncia l’avidità della società cinese odierna e la messa da parte dell’etica tradizionale.

Le cose tuttavia stanno cambiando. Alcuni marchi cinesi si sono affermati nel mondo: Lenovo, Haier, Tlc, Baosteel e diversi altri. Sembra inoltre che i cinesi abbiano capito che il progresso della loro economia dipende anche dalla tutela della proprietà intellettuale:

“Man mano che il nostro paese si mette al passo con il resto del mondo, sempre più marchi cinesi faranno il loro esordio in Occidente. E se vogliamo che la nostra proprietà intellettuale venga protetta oltreoceano dovremo proteggere anche quella degli occidentali qui” [dice un venditore di Xiangyang]. È ciò che sostiene anche il pragmatico avvocato Simone: “La contraffazione finirà quando il Paese comincerà a produrre marchi propri di cui reclamerà la tutela”. La reciprocità è la via d’uscita. Nella prima concitata fase di capitalismo la Cina aveva un gran svantaggio da recuperare e niente da perdere: se copiare voleva dire saltare un po’ di tappe, andava bene anche quello.64

Passata la fase della quantità e dell’accumulo di ricchezza, arriverà quella della qualità, garantita dai marchi. I quali necessitano però di essere tutelati, attraverso la conoscenza da parte degli operatori economici degli strumenti di tutela esistenti. Strumenti che devono allo stesso tempo essere rafforzati.

63Cfr. YU Shicun, “Perché i marchi gialli non sono globali” …, cit.,ibidem. 64Cfr. STAGLIANÒ,L’Impero dei falsi, cit., pp. 170-171.