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Alcune considerazioni sulla società di capitali – amministratrice di fatto di società di persone

Società di capitali amministratrici di società di persone: le novità della riforma

2.5. Alcune considerazioni sulla società di capitali – amministratrice di fatto di società di persone

svolgimento dell’incarico, non incide in alcun modo sulla validità della nomina medesima, non imponendo il sistema un simile onere in capo all’amministratore – persona giuridica. Ed anche sotto il profilo pubblicitario, la specificazione, nella domanda di iscrizione al registro delle imprese relativa alla nomina di un amministratore della società di capitali (art. 2383), del potere esclusivo di gestione e rappresentanza della società di persone amministrata 409

, lungi dal costituire un obbligo legale, non può che reputarsi una mera possibilità, derivante da una precisa scelta, in tale direzione, dello statuto della società di capitali amministratrice.

2.5. Alcune considerazioni sulla società di capitali – amministratrice di fatto di società di persone

La recente affermazione, in sede giurisprudenziale 410, della configurabilità della società di capitali quale socio di fatto di una società di persone, fondamentalmente indirizzata ad un’accentuazione della tutela dei creditori sociali di quest’ultima mediante assoggettamento a

408

Non ci si riferisce qui alla scelta del sistema di amministrazione, disgiuntivo o congiuntivo, o alla regolamentazione del potere di rappresentanza, le quali naturalmente restano appannaggio dei patti sociali, bensì al modus operandi dell’amministratore (il quale, ad es., potrebbe decidere di avvalersi, nei limiti consentiti dalla legge, di terzi mandatari).

409

Si è già ricordato, peraltro, che, se ad amministrare la società di persone è una s.p.a., il potere esclusivo in questione può essere soltanto quello di rappresentanza.

410

Trib. Santa Maria Capua Vetere, 8.7.2008, in Fallimento, 2009, p. 89; Trib. Forlì, 9.2.2008, in

Giur. it, 2008, p. 1425. La questione tuttavia non può ancora dirsi del tutto pacifica, atteso che altre

sentenze, in tempi altrettanto recenti, hanno disconosciuto la possibile esistenza di società di fatto cui partecipino società di capitali: App. Bologna, 11.6.2008, in Fallimento, 2008, p. 1293; Trib. Torino, 4.4.2007, in Vita notarile, 2007, p. 766; App. Torino, 30.7.2007, in Giur. it., 2007, p. 2219.

fallimento della prima 411, solleva l’interrogativo circa l’ammissibilità dell’ulteriore (conseguente) fattispecie della società di capitali – amministratrice di fatto della società personale.

Gli amministratori di fatto sono stati tradizionalmente definiti come coloro che «senza titolo, o senza titolo valido, gestiscono o concorrono nella gestione della società, con un potere di fatto corrispondente a quello che la legge riconosce agli amministratori di diritto» 412.

Si è già visto (v. par. 2.5 del Capitolo II) come non sia possibile, al fine di sostenere un’eventuale responsabilità solidale in capo alla società di capitali amministratrice della società personale e alla persona fisica concretamente preposta dalla prima alla gestione della seconda, qualificare come amministratore di fatto la suddetta persona fisica. A ciò osta l’impossibilità di individuare, in capo alla stessa, il requisito soggettivo qualificante dell’amministratore di fatto, id est l’assenza di una sua investitura formale o l’irregolarità di quest’ultima. Non vi è dubbio infatti che la persona fisica amministratrice e legale rappresentante della società di capitali socia della società di persone sia già in quanto tale legittimata ad esprimere all’esterno la volontà di quella stessa società di capitali, e dunque anche ad impegnare validamente la società di persone amministrata. In tale contesto, pertanto, la persona fisica non abbisogna di una designazione formale da parte della società di capitali – amministratrice, né tantomeno da parte della società di persone amministrata; ne deriva

411

Il fallimento della società si estende ai soci illimitatamente responsabili «pur se non persone fisiche», per espresso disposto dell’art. 147, 1° comma, l. fall. Appare significativo, anche ai fini del riconoscimento della fattispecie della società di capitali – socia di fatto di altra società, che, secondo la dottrina più recente, la mancata autorizzazione all’assunzione di partecipazioni in imprese comportanti responsabilità illimitata (art. 2361, 2° comma) non possa incidere retroattivamente sull’acquisto della qualità di socio da parte della società di capitali, la quale pertanto non potrà, adducendo tale motivo, sottrarsi al fallimento: G. Palmieri, Nuovi profili del fallimento delle società, in Temi del nuovo diritto

fallimentare, a cura di Palmieri, Torino, 2009, p. 86. 412

F. Galgano, op. ult. cit., p. 325. Va comunque ricordato che, se ai fini della responsabilità penale per i reati societari di cui al Titolo XI del Libro V del codice civile è considerato amministratore di fatto «chi esercita in modo continuativo e significativo i poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione» (art. 2639, 1° comma), appaiono invece più incerti i requisiti di esperibilità dell’azione sociale di responsabilità. A quest’ultimo fine, infatti, la giurisprudenza, in una prima fase, richiedeva comunque che l’amministratore (di fatto) fosse stato nominato dall’assemblea, anche se in modo invalido o inefficace o quantomeno tacito (Cass., 19.12.1985, n. 6493, in Giur. it., 1986, I, 1, c. 374; Cass., 5.1.1972, n. 21, in Giust. civ., 1972, I, p. 246; App. Milano, 28.3.1980, in Giur. it., 1982, I, 2, c. 219), ritenendo altrimenti esercitabile soltanto l’azione di responsabilità extra contrattuale ex art. 2043; successivamente si è sancita la prevalenza del contenuto delle funzioni concretamente esercitate sulla mera qualificazione formale del rapporto, ritenendosi quindi applicabile la responsabilità civile (contrattuale) all’amministratore di fatto che, pure in assenza di qualsivoglia nomina, si sia sistematicamente (e non con atti di natura eterogenea ed occasionale) ingerito nella gestione della società (Cass., 14.9.1999, n. 9795, in Società, 2001, p. 907 con nota di Salvato; App. Milano, 9.12.1994, in Società, 1995, p. 926, con nota di Fattori; Cass., 5.12.2008, n. 28819, in

l’inapplicabilità a questa specifica fattispecie dell’istituto, di origine dottrinale e giurisprudenziale, dell’amministratore di fatto, e ciò a causa dell’impossibilità di ravvisarvi le condizioni d’esistenza.

Sotto questo profilo, quindi, non condividiamo l’affermazione giurisprudenziale, ormai risalente, secondo cui «potrebbero essere considerate amministratori di fatto della controllata – a tutto concedere – le persone fisiche che al medesimo tempo gestiscono la società “capo - gruppo”» 413: tale ricostruzione appare contrastante con la disciplina della responsabilità della società holding, introdotta dalla riforma societaria del 2003. Infatti, ai sensi dell’art. 2497, 1° comma, la responsabilità da etero – gestione grava in primis sulla società capo gruppo e, pur prescindendo sia da un rapporto di controllo tra la holding e la società etero diretta, sia da un vero e proprio incarico di amministrazione conferito alla prima da parte della seconda (sarebbero sufficienti ad integrare la fattispecie anche direttive informali), presuppone un fatto, ossia l’esercizio dell’attività di direzione e coordinamento che, per espressa dizione normativa, è appannaggio di una società o di un ente 414. Ne discende che, se si volesse in qualche misura intravedere nella nuova disposizione normativa un riconoscimento della teoria dell’amministratore di fatto 415

, tale ultima qualifica spetterebbe non alle persone fisiche che agissero per conto della holding ma piuttosto alla holding stessa 416. Alla luce dell’intervento

413

App. Milano, 9.12.1994, cit., p. 928. 414

P. Dal Soglio, Commento all’art. 2497, in Commentario breve al diritto delle società, cit., Padova, 2011, p. 1338.

415

Occorrerebbe, al riguardo, verificare in primo luogo se effettivamente la capogruppo possa ingerirsi nella gestione ordinaria della controllata, sostenendosi che il riconoscimento legislativo della liceità dell’attività di direzione e coordinamento implichi anche l’attribuzione delle prerogative proprie del gestore (così G. Scognamiglio, Poteri e doveri degli amministratori nei gruppi di società dopo la

riforma del 2003, in AA. VV., Profili e problemi dell’amministrazione nella riforma delle società, a

cura di G. Scognamiglio, Milano, 2003; p. 202; U. Tombari, Poteri e doveri dell’organo

amministrativo di una s.p.a. ―di gruppo‖ tra disciplina legale e autonomia privata, in Riv. soc., 2009,

p. 128) o se, piuttosto, la disciplina complessiva dell’attività di direzione e coordinamento non deroghi in alcun modo ai principi generali sulla competenza e responsabilità degli amministratori (della controllata), non potendo quindi la capogruppo imporre a questi ultimi, in modo vincolante, atti di gestione (C. Santagata, Autonomia privata e formazione dei gruppi nelle società di capitali, in Il

nuovo diritto delle società. Liber amicorum Gian Franco Campobasso, diretto da Abbadessa e Portale,

3, Torino, 2007, p. 810; G. Sbisà, Sui poteri della capogruppo nell’attività di direzione e

coordinamento, in Contr. impr., 2011, pp. 379 ss.; in giurisprudenza, Trib. Biella, 12.3.2007, in Giur. comm., 2010, II, pp. 287 ss., ha ribadito «la permanenza della riserva di competenza esistente a favore

degli amministratori, che difatti non possono liberarsi dalle loro responsabilità semplicemente obbedendo alle disposizioni della controllante»).

416

Non può essere accolta la tesi di chi ha cercato di estendere la qualifica anche alla persona fisica, invocando il principio di uguaglianza dell’art. 3 Cost. (F. Guerriera, Gruppi di società, operazioni

straordinarie e procedure concorsuali, in Dir. fall., 2005, I, p. 27) o interpretando estensivamente il

legislativo, risulta dunque errato negare aprioristicamente la qualifica di amministratore di fatto ad una persona giuridica (segnatamente, nel nostro caso, alla società controllante) a causa della paventata impossibilità di riferire comportamenti gestori “di fatto” al suddetto ente 417. Per espressa previsione normativa, infatti, la responsabilità di cui all’art. 2497, 1° comma, grava sull’ente che svolge attività di direzione e coordinamento, con ciò presupponendosi che la paternità delle scelte compiute dagli amministratori (o finanche dall’assemblea 418) dell’ente ricade proprio su quest’ultimo.

È vero, inoltre, che gli amministratori della holding che abbiano preso parte al fatto lesivo potrebbero essere ritenuti responsabili in solido per gli atti compiuti in danno della società etero diretta (art. 2497, 2° comma), ma ciò avverrebbe, a ben vedere, non in forza dell’applicazione della teoria dell’amministratore di fatto, bensì in forza di un’esplicita previsione normativa in tal senso: se la figura dell’amministratore di fatto è stata introdotta dalla dottrina e dalla giurisprudenza allo scopo di consentire alla società di esercitare l’azione di responsabilità anche nei confronti di un soggetto non formalmente investito dei poteri di amministrazione, è evidente che una simile ratio non ricorre nel contesto de quo, visto che a ciò supplisce il (chiaro) dettato dell’art. 2497, 2° comma.

Abbiamo sin qui visto, nonostante la contrarietà di una parte della giurisprudenza, come la qualifica di amministratore di fatto potrebbe non essere estranea ad una società che eserciti attività di direzione e coordinamento; vogliamo ora tornare alla tematica principale del presente paragrafo, ossia alla possibilità che una società di capitali, in quanto socia di fatto di una società di persone, ne sia anche amministratore di fatto, innanzitutto confutando quella stessa sentenza che ha escluso, in generale, la possibilità che una persona giuridica rivesta lo status di amministratore di fatto.

Gli argomenti che ci inducono a dissentire dalla riferita pronuncia sono proprio quelli che, al contrario, dovrebbero corroborarla.

In primis – come abbiamo già visto supra in materia di direzione e coordinamento di società - il requisito oggettivo della teoria dell’amministratore di fatto, ossia il sistematico compimento di atti gestori, deve essere riferito, nel caso di una società amministratrice di altra società, non al soggetto legale rappresentante della società amministratrice, che materialmente lo ponga in personalità giuridica dopo la riforma del diritto della società di capitali, in Riv. dir. priv., 2006, pp.

78 ss.): l’art. 19, 6° comma, d.l. 1.7.2009, n. 78 convertito in l. 3.8.2009, n. 102, in materia di società pubbliche, ha chiarito che per «enti» si intendono i soggetti giuridici collettivi.

417

Così App. Milano, 9.12.1994, cit., p. 928, secondo la quale tali comportamenti sarebbero riferibili soltanto alle persone fisiche da cui sono stati compiuti, e giammai alla società controllante.

418

essere, bensì alla stessa società. La persona fisica agisce come organo della società amministratrice, manifestando verso l’esterno la volontà di quest’ultima: ne discende che l’eventuale ingerenza nella gestione della società (amministrata) è direttamente imputabile all’ente amministratore.

In secondo luogo, la sentenza qui avversata risente ancora di quella (ormai superata) sostanziale «difficoltà di configurare in generale la sussistenza di un rapporto di amministrazione facente capo ad una persona giuridica» 419, difficoltà che evidentemente ha suggerito di individuare un altro soggetto (persona fisica) al quale attribuire la qualifica di amministratore di fatto. Tuttavia, oggi che sembrano cadute le argomentazioni ostative alla possibilità che una persona giuridica amministri una società, quelle stesse argomentazioni non paiono astrattamente idonee ad impedire che la persona giuridica venga “riqualificata”, in presenza di determinati presupposti, come amministratore di fatto.

Noi crediamo piuttosto che la tematica oggetto del presente paragrafo imponga un passo indietro nell’analisi giuridica, al fine di accertare se si possa verificare in concreto il primo presupposto della fattispecie società di capitali – amministratrice di fatto di una società personale; occorre in altri termini acclarare se una società di capitali possa essere socia di fatto di una società di persone, posto che, secondo quanto già sostenuto nel Capitolo III del presente lavoro, soltanto i soci possono essere amministratori delle società di persone.

La difficoltà consiste nel fatto che l’assunzione, da parte della società di capitali, di una partecipazione in una società personale, comportante responsabilità illimitata, richiede una deliberazione assembleare (art. 2361, 2° comma), la cui natura giuridica non è ancora pacifica in dottrina. Infatti, qualora si ritenga, secondo la tesi preferibile 420, che la suddetta delibera equivalga ad una semplice autorizzazione - posta la competenza gestionale esclusiva in capo all’organo amministrativo (artt. 2380 bis, 2409 novies, 2409 septiesdecies rispettivamente per i sistemi di governance tradizionale, dualistico e monistico) – si potrebbe concludere che l’atto compiuto dagli amministratori in difetto dell’autorizzazione assembleare sia comunque

419

App. Milano, 9.12.1994, cit., p. 928. 420

A. Audino, Commento all’art. 2361, in Commentario breve al diritto delle società, a cura di Maffei Alberti, Padova, 2011, p. 454; C. Bolognesi, in Grippo – Bolognesi, L’assemblea nella società per

azioni, in Tratt. dir. priv., a cura di P. Rescigno, Torino, 2011; V. Donativi, Commento all’art. 2361,

in La riforma delle società, a cura di Sandulli - Santoro, Torino, 2003, pp. 227 e ss.; F. Dagnino, La

partecipazione di società di capitali in società di persone, in Giur. comm., 2005, II, pp. 293 e ss.; F.

Toschi Vespasiani, La partecipazione della s.p.a. in altre imprese comportante responsabilità

valido ed efficace anche verso i terzi 421. E, se così fosse, potrebbe bene affermarsi che l’organo amministrativo della società di capitali, quando abbia conferito beni o servizi della propria società in una società di persone, esercitando insieme a quest’ultima un’attività economica e dividendone gli utili, possa aver attribuito a quella società capitalistica lo status di socio di fatto della società personale.

A questa conclusione non potrebbe pervenirsi, prima facie, qualora, con parte della dottrina, si ritenesse che la competenza dell’assemblea in materia di assunzione di partecipazioni in imprese di cui all’art. 2361, 2° comma, abbia natura gestionale, tale da escludere l’efficacia dell’operazione eventualmente compiuta dagli amministratori in assenza della delibera assembleare 422. In tal caso, l’assunzione della partecipazione in una società personale non potrebbe avvenire tacitamente, ossia attraverso il comportamento concludente degli amministratori della società di capitali 423.

Anche in questa logica, tuttavia, si rinvengono due argomentazioni che potrebbero superare la suddetta ricostruzione contraria alla tesi della società di capitali come socia ed amministratrice della società di persone.

Innanzitutto, ci si potrebbe domandare se, in luogo della (occasionale) delibera assembleare avente ad oggetto l’assunzione delle partecipazioni, possa efficacemente operare una clausola statutaria con la quale i soci abbiano preventivamente, in sede di introduzione della stessa, contemplato ed accettato la futura operazione ad opera degli amministratori. E la risposta pare

421

A patto che si ritenga che le limitazioni legali (tra le quali si farebbe rientrare l’autorizzazione assembleare de qua) al potere generale di rappresentanza degli amministratori siano inopponibili ai terzi: G. Cottino – R. Weigmann, Le società di persone, in Tratt. di dir. comm., III, Padova, 2004, p. 91; C. Esposito, op. cit., p. 93 s.; G.D. Mosco, Commento all’art. 2384, in Società di capitali.

Commentario, a cura di G. Niccolini e A. Stagno D’Alcontres, Napoli, 2004, p. 612; in

giurisprudenza, Trib. Forlì, 9.2.2008, cit. Contra, V. Donativi, op. ult. cit.; F. Toschi Vespasiani,

ibidem; C. Pasquariello, Commento all’art. 2361, in Commentario delle società, a cura di Grippo, I,

Torino, 2009, p. 414; P. Morandi, Commento all’art. 2384, in Commentario breve al diritto delle

società, cit., p. 608; in giurisprudenza, App. Bologna, 11.6.2008, cit; Trib. Torino, 4.4.2007, cit.; App.

Torino, 30.7.2007, cit. 422

V. Pinto, Brevi osservazioni in tema di deliberazioni assembleari e gestione dell’impresa nella

società per azioni, in Riv. dir. impresa, 2004, 447; A. Bartalena, Le competenze dell’assemblea, in Soc., 2005, p. 1101; P. Abbadessa – A. Mirone, Le competenze dell’assemblea nelle s.p.a., in Riv. società, 2010, pp. 313 ss.; G.B. Portale, Rapporti fra assemblea e organo gestorio nei sistemi di amministrazione, in Il nuovo diritto delle società. Liber amicorum Gian Franco Campobasso, Torino,

2006, I, p. 25; C.A. Busi, Assemblea e decisioni dei soci nelle società per azioni e nelle società a

responsabilità limitate, in Tratt. di diritto dell’economia, diretto da Picozza-Gabrielli, Padova, IV,

2008, p. 93. 423

F. Fimmanò, Il fallimento della supersocietà di fatto, in Fallimento, 2009, p. 92; in giurisprudenza, oltre alle già citate App. Bologna, 11.6.2008, Trib. Torino, 4.4.2007, App. Torino, 30.7.2007 (v. nota 397), si veda App. Napoli, 5.6.2009, in Riv. soc., 2009, p. 1481.

debba essere positiva, posto che sarebbe da considerarsi lecito e determinato un oggetto sociale consistente (anche unicamente) nell’assunzione di partecipazioni comportanti responsabilità illimitata 424. L’introduzione di una simile clausola non comporterebbe tanto uno spostamento della competenza di cui all’art. 2361, 2° comma, dall’assemblea ordinaria a quella straordinaria 425, quanto piuttosto la predeterminazione di un’attività che ricade (legittimamente) nell’oggetto sociale.

In secondo luogo, si è evidenziato come, anche se si ritenga invalida l’assunzione della partecipazione nella società personale a causa della mancanza dell’autorizzazione assembleare, «non sembra potersi escludere l’esistenza di un rapporto societario di fatto che renda la s.p.a. illimitatamente responsabile delle obbligazioni della società di persone irregolare, occulta o apparente, ovvero della società di persone regolare partecipata in modo occulto, ogniqualvolta emergano comportamenti o circostanze che denotino una consapevole acquiescenza alla partecipazione da parte dei soci della società di capitali, sì da integrare una tacita ratifica dell’iniziativa degli amministratori» 426

.

Posto quindi che anche secondo la ricostruzione sopra esposta il rapporto sociale di fatto tra la società di persone e la società di capitali potrebbe essere svelato sulla base dei factia concludentia posti in essere dagli amministratori della seconda, è possibile affermare l’astratta configurabilità di uno dei requisiti fondamentali per il riconoscimento dello status di amministratore di fatto in capo alla società di capitali; in altri termini, la società di capitali può essere socia di fatto di una società di persone, presupposto indefettibile (secondo quanto detto nel Capitolo III) per l’assunzione dei poteri amministrativi.

424

È vero che ci si trova di fronte ad una alternativa: «o si considera illegittima la clausola statutaria che include l’assunzione di partecipazioni comportanti responsabilità illimitata, ma ciò urta contro l’ammissibilità di simili partecipazioni, ovvero se ne ammette l’includibilità nello statuto» (A. Morini,

Partecipazione di società di capitali in società di persone, in Quaderni di Giur. Comm., p. 402 in

corso di pubblicazione). Vogliamo anche sottolineare la differenza che intercorre tra la clausola menzionata nel testo e quella, di cui si è parlato al par. 2.2 del presente Capitolo ed in particolare alla nota 358, che, ripetendo semplicemente la formula dell’art. 2361, 1° comma, “consente” l’assunzione di partecipazioni in altre imprese nei limiti della compatibilità con l’oggetto sociale: mentre la prima, se ritenuta lecita, avrebbe l’effetto di un consenso preventivo della base sociale ad un’operazione futura degli amministratori, la seconda non farebbe altro che ribadire una possibilità già prevista dalla legge.

425

Spostamento della cui ammissibilità sarebbe lecito dubitare, visto che si ritiene che l’autonomia statutaria non possa mutare la natura dell’assemblea competente da ordinaria a straordinaria e viceversa: C. Bolognesi, op. ult. cit.

426

Si tratta ora di accertare – riprendendo quanto accennato supra nel presente paragrafo – se possano ricorrere le altre due condizioni essenziali per il riconoscimento della qualifica di amministratore di fatto.

Venendo alla prima condizione, nulla osta, a nostro avviso, all’imputabilità alla società di capitali dei comportamenti concreti posti in essere dal suo organo legale rappresentante e sussumibili nel novero degli atti gestionali potenzialmente idonei a svelare la presenza di un amministratore di fatto. Considerato, come abbiamo già detto, che gli amministratori di una società capitalistica godono di un potere di rappresentanza generale e non più limitato (almeno sotto il profilo esterno) dall’oggetto sociale 427

, non si può dubitare del fatto che la paternità degli atti di gestione della società di persone, da quelli compiuti, impegnino direttamente la società di capitali, ancorché si tratti, eventualmente, di atti ultra vires. Ovviamente, al fine di individuare il presupposto oggettivo dell’applicabilità della teoria dell’amministratore di fatto, è pur sempre necessario che i legali rappresentanti della società di capitali esercitino un’attività gestionale continuativa e non occasionale, corrispondente alle