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alcune criticità manageriali nella gestione di marketing

Nel documento Articolo I. L impresa e l ambiente (pagine 47-52)

Capitolo VII - Area marketing, prodotto mercato

7.4 alcune criticità manageriali nella gestione di marketing

nei prossimi paragrafi esamineremo alcune delle problematiche, anche se in modo fugace, riguardanti il marketing management.

7.4.1 il problema della fedeltà

“la fedeltà è l’assenza di un’alternativa migliore”. Tale aforisma rappresenta un importante spunto di riflessione nello studio del marketing poiché da questo si comprende che il consumatore, pretendendo sempre il meglio, non si farà scrupoli a cambiare marca se ritiene la concorrenza migliore. Da ciò discendono delle importantissime conseguenze:

• La customer (cliente) satisfaction è condizione necessaria ma non sufficiente perché il consumatore resti fedele e non cambi marca (il cosiddetto brand switching). L’introduzione di un nuovo prodotto a marca diversa, reputato migliore, la natura intrinseca dell’uomo nel cambiare, la nascita di offerte promozionali dalla concorrenza, sono solo alcuni esempi per dimostrare quanto affermato.

• La fedeltà alla marca dipende anche dalle condizioni distributive del prodotto: non sempre il produttore ha dei propri punti vendita (vendita diretta) ma nella maggior parte dei casi, il produttore commercializza il suo prodotto attraverso dei rivenditori (brand loyalty(lealtà)). Il punto è che il rivenditore è a sua volta un impresa la quale valuterà il proprio vantaggio in base ai propri obiettivi ed esigenze. L’impresa deve armonizzare, in tal caso, anche i

rapporti con i propri rivenditori e attuare piani di merchandising (smerciamento) che attirino il consumatore.

• Occorre continuamente monitorare le product offering dei concorrenti: il manager marketing sa bene che i suoi concorrenti hanno i suoi stessi problemi. Pertanto è facilmente intuibile che anch’essi faranno di tutti per mantenersi i propri clienti ed evitare il brand switching.

• Parte più o meno grande della redditività aziendale è legata alla fedeltà: attraverso studi empirici si è giunti alla conclusione che i clienti acquisiti e fedeli rappresentano la parte maggiore della redditività aziendale. Inoltre, mantenere un cliente acquisito risulta essere meno oneroso di acquisirne uno nuovo.

In generale, esistono numerosi metri di valutazione della fedeltà dei consumatori. L’impatto di determinate azioni sui consumatori fedeli all’azienda è uno dei tanti.

7.4.2 prodotto e marca.

Nel sistema capitalistico moderno, noi consumatori siamo tante volte portati a comprare non dei prodotti ma delle marche. La marca è l’elemento essenziale per l’impresa poiché:

• Consente al consumatore di identificare più facilmente il prodotto a cui è interessato: la marca rappresenta il riassunto del prodotto. È più semplice ricordare il prodotto associandovi un nome. Visivamente, la marca riesce a distinguere un prodotto dall’altro, facilitandone, in tanti casi, la ricerca – in un supermercato, la marca rende più facile la ricerca del prodotto e aumenta la capacità di conoscenza dell’offerta complessiva.

• Garantisce il consumatore: la marca è come una firma che il produttore mette al proprio prodotto. Questo rende il consumatore più tutelato poiché tale firma sta ad indicare quanto viene garantito dal prodotto acquistato. Questo diventa più vero quanto più importanti e diffusi sono i prodotti.

• Costruisce una personalità al prodotto e la comunica, trasferendone il senso, al consumatore: la marca costituisce la sede della personalità di un prodotto e funge da tramite tra il produttore e il consumatore.

Da quanto detto si comprende che il manager marketing deve essere consapevole che quanto è chiamato a gestire è principalmente una marca e non semplicemente un insieme di attributi, materiali e non, che assemblati in qualche modo danno vita a un prodotto. Il posizionamento, la differenziazione e la comunicazione sono elementi di marketing costruiti sulla marca e la sua importanza. Il manager marketing, inoltre, deve svincolarsi dalla schiavitù dell’ingegnere, cioè vedere il prodotto come l’insieme di elementi tecnici assemblati in modo da funzionare al meglio ma comprendere che il prodotto è una marca con un insieme di attributi di offerta che vanno oltre l’utilità specifica del prodotto. Si può pensare al telefonino, oggetto cui utilità è quello di telefonare e la Nokia, telefonino bello, con tante funzioni e modelli. Il primo è un prodotto mentre il secondo è una marca, la quale racchiude in se una pluralità di elementi che la contraddistinguono.

Ma come si riescono a capire i motivi principali per cui il consumatore acquista un prodotto e non un altro? Si parla di core benefit, cioè il cuore del beneficio, quell’elemento che se venisse a mancare, non porterebbe più il consumatore a rivolgersi a quel dato prodotto e lo si identifica attraverso le ricerche di marketing. Questo non coincide necessariamente a delle esigenze materiali e per capirlo possiamo fare ancora l’esempio del telefonino: due consumatori acquistano lo stesso Nokia, ultima generazione, full optional, bello e con tante utilità; il primo consumatore lo ha acquistato perchè può ricevere fax e lo ritiene utile per il suo lavoro, il secondo per atteggiarsi davanti ai compagni. Entrambi hanno acquistato il medesimo telefonino ma il core benefit era diverso l’uno dall’altro. Ogni differenza rappresenta il segmento che quel dato prodotto vuole soddisfare, il marketing, quindi, ha il compito di clusterizzare i consumatori potenziali in base alla loro percezione del core benefit (la cosiddetta segmentazione per benefici).

Ultimo elemento da analizzare in tema di marca, è l’importanza che da sola questa può rivestire. La marca oggi può essere un oggetto di scambio autonomo fra imprese.

7.4.2.1 l’innovazione del prodotto

l’innovazione del prodotto è alla base della sopravvivenza e crescita di un’impresa - è un’attività di tipo trasversale e interfunzionale e tocca più direttamente:

• Il marketing e le vendite: in linea con le esigenze di consumo che s’intende soddisfare e di quelle di vendita dei distributori, attraverso i quali si collocherà il prodotto.

• La produzione: per gli aspetti tecnico/produttivi legati alla struttura esistente e agli adeguamenti e/o trasformazioni che il nuovo prodotto potrebbe apportare.

• La ricerca e lo sviluppo: per la creazione del nuovo sapere scientifico e tecnico che si pone alla base del concept del nuovo prodotto.

• La finanza: per la pianificazione degli investimenti e l’armonizzazione coi flussi di cassa previsti nei tempi di vita economica del prodotto.

In linea di principio, l’impresa dovrebbe affrontare investimenti su prodotti che dovrebbero garantire buoni guadagni con bassi livelli di rischiosità. Questo, in base ai numerosi fallimenti, risulta non essere così semplice da attuare. A tal proposito, la linea manageriale ha sviluppato, quindi, un percorso per gradi che, sebbene non garantisca dal rischio di insuccesso, tuttavia consente perlomeno di minimizzare che ciò accada. Tale linea è data da un processo di pianificazione e sviluppo del nuovo prodotto – funziona in questo modo: dalla generazione delle idee, le quali possono seguire diversi percorsi metodologici rivolti:

• Ai clienti: attraverso opportune tecniche di ricerca qualitativa o sulla base di reclami, suggerimenti e via dicendo.

• Ai concorrenti: monitorandone lo sviluppo del portafoglio prodotti o le azioni competitive di settore.

• La trade (commercio): globalmente inteso, raccogliendone le istanze, le idee e i suggerimenti.

• Altre fonti interne ed esterne: come consulenti, università, management acquisito dall’esterno, ecc.

l’impresa attua un esame economico e tecnico per valutarne la fattibilità. Se promosso, il prodotto viene pianificato e sviluppato. In questa fase ci si avvale fortemente delle ricerche di marketing e del contributo creativo del gruppo d’innovazione, lo sviluppo del concept consiste nell’allargare la configurazione del prodotto attorno al suo core benefit. In ultima fase vi sono i test che valutano l’impatto del prodotto sul mercato. Questi test sono numerosi e di vari tipi, per elencarne alcuni:

• Vendite simulate: nelle quali si chiede al consumatore target di esprimersi in merito alla possibilità di acquistare il prodotto o meno.

• Vendita controllata: collocato il prodotto nel punto vendita, si vede se il prodotto attira l’acquirente, se viene acquistato o meno, i perché, ecc.

• Area test: si lancia il prodotto in una o più città campione e si verifica, dopo un certo periodo di tempo, la riuscita dell’operazione.

7.4.3 il rapporto tra industria e distribuzione

il rapporto tra le imprese di produzione e quelle di distribuzione rappresenta uno degli elementi principali e critici del sistema di scambio. In tal sede, ci limiteremo a sviluppare su larghe linee un tracciato concettuale che faccia comprendere l’argomento. Iniziamo con l’enunciare i seguenti capisaldi concettuali.

• L’impresa di produzione deve disporre di una serie di punti vendita sparsi sul territorio che, in modo efficace ed efficiente, assolvano il compito di portare fisicamente il prodotto dalla fabbrica al consumatore. Questi punti vendita combinati tra loro creano il cosiddetto canale di marketing e svolgono, nel loro insieme, alcune attività essenziali.

• Normalmente questi punti vendita non sono di proprietà del fabbricante, essi, operano talvolta singolarmente, in altri casi sotto forme organizzative reticolari oppure in forma di succursali. In tutti e tre i casi si tratta di forme organizzative imprenditoriali le quali adempiono le loro finalità attraverso il contatto con il mercato. Le forme e le tipologie di queste imprese sono numerose:

o Imprese complesse: nella forma della grande distribuzione o della distribuzione organizzata (forme associative di imprese indipendenti)

o Imprese semplici: nelle forma indipendente (i negozi) e affiliata (imprese legate da forme contrattuali). Altre forme sono i supermercati, ipermercati,centri commerciali, discount, vendite per corrispondenza, saloni d’esposizione, ecc.

• Il fabbricante è costretto così a governare, o meglio, a gestire un duplice sistema di scambio:

o Trade marketing: ovvero gestire managerialmente la propria offerta avendo come cliente un’altra impresa, il trade. Le funzioni che vengono gestite in quest’ottica sono:

▪ Di logistica – deposito, trasporto, modalità di consegna…

▪ Commerciali – raccolta ordini, formazione dei prezzi al consumo…

▪ Di comunicazione – pubblicità, promozioni…

▪ Di merchandising – definizione quali – quantitativa dello spazio espositivo, profondità e ampiezza degli assortimenti, controllo rotture di stock…

▪ Informative – raccolta informazioni sulla domanda e sulle dinamiche di mercato…

▪ Finanziarie: credito di fornitura, assunzione del rischio commerciale…

Tale impostazione viene chiamata di tipo push strategy, cioè l’impresa può cercare di raggiungere i propri obiettivi cercando di concentrare prioritariamente gli sforzi di comunicazione e di promozione sugli intermediari in modo da stimolarli ad inserire il loro prodotto nei campionari, farne scorta e, attraverso la garanzia di uno spazio adeguato, stimolare i consumatori all’acquisto.

o Consumer marketing: avere come cliente diretto il consumatore finale. Questa ottica viene inquadrata nella pull strategy, che concentra i propri sforzi sulla domanda finale, cercando di limitare l’importanza degli intermediari. L’obiettivo di tale strategia è di creare degli atteggiamenti positivi nei confronti della marca, orientando la clientela a scegliere quel prodotto. Al contrario della strategia di tipo pull, in questo caso l’impresa costringe l’intermediario a rifornirsi del suo prodotto dovendo quest’ultimo, per forze maggiori, soddisfare la domanda dei consumatori finali. In generale, la pull (tirare) strategy risulta molto più dispendiosa rispetto alla precedente, infatti, è più appropriata per imprese di piccola portata.

• Possiamo, su larghi raggi, semplificare la gestione del trade operata dal produttore in tre modi:

o Contrattuale – quando si verifichi la predominanza del produttore sul distributore, dovuta all’unicità del prodotto, alla forza della marca, ecc.

o Conflittuale – quando in presenza di un sostanziale equilibrio dei poteri nessuno dei due voglia recedere alle proprie posizioni.

o Collaborativi – quando nella medesima fattispecie precedente, le parti si accordino per cercare di trarre vantaggi reciproci dal compromesso.

Il canale di distribuzione del prodotto parte dal produttore ed arriva al consumatore finale. Le strade da percorrere possono essere innumerevoli, facciamone una sommaria distinzione:

• Il canale diretto: il produttore vende direttamente al consumatore finale attraverso il personale di vendita dell’impresa.

• Canale indiretto a uno stadio: il personale dell’impresa fornisce direttamente i punti vendita al dettaglio.

• Canale indiretto a due stadi: il produttore, ad esempio, vende al grossista il quale vende al dettagliante ed in fine al consumatore.

• Canale lungo a tre stadi: il produttore vende ad un agente, questo vende al grossista e cosi come nel precedente punto.

Si comprende che il controllo dell’impresa è tanto più elevato quanto minore è il numero di stadi per arrivare al consumatore finale. Di contro, l’impresa decide di allungare il percorso al fine di trasferire i rischi di mercato, minori oneri fissi di vendita, allargamento della superficie servita, flessibilità, abitudini di acquisto dei consumatori e così via. Comunque sia, chi all’interno dell’impresa, ha il compito di scegliere il canale si trova di fronte ad una decisione fondamentale.

Su basi empiriche si è notato che i criteri su cui si effettuano le scelte di tali canali sono:

• Economico: ogni alternativa di canale produrrà un differente livello di vendite e costi. Ma con quale canale si avranno più vendite e meno costi? Questo è il primo quesito che ci si deve porre – per dargli risposta bisogna fare una prima stima dei costi di vendita e dei differenti volumi di vendita conseguibili nelle due alternative.

• Controllo di vendita e di marketing: questo diventa tanto più applicabile quanto minore è la lunghezza del canale.

• Flessibilità – se l’andamento delle vendite non è costante, la scelta ricadrà su un canale flessibile (per esempio un canale agenziale).

• Copertura del mercato

• Logistico

7.4.4 il ruolo multi dimensionale del prezzo.

Uno dei contributi più originali forniti dal marketing è la diversa rappresentazione teorica del prezzo. Parliamo, in tema di marketing oriented, della multidimensionalità del prezzo la quale considera elementi del prezzo, altrimenti poco considerati.

Nella determinazione del prezzo finale, il marketing tenta di conciliare due opposte visioni, indissolubili e sempre presenti: la prima vede il prezzo visto dall’impresa, cioè come l’oggetto per la remunerazione che si intende ricavare per tutti gli sforzi di innovazione, produzione e commercializzazione del prodotto, la seconda invece, vede il prezzo dal punto di vista del consumatore, cioè il sacrificio che si ritiene soggettivamente di compiere per l’acquisto del prodotto.

In generale, l’abilità dell’impresa sta nell’esprimere in termini quantitativi, il valore del prodotto che essa offre alla propria clientela. La parola chiave del marketing contemporaneo, infatti, non è prezzo, bensì “valore”. Se volessimo portare questo discorso agli eccessi si potrebbe addirittura sostenere che il prezzo può non essere una variabile molto importante ai fini della vendita, perché per il consumatore ciò che realmente conta è il valore. Il prezzo, di fatti, è una grandezza quantitativa, quindi, oggettiva e valutabile nel suo ammontare in maniera certa, il valore, no.

Quest’ultimo è una grandezza soggettiva che emerge nella mente del cliente dalla valutazione di una serie di variabili – pensiamo all’esempio del caffè Lilly descritto a pag. 267.

Accettato il concetto di valore soggettivo, un grande problema del management diviene quello di gestirlo. Ma come si gestisce la relatività del valore di un prodotto? per gestire tale situazione bisogna conoscere il valore che il consumatore finale darà al prodotto. La segmentazione della domanda, in tal senso, è lo strumento più adatto per interpretare gli atteggiamenti in merito al valore percepito. Percepite queste informazioni si passa alla discriminazione del prezzo. Con questa

espressione s’intende la modificazione del prezzo base di un prodotto con l’obiettivo di adattarle alle differenze di valore economico percepito nell’offerta da parte dei diversi segmenti di domanda.

Ultimo ed essenziale elemento che un manager deve considerare nello stabilire il prezzo è l’insieme delle componenti non monetarie, riassumibili in:

• Componenti legate al rischio di acquisto

• Componenti legate al rischio di acquisto

• Componenti legate alla percezione della qualità.

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