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Articolo I. L impresa e l ambiente

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Academic year: 2022

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Articolo I. L’impresa e l’ambiente

In questo primo capitolo discutiamo dell’ambiente e l’importanza che esso riversa all’interno della vita dell’impresa. Esso può essere definito come la cornice che circonda un soggetto ed essendo nel nostro caso l’impresa, parleremo di ambiente d’impresa.

Possiamo fare una prima distinzione:

• Matrice o griglia delle regole del gioco – con questa denominazione intendiamo sottolineare l’importanza che ha l’ambiente sull’impresa, sui vincoli che esso pone alla stessa e le strategie che vengono attuate in relazione alle modifiche continue che l’ambiente subisce.

• Matrice delle convenienze ed opportunità – in tal caso possiamo affermare che se l’ambiente detta le regole del gioco tuttavia è l’azienda che sfrutta tutte le opportunità al fine di imporsi al meglio nell’ambiente determinandone anche la matrice delle convenienze.

Procedendo con la nostra analisi parliamo di convenienze dirette dove l’azienda agisce direttamente ed indirette costituenti cioè tutti quei fattori indispensabili alla vita dell’azienda.

Altra distinzione da fare in riferimento all’ambiente è quella tra ambiente di primo riferimento o specifico, che delimita una particolare area geografica e soprattutto rappresenta il luogo dove prendono vita le su esaminate matrici di riferimento e l’ambiente generale, che potrebbe ad esempio essere lo stato in cui l’impresa è situata. Da questo, possiamo quindi comprendere quanti fattori possono influenzare un’azienda, basti pensare all’ambiente competitivo, quello socio-culturale, fisico- naturale e tanti altri ancora.

Per quanto riguarda l’ambiente competitivo possiamo parliamo delle 5 forze di Porter:

1. concorrenti diretti – le imprese che producono lo stesso bene delle imprese considerate 2. concorrenti indiretti – le imprese che producono beni sostitutivi delle imprese considerate 3. concorrenti potenziali – svolgono un tipo di attività diversa ma possono diventare

concorrenti diretti di atre imprese.

4. fornitori – devono dare prodotti di qualità all’impresa al fine di soddisfare i clienti 5. i clienti – sono alla base dell’attività svolta dall’azienda.

il sistema ambiente si è sempre più evoluto nel tempo grazie alla tecnologia e la telecomunicazione che ha abbreviato ed in tanti casi addirittura azzerato le distanze che prima rallentavano il processo innovativo all’interno delle imprese. In passato si assisteva ad una relazione passiva da parte dell’impresa con l’ambiente, tutto era fondato sul paradigma struttura – condotta – prestazioni, secondo il quale la struttura del mercato e quindi dell’ambiente di primo riferimento, determina la condotta aziendale la quale influenza le prestazioni della stessa. Oggi tutto è cambiato, si parla in tal caso di impresa proattiva, che cerca di anticipare i cambiamenti e di ambiente di riferimento attivato come il totale degli elementi che possono essere potenziali portatori di risorse rilevanti e di conseguenza di permettere il raggiungimento dei fini dell’impresa. Oltre alla tipologia proattiva abbiamo anche la reattiva, capace di contrastare i cambiamenti e passiva cioè di adagiarsi ai cambiamenti.

Risulta più semplice capire questo sistema attraverso il meccanismo del feedback, cioè la relazione che si instaura tra impresa e ambiente. Lo schema figurante sul testo a pag. 10 esprime graficamente quanto tra poco spiegherò:

attraverso i sentimenti, le interazioni e le attività dei soggetti esterni, cioè attraverso gli input, l’impresa attuerà un processo di trasformazione che sarà finalizzato a sviluppare il prodotto che andrà poi sul mercato. In tal caso, l’impatto, conseguenza dell’output dell’impresa, darà alla stessa

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la possibilità di elaborare nuove informazioni necessarie, quindi nuovi input, per migliorare le prestazioni dell’impresa.

Parliamo, sempre in tema, di sincronismo adattivo tra produzione e mercato, cioè la possibilità dell’impresa di offrire una risposta flessibile alla variabilità del mercato.

Oggi giorno l’impresa naviga in un complesso mare ove la sopravvivenza è determinata solo da giuste scelte sia strategiche che di flessibilità operativa. Essa deve essere tempestiva nell’accusare i colpi afflittigli dall’imprevedibilità ambientale e contro ribattere in modo determinato e veloce; ogni singolo errore può essere fatale. L’ambiente è in tutti i casi molto incerto ed è questa stessa incertezza che rappresenta il rischio che ogni impresa deve correre per sopravvivere.

La complessità ambientale, per i motivi su elencati, è data dall’imprevedibilità con cui la stessa si manifesta. L’impresa, dal canto suo, deve essere in grado di sviluppare delle strutture temporanee che siano capaci di sostenere questi cambiamenti al fine di raggiungere un “equilibrio dinamico” e bilanciarsi in modo flessibile e veloce. L’equilibrio in questione non sarà mai duraturo ma costante solo per brevi periodi, ed è proprio da questo che si comprende quanto esso non sarà mai assoluto ma parziale essendovi sempre forze esterne che infieriranno su esso.

Questa complessità può essere riassunta nel progresso che oggi giorno si imprime all’interno di ogni settore della nostra società, i confini sono stati aboliti ed è difficile individuare quelli che delimitano un sistema economico. In particolare sono quattro i punti che rappresentano questa complessità:

• la crescente internazionalizzazione dei settori e delle imprese.

• Lo sviluppo tecnologico sempre più spinto e differenziato.

• I cambiamenti intervenuti tra domanda e offerta.

• Le esigenze di ammodernamento e razionalizzazione dei “sistemi paese”.

Per tenerci in argomento è necessario parlare di internazionalizzazione e globalizzazione, in primis è importante dire che entrambi i termini rappresentano un ampliamento degli orizzonti a di riferimento dell’impresa e in secondo luogo che delimitano sempre meno quello che sono i confini delle nazioni su cui agisce la stessa.

• Internazionalizzazione – fenomeno della crescita dell’impresa sui mercati esteri, secondo diverse modalità:

o Mercantile – esportazioni (dirette e indirette)

o Produttiva – trasferimento, implementazione di risorse produttive all’estero.

Essa può manifestarsi secondo due modalità:

o Internazionalizzazione attiva – che rappresenta il prodotto della capacità di un’impresa di agire all’esterno del suo ambiente.

o Internazionalizzazione passiva – che si attua quando un’azienda subisce la concorrenza da aziende esterne, senza riuscire ad estendere le proprie vendite nel mercato di queste.

• Globalizzazione – può essere interpretata sotto l’aspetto geografico o sistemico:

o Geografica – espandere a livello mondiale quelle che sono le caratteristiche produttive e di prodotto di un’azienda.

o Sistemica – individua il comportamento di un’impresa che passa dalla soddisfazione di un bisogno elementare del cliente al soddisfacimento completo di una certa area di bisogni, dalla fornitura di un singolo prodotto ad un intero pacchetto di prodotti che optano al soddisfacimento totale del cliente.

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Abbiamo tante tipologie di aziende :

• Organizzazione nazionale – rappresenta la normale impresa che agisce solo nella propria nazione

• Organizzazione multinazionale – impresa che ha in diversi paesi proprie filiali, essa decentra la produzione dei suoi prodotti.

• Organizzazione internazionale – si tratta di imprese coordinate che sono decentrate ma molte attività, responsabilità e risorse continuano ad appartenere all’impresa madre.

• Organizzazione globale – l’impresa fabbrica prodotti standard che distribuisce a livello mondiale.

• Organizzazioni transnazionali – ha la caratteristica delle precedenti organizzazioni.

Dalla linea di condotta seguita in questo primo discorso di può capire che i fattori principali di un’azienda sono la flessibilità e la capacità di collaborazione con le altre imprese.

1.2 il sistema impresa ed i subsistemi aziendali.

l’impresa è un sistema in continua interazione con il contesto socioeconomico di riferimento, da questa definizione comprendiamo che l’impresa rientra nella teoria generale dei sistemi.analiziamo in primo luogo cos’è l’impresa: essa è formata da un’insieme di elementi tecnici ed umani; i componenti sono ad esempio i ruoli predisposti per il raggiungimento di un fine comune, in generale è importante capire che in tutti i casi i componenti creatori di un’impresa hanno tutti la caratteristica di interagire tra loro. La struttura di un’impresa può essere logica e fisica, essa rappresenta il fulcro di un’azienda: la logica può scomporsi in tante strutture fisiche, un esempio di struttura fisica è il raggiungere l’obiettivo creando un’adeguata struttura fisica (dipendenti,computer), un esempio di struttura logica può essere invece la strategia, il tipo di produzione. Dopo aver spiegato in breve il concetto di impresa e di struttura poniamoci una nuova domanda: Ma cosa è un sistema? Un sistema è un insieme di caratteristiche fisiche e logiche che interagiscono tra loro ed è caratterizzato da una pluralità di elementi che hanno come scopo il raggiungimento di un fine ben preciso. L’impresa è un sistema.

Entriamo nello specifico:

un sistema può essere

• Isolati – nel caso di assenza totale di interscambi

• Chiuso – se l’interscambio è di modesta entità ed i risultati delle azioni compiute ricadono al loro interno.

• Aperto – senza regola interagisce con l’esterno

• Parzialmente aperto – regolato ma interrazionale con l’esterno, da questo parliamo del grado di apertura di un sistema che viene regolato dal governo in base alla politica economica che attua nello stato di residenza dell’azienda.

Un sistema può essere composto da soprasistemi e da sottosistemi, i sottosistemi sono interni all’azienda e i soprasistemi sono esterni.

Sistemi diretti sono quelli che interagiscono direttamente con l’impresa, indiretti quelli che interagiscono indirettamente.

La consonanza è la compatibilità strutturale tra sistemi, essa rappresenta la funzionalità di interazione tra i vari sistemi, un esempio può essere quello tra azienda e fornitori.

La risonanza è una super consonanza nell’interazione tra i sistemi.

L’organo di governo all’interno del sistema (S) decide il grado di apertura ed ha una funzione di filtro e composizione delle pressioni. Regola le relazioni tra subsistemi dell’impresa e regola le relazioni tra gli altri sistemi e soprasistemi. L’organo di governo gestisce ed amministra le

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pressioni, queste possono essere varie, ricordati l’esempio Cirio, queste possono cambiare la struttura, l’amministrazione ecc.

Il sistema impresa può essere quindi:

• Aperto

• Orientato – al raggiungimento di finalità

• Autopoietico – capace cioè di rigenerare le sue componenti e le relazioni tra le stesse, senza perdere la propria identità

• Relazionale – perché ha un’attitudine ad avere relazioni con soggetti esterni

• Cognitivo – basa la sua fortuna sulle sue conoscenze

• Trasformazione – in riferimento alla teoria del feedback

• Omeostasi – si dice un sistema omeostatico quando riesce attraverso il proprio modo di essere e di divenire a raggiungere sempre un buon livello di equilibrio dinamico.

• Entropia negativa – l’entropia indica un processo di tipo degenerativo che conduce al disordine, alla perdita dei collegamenti, delle relazioni e al disfacimento del sistema, si parla in tal caso di entropia negativa proprio per far comprendere la necessita che quanto su detto non accadi. In sintesi è la capacità dell’azienda di evolvere verso stati di ordine.

• Differenziazione – fa riferimento alla necessita di passare da sistemi subordinati a superiori.

• Integrazione – si riferisce al sistema nel suo complesso ed indica la necessità di indirizzare in modo unitario, mediante sistemi di coordinamento, la relativa indipendenza acquisita dai suoi subsistemi.

1.3 il concetto di entropia nei sistemi aperti

Nel precedente paragrafo abbiamo parlato dell’azienda come un sistema formato da input ed output capaci di acquisire e far fuori energia attraverso lo scambio costante di elementi materiali ed immateriali, abbiamo inoltre parlato di entropia come la conseguenza inversa della quantità di energia disponibile nell’impresa. La staticità degli scambi aziendali è la miglior rappresentante della massimizzazione entropica all’interno di un’azienda in quanto tutto è soddisfatto dalla routine dei processi aziendali e dal totale controllo da parte del management aziendale. Quanto detto rappresenta al meglio quello che è un sistema chiuso poiché privo di rilevanti scambi con l’esterno e impregnato della staticità e standardizzazione delle azioni che si attuano all’interno di esso. Rimane in ogni caso fondamentale capire che un’azienda vive solo se brucia energia e ne produce di nuova cioè mantiene contatti con l’esterno ed attua al meglio quelli che sono i processi di acquisizione, trasformazione e collocazione. È in questo caso il concetto di entropia acquisisce un nuovo significato e come facile capire facciamo riferimento alla logica di sistema aperto. Nel sistema aperto come sappiamo prevale l’attitudine ad attuare continui scambi con l’esterno ed importare energia uguale o superiore a quella precedentemente bruciata. Parliamo in tal caso di un processo dinamico, è opportuno quindi capire che il livello di neg-entropia non deve essere massimizzato, poiché sarebbe controproducente, ma mantenuto al livello ottimale e soprattutto stabile. Ribadiamo il concetto di neg-entropia come capacità di evolvere verso stati di ordine, di distribuzione non casuale degli elementi. Quindi un sistema aperto fondato sulla dinamica degli eventi esterni risulterebbe impossibile da rendere statico e soprattutto risulterebbe controproducente imporre un livello massimo di stati di ordine e distribuzione non casuale degli elementi. Ne discende che creazione di valore e riduzione entropica sono due concetti fortemente interrelati. L’obiettivo delle imprese deve essere non la minimizzazione del gradi di entropia ma il controllo della sua entità.

Dobbiamo alla fine di questo discorso dire che l’entropia – intesa come variazione costante dei collegamenti esistenti tra i vari elementi aziendali, come tendenza alla flessibilità, alla variabilità operativa e strategica, si configura quale condicio sine qua non per il mantenimento di adeguati

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livellidi competitività e per la realizzazione degli obiettivi aziendali di sopravvivenza, profitto, sviluppo e valore.

1.4 le risorse d’impresa : la crescente importanza dell’immaterialità

Parliamo del patrimonio d’impresa. Esso può essere diviso in risorse materiali o tangibili ed immateriali.

Le risorse materiali sono quelle fisiche come terreni, fabbricati, scorte e quelle finanziarie come risorse liquide, crediti, titoli azionari ed obbligazionari. Le risorse immateriali sono quelle specifiche come brevetti, marchi e quelle che fanno riferimento al complesso di elementi immateriali che favoriscono il funzionamento dell’impresa come l’avviamento.

In particolare è importante precisare che dette risorse sono di varia natura, un esempio è la capacità innovativa, comunicativa con l’interno e l’esterno, il grado di fedeltà alla clientela, immagine, posizione sul mercato ecc.

È possibile inoltre attuare una nuova distinzione delle risorse immateriali:

• risorse di mercato – sono definite come fattori utilizzati nella produzione, separabili dal contesto aziendale, trasferibili ad altre aziende, temporaneamente controllate dall’impresa che può decidere circa il loro utilizzo ( ad esempio terreni, fabbricati, oppure diritti di brevetto, concessioni e licenze, marchi di prodotto e di azienda).

• risorse immateriali specifiche – queste possono essere associate al concetto di capacità organizzative che ottimizzano la produttività delle risorse e conferiscono flessibilità al sistema prodotto/servizio ottenuto grazie ai prodotti generati dall’impresa.

Altre due categorie, sempre in riferimento alle risorse immateriali, sono:

• risorse conoscitive – queste sono risorse che l’azienda assimila con l’esperienza e con il tempo e sfrutta all’interno di tutti i processi aziendali. Queste possono essere statiche se vengono replicate in continuo o dinamico se favoriscono l’evoluzione del prodotto e del processo connesso ad esso.

• Risorse relazionali – divisibili ancora in altre due sezioni:

o Risorse reputazionali

o Risorse relazionali in senso stretto – che indica la capacità dell’impresa di mantenere relazioni con l’esterno e l’interno.

Dopo aver attuato una distinzione teorica delle risorse immateriali è importante a questo punto dire che esse hanno assunto nel tempo sempre più importanza grazie alle innovazioni tecnologiche.

Microelettronica, telematica ed automazione industriale sono gli elementi portanti di quanto appena detto e la connessione tra ambiente e attività imprenditoriale conferma la teoria che l’azienda nasce e cresce attraverso una concezione sistemica ove tutto è interrelato mostrando quindi che l’azienda è un sistema sociale aperto composto da persone, mezzi ed informazioni.

Sono in particolare le informazioni che in questi ultimi anni hanno assunto grande importanza, le stesse sono sempre più cambiate divenendo lo scopo principale su cui basare l’attività imprenditoriale. È da queste che dipende il controllo dell’ambiente in cui l’azienda ha il suo raggio d’azione e lo stesso ambiente decide di rivolgersi o meno all’azienda attraverso le informazioni che riceve sull’azienda.

Oggi internet ha rivoluzionato il mondo delle informazioni, esse proliferano e risultano talmente tante che vi è la necessità di attuare un’accurata selezione di queste.

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i flussi informativi sono la parte predominante per il mantenimento delle relazioni tra le varie aree funzionali dell’unità produttivo - decisionale ed il suo ambiente esterno. Questo sistema di flussi è scomponibile in tre sottosistemi :

1. il sottosistema per la raccolta dei dati 2. il sottosistema per la rielaborazione dei dati

3. il sottosistema per le analisi e le decisioni manageriali.

Infine è importante dire che il valore di un’impresa non deve essere ricercato solo tra le risorse materiali ma anche e soprattutto tra quelle immateriali. La spiegazione è data dal fatto che le risorse materiali sono più soggette a concorrenza, ad imitazioni, quelle immateriali contrariamente sono meno soggette ad imitazioni ed a maggior ragione quanto più il grado di specificità delle stesse è elevato e tanto meno il loro grado di trasferibilità o imitazione è minore. Le risorse immateriali risultano quindi fattori critici di successo poiché poco imitabili quanto più risultano specifiche.

Sezione I.1 Capitolo II – relazioni tra impresa, settore e dinamiche settoriali

Sono le imprese stesse a rendere il loro ambiente complesso, intrattenendo con questo un rapporto dialettico che ora prevede un passivo adeguamento, ora prevede forme di controllo finalizzate a dominarlo, a modificarlo, a contrastarlo, più in generale a comprenderne i condizionamenti e ad orientarli a proprio vantaggio, traducendoli in opportunità.

Dalla su scritta definizione possiamo iniziare la nostra analisi sul settore aziendale e gli argomenti e caratteristiche correlati ad esso.

In primis è importante capire o meglio rendersi conto di quanto i vari settori creatrici di un’azienda si siano evoluti nel tempo, la causa è attribuibile alla tecnologia sempre in continua evoluzione e la globalizzazione; ciò ha reso molto difficile l’individuazione e l’analisi dei confini delimitanti un settore, rendendo quindi necessario sviluppare una nuova tipologia di analisi che attuasse uno studio per caratteristica e di conseguenza delimitasse i confini in base alle caratteristiche che il singolo settore aveva. Quanto detto viene denominato firm centered ed è attualmente il metodo più soddisfacente per attuare un’analisi aziendale.

Dopo aver discusso su quanto i confini settoriali di un’azienda siano difficili da delimitare bisogna aggiungere quanto gli stessi siano suscettibili a continue modifiche poiché soggetti alle innovazioni tecnologiche e alla globalizzazione. La conseguenza è che deve essere adottata un’analisi dinamica da parte delle aziende che riesca ad anticipare gli eventi facendone tesoro al fine di massimizzare il più possibile il profitto che si può trarre; tutto ciò in tal caso rappresenta la colonna portante del management aziendale, il fulcro e l’anima delle strategie aziendali.

Per concludere è importante parlare di crossing border, terminologia usata per rappresentare quelle aziende che spaziano i loro confini intrecciandosi non solo con altri settori ma addirittura con altre aziende, questo crea alleanze, progetti di acquisizione e dismissione e tant’altro.

(a) 2.2 il complesso rapporto tra impresa e settore

l’elevato grado di dinamismo che caratterizza il nostro sistema capitalistico è stato oggetto di tanti studi. In passato l’approccio a questa materia era in un certo senso errato in quanto chi esaminava il settore non teneva in considerazione la dinamica imprenditoriale e quindi il sistema industriale nel suo complesso affidata infatti ad un’altra fascia di studiosi.

Questo tipo di approccio era errato poiché riduttivo nei confronti di un sistema a largo raggio di azione quale è l’impresa e il sistema industriale. Questi due elementi sono infatti specificazioni dello stesso fenomeno, il primo è il fattore dinamico che con il suo agire crea continui squilibri nel secondo.

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La conseguenza viene evidenziata nella nuova tipologia di analisi alla quale impresa e sistema industriale sono oggi sottoposti, possiamo di fatto dire che le nuove impostazioni in materia aziendalistica ruotano intorno a due concetti fondamentali:

• l’impresa e il suo sistema di relazioni costituiscono la macchina che crea il continuo processo evolutivo, essa è l’epicentro del sistema economico, da essa scaturiscono tutte le dinamiche e i processi fondamentali per il processo di sviluppo economico.

• L’impresa non è una categoria astratta ma va analizzata in un dato “sistema paese”, solo così possono essere comprese tutte le modifiche e le evoluzioni che subisce.

Il mutamento è uno degli aspetti caratteristici della nuova realtà industriale, la cui analisi richiede il passaggio da modelli settoriali omogenei, nei quali l’impresa ha un ruolo adattivo ai modelli settoriali, articolati e complessi immersi in un’ottica di profonda dinamica evolutiva.

(b) 2.3 Definizioni di settore ed evoluzione del concetto

Insieme all’evoluzione del sistema economico anche il concetto di settore si è evoluto nel tempo. Il continuo sviluppo dell’industria e delle imprese ha reso infatti impossibile fare riferimento ad un concetto stabile che definisse quali fossero i criteri per lo studio di un settore ma soprattutto dei confini settoriali. Lo studio di un settore oggi significa capire quali sono i concorrenti attuali per l’impresa ma anche quali potrebbero essere i suoi concorrenti futuri. Daremo inizialmente alcune definizioni di settore forniteci da alcuni autori.

“il problema della definizione di industria, o di settore o di ramo, o come lo si voglia chiamare, consiste precisamente nella possibilità di poter circoscrivere una porzione del sistema industriale, per studiarla in relativo isolamento dal resto. Relativo isolamento significa che i rapporti tra le unità interne alla porzione circoscritta vengono considerati con un dettaglio e con una ricchezza di angolature maggiori di quelli riservati all’esame dei rapporti fra le entità interne e quelle esterne”.

(Becattini)

“in prima approssimazione, settore o industria è dunque un insieme omogeneo di unità produttive e decisionali, ovvero una porzione circoscritta e distinta del tessuto industriale, enucleata al fine di considerare i rapporti fra le unità interne alla porzione predetta secondo una metodologia accreditata e comunque ricca di dettagli e angoli visuali”. (Panati)

Dalle su scritte definizioni è possibile capire che il concetto di settore consista nella individuazione di un nucleo di operatori che presentano caratteristiche comuni. In tal caso altro problema relativo il concetto di settore riguarda i confini che delimitano lo stesso – trovare un denominatore comune risulta difficile poiché a priori non si può adottare una regola che ottimizzi le scelte dei confini settoriali. I rischi possono essere quelli di crearne o di troppo circoscritti escludendo quindi degli elementi o viceversa crearne di troppo aggreganti rischiando quindi di includere particolari inutili e svianti. Il criterio adottato per l’analisi dev’essere funzionale agli scopi conoscitivi che alla stessa si attribuiscono.

Tutto ciò premesso è possibile enucleare alcuni criteri per la definizione di settore:

il primo criterio è quello della domanda: in tale settore vengono riunite tutte quelle imprese che producono uno stesso prodotto, almeno da come viene percepito dai consumatori – la capacità di determinati prodotti di soddisfare un unico bisogno. I problemi derivanti da questo criterio sono dati dalla numerosa interrelazione che vi è oggi tra i prodotti – il rischio è di raggruppare in un solo settore un’insieme di unità produttive eccessivamente numeroso e scarsamente significativo.

Il secondo criterio è quello dell’offerta: in tale settore vengono riunite tutte quelle imprese che si considera appartengano ad un solo settore produttivo in base alla similarità tecnologica dei processi

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produttivi – tecnologia, processo produttivo o materiali primi simili sono gli elementi oggetto di analisi. I rischi sono:

• Il forte dinamismo tecnologico – imprese che utilizzano la stessa tecnologia e che producono gli stessi beni ma che possono far parte di un diverso settore.

• Ogni prodotto frutto di tecnologie interconnesse tra loro, risulta difficilmente riconducibile ad un unico settore.

• Questo criterio inserisce imprese che seppur legate da una similarità tecnologica servono mercati completamente diversi, distanti, il che penalizza decisamente l’aspetto concorrenziale.

Due configurazioni di settore che possono rappresentare i criteri su scritti sono il manifatturiero – merceologico e l’economico – manifatturiero.

Il manifatturiero - merceologico si individua nel criterio dell’offerta poiché raggruppa all’interno di se industrie che utilizzano gli stessi materiali, anche producendo beni differenziati. Il settore economico – manifatturiero individua sia industrie che utilizzano gli stessi materiali (lato offerta) sia l’omogeneità dei materiali per un utilizzo, finale o intermedio, dei beni prodotti (lato domanda).

Quest’ultimo criterio dal punto di vista strategico presenta scuramente dei vantaggi rispetto a quello manifatturiero – merceologico in quanto aggrega tutte quelle imprese che si confrontano su uno stesso mercato.

Altro genere di criteri è quello del firm centered , cioè “centrato sull’impresa”, tale criterio basa la sua analisi prettamente sulll’impresa e definisce il settore come l’insieme delle imprese che una determinata impresa considera sue concorrenti.

A tal proposito tanti autori hanno espresso il loro parere:

• Guerci - egli racchiude in unica lista sia i fattori che fanno parte dell’offerta sia quelli che fanno parte della domanda. L’intersezione tra questi riesce ad individuare “dei raggruppamenti di prodotto appartenenti ai più differenti rami d’industria in aree competitive caratterizzate dalla similitudine dei fattori”. I fattori che l’autore propone risultano dare a tale concetto grande flessibilità, ciò permette di considerare di volta in volta fattori diversi, privilegiando quelli che risultano più significativi.

• Volpato - non tanto differente sembra quanto espresso da tale autore: egli definisce il settore come “il luogo economico dato dall’intersezione di alcuni fondamentali fattori di omogeneità”.

o Bisogno soddisfatto dai prodotti o Tecnologia utilizzata nella produzione o Materiali impiegati

o Struttura commerciale

Le imprese che presentano tutti e quattro gli elementi in comune risultano appartenere allo stesso settore, tre dei quattro sono invece da considerarsi elementi potenziali.

• Porter – il primo abbattitore dei confini settoriali, introdusse il concetto di “arena competitiva” definibile come “il luogo economico in cui si scontrano più forze concorrenziali di natura diversa, ma l’una con l’altra interagenti”. Per lui cinque sono i fattori da considerare:

o Minacce di nuove entrate

o Minacce o prodotti di servizi sostitutivi o Potere contrattuale dei fornitori

o Potere contrattuale dei clienti o Concorrenti

• Abell – per definire il settore ha usato la combinazione “clienti – funzioni – tecnologie”

ricorrendo al concetto di area strategica di affari (ASA). Tale concetto non va confuso con quello di settore, il primo infatti rappresenta un aggregato “basato su una sola tecnologia

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principale” mentre il secondo è l’insieme di più “business basati su una sola tecnologia”.

L’ASA è un sottoinsieme del settore.

Vedi grafici pagg. 49 – 52

(c) 2.4 La mobilità dei confini settoriali

La continua ed incalzante innovazione tecnologica ha modificato, e non di poco, il concetto di settore e la mobilità dei suoi confini.

Ad esempio: i prodotti hanno un’elevata possibilità di differenziazione, con conseguenti opportunità di ampliamento del mercato. Tale processo ha necessariamente avuto effetti anche sulla domanda, la quale preme per ulteriori innovazioni e cambiamenti. Il ciclo di vita di un prodotto è drasticamente diminuito diventando obsoleto molto prima di quanto accadesse in passato.

L’innovazione ha diversificato anche il modo di produrre delle imprese, esse sfruttano tecnologie esterne alla propria struttura, decentrandosi al fine di massimizzare, con i minimi costi, le richieste di un mercato sempre più esigente.

Risulta oggettivamente inutile, alla luce di quanto detto, creare un concetto stabile di settore. La mobilità dei confini settoriali rende impossibile sviluppare un criterio unico, l’omogeneità lascia il posto all’individualità che ogni singola impresa tende a raggiungere. Variabili su variabili sono gli unici elementi che caratterizzano le imprese di oggi, ecco perché tra i modelli di delimitazione settoriale gli unici accettabili sono quelli del firm centered; essi basano la loro teoria sulla flessibilità, mettono a disposizione parametri che permettono un’analisi dettagliata dell’impresa.

(d) 2.5 Il ciclo di vita e il ciclo di trasformazione del settore

Quanto detto fin ora ha inteso dar rilievo all’aspetto dinamico dell’impresa e del settore. Tale impostazione rappresenta il punto di partenza dello studio settoriale e della concorrenza tra imprese – in tutti i casi non è abbastanza per spiegare il dinamismo e la complessità degli ambienti, la varietà e la variabilità delle forme e il ruolo di primattore assunto dalle imprese nell’indicare le strade del mutamento.

Questo radicale cambiamento che nella struttura del settore tende a dare più importanza agli elementi di differenziazione, rispetto a quelli di omogeneità - il che significa dire: un analisi dettagliata degli elementi che differenziano un’impresa dall’altra - non sembra essere avvenuto invece nella struttura dei modelli di analisi settoriale.

Parliamo in tal caso del modello Struttura – condotta – prestazione (SCP), ben noto paradigma finalizzato allo studio della concorrenza tra imprese.

Negli anni 50’ Bain propose quella che può essere definita “l’interpretazione forte” del paradigma – nella sua impostazione la struttura del settore inciderebbe sulla condotta delle imprese con un’intensità tale da rendere possibile la realizzazione di un collegamento diretto tra struttura di settore e condotta delle imprese, in parole povere la condotta viene eliminata dal paradigma SCP, per cui la struttura inciderebbe direttamente sulle prestazioni. Vedi grafico pag. 55

A tale struttura cosiddetta “forte” si è preferito scegliere un approccio strutturale “debole” –

“l’interpretazione debole” – per cui la prestazione dipende dalla condotta che, a sua volta, è determinata in gran parte dalla struttura. nel grafico a pag. 56 le linee tratteggiate rappresentano la sequenza secondaria: le prestazioni, in questo caso, retroagiscono, sia sulla condotta che sulla struttura.

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2.5.1 Il ciclo di vita del settore

il ciclo di vita è un modello di rappresentazione quantitativa della dinamica delle vendite di una specifica categoria di prodotti, costruito sulla base di osservazioni empiriche.

Graficamente esso è rappresentabile con una curva sinusoidale, la quale descrive l’andamento delle vendite nel tempo. Quattro sono le fasi ideali di vita di un prodotto: introduzione, sviluppo, maturità e declino. Talune di queste fasi sono state ulteriormente scomposte. La fase di maturità viene suddivisa in “maturità in ascesa” e “maturità in saturazione”.

Tale modello presenta una duplice natura: può essere utilizzato per formulare strategie di marketing e/o per previsioni, infatti conoscendo le varie fasi del prodotto possiamo attuare una strategia per ogni suo momento, inoltre possiamo prevedere le vendite future utilizzando una logica matematica che, fissato un determinato istante tx, potremo prevedere quale livello di domanda il prodotto raggiungerà nel periodo tx + 1.

Due aspetti meritano di essere chiariti:

• La configurazione di prodotto cui far riferimento nella sua approssimazione – le categorie standard sono individuabili nelle classi o categorie, nei tipi o forme, nelle eventuali formulazioni, o infine nelle marche.

• La possibilità di una sua estensione all’aggregato settoriale – il ciclo di vita di un prodotto può divenire settoriale se lo stesso prodotto rappresenta il settore nel suo complesso.

Da quanto detto deriva che il ciclo di vita non riesce a prevedere l’evoluzione del settore se il settore non coincide con il prodotto. Esso non può essere utilizzato come strumento di previsione al fine di formulare strategie d’impresa, poiché esso stesso trae origine da queste ultime, inoltre è importante dire che i cambiamenti della domanda sono dati dal tempo del prodotto e non dal suo ciclo di vita.

Dell’evoluzione di settore ne parla Kotler – egli lo suddivide in cinque fasi: cristallizzazione, espansione, frammentazione, riconsolidamento ed estinzione. Egli dice:

Il motore dell’innovazione è costituito dalla concorrenza e dall’innovazione.

Altro autore che parla di evoluzione settoriale è il Volpato, egli affermando che un settore non nasce e muore ma è in continua trasformazione poiché modifica i suoi confini, cambia le sue tecnologie, varia la qualità e la quantità dei consumatori interessati, identifica nella ratio che guida questa trasformazione all’interno di un dato orizzonte temporale, il maggior sforzo a cui deve tendere la realizzazione di un modello di ciclo di trasformazione del settore.

2.5.2 Il ciclo di trasformazione del settore

il Volpato tenta di rappresentare un modello finalizzato all’interpretazione e alla previsione del fenomeno di evoluzione del rapporto tra impresa e ambiente. Tale modello risulta coniugare i vantaggi di un modello logico – formale, cioè universale, estensibile quindi alle varie realtà settoriali, con quelli propri dei modelli sostanziali, che mirano l’attenzione alle specificità che contraddistingue i vari ambiti.

Tale modello è diviso in tre fasi:

• Analisi dell’evoluzione storica del settore – individuazione dei vari stati caratteristici della domanda e dell’offerta.

• In riferimento alla prima fase, cercare di individuare la teoria posta alla base dei meccanismi di convenienza economica che generano il passaggio da uno stato caratteristico all’altro – tali passaggi risultano essere legati da una ben precisa combinazione di domanda – offerta.

In tal senso risulta essenziale capire quali variabili hanno disegnato la dinamica evolutiva

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del settore. Per quanto riguarda l’individuazione degli stati caratteristici della domanda possiamo attuare un ulteriore distinzione:

o Il grado di diffusione del consumo relativamente alla domanda complessiva potenziale (consumo elitario – consumo di massa)

o Il grado di segmentazione della domanda (consumo omogeneo – consumo segmentato)

▪ Intrecciando tra loro le due variabili si ottengono i seguenti stati caratteristici della domanda:

• Consumo elitario omogeneo

• Consumo di massa omogeneo

• Consumo elitario segmentato

• Consumo di massa segmentato.

In base alle variabili su scritte, l’offerta, nella sua dinamica concorrenziale tende ad occupare progressivamente le varie aree della domanda, partendo dal consumo elitario omogeneo e procedendo in tal modo per tutte le tipologie di consumo.

Per quanto riguarda gli stati caratteristici dell’offerta, risulta molto più complicata l’individuazione o la distinzione come fatto per la domanda. L’offerta presenta molte più variabili, questo implica che gli stati caratteristici dell’offerta andranno individuati di volta in volta in relazione allo specifico settore in esame.

• Terza ed ultima fase riguarda un’analisi tipicamente previsionale - tale analisi viene attuata con una composizione di tipo matriciale (vedi grafico pag. 61), nella quale vengono definiti i vari stati della domanda e dell’offerta. All’interno della matrice verranno inserite le strategie dell’impresa appartenenti al settore.

È importante ripetere che il settore è in continua trasformazione, esso – come dice kotler – non è soggetto a cristallizzazione. In tal senso possiamo affermare che il settore può coincidere con il prodotto solo nel breve periodo, quando, cioè, le strategie di impresa coincidono con quel prodotto.

Nel lungo periodo, tali strategie provocano variazioni al settore rendendolo sempre più indefinibile e variabile con l’estendersi del periodo considerato.

(e) 2.6 Evoluzione degli strumenti di analisi settoriale

Il termine settore individua il denominatore comune di una serie di elementi, comuni tra loro, che altrimenti sarebbero distinti. È l’omogeneità il nocciolo di una ricerca settoriale.

Vi sono oltre al settore concetti come, processo terminale settoriale, sistema settoriale e filiera, che non rappresentano aggregazioni di imprese ma strumenti di approfondimento di alcuni aspetti del settore.

Approfondiamo:

• Processo terminale – indaga l’aspetto strettamente tecnico produttivo

• Sistema settoriale – a differenza del processo terminale, estende l’analisi alle relazioni esistenti con operatori che svolgono lavorazioni esterne al processo terminale, il focus si sposta dall’aspetto tecnico a quello strategico.

• La filiera – può coincidere o con il processo terminale o con il sistema settoriale o, addirittura, assumere una valenza più ampia o ristretta. La variazione è data dall’analisi che ci si propone di fare, sia essa multisettoriale o rivolta ad un aspetto strategico e/o tecnologico.

Il processo terminale ha come presupposto logico l’aggregazione di tutti quei prodotti che presentano omogeneità tra loro. Questa tipologia di aggregazione utilizza sia i criteri dettati dall’utilizzo finale del prodotto sia quelli per i materiali utilizzati. Tale sistema di configurazione

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del settore prende il nome di settore manifatturiero – merceologico. Quest’ultimo racchiude in se tutte quelle unità che producono gli stessi beni o beni altamente sostituibili fra di loro, accomunati inoltre dall’impiego degli stessi materiali e componenti.

Tale processo viene denominato bottom – up e permette di conoscere tutte le fasi che intercorrono dalla materia prima al prodotto finale – si chiama infatti processo terminale perché l’analisi è incentrata sul processo produttivo delle imprese fino all’ultimo stadio, il prodotto finito.

Il denominatore comune dell’analisi fatta dal processo terminale è strettamente merceologico – tecnologico. ( Vedi grafico pag. 66). Esso analizza solo il processo produttivo utilizzato dalle imprese non interessandosi di tutti i rapporti esterni a questo processo, vengono quindi esclusi tutti quei fornitori di input operativi o strategici, i quali rappresentano il motore portante della funzionalità aziendale.

Quando il processo terminale risulta essere limitato ai fini della ricerca settoriale entra in gioco il sistema settoriale. Questo ingloba in se il processo terminale racchiudendo, a differenza dei primo, anche tutti gli input provenienti dall’esterno. Permette quindi un’aggregazione tra il settore manifatturiero predetto e l’insieme di attività che allo stesso forniscono inputs operativi e strategici.

Ultimo parametro di analisi è la filiera di produzione. Essa racchiude in se tutti e due concetti prima analizzati. In tal caso possiamo direzionare l’esplicazione di tale concetto dividendolo in due rilevati campi di analisi: tecnologico e strategico.

La filiera privilegia l’aspetto tecnico dell’insieme di operazioni concatenate tra materia prima e prodotto finito – essa coincide con il processo terminale quando tale processo produttivo viene circoscritto nel ristretto campo del manifatturiero, mentre assume una valenza più ampia qualora ci siano più produzioni che danno vita al prodotto finale. Significa che la filiera assume valenza più ampia se i processi terminali sono più di uno mentre coincide col processo terminale se quest’ultimo rappresenta l’unico processo produttivo dell’elemento di analisi. In base a quanto detto, possiamo applicare lo stesso discorso anche per il sistema settoriale quindi l’aspetto strategico prima citato. Quest’ultimo infatti è legato inscindibilmente al processo terminale, entrambi però sono racchiusi all’interno della filiera di produzione. La filiera, a differenza del sistema settoriale, può espandere il proprio raggio di analisi anche in altri settori – tiene conto dell’influenza tra i vari settori e ciò la rende uno strumento di gran lunga più efficace dei due precedenti presi in esame. E’

importante precisare che vi è grande differenza tra filiera e settore, il primo infatti può racchiudere in se più settori e non considera le forme di mercato.

(f) 2.7 L’analisi dinamica di settore e le scelte manageriali

L’impresa al fine di modificare a proprio vantaggio l’ambiente di riferimento attua una continua pianificazione strategica. In tal senso due sono i momenti su cui si fonda una pianificazione strategica – uno interno e l’altro esterno all’impresa.

L’analisi interna racchiude tutta la struttura organizzative e le relative potenzialità dell’impresa per aggredire l’ambiente (o difendersi). Rientrano le capacità in termini produttivi, di stanziamento massimo per gli investimenti in marketing, di spendita, ecc. L’analisi esterna mira a individuare i fattori critici ambientali che creano minacce ed opportunità e a descrivere in ottica previsionale i possibili scenari futuri. Sono proprio gli scenari che rappresentano gli elementi di fondamentale importanza ai fini delle strategie che utilizzerà l’impresa nel futuro. L’impresa infatti per minimizzare il rischio dato dall’elevato grado di complessità ambientale, prima di rendere attive le proprie strategie, attua simulazioni e utilizza schemi logici – previstivi, quali gli scenari. Il fine di tali sforzi previsionali è mantenere il vantaggio competitivo all’interno del proprio settore. E’ facile capire che disegnare i futuri scenari risulta essere arduo compito per le imprese, esse devono però sviluppare tali scenari per poter poi pianificare le proprie strategie. Le informazioni per la strutturazione di tali scenari possono essere prese attuando uno studio che descriva l’evoluzione del

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settore, in tal caso, per capire meglio, si può far riferimento alle tre fasi del ciclo di trasformazione del settore di Volpato.(par. 2.5.2).

Gli elementi raccolti da queste analisi devono poi intrecciarsi con i fattori di incertezza derivanti dall’evoluzione tecnologica e dall’ambiente di riferimento generale, in un secondo momento tali informazioni verranno lavorate, venendo così a costituire la base su cui determinare gli ipotetici scenari futuri.

Una volta esaminato a fondo ogni elemento della struttura del settore, può quest’ultimo può essere classificato come:

• Costante – se la probabilità di cambiamento è notevolmente ridotta.

• Predeterminata – se i cambiamenti sono facilmente prevedibili.

• Incerta – se gli eventuali cambiamenti dipendono da contingenze largamente imprevedibili.

Le incertezze a loro volta possono essere divise in:

o Dipendenti – ad esempio cambiamenti provocati dalla pubblicità televisiva o dalle norme di sicurezza imposte.

o Indipendenti – ad esempio il comportamento dei concorrenti.

o causali – ad esempio causati da cambiamenti di fattori connessi al settore.

L’efficacia degli scenari dipende dalla quantità di informazioni che si ottengono dall’analisi settoriale, disporre dei risultati di un’analisi settoriale dinamica, che consenta di identificare distintamente gli elementi di incertezza, rappresenta il miglior punto di partenza per la costruzione di ipotetici scenari.

(g) 2.8 La convergenza settoriale ed imprenditoriale

argomento di discussione in questo paragrafo è la convergenza settoriale. Facciamo riferimento al crossing – border, fenomeno che investe alcune aree di mercato che, pur trovandosi in settori distinti, appartengono ad aree di filiera convergenti.

Il termine cross – border indica una serie di relazioni di tipo imprenditoriale e settoriale, confinanti e interrelate, con specifico riferimento ai settori: bancario, assicurativo e delle telecomunicazioni.

Tali settori, avendo l’esigenza di soddisfare bisogni sempre più complessi, frutto spesso dell’elevato contenuto tecnologico dei prodotti, spinge l’imprese ad utilizzare sempre più strategie di crossing – border, cioè stringere alleanze e sfruttare il know – how (la conoscenza) di altre imprese per l’ingresso in nuovi business.

I motivi della convergenza imprenditoriale sono numerosi, in dettaglio:

• l’aumentata concorrenzialità – che riguarda in modo minore o maggiore tutti i mercati, inoltre la diminuzione dei tassi di crescita della domanda, caso questo che si verifica solo in alcuni mercati, hanno spinto le imprese a valutare attentamente la possibilità di estendere il proprio ambito operativo.

• La deregolamentazione - condizione fondamentale per l’aumento della concorrenzialità. In un mercato deregolamentato le imprese possono allargare la propria attività senza trovare barriere di tipo protezionistico erette dai governi. Questo fa sì che le imprese precedentemente distanti tra loro, entrino in comunicazione, ricercando le interrelazioni esistenti.

• La globalizzazione sistemica – l’esigenza, da parte delle imprese, di non limitarsi a soddisfare un singolo bisogno elementare della domanda, ma assicurare la soddisfazione dell’insieme dei bisogni propri di una determinata catena del valore.

• La pervasività dei processi di integrazione tecnologica ed il continuo sviluppo scientifico, tecnologico ed informativo - tali elementi rappresentano il fulcro dell’innovazione. La ricerca e lo sviluppo sono determinanti per la vita di un’impresa. E’ importante dire quanto i

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sistemi informativi siano stati importanti per la condivisione di esperienze strategiche e delle risorse immateriali.

• La progressiva dematerializzazione dell’output d’impresa – oggi giorno non vengono più offerti beni fisicamente determinati, bensì un’insieme di componenti materiali ed immateriali, la produzione manifatturiera tende sempre più ad assumere i carattere della produzione di servizi.

• Concorrenza allargata – in riferimento all’intersettorialità delle imprese. Esse infatti riescono ad influire anche sulla competizione che avviene in mercati differenti. Si registra un aumento delle interrelazioni tra settori, riferendosi a quelle attività, capacità o informazioni comuni a più mercati. Le interrelazioni possono essere relative:

o Alla produzione –nel caso in cui impianti, processi o strutture fisiche siano strettamente comuni tra loro.

o Alle tecnologie – riguardano il tipo di know – how utilizzato nei diversi settori (es. le biotecnologie applicate nel campo farmaceutico e agricolo).

o All’utilizzazione – di materie prime e/o componenti o Alla comunanza – di canali distributivi.

Di impresa cross – border si parla quando facciamo riferimento alla crescente diminuzione dei confini settoriali, ad esempio imprese transnazionali (globalizzazione geografica) o imprese che riorganizzano il loro campo di attività verso settori confinanti ed interrelati (globalizzazione sistemica), l’imprenditore cross – border deve essere in grado di stipulare alleanze, di relazionarsi con altri imprenditori, in modo da acquisire il know – how necessario ad interpretare la nuova attività e ricercare la soddisfazione di un cliente sempre più esigente. la conoscenza e l’informazione rappresentano un’esigenza fondamentale ed un bene molto costoso da produrre, esse rappresentano due facce della stessa medaglia o meglio una la conseguenza dell’altro.

A tale discorso va collegato il concetti di reti, le quali mettono in comunicazione un insieme di unità attraverso un linguaggio specializzato e permette loro auto organizzazione attraverso l’uso dell’informazione.

Capitolo III - L’evoluzione dei paradigmi industriali e nuovi modelli d’impresa.

3.1 il paradigma.

Al fine di comprendere l’evoluzione delle impostazioni imprenditoriali, bisogna fare un tuffo nel passato, esplorare il mondo del cosiddetto capitalismo industriale e capirne la sua evoluzione.

Tradizionalmente, lo studio di tale evoluzione è stato fatto utilizzando il metodo dei paradigmi.

Per paradigma s’intende, generalmente, un modello grammaticale formatosi attraverso l’uso consuetudinario, secondo il quale si declinano nomi e verbi. Nelle discipline non semantiche il termine “paradigma” si riferisce alla ricerca di modelli, orientamenti di riferimento. Khun – un paradigma è un modello o schema accettato, caratterizzato da una costellazione di conclusioni, condivise da una comunità scientifica e utilizzate dalla comunità stessa per definire problemi e soluzioni lecite. i paradigmi, secondo Khun, servono per sviluppare la “scienza normale”

nell’ambito della quale la letteratura si concentra principalmente sulla determinazione dei fatti rilevanti per la scienza normale, sull’articolazione della teoria e sul confronto dei fatti con la teoria; da questa attività di confronto può scaturire una “scoperta scientifica”. La “scoperta scientifica” comincia con la presa di coscienza di una anomalia, ossia in un certo senso la natura ha violato le aspettative suscitate dal paradigma che regola la scienza normale. A partire dall’osservazione continua si cerca, in prima istanza, di riarticolare il paradigma e quando ciò non è possibile, s’innesca una crisi dalla quale sorgerà un nuovo paradigma. – Lakatos –

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sostiene, contrariamente a Khun, che il processo di evoluzione scientifica non si ha per crisi, ma per mutamenti continui determinati dal confronto tra le teorie, le quali devono dimostrare la loro superiorità.

Il metodo dei paradigmi basa le sue fondamenta su due perni principali:

• l’attribuzione di una fondamentale importanza al contesto storico e ambientale in cui le scelte economiche prendono forma.

• La concezione del presente come momento di transizione da un momento all’altro; ciò implica un operare simultaneo di sistemi e regole diverse – vecchie e nuove – la cui sovrapposizione, pur necessaria, determina però contrasti associati a crisi o perdite di produttività.

Importante è capire quando avviene il “macrocambiamento” da un paradigma all’altro. Tale cambiamento è il frutto di un processo lento, composto da innumerevoli “micro cambiamenti”, i quali, susseguendosi nel tempo, danno luogo al processo evolutivo conseguenza del passaggio da un paradigma all’altro.

Nel Sistema industriale sono tre i paradigmi fondamentali:

• Pre - fordismo – l’antico sistema

• Fordismo – il sistema in declino

• Post - fordismo – il sistema nascente

Esamineremo tali paradigmi nei paragrafi successivi.

3.2 il periodo pre – fordista, l’impresa manifatturiera.

Tale paradigma fa riferimento al modello dell’impresa artigiana. Ci troviamo nel periodo del primo capitalismo, definito mercantile, situato tra il declino del sistema feudale e la prima rivoluzione industriale.

Prima dell’inizio del pre – fordismo, verso la fine del XVI secolo, il modello artigianale d’industria, in cui l’artigiano ha la proprietà degli strumenti e della bottega, viene sostituito dal sistema di lavorazione a domicilio. Tale fenomeno viene caratterizzato in un primo momento dal mercante – capitalista che fornisce all’artigiano le materie prime le quali, dietro pagamento, le trasforma in prodotti finiti; in un secondo momento è lo stesso mercante che acquista gli strumenti e a volte la bottega al fine di attuare lui stesso la produzione. In tal caso l’artigiano diventa lavoratore – egli vende il proprio lavoro e non più il prodotto finito.

Il settecento è il secolo di maggior evoluzione in campo industriale poiché nasce la fabbrica. A tal periodo viene associato l’inizio del paradigma in questione. È l’inizio della famosa rivoluzione industriale la quale si svilupperà in un primo tempo in Inghilterra, il cosiddetto “modello inglese”, e subito dopo in tutta l’Europa occidentale. Nel primo momento, cioè quello inglese, l’industrializzazione riguarda esclusivamente l’Inghilterra, la tecnologia di tali fabbriche è molto limitata, un solo macchinario incorpora tutta la produzione e il valore di tale investimento è alla portata di un singolo imprenditore. L’evoluzione e lo sviluppo dell’industria avviene però con la diffusione della stessa in tutta Europa. Tale fenomeno è fondamentale in quanto le varianti di risoluzione dei problemi dati dallo sviluppo industriale aumentano in maniera esponenziale, ciò amplifica il processo evolutivo. È quindi facile capire che tale paradigma ha il suo reale e definitivo inizio quando la rivoluzione industriale è ormai in atto per tutta l’Europa.

L’elemento fondamentale di tale periodo è la semplicità. L’imprenditore è l’unico che ha il controllo dell’impresa, non esistono quindi funzioni aziendali, la tecnologia è incorporata in un solo macchinario o in più macchinari del tutto divisi tra loro. Il lavoro manipolativo, in pratica la manifattura dei prodotti, rappresentava il valore aggiunto del prodotto, in poche parole la trasformazione fisica dei prodotti. Oltre a quanto appena detto, altro fondamentale elemento ai fini evolutivi è la conoscenza, essa si diffonde con le vendite dei prodotti immessi sul mercato, questi

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ultimi, essendo il frutto di un lavoro manifatturiero, hanno all’interno tutta la conoscenza e le nuove scoperte.

2.3 il periodo fordista – la produzione di massa

le condizioni osservate nel precedente paragrafo vengono a cessare con le teorie di Taylor e Ford. Si parla in tal caso di impresa moderna. Il principale protagonista di tale evoluzione è l’energia elettrica. Essa dà luogo a sistemi di macchine molto articolate, connesse tra loro, le quali permettono di parcellizzare le operazioni e di attuare cicli produttivi molto più intensi, veloci e di gran lunga più produttivi rispetto alle precedenti macchine a vapore.

La differenza tra le due tecnologie è proprio l’autonomia che ogni singolo macchinario possiede.

Nel precedente sistema a vapore, le macchine erano comandate da un unico motore, veniva quindi a mancare l’indipendenza tra queste e di conseguenza la possibilità di attuare altri sistemi produttivi.

Il nuovo sistema spinge sempre più verso un utilizzo maggiore delle macchine ed una conoscenza minore del lavoratore. Tutte le azioni produttive sono automatizzate, più veloci e garantite. Si parla di capital – intensive per descrivere tale sistema produttivo, mentre per l’ormai obsoleto sistema artigianale si parla di labuor – intensive, a conferma dell’alta intensità di lavoro caratterizzante tale metodo.

Tutto ciò ha significato, innanzitutto, l’affermarsi di grandissime imprese, strutturate a livello organizzativo come quelle militari, vale a dire gerarchicamente, sviluppando la nascita di modelli organizzativi basati sulla capacità di organizzazione, di pianificazione e di coordinamento.

Si parla di “capitalismo organizzativo” - quello delle large corporation, delle catene di montaggio e dei sistemi di produzione di massa.

L’impresa Fordista si configura come un sistema molto complesso dove non basta più possedere le informazioni necessarie per progettare e gestire grandi macchine, servono dei progetti sviluppati prima che abbia inizio la produzione, progetti che mostrino il lavoro di interconnessione tra fasi elementari del ciclo produttivo e tra le macchine che devono lavorare in successione.

Si sviluppa all’interno dell’impresa una divisione del lavoro interna, la conoscenza si sviluppa in modo tale da non poter più essere incorporata nei prodotti rimanendo inglobata nella grande struttura d’impresa. La divisione esterna del lavoro assume sempre meno rilevanza, si preferisce sviluppare competenze e saperi specialistici che si accumulano dentro la grande impresa.

È di questo paradigma il concetto del firm – specific, la creazione cioè di un nucleo conoscitivo, che può essere trasferito solo attraverso il contatto diretto tra membri della stessa impresa. Il segreto per conservare ed accrescere tale conoscenza è dilatare la dimensione organizzativa dell’impresa e/o dell’espansione del suo ambito di attività. La conoscenza è centralizzata, tutte le informazioni vanno al centro, il quale ha il compito di gestire, sviluppare e progettare l’interdipendenza tra le molte persone e macchinari costituenti l’impresa Tayloristica.

L’impresa, in questo modo, non è più identificabile con un soggetto ma con un sistema – la soggettività dell’imprenditore, infatti, viene stemperata in un reticolo di condizionamenti e di influenze portate da altre soggettività, dall’altro lato, l’organizzazione dei rapporti interni ed esterni diviene più complessa, entrando a far parte di una logica sistemica.

I costi fissi sono molto elevati, dati dagli investimenti in conoscenza, in crescita e in concentrazione, si è dell’idea che una maggiore dimensione aziendale può aumentare le economie di scala.

Ma cosa sono le economie di scala?

Si definisce economia di scala ogni riduzione del costo medio unitario (di lungo periodo) che si verifica allorquando l’incremento della produzione, derivante dall’aumento delle dimensioni

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aziendali, è più che proporzionale rispetto all’incremento dei costi determinati da siffatto ampliamento.

L’impresa, in tal senso, diviene un sistema cognitivo, ha all’interno di se una banca conoscitiva frutto degli investimenti fatti in R&S (ricerca&sviluppo).

Il sistema aziendale, così strutturato, risulta essere però molto costoso, con le vendite deve coprire il grande budget di costi generali, i quali sono in gran parte investimenti in conoscenza, necessari per alimentare l’intelligenza centrale che deve conoscere, pianificare e decidere.

La crescita della complessità manifestatasi negli anni settanta ed ottanta del nostro secolo evidenzia che l’accentramento delle informazioni e delle decisioni è una scelta sbagliata.

Il periodo post – fordista infatti sarà caratterizzato dalla decentralizzazione e la nascita di piccole imprese.

3.3 la crisi del fordismo

la crisi del periodo fordista è iniziata a seguito di due principali eventi:

• Il succedersi di una serie di shocks a partire dalla crisi petrolifera del 1973. Questi shocks hanno dato fine all’età dell’oro del fordismo.

• La crisi della grande impresa, principale soggetto economico del fordismo. I motivi erano l’elevata burocratizzazione ed il moltiplicarsi dei livelli gerarchici e degli organi, inoltre la lentezza del processo decisionale. Questo provocò la nascita di oneri che, proprio a causa della cristallizzazione decisionali delle large corporation, non furono evitabili.

Oltre ai su scritti motivi, ci fu un tendenziale cambiamento della domanda, sempre più esigente e variabile, il ciclo di vita dei prodotti si era notevolmente accorciato e si preferivano le produzioni su commessa rispetto a quelle di massa.

Come potevano le grandi imprese fordiste tenere il passo al dinamismo dato dai continui cambiamenti dei prodotti e processi che nascono e muoiono nel giro di poche settimane?

L’idea di controllare tutto è perdente perché i tempio di reazione sono troppo lenti.

Iniziano così a spuntare le piccole imprese, dinamiche e flessibili, le quali destarono un notevole interesse in tutti i paesi dell’Europa occidentale. Queste erano in grado di produrre beni più sofisticati e specialistici, variati ed innovativi, avere personale più preparato e professionalizzato rispetto alle grandi imprese.

Le statistiche del periodo dimostrano che il numero di unità produttive di minori dimensioni cresce velocemente in tutti i paesi industrializzati e la struttura economica nel suo complesso viene percossa da forti processi di decentralizzazione. Le grandi imprese, di anno in anno, diminuiscono il numero dei lavoratori, ridimensionano la scala di produzione, e soprattutto si rivolgono alla sub fornitura attuando un sistema di decentralizzazione sia produttiva che conoscitiva.

Nasce una gestione centrata sul mercato e sulle sue esigenze, la cosiddetta economia della flessibilità, la quale influisce sui criteri di efficacia ed efficienza. Il criterio dell’efficacia esprime la misura del grado in cui un organizzazione riesce a realizzare i propri fini e gli obiettivi prestabiliti, l’efficienza indica una generica misura delle prestazioni, definita dal rapporto dei risultati conseguiti e il ventaglio dei mezzi impiegati.

Tale evoluzione non avrà lunga vita, alla fine degli anni 80 e l’inizio dei 90 infatti, vi sarà una nuova inversione di marcia. L’aumento dell’inflazione e la stabilizzazione del ciclo economico ricostruiscono un quadro di certezza e stabilità. Ritornano le grandi imprese, rinnovate in ogni sfumatura rispetto a quelle fordiste, impregnate, in tal senso, dell’esperienza datagli dalle piccole imprese. dalla flessibilità e dalla necessità di decentramento. Si instaurano rapporti di collaborazione sottoforma di accordi e di partecipazioni in joint ventures.

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Questo periodo storico è caratterizzato dal poliformismo delle organizzazioni aziendali: accanto alle grandi ed alle piccole imprese si registrano nuovi modelli organizzativi – le strutture a rete – nasce il capitalismo evolutivo.

3.5 il post – fordismo

il superamento del fordismo non è argomento da prendere sotto mano in quanto rappresenta uno dei periodi più eccezionali per sviluppo economico. Parlare di fine del fordismo, per varie ragioni, non è del tutto appropriato, la questione da porsi è: quale propellente nel futuro assicurerà le crescita economica e sociale? (Parliamo di sociale in quanto economia e società sono due facce della stessa medaglia).

Sulla fine della produzione di massa vi sono opinioni discorde, c’è chi non crede nella nascita di un nuovo paradigma ma solamente in un evoluzione della produzione di massa e chi, invece, valutando i micro cambiamenti tutt’ora in atto, crede nella nascita di un nuovo paradigma.

L’ipotesi più valida è quella della transizione verso un altro sistema produttivo, in pratica dopo un periodo storico in cui ha prevalso il mercato ( primo capitalismo) ed un secondo dove ha prevalso la produzione di massa ( fordismo) ci si avvia verso una sintesi tra la combinazione dei vantaggi competitivi con quelli della gerarchia.

In tutti i casi è molto difficile fare un’analisi dei tratti essenziali del nuovo paradigma. Siamo infatti in presenza di una rivoluzione ancora in corso e come tale, difficile da imbrigliare in una qualsivoglia semplificazione. Possiamo, allora, qualificare la situazione attuale come una transizione dal secondo al terzo paradigma, in cui quest’ultimo non ha ancora assunto una forma compiuta.

Possiamo individuare in tre punti la strutturazione attuale dell’impresa:

• La conoscenza. Quest’elemento è alla base dell’economia fordista. I grandi investimenti che le imprese fordiste facevano in R&S ne sono l’esempio fondamentale.

• La sincronia tra produzione e mercato. Tale punto rappresenta l’esatto contrario di quanto avveniva nel periodo fordista – caratterizzato dalla totale scissione tra produzione e mercato – oggi si parla di sincronismo adattivo, il che significa dire che le imprese adattano la loro produzione ed i loro investimenti al mercato. In altri termini si attua una strategia opposta a quella fordista per quanto riguarda il controllo dell’incertezza: si punta sul controllo ambientale.

• Il nuovo paradigma si caratterizza per l’intensificazione e l’estensione della divisione del lavoro cognitivo. La differenza con il fordista è che il sapere era firm specific, ossia trasferibile all’interno della singola impresa e concentrato nelle mani di una tecnostruttura, inoltre era totalmente separato da quello operativo. Possiamo esemplificare i parametri del nuovo paradigma su due fronti:

o Sul fronte interno – si è ricorsi all’intelligenza diffusa dei lavoratori operativi e riducendo o differenziando le competenze dello staff tecnico e manageriale, si sono integrate o sostituite, le funzioni di apprendimento e decisione una volta concentrate al centro.

o Sul fronte esterno – la divisione del lavoro si è estesa fino a comprendere imprese diverse.

È in quest’ottica innovativa che vanno inquadrate le varie tecniche di transizione.

3.6 l’esigenza di un fordismo flessibile. Dalla impresa snella alle imprese virtuali

A seguito dell’analisi storica fatta nei precedenti paragrafi, possiamo affermare che le imprese di oggi stanno tentando di dare vita ad un Fordismo flessibile cioè, di attuare una strategia produttiva focalizzata su prodotti semi – standardizzati.

Tali modificazioni sono state provocate dai tanti eventi che in passato (ma anche tutt’ora) hanno scosso l’economia:

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