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1994 - 3.2.1 L'importanza di educare. 3.3 Gli adulti e la rieducazione. – 3.3.1 Il problema dell'ergastolo ostativo - 3.3.2 Una visione dall'interno: il caso Mosumeci.

3.1 Alcune incertezze e contraddizioni storiche

Fortunatamente quanto accade oltreoceano è ben distante dagli standard del nostro paese. Sarebbe impensabile oggi attribuire la pena dell'ergastolo a un minorenne, ma non è così da sempre.

La svolta, infatti, arriva soltanto nel 1994 con una sentenza della Corte Costituzionale che fa chiarezza sull'argomento, mettendo un punto all'attribuzione di tale pena per i minori.

Prima di questa decisione il clima che ruota intorno alla pena dell'ergastolo è dibattuto e poco chiaro. Il punto discusso è l'ideologia rieducativa all'interno del significato della punizione; nonostante la Carta Costituzionale dedichi una disposizione sola al tema del finalismo della pena, secondo cui le pene non posso consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato69, la giurisprudenza si è occupata più volte del parametro in oggetto, interpretando e precisando il principio generalissimo in esso contenuto, talvolta anche con risultati contrastanti.

Ad esempio, trattando di pena dell'ergastolo al di fuori di condannati minorenni, la sentenza 264/1974 contiene una decisione assolutamente retrograda e lontana dal ritenere la rieducazione unico scopo della pena. La Corte, nel caso di specie, è chiamata a giudicare la legittimità costituzionale dell’ergastolo: si trattava di tre

condannati a tale punizione per omicidio volontario e rapina pluriaggravati. In primo luogo, il giudice sostiene che la rieducazione, purtroppo non sempre conseguibile, non sarebbe l’unico fine delle pene. A prescindere dalla retribuzione e dall’esistenza, per alcuni, di criminali sempre pericolosi e assolutamente incorreggibili, la Corte non ha dubbi sul fatto che la dissuasione, la prevenzione e la difesa sociale siano anch'esse alla radice della pena. Quest'ultima poi potrebbe essere indispensabile strumento di intimidazione per individui insensibili a comminatorie meno gravi o mezzo per isolare a tempo indeterminato criminali che abbiano dimostrato la pericolosità e l’efferatezza della loro indole70. Per dimostrare che l’ergastolo non è incostituzionale si ricorre alla concezione polifunzionale della pena, che già dagli anni sessanta era ormai riconosciuta a pieno titolo dalla giurisprudenza e che sarà abbandonata solamente nel 1990.

Concezione espressa in particolar modo nella sentenza n.12 del 1966, la quale, nel dichiarare l'infondatezza del dubbio di costituzionalità dell'attribuzione della pena pecuniaria, sostiene che il principio rieducativo, dovendo agire in concorso con le altre funzioni della pena, non può essere inteso in senso esclusivo e assoluto.71

Sono molte le pronunce della Corte tra gli anni sessanta e gli anni

70 Sentenza 264/1974 Corte Costituzionale.

novanta che, sostenendo tale polifunzionalità, non contemplano la rieducazione come fine ultimo della pena. La sentenza n.22 del 1971, giudicando non fondata la questione di legittimità dei limiti massimi di pena per i reati di furto, afferma che “l'efficacia rieducativa della pena indicata dal 27 terzo comma, non sia l'unica prevista72.”

Decisioni infelici, ma sicuramente comprensibili: dal momento che era ancora in vigore il Regolamento penitenziario del 1931, pertanto il momento politico-istituzionale risultava poco propizio ad accogliere riflessioni più avanguartiste in merito alla funzione della pena.

Tuttavia c'era stato in precedenza un primo passo avanti con la sentenza n.204 del 1974. L'eccezione che ci offre questa pronuncia, nel dichiarare incostituzionale l'articolo 4373 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale, qualifica il recupero sociale del condannato come fine ultimo e risolutivo della pena, individuando un vero e proprio diritto alla rieducazione74.

72 Dalla sentenza 22 del 1971.

73 Attribuiva al Ministro della giustizia la facoltà di concedere la

liberazione condizionale.

74 Dalla sentenza 204 del 1974: “Con l'art. 27, terzo comma, della

Costituzione l'istituto ha assunto un peso e un valore più incisivo di quello che non avesse in origine; rappresenta, in sostanza, un peculiare aspetto del trattamento penale e il suo ambito di applicazione

presuppone un obbligo tassativo per il legislatore di tenere non solo presenti le finalità rieducative della pena, ma anche di predisporre tutti i mezzi idonei a realizzarle e le forme atte a garantirle.

Tuttavia questa sentenza non era bastata a instradare la giurisprudenza verso un'opinione definitiva e assodata in materia di ergastolo e minori: bisognerà attendere fino al 1994.

Situazione alquanto bizzarra, visto che nella normativa degli anni ottanta era già presente un sistema studiato per i minori mirato ad accelerare l'uscita del giovane dal circuito penale in funzione di una logica educativa e risocializzante della pena.

Non solo, la contraddizione tra l'idea di un recupero e le norme scritte si poteva riscontrare anche nell'articolo 98 del codice penale che configura l'età inferiore a diciotto anni come una circostanza attenuante applicabile di diritto prima di una qualsiasi altra valutazione circa la capacità di intendere e volere.

Soltanto questi elementi sono sufficienti per lasciare, quanto meno, un senso di ambiguità di fronte a un sistema che ancora permetteva l'utilizzo della pena dell'ergastolo ai minori. Si analizza, quindi, di seguito come tali contraddizioni vengano sciolte dalla sentenza del 1994.

Sulla base del precetto costituzionale sorge, di conseguenza, il diritto per il condannato a che, verificandosi le condizioni poste dalla norma di diritto sostanziale, il protrarsi della realizzazione della pretesa punitiva venga riesaminato al fine di accertare se in effetti la quantità di pena espiata abbia o meno assolto positivamente al suo fine rieducativo; tale diritto deve trovare nella legge una valida e ragionevole garanzia giurisdizionale.

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