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Con la conclusione di questo episodio si può sicuramente intuire come la Corte di Strasburgo faccia la differenza.

Le sorti di Öcalan non sarebbero state le stesse senza l'intervento dell'organo giurisprudenziale dell'Unione Europea; tuttavia questo non basta a dire che i diritti umani dei cittadini europei sono “salvi” tout court, ma indubbiamente il solo fatto di mettere a disposizione dei cittadini un altro grado di giudizio, è già un gradino più alto verso la totale salvaguardia dei diritti umani.

Inoltre, si sa che le sentenze di Strasburgo godono dell'efficacia erga omnes112, oltre che di quella diretta nei confronti dei paesi coinvolti,

per tanto la funzione di sentenza-guida permette alla pronuncia di diventare esempio e diffusione del parere dei giudici europei.

In particolare la sentenza in questione è dotata di una particolare portata rivoluzionaria grazie all'inversione di rotta decisa dai giudici rispetto a un precedente filone interpretativo.

112“L'efficacia delle decisioni della corte di Strasburgo nei confronti di

paesi contraenti che non sono parte del giudizio”. A cura di Maria Fierro

Nel 2008 infatti, la Grande Camera si era già occupata della contrarietà all’art. 3 CEDU di un ergastolo inteso come pena realmente perpetua: ossia senza alcuna possibilità per il condannato,trascorso un certo periodo di detenzione in carcere, di beneficiare della liberazione anticipata o condizionale. La Corte in questa circostanza, per rispettare questo principio, aveva ritenuto sufficiente che ci fosse per il condannato una possibilità, de iure o de facto, di essere rimesso in libertà, vale a dire la speranza di una grazia da parte del Presidente della Repubblica cipriota su proposta del Procuratore generale113.

Cinque anni dopo, per fortuna, i giudici a Strasburgo si ravvidero con il caso del pericoloso leader del PKK, affermando che l’ergastolo, senza possibilità di revisione della pena è una violazione dei diritti umani, poiché l’impossibilità della scarcerazione è considerata un trattamento degradante e inumano contro il prigioniero, con conseguente violazione dell’art. 3 della Convenzione Europea sui diritti umani.

113 “benché la Convenzione non attribuisca, in generale, un diritto alla liberazione condizionale né a una revisione della pena mirante alla sua possibile remissione o estinzione per effetto di un provvedimento di un’autorità nazionale, giudiziaria o amministrativa, risulta chiaro dalla giurisprudenza rilevante [della Corte] che l’esistenza di un sistema che consente di prendere in considerazione la possibilità di un rilascio anticipato è un fattore che deve essere tenuto in conto al fine di valutare nel singolo caso la compatibilità della pena dell’ergastolo con l’art. 3” (§ 99).

In conclusione questa pronuncia è stata senz'altro significativa nel cammino della funzione rieducativa della pena; l'obbiettivo è quello di instillare in tutti i paesi la convinzione che la pena dell'ergastolo fine a se stessa non rientri nello scopo rieducativo sul quale deve basarsi il concetto di punizione. Obbiettivo che, grazie a pronunce come questa, sembra sempre più vicino e raggiungibile, quanto meno nell' “isola felice” europea, ma che allo stesso tempo si fa fatica a vedere persino in lontananza nel resto del mondo.

CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE

Si è potuto analizzare, nell'arco di questa esposizione, le varie sfaccettature e i vari pensieri riposti all'interno di una punizione, così dura e complessa. Durezza e complessità, a ben vedere, possono caratterizzare tante altre punizioni -se vogliamo- meno severe dell'ergastolo, ma di certo una caratteristica lo distingue tra tutte: l' “interminabile” durata di questa pena. Ancora oggi l'ergastolo, nel gergo carcerario, è definito con un delicato termine allegorico: "erba"; ad indicare quella sotto cui sarai steso prima che la pena sia terminata. Sono considerazioni che non possono e non devono passare inosservate, anzi dovrebbero far riflettere sulla natura di questa punizione, perché è proprio qui che sta il problema, a monte, nel senso che risiede all'interno della pena. Il tentativo, ma soprattutto lo scopo, di rieducazione non sono purtroppo ancora considerati universalmente come dei capisaldi nel panorama del diritto penale in generale. In alcuni paesi, come il nostro o altri paesi europei, si può affermare che l'ottica rieducativa stia prendendo sempre più campo e consensi, ma a volte il rischio è che rimanga solo qualcosa di teorico e non abbastanza radicato da mantenere il suo valore sul piano pratico. Spesso, infatti, ci si nasconde dietro la difesa sociale114, per cui non si tratterebbe più soltanto del riadattamento sociale, ma anche di prevenzione generale. La verità è 114Corte Cost., Sent. n. 264, 22/11/1974

che nonostante la pena sia uno dei fenomeni più diffusi e costanti della vita sociale, ne è stata spesso contestata la fondatezza da parte di pensatori e scienziati che l'hanno definita ingiusta, inutile e persino dannosa. Troppo spesso, poi, si sottovaluta la gravità della pena dell'ergastolo, ma ci sono documenti e testimonianze da cui trapela la sua disumanità e insopportabilità in modo inequivocabile; ad esempio una lettera che 310 detenuti hanno inviato al Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, il 31 maggio del 2007, chiedendogli di convertire l’ergastolo in pena di morte, poiché quest’ultima sarebbe meno dolorosa.115 Desiderio espresso anche in Belgio dal cinquantaduenne Frank Van Den Bleeken116: l'ergastolano in carcere da 30 anni per omicidio e diversi stupri aveva richiesto l'eutanasia, dichiarando la propria incapacità di resistere ai propri impulsi malati117. La sua richiesta era stata accolta e programmata,

115 Si dice, infatti “… l’ergastolo ti fa morire dentro a poco a poco. Più ti avvicini al traguardo più questo si allontana. L’ergastolo è una pena stupida perché non c’è persona che rimanga la stessa nel tempo. L’ergastolo è una morte bevuta a sorsi, perché non ci mettiamo d’accordo e smettiamo di bere tutti assieme?”

116Van Den Bleeken violentò e strangolo una ragazza di 19 anni nel 1989

in un bosco nei pressi di Anversa. La madre della vittima morì di crepacuore. Le sorelle della donna uccisa da Van den Bleeken si sono opposte alla concessione dell'eutanasia: "Quell'uomo deve marcire in cella", hanno detto. L'eutanasia in Belgio è legale dal 2002 e nel 2013 c'è stato il record dei casi, 1.807.

117 "Se sarò rimesso in libertà mi comporterò allo stesso modo, sono un pericolo pubblico. Che cosa dovrò fare, stare seduto qui a marcire fino

ma fortunatamente il ministro della Giustizia belga, Koes Geens, ha bloccato la "procedura d'eutanasia", decidendo per il trasferimento del detenuto in una struttura psichiatrica legale, specializzata in lungodegenti, a Gand, dove potrà avere una vita qualitativamente decente. Il punto sul quale si deve assolutamente riflettere è che una tragica domanda di eutanasia non è altro che la conseguenza immediata dell'incapacità dello Stato di fornire a detenuti con gravissimi problemi mentali un trattamento medico adeguato. Questo ci riporta inevitabilmente allo scopo rieducativo della pena e la sua mancanza di solidità all'interno della dimensione pratica del sistema punitivo; e purtroppo è una condizione ampiamente diffusa in tutto il panorama mondiale ed europeo. Certo, se si vuole, a seguito dell'analisi della situazione americana, dove prima di parlare di ergastolo, si parla di pena di morte ed ergastolo senza condizionale, i paesi europei -sotto l'ala della “mamma” Corte di Strasburgo- sono testimoni di un maggiore rispetto dei diritti umani all'interno del diritto penitenziario. Ma questo non può e non deve bastare: la consapevolezza che ci sono situazioni ben più gravose non può essere una giustificazione ad accantonare il problema della compressione dei diritti umani nell'ambito carcerario, e smettere di cercare la “perfetta formula” per poter riabilitare in maniera efficiente e dignitosa chi ha sbagliato. Anche perché, le recenti

sentenze della Corte Suprema americana descrivono una graduale e lenta ascesa verso una maggiore valorizzazione dei diritti e della dignità delle vite dei condannati. Dunque, se pur partendo da una situazione senza dubbi più arretrata conservatrice, anche gli stati americani stanno riconsiderando le loro posizioni riguardo la tipologia delle punizioni inflitte. Questo fa auspicare chi scrive che la direzione sia la stessa per tutti i sistemi penitenziari esistenti e cioè che si vada sempre più, e sempre più velocemente, verso la completa salvaguarda della dignità umana all'interno dell'ambiente carcerario e che, soprattutto, si prenda piena coscienza della necessità di riabilitare chi ha sbagliato e dell'inutilità di punire duramente, calpestando ogni speranza di una seconda chance, di una nuova vita, perché “il carcere deve essere un luogo di rieducazione e avere, dunque, le caratteristiche delle istituzioni educative, attente a tirar fuori dallo studente ogni elemento che gli permetta di diventare più utile alla società. Il carcere come camicia di forza, come immobilità per non far del male è pura follia, è antieducativo. Non appena viene tolto il gesso, c’è subito una voglia di correre e di correre contro la legge. Senza considerare l’assurdo di un luogo dove si accumula la criminalità, che ha un potere endemico maggiore di un virus influenzale.118

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GIURISPRUDENZA DELLA CORTE SUPREMA USA Weems v. States 217 U. S. 349, 367 (1910)

Enmund v. Florida 458 U.S.,(1982) Eddings v. Oklahoma, 455 U.S. (1982) Thompson v. Oklahoma, 487 U.S. (1988) Penry v. Lynaugh, 492 U. S. (1989) Stanford v. Kentucky, 492 U. S. (1989) Hodgson v. Minnesota, 497 U. S. 417 (1990) Harmelin v. Michigan, 501 U. S. 957, 979 (1991) Atkins v. Virginia, 536 U. S. 304 (2002)

Roper v. Simmons, 543 U.S (2005) Graham v Florida 560 U.S., (2010) Miller v. Alabama 567 U. S.(2012)

RINGRAZIAMENTI

Desidero ricordare tutti coloro che mi hanno aiutato nella stesura con suggerimenti, critiche ed osservazioni: a loro va la mia gratitudine, anche se a me spetta la responsabilità per ogni errore contenuto in questo lavoro.

Ringrazio innanzitutto il Prof. Luca Bresciani, che mi ha fornito lo spunto di partenza per la realizzazione di questo scritto e che mi ha permesso di svolgere la stesura senza limitare in alcun modo la mia libertà di espressione, fornendomi durante lo svolgimento dei lavori i consigli richiesti.

Ringrazio la mia famiglia che ha reso possibile il conseguimento di questo corso di studi, sostenendomi moralmente ed economicamente senza obblighi o pressioni.

Ringrazio inoltre Giulia: il mio aiuto-traduttore; Guido: curatore della parte tecnica; Valentina: il mio pilastro; Elisa: la mia valvola di sfogo; tutte quante le mie amiche che sono le mie più grandi sostenitrici; i miei compagni di studi presenti nei momenti di sconforto da esame; il mio istruttore Mario che negli anni mi ha insegnato il valore della disciplina; il mio più grande fan: Andrea. Ringrazio infine me stessa per aver stretto i denti nei momenti peggiori, andando avanti nonostante spesso non ci abbia creduto, nonostante la voglia di mollare, nonostante i dispiaceri e le difficoltà di questi cinque anni.

Ringrazio me stessa per esserci riuscita, nonostante la paura di non farcela.

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