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minori e pena perpetua (uno sguardo alla più recente giurisprudenza della Corte Suprema Americana)

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Ai miei genitori e a chi, come me, ha paura di farcela.

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INDICE ANALITICO

Introduzione……….. 5 CAPITOLO 1

LA FINALITÀ RIEDUCATIVA: UNA QUESTIONE ANCORA APERTA

1.1. Perchè punire?……….11 1.2. Le teorie della pena……….13 1.3. Il pensiero in Italia: i passi dell'Assemblea Costituente……..18 1.4. La visione americana: gli studi di Martinson………..22 1.4.1. Educazione e formazione professionale………26 1.4.2. Problematiche dell'ambiente istituzionale………….28 1.4.3. Conclusioni………29

CAPITOLO 2

I MINORI E LA CORTE SUPREMA DEGLI STATI UNITI 2.1 Roper v. Simmons: il primo passo verso un traguardo

più umano……… 34 2.1.1 Il parere della maggioranza….………. 37 2.1.2 Le opinioni contrarie…...………. 42 2.2 Graham v. Florida: avanti verso liberazione condizionale….. 47 2.2.1 Maggioranza a sostegno della proporzionalità…… 52 2.2.2 La minoranza e il valore letterario …….………. 58 2.3 Miller v. Alabama: la chiusura del cerchio?……….61 2.3.1 La maggioranza contro gli automatismi legislativi... 64 2.3.2 Una minoranza “miope”……….………. 69

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CAPITOLO 3

LA CORTE COSTITUZIONALE ITALIANA: TRA MINORI “SALVI” E ADULTI IN DISCUSSIONE

3.1 Alcune incertezze e contraddizioni storiche………76

3.2 L'intervento illuminante della corte: la sentenza n.168 del 1994……….. 80

3.2.1 L'importanza di educare……… 84

3.3 Gli adulti e la rieducazione………..88

3.3.1 Il problema dell'ergastolo ostativo……….92

3.3.2 Una visione dall'interno: il caso Mosumeci………...98

CAPITOLO 4 LA SITUAZIONE IN EUROPA 4.1 Il ruolo della Corte di Strasburgo….………..…………104

4.1.1 Il caso Öcalan……….. 108

4.2 Conclusioni……… 116

CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE……….………..120

BIBLIOGRAFIA……….. 125

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INTRODUZIONE

Quando si parla di ergastolo è inevitabile trovarsi di fronte a pareri diversi, modi diversi di affrontarlo a livello legislativo, giurisprudenziale e dottrinale, in base a territori, culture, correnti di pensiero. Dopo la pena capitale, abolita ormai in molte parti del mondo, l'ergastolo è la pena più severa che l'uomo conosca. A differenza di una qualsiasi altra pena che si possa immaginare, c'è qualcosa insito in questa punizione che la contraddistingue fra tutte: l'indeterminatezza. Quando si tratta di ergastolo, infatti, il pensiero di una sofferenza senza fine viene quasi automatico. Partendo da una disamina doverosa delle radici della pena stessa in generale, passando tra le correnti retribuzionistiche e quelle preventive, si analizzeranno, in questa sede, alcune tematiche in particolare, legate alla pena dell'ergastolo e tutto ciò che ne consegue.

In particolar modo, è interessante analizzare approfonditamente,in questa sede, come la giurisprudenza americana affronti questa pena relazionata a condannati minorenni. Attraverso la lettura di tre casi esemplari della Corte Suprema degli Stati Uniti, dal 2005 al 2012, è interessante vedere come, nonostante la presenza di minori e quindi di soggetti in fieri, dotati di una capacità cognitiva e valutativa inferiore rispetto a quella di un adulto, ci sia una spiccata difficoltà da parte di alcuni stati americani a riconoscere ed accettare la necessita di sottoporli ad un giudizio diverso da quello previsto per

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un maggiorenne. Tuttavia, la vera discussione, in questi tre casi, soprattutto quella desumibile dalle opinioni dei giudici dissenzienti, verte intorno all'interpretazione dell'VIII emendamento della Costituzione. Il divieto previsto dal testo è quello di pene “crudeli e inusuali”, senza, quindi, alcun riferimento esplicito alla pena dell'ergastolo. La maggioranza della Corte si servirà comunque di questi due divieti per instradare le opinioni giurisprudenziali verso una lettura più liberale del dettato costituzionale, così da arrivare, con l'ultima di queste tre pronunce, ad impedire la condanna all'ergastolo senza liberazione condizionale nei confronti dei minori. Nel primo dei tre, Roper v. Simmons, il concetto di proporzionalità riferito all' “evoluzione degli standard di decenza che segnano il progresso di maturazione di una società", punto nevralgico nell’interpretazione dell’VIII Emendamento, rappresenterà un limite costituzionale all’imposizione della pena capitale per i minorenni da sostituirsi con l'egastolo. La Corte Suprema per giungere alla decisione, aveva analizzato che su scala nazionale era sempre meno frequente comminare la pena di morte ad un condannato minorenne: in particolare, al momento della sentenza, benché ben venti Stati prevedessero ancora la pena di morte per minori, solo sei stati avevano realmente giustiziato detenuti per questo motivo sin dal 1989 e solo tre (Oklahoma, Texas e Virginia) negli ultimi dieci anni. A contrario, il dissenso venne incentrato sul fatto che non si fosse

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realmente creata una consuetudine nazionale contraria alla pena di morte per minorenni, visto che solo 18 Stati sui 38 che prevedono tale istituto (47%) l’avevano effettivamente proibita. Nel secondo caso, sulla scia della lettura del dettato costituzionale fornita dalla Corte nel 2005, anche l’ergastolo senza liberazione condizionale per i minori di 18 anni condannati per reati diversi dall'omicidio, risulterebbe violare l'VIII emendamento, essendo quest’ultima sanzione affine alla condanna alla pena. Anche in questo caso, l'opinione non contraria non si esime da esprimere il proprio parere: sostenendo decisamente pericoloso e erroneo interpretare l'VIII emendamento distaccandosi dal reale significato letterario. L'ultimo passo compiuto in Miller v. Alabama, con una marcata spaccatura interna della Corte suprema, ha dichiarato l'incostituzionalità, per violazione del testo costituzionale, di quel sistema sanzionatorio contenuto nella legislazione di alcuni Stati che prevedeva l'obbligo per i giudici di comminare la pena dell'ergastolo senza libertà condizionale per il reato di omicidio anche a coloro che all'epoca del fatto erano minorenni. La maggioranza, infatti, è convinta che un sistema sanzionatorio come quello do Alabama e Arkansas, di fatto, impediva ai giudici di considerare sia la affievolita colpevolezza dei minori, che la loro potenzialità di cambiamento. Nuovamente, le opinioni della minoranza si “batteranno” nel sostenere un'applicazione dell'VIII emendamento che sia fedele al dettato

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costituzionale. È chiaro, dunque, che il dibattito negli States verte intorno al concetto di proporzionalità, ma soprattutto al divieto di pene crudeli e inusuali, lasciando da parte una qualsiasi necessità rieducativa della pena.

Spostandoci nel continente Europeo, prendendo in considerazione condannati non più minorenni, la situazione giurisprudenziale, in merito alla pena perpetua, non è poi così diversa. Basti considerare la Corte Europea di Strasburgo, che si è trovata più volte ad affrontare la compatibilità tra l'ergastolo e il divieto di pene “inumane e degradanti” previsto dall'art. 3 della CEDU. Con una sentenza del 2013, la legittimazione di questa pena viene definitivamente riscontrata nella speranza di una possibile liberazione, senza la quale il condannato sarebbe sottoposto a qualcosa di assolutamente avvilente per tanto contrario all'art. 3.

L'analisi dei rapporti giurisprudenziali con questa pena così complessa si chiude indispensabilmente con uno sguardo alla penisola italiana, dove il trattamento di adulti e minori è differente. In merito ai minorenni si chiarisce già nel 1968, con una pronuncia della Corte Costituzionale, quale debba essere la posizione dei minori rispetto a questa pena; e cioè che nessun minore deve esserne sottoposto, in nome della salvaguardia dell'educazione prevista per questi soggetti non ancora formati. Diversamente per gli adulti il problema della perpetuità di questa pena non è totalmente archiviato:

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i condannati al 41 bis. rischiano di essere sottoposti ad un vero e proprio carcere a vita, salva la loro collaborazione. Qui le battaglie dottrinali si sprecano, in quanto una punizione perpetua non può incastrarsi nell'ideale fondamentale della funzionalità della pena prevista dal nostro paese: la rieducazione.

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CAPITOLO 1

LA FINALITÀ RIEDUCATIVA: UNA QUESTIONE

ANCORA APERTA

SOMMARIO: 1.1 Perchè punire? - 1.2 Le teorie della pena. 1.3 Il pensiero in Italia: i passi della costituente - 1.4: La visione americana: gli studi di Martinson - 1.4.1 Un travaglio di studi- 1.4.2 Educazione e formazione professionale - 1.4.3 Problematiche dell'ambiente istituzionale - 1.4.4 Conclusioni non troppo positive.

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1.1 Perchè punire?

Prima ancora di partire dall'interrogativo per cui ci si domanda “perchè” si punisce e, quindi, quale sia la sua funzione, ci si deve domandare “che cosa” sia la pena. Domanda che si sono posti in tanti, studiosi di ogni disciplina, dalla filosofia alle scienze del diritto.

Oggi siamo certi che pena sia la sanzione giuridica che segue la commissione di un reato: difende un interesse giuridicamente protetto con una punizione. Eppure, se si pensa ad una punizione, risulta quasi inevitabile pensare a qualcosa di negativo come un castigo o l'inflizione di una sofferenza, un'idea che, però, contrasta con quelli che sono i fini legittimamente assegnati alla pena.

Visto che di legittimazione si tratta, si ha a che fare con un vero e proprio diritto di punire, ma viene da chiedersi allora “su che cosa si fonda la pretesa punitiva ovvero il diritto di punire?

Quali sono le ragioni che rendono accettabile moralmente e/o politicamente che alla violenza illegale del delitto si aggiunge una seconda violenza legale quale la pena1?”

Da sempre c'è chi prova a dare una risposta attraverso motivazioni a momenti convincenti, fornendo una visione punitiva più o meno

1 L.FERRAJIOLI, “Se e perchè punire, proibire, giudicare. Le ideologie

penali.” Dal libro “Diritto e ragione: teoria del garantismo penale”, Laterza, 1989.

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nobile, ma la situazione penitenziaria odierna ci dice chiaramente che una risposta ancora non è stata data.

La dottrina si è divisa in due schieramenti di fronte a questa domanda: da una parte le "dottrine giustificazionistiche", dall'altra le "dottrine abolizionistiche".

Secondo le prime tutto ciò che deriva dalla commissione di un reato sarebbe sorretto da ragioni e scopi irrinunciabili; l'altra visione, al contrario, non troverebbe alcun tipo di giustificazione alle conseguenze del diritto penale. Per coloro che sostengono quest'ultimo pensiero il sistema penale in sé risulterebbe illegittimo in quanto moralmente non ammettono alcuno scopo che giustifichi le afflizioni arrecate, reputando anzi vantaggiosa la sostituzione della sanzione punitiva con strumenti di controllo informali a base sociale. Siamo di fronte a una dottrina fortemente radicale che non giustifica le pene nè le proibizioni e i giudizi penali2.

Un parere meno estremista, se pur sempre abolizionistico, è quello di Gramsci, che nei Quaderni progetta la creazione di uno stato etico che tenda a porre fine alle divisioni interne e a dare vita ad un organismo sociale unitario tecnico-morale, attribuendo al diritto un carattere educativo, creativo e formativo.

2 Una posizione così estrema è stata espressa dall'anarchico Max Stirner

il quale concepì la trasgressione e la ribellione come libere ed

autentiche manifestazioni in quanto non è giusto prevenire, giudicare e punire l'egoismo a-morale dell'io.

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La dottrine giustificazioniste si dividono tra quelle retributivistiche che concepiscono la pena come vero e proprio castigo, dunque il corrispettivo di una riparazione al reato commesso, e quelle utilitaristiche che giustificano la pena come mezzo preventivo. Indipendentemente dalla correttezza o meno di questi due schieramenti, il punto è che nessuno dei due fornisce una risposta alla domanda iniziale, anzi danno vita a diverse teorie nel corso del tempo.

1.2 Le teorie della pena.

L'interrogativo della funzione della pena è destinato a protrarsi molto a lungo nel percorso storico e temporale del sistema penalistico. D'altronde ci sono anni di studi e teorie dietro una corretta visione della funzionalità insita nella punizione inflitta a colui che ha sbagliato. Lasciando da parte le teorie forse di più lunga tradizione, ma che a oggi non trovano felice riscontro - in particolare le teorie della emenda e della espiazione3, risalenti ai giuristi romani che proiettavano la pena verso la redenzione morale e la purificazione del reo - sono tre le concezioni che, negli anni, hanno dato una diversa impronta al diritto penale in genere: la teoria della retribuzione (c.d. assoluta), la teoria della prevenzione generale (o della intimidazione) e la teoria della prevenzione speciale.

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L’idea della pena retributiva attribuisce il fondamento del punire in un’esigenza di giustizia ‘assoluta’: cioè sciolta da scopi ulteriori. Tale teoria ha trovato la sua formulazione più decisa nel pensiero penalistico Kantiano; secondo Kant, infatti, “la legge penale è un imperativo categorico e guai a colui che si insinua nelle spire tortuose dell'eudemonismo per scoprirvi qualche vantaggio4”.

La giustificazione di tale pensiero risiede nella coscienza umana e non in una qualsiasi utilità sociale esterna: sostenendo l'essenza unicamente retributiva della pena si appoggia l’assunto per il quale al bene segue il bene e al comportamento antisociale la reazione sociale negativa. L’uomo è responsabile delle sue azioni e da esse deve derivare una conseguenza, che sia per il bene o per il male. La pena, dunque, si applica come conseguenza del reato commesso e viene posta in essere per il soddisfacimento di esigenze astratte di una giustizia intesa in senso puramente vendicativo che trascende completamente da quelle che possono essere le prospettive di vita del reo. Soltanto la pena retributiva, fondata su una pura idea di giustizia fine a se stessa, rispetterebbe la dignità dell’uomo, considerato come soggetto morale capace di scelte libere e responsabili.

Nella dottrina penalistica italiana dei primi decenni della Repubblica, l’idea retributiva è stata sostenuta con particolare impegno da

4 E.KANT, La metafisica dei costumi, trad. it. Di G.VIDARI, Laterza,

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Giuseppe Bettiol: la pena “trae la sua forza etica e la sua giustificazione dal fatto di essere espressione di quella esigenza naturale viva nel cuore di ogni uomo e operante in tutti i settori della vita morale, per la quale al bene deve seguire bene e a male deve seguire male5”.

Le caratteristiche di tale teoria si riassumono nella: personalità della pena, in quanto il corrispettivo del male inflitto sarà applicato al suo autore; proporzionalità della pena, in quanto il male subito è il corrispettivo di quello inflitto; determinatezza della pena, in quanto essendo proporzionale a un determinato male, sarà a sua volta determinata; inderogabilità della pena, nel senso che deve essere sempre scontata dal reo.

Il passaggio di pensiero successivo approda alla teoria della prevenzione generale, in cui si assiste a una graduale presa di coscienza, per cui il crimine è espressione di un male non solo del singolo ma, in termini più generali, della società tutta. Si faceva spazio, per tanto, il bisogno di distogliere non più solo il singolo, ma tutti i consociati dal compiere attività criminose. La minaccia legale di pena diventa una tecnica finalizzata di prevenzione di fatti e comportamenti indesiderati, ritenuti dannosi o pericolosi per interessi dei singoli o della società, e per ciò da vietare. Fra i primi ad

5 G. BETTIOL, Diritto penale, 12a ed., Padova, 1986, pp. 782, 800

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occuparsi di individuare tale fondamento "utilitaristico" ed in particolare "intimidatorio" della pena, sono senz’altro da annoverare J. Bentham, L. Feuerbach e, per l’Italia, G. D. Romagnosi. Per il filosofo illuminista tedesco occorre che il cittadino sia difeso dal potere statuale, di conseguenza devono essere forniti precisi limiti alla potestà pubblica e chiarita la sottoposizione del sovrano ai limiti della legge.

Anche in Italia fece presa questa teoria con il grande penalista Francesco Carrara, per il quale il fine primario della pena stava nel ristabilimento dell’ordine esterno della società, il principio fondamentale della punizione risiedeva nella necessità di difendere i diritti dell’uomo, e alla giustizia spettava la sorveglianza del limite del suo esercizio. Scriveva in merito che “Il concetto di riparazione, col quale esprimiamo il male della pena, ha implicite in sé le tre risultanti di correzione del colpevole, incoraggiamento dei buoni, ammonizione dei male inclinati6”.

Quindi è chiaro che nell'ottica relativista i consociati, nonché possibili delinquenti, dovrebbero avere un tale timore da essere inibiti dal perseguire azioni criminose.7 Rispetto alla precedente teoria si abbandona il concetto di pena come semplice inflizione del 6 CARRARA, Programma del corso di diritto criminale, Bologna, 1993,

parr. 615, 611, 619

7 K.GROLMAN, Grundsatre der Criminalrechtswissenschaft, I

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male, a favore di un senso di generalprevenzione in rapporto funzionale con la coazione psicologica.

Il terzo passaggio teorico sulla funzione della pena si basa sulla prevenzione speciale, affermatasi solo nel novecento con la Scuola Positiva; muove da un piano opposto rispetto alla precedente corrente di pensiero: si guarda all’atteggiarsi del singolo, e non della società, nei confronti della minaccia della pena. Teoricamente e praticamente, questa teoria costituisce una netta rottura con le altre concezioni, in quanto, viene attuato il principio di proporzionalità, adeguando la pena alla personalità dell'autore attraverso un complesso di misure terapeutiche e rieducativo-risocializzatrici volte ad impedire che il singolo cada o ricada nel reato. Con questa visione si demolisce sia il principio di determinatezza, perché non si può sapere a priori quando la risocializzazione del reo sarà avvenuta, sia quello di inderogabilità, considerando pertanto la pena suscettibile di modificazioni quantitative e qualitative nell’arco della sua espiazione.

Per rendere possibile tutto ciò si deve partir dal presupposto di un naturale diritto di difesa spettante ad ogni essere umano contro gli attentati alla libertà che derivano da azioni criminose.

La componente rieducativa viene introdotta da Karl Krause che paragona il delinquente a “un minore, un incapace8”, cioè una

8 K.C.F KRAUSE, Abriss des systems der philosophie des recht order des

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persona non in grado di esprimere correttamente la propria personalità, verso la quale deve essere esperita un opera di emenda che solleciti la volontà, indirizzandola verso la conformità di esigenze etico-giuridiche.

In definitiva, il carattere della "processualità" della pena, la quale viene considerata come il punto di partenza di un più generale trattamento di risocializzazione del condannato, si sostituisce a quello assoluto della pena in funzione retributiva o general-preventiva.

1.3 Il pensiero in Italia: i passi dell'Assemblea Costituente.

Nel panorama italiano la problematica della funzionalità della pena ruota intorno al dettato dell'art. 27 comma 3 della Costituzione, che recita così: “le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”.

Le pronunce costituzionali in merito all'interpretazione di tale enunciato si sono spese più volte, ma i dubbi e le opinioni divergenti sono iniziate molto prima della formula definitiva dell'articolo, durante i lavori preparatori dell'Assemblea Costituente. Il clima in cui si svolsero i lavori fu caratterizzato dalla presenza di istanze politiche diverse e spesso contrastanti. Si avvertiva il bisogno di avere una partecipazione di scuole di pensiero eterogenee per

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accertarsi che la Carta Costituzionale non rappresentasse la vittoria di una frangia politica sull’altra, risultando base indiscussa di principi condivisi e potendo così raggiungere esiti imparziali.

L'art. 27 fu oggetto di dispute teorico-filosofiche, condotte dalle due scuole di pensiero prevalenti: Scuola Classica e Scuola Positiva, ognuna offriva la propria versione che si rifletteva nella preoccupazione dei Costituenti che un'esplicita presa di posizione sullo scopo della pena avrebbe potuto, alla fine, tradursi nel riconoscimento del primato di una delle due scuole tradizionalmente in conflitto.

La Scuola Classica, il cui maggiore rappresentante fu Francesco Carrara, teorizzava di un diritto penale giusto ed esente da arbitri, nel quale il reato veniva considerato come “ente giuridico” e cioè un’azione umana che scaturisce dalla libera volontà di un soggetto moralmente responsabile e pienamente imputabile, capace di autodeterminarsi. Secondo il principale rappresentante di questa scuola lo scopo della pena non può essere la retribuzione morale, in quanto la realizzazione della giustizia assoluta deve essere lasciata “nelle mani di Dio”; bensì, il fine primario della pena consiste nel ristabilimento dell’ordine esterno nella società turbata dal delitto9. Dunque la sanzione penale deve intendersi come corrispettivo del

9 CARRARA, Programma del corso di diritto criminale. Parte generale,

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male commesso (piena concezione del carattere etico- retributivo). D'altro canto la Scuola Positiva riteneva che la pena dovesse favorire la rieducazione o la risocializzazione del reo, proponendosi di distogliere gli inclini a delinquere dal commettere azioni criminose. Iniziatore e principale portavoce fu il medico Cesare Lombroso che, tramite la sua opera L'uomo delinquente, spostò l’accento dallo studio del reato allo studio del reo.

La concezione del delinquente, dato il ruolo decisivo dei fattori fisici e biologici nelle cause del comportamento criminale, non era distante da quella dell’ammalato, del primitivo o del pazzo10. Ne consegue che, riguardo la concezione del reato, l’uomo delinquente non sarebbe libero di scegliere tra il bene e il male, la sua inclinazione a commettere azioni che danneggiano la collettività lo rende un soggetto socialmente pericoloso; per tale ragione questa inclinazione al delitto va fronteggiata con strumenti o rimedi atti a neutralizzare la pericolosità soggettiva del delinquente ed a proteggere la società. Si giunge quindi al caposaldo del positivismo che si esprime nel concetto di “responsabilità sociale”, il quale diede come diretta conseguenza la teorizzazione di una “scienza criminale” concepita come mezzo preventivo di difesa sociale o misure di sicurezza. L'intreccio delle due Scuole si snoda per tutta la durata dei lavori di

10 G. FIANDACA – E. MUSCO, Diritto Penale, Parte generale, 4a ed., Zanichelli, Bologna, 2006

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stesura del 27 comma 3.

La formulazione iniziale ad opera dei relatori della prima sottocommissione dell’assemblea costituente, gli onorevoli Lelio Basso e Giorgio La Pira, recitava: “Le sanzioni penali devono tendere alla rieducazione del reo. La pena di morte non è ammessa se non nei codici penali militari di guerra. Non possono istituirsi pene crudeli né irrogarsi sanzioni collettive11”.

Al dibattito parteciparono numerosi personaggi illustri come Bettiol, Moro, Badini, Confalonieri, tutti orientati ad ottenere un riferimento al fine rieducativo della pena più neutro rispetto alla proposta della Commissione. Durante le sedute in Assemblea Costituente furono numerose le proposte di emendamento. L’onorevole Aldo Moro concordò con quanto espresso in merito dagli onorevoli Basso e La Pira, non discostandosi molto dalla loro formulazione: “Non possono istituirsi pene crudeli e le sanzioni penali devono tendere alla rieducazione del condannato”.

Gli Onorevoli Terracini e Nobile, da una parte, sostenevano che la questione dello scopo della pena, pur riguardando il codice, doveva essere risolta espressamente anche nella carta statutaria proponendo di formulare il terzo comma del 27 in questo modo: “le pene e la esecuzione non possono essere lesive della dignità umana. Esse

11 E. FASSONE, “La pena detentiva in Italia dall’800 alla riforma

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devono avere come fine precipuo la rieducazione del condannato allo scopo di farne un elemento utile alla società. Le pene restrittive della libertà personale non potranno superare la durata di 15 anni12”.

D'altro canto, l'Onorevole Leone, dopo aver insistito sulla mancata presa di posizione da parte della Commissione sul problema della rieducazione, presentò con l'Onorevole Bettiol la proposta di sostituire il terzo comma col seguente: le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità o che ostacolino il processo di rieducazione morale del condannato13. Leone qualificava la funzione rieducativa come "fine collaterale dell'esecuzione penale"; l'Onorevole Tupini, invece, non era d'accordo nel condividere le preoccupazioni inerenti alla scuola da seguire che si erano manifestate nel corso della discussione, ma il suo disappunto non trovò ascolto e si approdò a quello che è l'attuale testo costituzionale del 27 comma 3.

1.4 La visione americana: gli studi di Martinson.

Passato qualche anno dopo l'approvazione in Italia dell'articolo 27 della Costituzione in Italia, in America un sociologo, diventato 12 Camera dei deputati,Costituzione della Repubblica nei lavori

preparatori dell'Assemblea Costituente, VI, pag. 181

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successivamente noto per il suo pensiero disfattista e negativo in merito alla funzione rieducativa, si dedicava alla redazione del più importante fra i suoi studi.

"Non e' forse vero che un istituto di pena che porta avanti un programma di riabilitazione -uno di quelli che prepara i detenuti per la vita al di fuori, tramite istruzione e corsi di formazione professionale- produrrà più individui apprezzabili, rispetto a volere una prigione che semplicemente lascia i suoi detenuti a marcire?"14. Questa domanda e' una delle tante che Robert Martinson si poneva nel suo articolo -What works?- della rivista liberale "The public Interest" nel 1974. Martinson si era occupato, in quello che lui stesso definisce "the travail of a study"15 ,di analizzare "centinaia di studi su centinaia di migliaia di individui", in merito, ai programmi riabilitativi. Gli anni cinquanta/sessanta sono periodi buii per le carceri americane: scioperi e rivolte sono sempre più frequenti e "l'eloquente pubblico"16 non ha perso tempo per rivolgere un "attacco sporadico di attenzione" alle condizioni delle carceri, la natura del crimine e le funzioni della pena. Le parole esatte dell'autore -attacco sporadico di attenzione- la dicono lunga su quale fosse il suo pensiero in merito alle modalità in cui si affrontavano 14 What works? Question and answer about prison reform, dal par.

Education and vocational training, pag.25

15 “i travagli di uno studio”cit. Robert Martinson, What works? Pag.23

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queste tematiche: dalle sue parole trapela rassegnazione e pessimismo; il che, senza dubbio, non può essere motivo di biasimo, visto che si parla di una piaga sociale senza tempo, già constatata da tanti.

È il caso di citare lo sceriffo di Bedfort John Howard17 che, avendo provato sulla propria pelle l'esperienza del carcere, in seguito alla cattura da parte dei corsari francesi, mentre si recava in Portogallo nel 1756, iniziò una campagna di protesta contro le sevizie di cui erano oggetto in Francia i prigionieri inglesi. In realtà, le sue indagini sulle condizioni delle carceri continuarono sia sul territorio inglese che in tutta Europa. Nelle prigioni egli trovava soltanto disordine, la mescolanza tra i detenuti, pessime condizioni d'igiene e di vitto. Nel 1777 pubblicò il suo famoso libro “Lo stato delle prigioni” per testimoniare lo sdegno di quanto accadeva e destare l'attenzione dell'opinione pubblica mondiale.

Questa parentesi documenta come quello delle condizioni delle carceri fosse un problema molto antico, nato probabilmente con l'istituto stesso.

Ma torniamo nel continente americano, dove anche gli studi di Martinson non hanno prodotto risultati troppo soddisfacenti. L'analisi di Martinson inizia nel 1966. In quell'anno il Governatore dello Stato di New York istituì una Commissione Speciale sui criminali per

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risolvere la situazione gravosa delle carceri e attuare una riforma. Martinson ed altri furono assunti per rimediare al difetto ricorrente in materia di programmi riabilitativi, e cioè l'incapacità di ritrarre una conoscenza empirica sistematica circa il successo o il fallimento incontrato nell'applicazione di diversi trattamenti in diversi contesti istituzionali e non. Dunque il compito di questa nuova commissione era proprio lo svolgimento di un'accurata indagine su cosa si conoscesse in materia di riabilitazione.

"Lo studio" -spiega Martinson- "e' stato abbastanza semplice [...]. In primo luogo abbiamo intrapreso una ricerca di sei mesi della letteratura per eventuali rapporti utilizzabili, pubblicati in lingua inglese, sui tentativi di riabilitazione che sono stati fatti nei nostri sistemi di correzione e in quelli di altri paesi dal 1945 al 1967. Abbiamo poi selezionato da quella letteratura tutti quegli studi che sono risultati interpretabili -vale a dire la cui progettazione e realizzazione ha incontrato gli standard convenzionali di ricerca delle scienze sociali [...]. Sono stati esclusi studi solo per ragioni metodologiche, cioè se: riportavano dati insufficienti, erano solo preliminari, presentavano soltanto una sintesi dei risultati, non consentendone al lettore la valutazione, i risultati derivanti erano confusi da fattori estranei, erano state usate misure inaffidabili, non si capiva la descrizione del trattamento in questione, traevano conclusioni spurie dai loro dati, i loro campioni erano indescrivibili

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o troppo piccoli o supportati da falsa comparabilità tra gruppi trattati e non trattati o usavano test statistici inappropriati e non fornendo informazioni sufficienti al lettore per ricalcolare i dati. Utilizzando questi criteri, dal numero totale degli studi, ne abbiamo raccolti 231 accettabili, che non solo noi stessi abbiamo analizzato, ma anche riassunto in dettaglio, cosicché il lettore della nostra analisi possa confrontarlo con le proprie autonome conclusioni." 18 Ad ogni modo, secondo Martinson, i risultati di questi studi si esplicheranno in un sintesi piuttosto desolata: ad eccezione di alcuni casi isolati, gli sforzi della riabilitazione non hanno comportato alcun effetto apprezzabile sulla recidiva; tuttavia si analizzeranno di seguito quella parte di studi effettuata sui più giovani, dove sembrano riscontrarsi alcuni risultati positivi.

1.4.1 Educazione e formazione professionale

Molti sono i programmi di sviluppo delle competenze e dell'istruzione attivati nelle strutture di correzione; secondo uno studio fatto dallo stato di New York i giovani maschi sottoposti a un programma educativo non hanno ottenuto miglioramenti degni di nota rispetto a quelli frequentanti i normali programmi.

Un altro studio passato in rassegna è quello del sociologo Daniel Glaser; egli aveva piazzato alcuni suoi assistenti ricercatori, per un

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anno, in cinque diverse prigioni federali del Midwest, focalizzando le sue ricerche in particolare sull'effetto che avevano le diverse durate nella struttura carceraria sui detenuti. Aveva osservato, infatti, come coloro che restavano più a lungo in condizione detentiva fossero maggiormente propensi alla recidiva a seguito del rilascio.

I suoi studi avevano dato vita alla sua opera del 1964 “L'efficacia della prigione e il sistema di libertà vigilata”, che permise a Glaser di aggiudicarsi il John Howard Association's Annual Award.19

Lo psicologo Edith Jacobson aveva studiato un programma di "abilità rieducativa" per i giovani di sesso maschile, consistente in dieci settimane di discussioni giornaliere volte a sviluppare la capacità di risolvere i problemi. A capo di queste discussioni c'era un adulto che doveva impersonificare l'esempio corretto da seguire.

Purtroppo, però, Jacobson non aveva riscontrato miglioramenti nei tassi di recidiva, ad eccezione di un piccolo gruppo di ragazzi facenti parte del programma, i quali avevano deciso di andare avanti a seguire regolarmente tre o più corsi in carcere: costoro hanno riportato risultati positivi al momento del rilascio.

Un altro programma, ancora più ambizioso, era quello dello psicologo Morton Zivan del 1966 , applicato nel Villaggio dei Bambini di Dobbs Ferry.

19 Premio riconosciuto dalla John Howard Association che lavora per

realizzare un sistema di giustizia penale umana ed economica equa promuovendo la riforma carceraria minorile.

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Il problema studiato da Zivan si proponeva di preparare i ragazzi presenti in questa struttura al ritorno in comunità.

I modi utilizzati erano molteplici: dalla consulenza agli orientamenti occupazionali basati su vere e proprie esperienze sul campo e aiuto nel collocamento al momento del rilascio. Nonostante tutto, l'autore del programma non riscontrava alcuna differenza nei tassi di recidiva. Ma ancora una volta, analizzando questo studio, Martinson precisa che non e' possibile affermare se la causa del fallimento stia nel programma stesso o nelle condizioni in cui e' stato somministrato.

1.4.2 Problematiche dell'ambiente istituzionale

L'analisi degli studi sulla riabilitazione prosegue con questo interrogativo:

"Ma ,forse, la ragione per cui questi programmi di consulenza non sembrano funzionare, non e' che sono inefficaci di per se', bensì che l'ambiente istituzionale al di fuori del programma e' malsano a tal punto da cancellare qualsiasi buon lavoro fatto dalla consulenza. Non e' ,veramente, un'istituzione riabilitativa di successo quella in cui tutto l'ambiente del detenuto e' diretta verso la correzione, piuttosto che attraverso la custodia o la punizione?"20

Il pensiero che ogni elemento presente nell'ambiente del detenuto

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faccia parte del suo stesso trattamento è l'idea che innerva i seguenti studi presi in considerazione.

Ad esempio quello di Jesness, che aveva riportato conseguenze positive in merito alla minore gravità del nuovo reato commesso in recidiva da coloro cui era stato applicato il programma , rispetto ai giovani non sottoposti al programma.

Ma i rapporti più significativi vengono fuori dal programma Highfields che, non a caso, è diventato l'esempio di successo più citato; è lo studio riportato da Freeman: si scopriva che un gruppo di ragazzi trattenuti per un tempo relativamente breve in un ambiente favorevole del riformatorio, per i sei mesi successivi al rilascio risultavano meno inclini alla recidiva, rispetto ai ragazzi frequentanti i normali ambienti di Highfields. Risultati confermati anche dallo studio del Dr. Lloyd W. McCorkle, professore John Jay College of Criminal Justice,sempre sui ragazzi diHighfields;

Per rispondere alla domanda precedentemente posta da Martnson, si può dire che i ragazzi sottoposti a programmi speciali non hanno fatto peggio di quelli sottoposti alle normali istituzioni.

1.4.3 Conclusioni non troppo positive

Insomma, arrivando alle conclusioni del suo articolo, la situazione che ha di fronte Martinson e' tutt'altro che florida: i risultati positivi

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sono pochissimi e, comunque, troppo poco rilevanti; il tutto lo porta a chiedersi se: "forse tutti questi studi ci portano alla irrevocabile conclusione che non funziona niente e che non abbiamo la più pallida idea su come riabilitare i criminali e ridurre la recidiva?"21. Senz'altro la mancanza di un significativo risultato positivo potrebbe portare ad una risposta affermativa, ma il sociologo statunitense si rifugia nel “beneficio del dubbio”: i programmi potrebbero non essere ancora sufficientemente buoni, a causa di una scarsa istruzione, mancanza di attenzione nella somministrazione delle indicazioni, insufficiente supporto ai detenuti.

Non da ultimo potrebbe esserci, invece, un difetto alla base dei programmi: si tratta di programmi basati sulla concezione che vede il crimine come una “malattia”, qualcosa di anormale che può essere curato, ma se così non fosse, se il crimine fosse un fenomeno sociale, bisognerebbe distogliere l'attenzione dai programmi riabilitativi. La seconda ipotesi, accompagnata da un sentimento disfattista nei confronti della riabilitazione, è quella che avrà -purtroppo- successo negli anni successivi, e verrà collegata direttamente al pensiero di Martinson. Egli, in realtà, aveva concluso il suo articolo affermando che “come cominceremo a conoscere i fatti, saremo in una posizione migliore rispetto ad ora per giudicare fino a che punto la prigione è diventata anacronistica e può essere rimpiazzata da qualcosa di più

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efficace per il controllo sociale”, dunque lasciando aperto uno spiraglio di speranza che le cose possano migliorare, che davvero si possa intraprendere la logica riabilitativa come linea guida del sistema carcerario. Ciò significherebbe non dover seguire la teoria retribuzionista della pena: quella concezione per cui il fondamento della punizione sta nella realizzazione dell'idea di giustizia e non nel risultato che tramite questa si può raggiungere.

Nonostante tutto, la corrente di pensiero conseguente a questi studi, si traduce proprio in interventi normativi ispirati a una logica definita neo-retribuzionista, che ritorna all'idea della tariffa, dove il giudice commisura in maniera asettica la durata della pena proporzionalmente alla gravità del reato: è quasi un operazione matematica. Ci si allontana dalla logica di risocializzazione e recupero del reo, la pena non assolve più una funzione di rieducazione. Pensiero, questo, che è andato avanti, galoppando indisturbato, fino ai giorni nostri.

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CAPITOLO 2

I MINORI E LA CORTE SUPREMA DEGLI

STATI UNITI

SOMMARIO: 2.1Roper v. Simmons: il primo passo verso un

traguardo più umano? - 2.1.1Il parere della maggioranza – 2.1.2Le opinioni contrarie - 2.2Graham v. Florida: avanti verso libertà condizionale - 2.2.1Maggioranza a sostegno della proporzionalità 2.2.2La minoranza e il valore letterario -2.3Miller v. Alabama: la chiusura del cerchio?- 2.3.1La maggioranza contro gli automatismi legislativi - 2.3.2 Una minoranza “miope”

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PREMESSA

Analizzando il pensiero di Martinson, nel precedente capitolo, si è concluso affermando che la visione negativa della difficoltà (se non addirittura impossibilità) di rieducare sia giunta indisturbata fino a oggi, permeando l'impostazione di alcuni sistemi penali.

Tuttavia non si tratta di un discorso globale e generale, ma senza dubbi, prendendo in considerazione il paese d'origine di Martinson, si deve prendere atto che il concetto di rieducazione non risulta protagonista dell'apparato penitenziario e penale.

Lo si può dimostrare attraverso l'analisi di tre sentenze della Corte Suprema Americana.

Tutte e tre vedono coinvolti dei minori e, nell'arco temporale che va dal 2005 al 2012, testimoniano il susseguirsi di passi avanti verso una interpretazione sempre più liberale dell'VIII emendamento.

2.1 Roper v. Simmons: il primo passo verso un traguardo piu' umano?

La vicenda che coinvolge il diciassettenne Simmons lo vede colpevole di omicidio.

La vittima e' una donna, Shirley Croock, coinvolta precedentemente in un incidente stradale con il suo carnefice.

Simmons aveva reso complici due compagni: Charles Benjiamin -15 anni- e John Tessmer -16 anni- ; quest'ultimo, giunti sul punto di

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ritrovo alle due di notte, si tiro' indietro, evitando successivamente l'accusa di associazione a delinquere anche grazie alla collaborazione e alla testimonianza contro Simmons. Costui, insieme a Benjiamin, entrato in casa della Croock, la porto' di forza sul ponte di una ferrovia e, legatole mani e piedi con il filo elettrico, la getto nel fiume Meramec. Il pomeriggio del giorno seguente il Signor Croock, rientrato da un pernottamento, denuncio' la scomparsa della moglie, il cui corpo fu trovato lo stesso pomeriggio da un pescatore.

Simmons fu quasi subito indicato come colpevole: delle telecamere notturne lo coglievano sul fatto e la sua confessione fu pressoché immediata. Non appena compiuti i diciotto anni, la Corte Suprema del Missouri lo condannava a morte.

Simmons immediatamente dopo la condanna presento' una mozione davanti alla Corte Supema per l'inefficace assistenza del legale; sosteneva, infatti, che il suo difensore non avesse tenuto in considerazione la sua età, l'impulsività che ne deriva e la mancanza di precedenti condanne.

La Corte del Missouri rigetto' la mozione e lo condannò alla pena capitale; contro tale decisione Simmons ricorse in appello.

Uno spiraglio di speranza giunse per lui, nel frattempo, con quanto deciso nella sentenza del 2002 Atkins v. Virginia, sempre dalla Corte Suprema. La decisione stabiliva che l'VIII emendamento della Costituzione Statunitense vieta l'esecuzione di persone mentalmente

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ritardate22.

Doryl Atkins, quando uccise la sua vittima, aveva esattamente diciotto anni. Questa sentenza portò la Corte d'appello a concludere, in risposta a Simmons, che "un consenso nazionale si era sviluppato contro l'esecuzione di giovani criminali"23 e stabili' che la pena capitale, in questo caso, data l'età del condannato all'epoca dell'accaduto, avrebbe violato il divieto dell'VIII emendamento di pene crudeli e inusuali. Il risultato fu la conversione della pena di morte a ergastolo senza possibilità di liberazione condizionale. Donald P. Roper, sovrintendente dell'istituto di pena dove era detenuto Simmons, si oppose a questa decisione, riaprendo ancora la questione. La decisione definitiva della Corte Suprema nel 2005 salva la vita di Simmons. La Corte presieduta dal giudice William Rehnquist è, però, divisa tra cinque opinioni favorevoli e tre contrarie.

Vediamo nel dettaglio come il parere dei giudici abbia influito in questo primo passo verso una nuova umanità che, forse, il sistema americano sta seriamente prendendo in considerazione.

22 Atkins v. Virginia, 536 U. S. 304 (2002).

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2.1.1 Il parere della maggioranza

Il giudice Kennedy ha predisposto il parere in rappresentanza dell'opinione maggioritaria composta da Brayer, Ginsbur, Soutern e Stevens.

Simmons certamente “non era provvisto di aureola e tunica”, ma “ci si può per questo arrogare il diritto di privarlo della propria vita, impedendogli, così di giungere ad una matura comprensione della propria umanità?”24

Questa volta, la Corte non è d'accordo a condannare a pena perpetua un minore. Nel caso del 1989 Standford v. Kentuky si sosteneva fermamente che infliggere la pena capitale a criminali di sedici e diciassette anni non fosse affatto vietato. Eppure, proprio l'anno prima, in Thompson v. Oklahoma la Corte aveva vietato l'esecuzione di qualsiasi individuo al di sotto dei sedici anni.

Dunque, logicamente, ci si aspetterebbe un passo avanti col passare del tempo; invece le opinioni contraddittorie dei giudici Supremi intorno all'interpretazione dell'VIII emendamento, sono destinate ad andare avanti negli anni. Ad esempio, sempre nel 1989, in Penry v. Lynaugh si afferma che condannare le persone mentalmente ritardate non e' vietato dall'VIII emendamento. Per raggiungere questa conclusione, sottolineò che soltanto due Stati vietavano l'imposizione della pena di morte su un individuo mentalmente ritardato

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condannato per un reato capitale.25 Recitava così il verdetto della giuria: “i due Stati che vietano l'esecuzione di individui mentalmente ritardati, anche se aggiunti ai quattordici Stati che hanno rifiutato del tutto la pena capitale, non forniscono sufficienti prove al momento di un consenso nazionale ".26

Consenso nazionale che, invece, supporta nel 2002 la decisione di Atkins v. Virginia, che andrà ad annullare la sentenza di Penry v. Lynaugh, sostenendo l'impossibilita' di infliggere la pena capitale a individui affetti da ritardi mentali. Questo alternarsi di sorpassi tra le decisioni supreme, vede partecipe anche il caso di Simmons che va ad annullare quanto deciso in Standford v. Kentuky. L'opinione esposta dal giudice Kennedy e' pienamente convinta che il temperamento tipico adolescenziale abbia degli effetti ben precisi per cui sia impossibile porli sullo stesso piano di un adulto. Tre aspetti in particolare testimonierebbero questa differenza: in primis "la mancanza di maturità e del senso di responsabilità si trovano nei giovani più spesso che negli adulti: qualità che spesso sfociano in azioni impetuose e sconsiderate". 27

Secondariamente gli adolescenti sono più vulnerabili e suscettibili nei confronti di influenze negative. "La gioventù è molto più di un fatto cronologico. Si tratta di un tempo e una condizione di vita in 25 Penry v. Lynaugh, 492 U. S., at 334

26 Penry v. Lynaugh, 492 U. S., at 335

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cui una persona può essere più sensibile alle influenze e ai danni psicologici".28

Ciò si spiega ,in parte, con la circostanza prevalente che i giovani hanno meno controllo al di fuori del proprio ambiente abituale.

Tutto quanto, conduce al terzo punto, a chiusura del ragionamento, secondo cui la personalità e il carattere di un adolescente rispetto ad un adulto non risultano ancora stabili e ben formati. Quindi, la suscettibilità dei minori verso un comportamento immaturo e fuori controllo significa che, quando si verifica un comportamento irresponsabile non è moralmente riprovevole come quello di un adulto.29 La vulnerabilità degli adolescenti dovrebbe comportare una maggiore propensione alla comprensione e alla pretesa di essere perdonati per non essere sfuggiti alle influenze negative.

Occorre essere oculati nello stabilire quale sia un carattere irrimediabilmente depravato, a maggior ragione se si tratta di un minore. Da un punto di vista morale, sarebbe fuorviante mettere sullo stesso piano le carenze di un minore con quelli di un adulto, soprattutto per la più alta probabilità che i difetti caratteriali di un minore possano essere riformati. È sempre più forte la convinzione per cui, nella maggior parte degli adolescenti, i comportamenti impulsivi e antisociali cessino con la maturità; soltanto una piccola

28 Eddings v. Oklahoma, 455 U.S., at 115

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percentuale di adolescenti che sperimentano attività rischiose o illegali sviluppano modelli consolidati di comportamento problematici che possono persistere in età adulta. Quindi alla restante maggioranza è doveroso dare l'opportunità di redimersi con all'arrivo dell'età matura. La pena di morte, per tanto, non risulta giustificata in nessun modo nei confronti di un minore; nemmeno le due funzioni che questa stessa giuria riconosce alla pena capitale per gli adulti, sono valide per i minori: retribuzione e deterrenza. Per quanto riguarda la retribuzione, la colpevolezza dell'assassino adulto può bastare per giustificare la più estrema sanzione a disposizione dello Stato, la colpevolezza del reo minore, invece, sicuramente non merita quella forma di retribuzione. Qualora venga visto come tentativo di esprimere indignazione morale alla comunità o come un tentativo di raddrizzare la bilancia a seguito del male compiuto verso la vittima, il significato retributivo non è efficacie con un minore come con un adulto. La retribuzione non è più proporzionale se si applica la pena più severa prevista dallo Stato a chi gode di una colpevolezza ridotta grazie all'impulsività e alla giovinezza.

Come deterrente, nel caso di specie, è abbastanza evidente la mancanza di efficacia, in quanto le stesse caratteristiche che rendono i minori meno colpevoli rispetto agli adulti, suggeriscono anche che i minori saranno meno sensibili alla deterrenza. Non da ultimo, la punizione del carcere a vita senza possibilità di libertà condizionale

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è, di per sé, una sanzione decisamente grave, in particolare per un giovane. Quindi né la retribuzione né la deterrenza forniscono una giustificazione adeguata per imporre la pena di morte a minorenni autori di reati gravi. “D'altro canto è difficile anche per gli psicologi esperti distinguere tra il giovane autore del reato il cui crimine riflette immaturità transitoria, e quel raro autore di reato minorile il cui crimine riflette una corruzione irreparabile”.30

Certamente, però, si può affermare che quando un minorenne commette un crimine odioso, lo Stato può esigere la decadenza di alcune delle libertà più elementari, ma in assoluto non può spegnere la sua vita e il suo potenziale impedendo il raggiungimento di una matura comprensione della propria vita. I giudici del caso Roper sono stati determinati nel dire che la pena di morte è una punizione sproporzionata per i minori di diciotto anni e lo testimonia il fatto che gli Stati Uniti sono l'unico paese al mondo che continua a sanzionare i minori con questa pena. Tuttavia, almeno per questa volta, la giurisprudenza americana prenderà un altra strada, nella speranza che la futura meta porti a un'abolizione totale della pena capitale ai minori. La vita di Simmons è salva, tuttavia non in assenza di opinioni contrarie.

30 It is difficult even for expert psychologists to differentiate between the juvenile offender whose crime reflects unfortunate yet transient immaturity, and the rare juvenile offender whose crime reflects irreparable corruption. Steinberg & Scott 1014–1016

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2.1.2 Le opinioni contrarie

Che sia per ideologie conservatrici o differente opinione circa la logica della funzione punitiva, c'è chi sente il dovere di dire la sua. Due giudici, entrambi nominati da Regan, Sandra Day O'connor e Antonin Scalia, se pur con motivazioni divergenti, espongono il loro dissenso verso la decisione della Corte; la prima sostiene che la decisione presa, vietando l'esecuzione di qualsiasi trasgressore per qualsiasi reato commesso prima del suo diciottesimo compleanno, finisce per non tenere conto di quanto grave e sregolato sia il reato commesso. L'affermazione chiamata a supporto di quanto deciso, e cioè che la maggioranza degli Stati vieterebbe la pena capitale ai diciassettenni, secondo la O'connor, non risulta verificata da un vero e proprio consenso nazionale. In effetti, le prove disponibili non riescono a dimostrare definitivamente che tale consenso sia emerso ufficialmente. Nel suo dissenso verso l'opinione maggioritaria, è convinta che i giovani di diciassette anni siano sufficientemente maturi per meritare la pena di morte nei casi dovuti.

Il fatto che i giovani sono in genere meno colpevoli per la loro cattiva condotta rispetto agli adulti, non significa necessariamente che un assassino minorenne, non possa essere sufficientemente colpevole da meritare la pena di morte.

La depravazione presente in un diciassettenne, talvolta, può essere grave a tal punto da consentire un livellamento sullo stesso piano

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delle sorti di un delinquente adulto.

Dunque, seguendo colei che sostiene questo ragionamento, si arriva ad affermare che l'età presa in questione sia assolutamente troppo “borderline” per permettersi di graziare i delinquenti rientranti in questa fascia con un trattamento più favorevole. Di conseguenza un legislatore può ragionevolmente concludere che i diciassettenni possono agire con sufficiente colpevolezza morale e possono essere sufficientemente scoraggiati dalla minaccia di esecuzione, e quindi che la pena capitale sia giustificata nel un caso appropriato31.

Come il caso di Christopher Simmons, il cui omicidio era premeditato, quindi gli elementi di sufficiente maturità psicologica e depravazione sembrano presenti nell'autore nel grado necessario per meritare una sentenza di morte. L'argomentazione della “repubblicana” O'connor prosegue nel tentativo di smontare l'analisi della Corte inerente alle differenze tra adulti e minori, in quanto, seppur apprezzabili nella teoria, possono essere non riscontrabili nel caso concreto, qualora ci si imbatta in un diciassettenne dotato della maturità sufficiente per la condanna a pena capitale.

Tuttavia, sul finale del suo parere, possiamo ritrovare un piccolo intento positivo. Queste sono le sue parole esatte:“anch'io sarei propensa a sostenere la fissazione di un età minima di diciotto anni in questo contesto, ma un numero significativo di Stati membri, tra

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cui Missouri, hanno deciso di rendere la pena di morte potenzialmente disponibile per diciassettenni, assassini, come il convenuto. Senza una chiara dimostrazione che un vero e proprio consenso nazionale vieta l'esecuzione di tali reati, questa Corte non dovrebbe sostituire il proprio " giudizio inevitabilmente soggettivo" all'utilizzo dei dettati costituzionali per risolvere queste difficili questioni morali”.

Antonin Scalia apre il suo parere di dissenso riprendendo quanto già affermato dalla collega. Nello statuire che la pena capitale per i minori autori di omicidio è "crudele e inusuale" secondo l'VIII emendamento, la Corte avrebbe considerato l'esistenza di un consenso nazionale, per cui le leggi che consentono tali esecuzioni violano i nostri moderni "standard di decenza".32

Già in Stanford v. Kentucky, il giudice Scalia, facente parte della maggioranza, si era espresso sostenendo che un eventuale consenso nazionale debba essere basato su "indizi obiettivi che riflettono l'atteggiamento del pubblico nei confronti di una determinata sanzione" -cioè, "statuti passati per i rappresentanti eletti della società." 33

Prima ancora di soffermarsi sulla tematica del consenso nazionale, utilizzato come guida per pronunciarsi a favore di una determinata

32 Roper v. Simmons, 543 U.S. at 6

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posizione, Scalia attacca il modo in cui la Corte Suprema, con questa sentenza, interpreta l'VIII emendamento. La Corte ha pronunciato che quanto contenuto nel dettato costituzionale è una riflessione in continuo cambiamento sugli standard evolutivi di moralità della nostra società. Ma se così fosse, dice Scalia, “non avrebbe senso che i giudici dettassero tali standard, anzi che ricavarli dalle pratiche sociali e pertanto l'unica funzione della Corte si ridurrebbe a individuare un consenso morale del popolo americano.

Tutto questo risulta incomprensibile al giudice “conservatore” che si domanda di conseguenza: “con quale mandato concepibile possono nove giudici presumere di essere l'autorevole coscienza della nazione?”34

Ma le argomentazioni, a sfavore della decisione, di questo giudice proseguono, passando da un dissenso a livello formale-legislativo a uno più prettamente sostanziale, inerente alle caratteristiche degli autori minorenni di reati gravi.

Per contraddire le conclusioni della Corte si serve di quanto affermato dall'American Psychological Association (APA); la quale in questo caso aveva sostenuto l'incapacità da parte dei minori di assumersi la responsabilità morale delle proprie azioni.

Tuttavia, ciò che interessa al giudice Scalia, è quanto affermato dalla

34 Justice o’connor analizzando l'inesistenza del consenso nazionale,at 8–

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stessa associazione in precedenza, esattamente nel caso Hodgson v. Minnesota:“intorno alla metà dell'adolescenza (14-15anni), i giovani sviluppano abilità simili agli adulti a ragionare su dilemmi morali, comprendere le regole sociali e le leggi, e ragionare su relazioni e problemi interpersonali”.35

Già nel caso Stanford, convinto dell'uguaglianza di responsabilità tra adulti e minori, lo stesso Scalia aveva sostenuto che è "assurdo pensare che si debba essere abbastanza maturi per guidare con prudenza, bere in modo responsabile o votare in modo intelligente, ma non essere abbastanza maturi da capire che uccidere un altro essere umano è profondamente sbagliato, e concordare sulla condotta delle persone riguardo questo aspetto alla base degli standard civili”.36 In alcuni casi, appunto, è stata riconosciuta ai minori tutta la maturità necessaria a prendere decisioni che un qualsiasi adulto prenderebbe, ad esempio eliminando leggi sull'aborto che non permettevano ai minori, ritenuti sufficientemente maturi dal giudice, di bypassare il consenso dei genitori. Non si capacita, Scalia, di come questo contesto potrebbe essere diverso; è assolutamente determinato nell'esprimere la piena colpevolezza di Simmons, che avrebbe anche incoraggiato i suoi amici ad unirsi a lui, assicurando loro che potevano "farla franca" proprio perchè minorenni.

35 Hodgson v. Minnesota, 497 U. S. 417 (1990), at 19-20 36 Stanford v. Kentucky, 492 U. S., at 374

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Chiude il suo dissenso sottolineando nuovamente il valore del concetto di "legge" in un sistema basato su un testo costituzionale, che comporta di solito un significato fisso delle parole.

Legge significa tendenzialmente che particolari parole hanno un significato fisso. Per questa ragione l'VIII emendamento va interpretato per ciò che esprime, senza permettere alle corti inferiori di aggiornarlo così da distruggere la stabilità che rende la giurisprudenza una base affidabile per il nostro paese. Diversamente ragionando, il risultato sarebbe la fusione tra libero arbitrio e caos.37

2.2 Graham v. Florida: avanti verso liberta' condizionale.

Con il caso successivo si pone all'analisi, in questa sede, di quello che sembra essere un altro passo avanti della giurisprudenza americana verso una logica di salvaguardia dei minori.

Si tratta del caso di Terrance Jamar Graham; la questione che si

37 “Allowing lower courts to reinterpret the Eighth Amendment whenever

they decide enough time has passed for a new snapshot leaves this Court’s decisions without any force—especially since the “evolution” of our Eighth Amendment is no longer determined by objective criteria. To allow lower courts to behave as we do, “updating” the Eighth Amendment as needed, destroys stability and makes our case law an unreliable basis for the designing of laws by citizens and their

representatives, and for action by public officials. The result will be to crown arbitrariness with chaos.” Roper v. Simmons, 543 U.S.

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presenta alla Corte è se, sempre secondo l' VIII emendamento, un minorenne possa essere condannato all'ergastolo senza condizionale per un crimine diverso dall'omicidio.

Lo stato della Florida aveva condannato il soggetto senza alcuna esitazione; costui ricorre contro la decisione, ritenendola contraria alla Costituzione, dando vita al caso di seguito analizzato: Graham v Florida. È doveroso ripercorrere brevemente l'accaduto, prima di sottoporlo a una scrupolosa analisi. In proposito occorre far presente che Graham non è vissuto in una famiglia “felice”: i genitori erano dipendenti da cocaina, lui stesso, all'età di soli nove anni ha iniziato a bere alcool, e fumare marijuana all'età di tredici. A sedici anni, insieme a tre compagni di scuola, ha tentato di rapinare un ristorante a Jacksonville, introducendosi all'interno e sferrando dei colpi al direttore con una barra di metallo. Le sue urla, tuttavia, spaventarono i giovani rapinatori, che fuggirono a mani vuote. Graham venne arrestato per tentata rapina. La legislazione della Florida prevede che sia il procuratore a decidere se punire i minori di sedici e diciassette anni come adulti o come minori; il procuratore, nel caso di specie, aveva deciso di considerare Graham come un adulto. Le accuse a sui carico erano furto con scasso e aggressione. Nel 2003 fu dichiarato colpevole di entrambi. Subito dopo la condanna scrisse una lettera al giudice post-condanna che così recitava: “questa è la prima e l'ultima volta che mi metto nei guai, voglio dare una svolta alla mia

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vita”.38

La Corte lo condannò a tre anni di libertà vigilata, con l'obbligo di trascorrere i primi dodici mesi nel carcere della contea, che poi divennero sei per merito della collaborazione mentre attendeva la sentenza. Quasi sei mesi dopo, Graham fu nuovamente arrestato; questa volta aveva partecipato a due rapine nella stessa sera con due complici di vent'anni; la prima andò a buon fine per i tre delinquenti; durante la seconda, invece, uno dei due maggiorenni venne ferito, così che Graham, alla guida della macchina del padre, li lascio davanti all'ospedale e fuggì. Una breve fuga, arrestata immediatamente dalla polizia, che trovo le tre pistole all'interno dell'auto. Graham negava il coinvolgimento nelle rapine, tuttavia l'addetto alla sorveglianza informava il Giudice della violazione della libertà vigilata compiuta dal giovane tramite il possesso di armi da fuoco e l'associazione con persone coinvolte in attività criminali. Pochi mesi al diciottesimo compleanno, quando fu nuovamente processato. Secondo la legge della Florida il range della pena che avrebbe potuto ricevere oscillava tra un minimo di cinque anni di reclusione al massimo di reclusione a vita.

38 “this is my first and last time getting in trouble,” he continued “I’ve

decided to turnmy life around.” App. 379–380. Graham said “I made a promise to God and myself that if I get a second chance,I’m going to do whatever it takes to get to the [National Football League].” Graham v Florida 560 U.S., at 379-380

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Interessante citare le parole del giudice, dopo aver ascoltato la testimonianza dell'accusato: “Sig. Graham, se guardo indietro al suo caso, la situazione è senza dubbio triste.

Molte persone hanno voluto provare ad aiutarla a dare una svolta alla sua vita, incluso il sistema della Corte, e si è imbattuto in un Giudice che ha fatto un passo per cercare di indirizzarla tramite la libertà vigilata, così da darle una chance per rimettersi in carreggiata. Nel momento in cui scrisse quella lettera, sembrava fosse esattamente quello che voleva fare.

Io non so perché ha deciso di buttare via la sua vita adesso, non lo so. Ma lo ha fatto[…] e non c'è nulla che possiamo fare e se non posso fare nulla per ricondurla sulla strada giusta, quindi devo iniziare a focalizzarmi sulla comunità e cercare di proteggerla dalle sue azioni. Ho rivisto lo statuto. Non vedo dove ulteriori sanzioni riservate ai minorenni sarebbero opportune.

Dato il suo modello crescente di condotta criminale, è evidente alla Corte che: lei ha deciso che questo sia il modo in cui ha intenzione di vivere la sua vita, e che l'unica cosa che posso fare adesso è cercare di proteggere la comunità dalle sue azioni.” 39

39 “Mr. Graham, as I look back on your case, yours isreally candidly a

sad situation. You had, as far as I can tell, you have quite a family structure. You had a lot of people who wanted to try and help you get your life turned around including the court system, and you had a judge who took the step to try and give youdirection through his probation order to give you achance to get back onto track. And at the time

(51)

Data l'abolizione in Florida del sistema di libertà condizionale, quella di Graham si risolse in una condanna all'ergastolo “nudo e crudo”. E si arriva quindi al punto in cui il condannato presenta una mozione alla Corte Suprema per l'incostituzionalità della decisione in base all'VIII emendamento.

youseemed through your letters that that is exactly what you wanted to do. And I don’t know why it is that youthrew your life away. I don’t know why.

But you did, and that is what is so sad about thistoday is that you have actually been given a chance to get through this, the original charge, which were veryserious charges to begin with. . . . The attempted rob-bery with a weapon was a very serious charge.“[I]n a very short period of time you were back be-fore the Court on a violation of this probation, andthen here you are two years later standing before me,literally the—facing a life sentence as to—up to life asto count 1 and up to 15 years as to count 2.

And I don’t understand why you would be givensuch a great

opportunity to do something with yourlife and why you would throw it away. The only thingthat I can rationalize is that you decided that this is how you were going to lead your life and that there is nothing that we can do for you. And as the state pointed out, that this is an

escalating pattern of criminal conduct on your part and that we can’t help you any further. We can’t do anything to deter you.This is the way you are going to lead your life, and I don’t know why you are going to. You’ve made that decision. I have no idea. But, evidently, that is whatyou decided to do.

So then it becomes a focus, if I can’t do anything to help you, if I can’t do anything to get you back on theright path, then I have to start focusing on the com-munity and trying to protect the community from your actions. And, unfortunately, that is where we are to-day is I don’t see where I can do anything to help you any further. You’ve evidently

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