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L'esigenza richiamata dal sollevamento della questione è senza dubbi quella di attuare un sistema punitivo sempre più diversificato per il minore, sia sul piano processuale che sostanziale.

Il pensiero che negli Stati Uniti sta andando formandosi con una discreta lentezza e sul quale molti ancora nutrono perplessità, sembra al contrario aver già attecchito nel panorama legislativo italiano, salvo la mancanza di un punto fermo da parte della giurisprudenza che arriva solo con la 168 del 1994.

Il caso in questione vede coinvolto un minore accusato di omicidio volontario aggravato nei confronti di un ascendente.

La pena prevista era esattamente quella dell'ergastolo, tuttavia il tribunale per i minori delle Marche di Ancona, di fronte a tale punizione solleva una questione di legittimità costituzionale riguardante gli articoli 17 e 22 del codice penale nella parte in cui non escludono l'applicabilità della pena dell'ergastolo ai minori in riferimento a tre articoli della Costituzione.

Gli articoli citati sono 10 primo comma, 27 terzo comma e 31 secondo comma. La prima incostituzionalità sollevata è quella dell'articolo 10 comma primo, secondo il quale “l'ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme di diritto internazionale generalmente riconosciute”. Il giudice remittente sostiene un mancato adeguamento dell'Italia alle norme pattizie di diritto

internazionale in materia.

Quest'argomentazione viene respinta dalla Corte perché troppo generica e indefinita visto che non specifica le norme eventualmente violate; tuttavia a scopo ricognitivo, vengono comunque passate in rassegna dalla Consulta tutte le convenzioni sottoscritte dal paese, visto l'ingente numero di queste. Ad esempio la Dichiarazione dei diritti del fanciullo75 della società delle Nazioni del 1924, ma anche La Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo (ONU, NY, 1948) e molte altra, ma nessuna delle convenzioni analizzate risulta contrastante con i citati articoli del codice penale.

La seconda rimostranza che si solleva coinvolge l'articolo costituzionale 27 terzo comma. La risposta qui è molto netta, c'è un richiamo diretto alla sentenza 264/1974 in cui si stabiliva che la perpetuità dell'ergastolo e quindi la possibile incompatibilità con il fine rieducativo non è configurabile a causa dei benefici e meccanismi premiali attribuibili all'ergastolano, che in concreto forniscono una possibilità di essere presto o tardi reinseriti in società. Quindi anche questo problema di costituzionalità viene scongiurato velocemente.

Rimane la terza questione: l'articolo 31 secondo comma (che prevede la protezione di infanzia e gioventù da parte della Repubblica,

75 PUNTO 1: “Il fanciullo deve essere messo in grado di svilupparsi

favorendo gli istituti necessari a tale scopo) in relazione al 27 comma terzo; ciò che risulta tra l'attribuzione dell'ergastolo e la lettura combinata di questi due articoli è l'incostituzionalità: non si può concepire una compatibilità fra educazione e pena perpetua.

La Corte riconosce un “insanabile contrasto76” che travolge non soltanto i due articoli citati in precedenza, 17 e 22, ma anche altri due sempre del codice penale il 69 e il 73 comma secondo.

Il 69 disponeva che nel giudizio di prevalenza o uguaglianza di circostanze aggravanti e attenuanti andassero considerate anche quelle riguardanti la persona del colpevole, compresa la minore età, per poi punire comunque con l'ergastolo. Il 73 comma secondo prevedeva la pena dell'ergastolo in caso di concorso di più delitti commessi dal minore,ciascuno previsto di pena di reclusione non minore di ventiquattro anni. Finalmente questa sentenza fa chiarezza e riporta armonia all'interno del sistema penale, visto che, come si è ricordato precedentemente, a partire dal decreto legge 448/88 spiccava già l'esigenza di una diversificazione tra il mondo degli adulti e il mondo dei minori. Grazie a questa decisione si può dire archiviata l'applicazione di una pena che per durezza e severità comportava un' aberrante compressione dei diritti del minore. La funzione rieducativa della pena, riferibile ai minori, è da considerarsi “se non esclusiva, certamente preminente”, per questo motivo si

parla, nella decisione della Corte, di un insanabile contrasto fra essa e le norme del Codice penale che non distinguono, riferendosi all’ergastolo, i minori dalla generalità dei soggetti.

A ben guardare però, quella nei confronti dei minori, più che rieducativa, è una vera e propria funzione educativa; ciò si evince proprio dall'articolo 31 comma secondo della costituzione, che definisce il minore come “soggetto ancora in formazione e alla ricerca della propria identità”. Un risultato trionfante quello ottenuto con questa sentenza, ma che in realtà, facendo un passo indietro nella disciplina penalistica italiana, non era poi così innovativo.

"Chi ritiene che questa è una sentenza eccessivamente ' coraggiosa' si vada a rileggere i precedenti codici penali, compreso il codice Zanardelli, della fine dell' 800, poi sostituito da quello del 193077”. Sono le parole esatte del presidente della Corte costituzionale, Francesco Paolo Casavola. Ebbene, già nel secolo scorso il codice penale italiano prevedeva che un minore non potesse essere condannato all'ergastolo, ma il codice del 1930 aveva ritrattato tale disposizione. Ad ogni modo, a seguito di questo verdetto della Corte si può lo stesso affermare che l'Italia degli anni novanta mostra di andare in controtendenza rispetto a quanto avveniva in altri paesi: in Inghilterra, ad esempio, l'Alta Corte aveva appena abbassato a dieci

77 Archivio La Repubblica.it, 29/04/1994 “Corte Costituzionale: per i

anni l'età minima punibile; e -come analizzato in precedenza- in America c'era chi in Parlamento proponeva di cancellare i Tribunali per i minori facendo processare i giovani delinquenti davanti a quello degli adulti.

"E' vero, in questo settore l' Italia è davanti a molti altri paesi", commenta Livia Pomodoro, presidente del Tribunale dei minori di Milano, in merito alla decisione presa dalla Corte: "la strada imboccata da Inghilterra e Stati Uniti è subdola e pericolosa".

E' questo il tono, unanime, dei commenti: l' Italia si dimostra all'avanguardia nella tutela dei diritti dei minori.

3.2.1 L'importanza di educare.

È incomprensibile come una tematica così importante e delicata non venga ancora affrontata col giusto approccio in tutti i paesi.

La questione della tipologia e della modalità di irrogazione della pena è, di per se, un campo minato, ma lo è a maggior ragione quando i soggetti coinvolti sono minorenni.

Si tratta di soggetti che, data l'età, sono nel pieno di un processo di crescita, provvisti di una personalità in fieri non del tutto assestata e che normalmente presentano una certa immaturità psicologica; perciò è necessario tenere in considerazione nella disciplina della giustizia penale minorile le indicazioni provenienti dalle neuroscienze e dalle scienze psicologiche e sociali, così da relazionarsi in modo adeguato.

Nel predisporre la risposta punitiva, il diritto processuale e sostanziale penale non possono prescindere dal considerare la personalità del minore: le valutazioni devono essere fatte sia in fase di graduazione della colpevolezza che in fase di irrogazione ed esecuzione della sanzione, il che determina, in tema di funzione della pena, un netto sbilanciamento a favore della finalità rieducativa rispetto alle altre funzioni. Che l'opera rieducativa sia importante per i minori e che ci siano ottime probabilità di un buon esito è dimostrabile scientificamente. Le neuroscienze sono unanimi nell'affermare che l'adolescenza è proprio il momento in cui il cervello si trova nella sua fase di massima espansione dell'apprendimento, per tanto un processo rieducativo ha maggiori possibilità di insegnamento, rispetto all'applicazione su un individuo adulto. Per questo motivo non è possibile, e soprattutto,come ricavabile anche dalla sentenza precedentemente analizzata, non è costituzionalmente corretto, pensare che tra il sistema processuale- penale e l'educazione del minore intercorra una relazione strumentale. L'unico rapporto funzionale tra norma ed educazione è quello per cui con l'applicazione della norma processuale si debba ridurre al minimo il pregiudizio nei confronti della positiva evoluzione della personalità del minorenne78.

78 G.GIOSTRA“Il processo penale minorile, commento al d.p.r

Quanto detto corrisponde al principio della minima offensività che permea, in qualità di uno dei principi fondanti, tutto il processo penale minorile. La speranza che il minore possa redimere la propria personalità, vista la mancanza di certezze acquisite e la capacità evolutiva della forma mentis, porta il legislatore a far prevalere il recupero del minore sull'interesse dello Stato a perseguire gli autori del reato secondo un criterio retributivo e repressivo.

Tale finalità di recupero si realizza grazie all'educazione del minore intesa come capacità educativa del processo, ma soprattutto come capacità di non interferire con le esigenze educative del soggetto non interrompendo i processi educativi in atto.

Si evince da questo l'ammissione implicita che il processo penale possa risultare 'offensivo' per il minore e si individua questa sua potenziale 'offensività' nell'attitudine a interrompere o turbare l'evoluzione armonica della personalità del ragazzo, ancora in formazione. L'intento è inequivocabile: ridurre al minimo indispensabile il rischio di compromettere una corretta crescita psicologica del minore, sia limitando i suoi contatti con il sistema penale, sia rendendo meno offensivi i contatti che risultino inevitabili. Alla base della teoria del minimo intervento penale le correnti sociologiche portano avanti la convinzione per cui il carcere rende più difficile l'opera di recupero del soggetto, il che risulta amplificato visto che si tratta di un soggetto in cerca di identità -in

quanto minore- che all'interno del carcere troverebbe soltanto continue conferme per lo sviluppo in negativo della sua identità, rischiando addirittura la "professionalizzazione79" al crimine: l'interiorizzazione e la specializzazione del detenuto nel ruolo che la società gli attribuisce, etichettandolo come 'delinquente80' .

La conclusione a questi punti è sotto gli occhi di tutti, dalla dottrina, alla giurisprudenza, alle neuroscienze: il carcere non è un luogo consono alla crescita e alla formazione educativa del minore.

Nonostante la mancata chiarezza nella normativa fino agli novanta, oggi sul pensiero che permea l'ordinamento penale italiano non ci sono dubbi: il minore va salvaguardato, in nome della sua formazione. Un orientamento questo che caratterizza la fase attuale, iniziata da circa un ventennio, dell'evoluzione del sistema della giustizia minorile nei paesi occidentali.

La Giustizia minorile opera nel campo del cosiddetto modello riparativo e l’intervento non si connota più dal solo punto di vista sanzionatorio-trattamentale, ma è diventato un approccio di riconciliazione con il contesto, un’azione riparativa e di responsabilità, dove una nuova concezione della sanzione penale, pur mantenendo gli aspetti di rinvio alla responsabilità personale, 79 M. FOUCAULT, Sorvegliare e punire, Einaudi, 1993.pag 125

80 F. GIACCA, Il D.P.R. 448/1988 tra la concezione del minimo intervento

penale e le attuali tendenze riparative: riflessione sui nuovi modelli e le strategie di intervento, pag 267

rimanda a una responsabilità condivisa, puntando sulla presa di coscienza dell’autore di reato, sull’attivazione delle risorse del territorio e sulla revisione critica di ciò che si è soliti definire comportamento improprio fino al risanamento dell’equilibrio rottosi tra l’autore del reato e la vittima81.

Quindi è indispensabile all'interno del circuito processuale penale diversificare tra adulti e minori perché se un giovane sbaglia «non si può buttare la chiave».

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