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alcuni fenomeni di contaminazione di materiale antico

I codici Par. gr. 2712 (A) e Vat. Pal. gr.116 (Vp1) sono accomunati da errori congiuntivi che inducono ad indagare le loro relazioni reciproche. La peculiarità dei due testimoni è l’associazione in lezioni erronee con R e, soprattutto per A, codice importante nella tradizione del Pluto, questo dato necessita di un approfondimento. Stranamente negli stemmi fino ad ora costruiti il legame con R non è mai stato definito con precisione: A, alla stessa maniera di U, M e S, discende da un modello unico F che rappresenta il terzo ramo di tradizione dopo R e V in Coulon oppure da S, il secondo ramo di tradizione da cui deriva anche V, in Di Blasi.

Si cercherà di indagare, per quanto è possibile, se le associazioni con R possano essere riconducibili ad un fenomeno di contaminazione meccanica o dovuto all’intento consapevole di alcuni studiosi.1

Il codice Estens. a. U.5.10 (E), legato a sua volta ad A da varianti erronee, mostra un fenomeno di contaminazione tra due diversi rami della tradizione che riverbera il clima di studio dei classici e l’attività di intervento su questi proprio dell’Umanesimo veneziano.

1

L’espressione contaminazione meccanica sembra di per sé contraddittoria: la contaminazione, infatti, è intesa per lo più come un fenomeno volontario, dovuto alla scelta di copisti che preferiscono una lezione afferente ad un altro ramo di tradizione. Sia che immaginiamo che un copista riproduca il testo partendo da due esemplari sia che si serva di un unico modello contenente in margine o supra lineam lezioni provenienti da un altro ramo di tradizione, caso più probabile per Maas (cf.T 10 della Textkritik), il procedimento della contaminazione non sembra, in ogni caso, essere di tipo meccanico. Tuttavia mi sono servita di questa terminologia per cercare di comprendere la situazione di contaminazione che interessa per lo più il codice A, ossia la presenza di lezioni proprie di R come le omissioni di versi e altre varianti che difficilmente sono riconducibili ad interventi pseudodiortotici da parte dei copisti e per le quali, però, si deve necessariamente ammettere un fenomeno di contaminazione. Questa categoria teorica, sebbene non “lachmanniana”, mi ha permesso di indagare su codici contaminati di cui non è nota la loro posizione stemmatica, situazione che, come spiega Montanari nel suo commento alla Textkritik di Maas, è la più complessa da indagare. Pur partendo da una stratificazione di contaminazioni che scoraggiava ogni tentativo di disegno genealogico, presento in questo capitolo una possibile spiegazione degli effetti contaminatori. Sulla contaminazione in senso teorico utile la lettura diretta di Maas e illuminante per la comprensione di tutte le implicazioni il commento dettagliato di Montanari, cf. MONTANARI 2003, pp.136-142 e pp.415-428; lo studio di Rossana E. Guglielmetti del Policraticus di Giovanni di Salisbury mi ha permesso di entrare in contatto con una tradizione fortemente contaminata che, a mio avviso, ha molte affinità con quella aristofanea ed che si presta a molteplici riflessioni di carattere metodologico. Cf. GUGLIELMETTI 2008, pp.117-136.

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I manoscritti

1) Parigi, Biblioteca Nazionale, Par. gr. 2712 (A).2 Manoscritto membranaceo, costituito da 322 pagine (il manoscritto non è numerato per fogli), di dimensioni 300 x 230 mm, scritto su due colonne di 40 linee ognuna. Il codice contiene una miscellanea di poesia drammatica: sei opere di Euripide (Hec., Or., Ph., Andr., Med., Hipp.), sette di Sofocle (Aj., El., O.T., O.C., Tr., Ph., Ant.) e sette commedie di Aristofane (Pl., Nu., Ra., Eq., Av., Ach., Ec.).

Mentre Coulon data il codice al XIII sec., Turyn e Koster 3concordano nell’attribuirlo al XIV sec. La conclusione di Turyn è basata sulla considerazione che il manufatto mostra i segni della recensione di Moscopulo sulla triade bizantina di Sofocle e, sebbene sia noto che Moscopulo lavorò su Sofocle prima del 1299, il codice A deve essere stato scritto dopo quell’anno in quanto copia di un codice contenente la recensione di Moscopulo.4 Anche la parte euripidea sarebbe stata scritta dalla stessa mano nel XIV sec.; la sezione aristofanea, invece, è vergata da un’altra mano, riconducibile sempre al XIV sec., che secondo Dover presenta una stretta affinità con la mano di Londiniensis M. B. Add. 16409, copia del Marc. gr. 481, apografo di un manoscritto perduto vergato dallo stesso Planude.

La mancanza di prolegomeni, di argomenti e dell’indice dei personaggi del Pluto fa ipotizzare che questa parte sia stata inserita successivamente, probabilmente da un manoscritto che aveva perso i primi fogli.

Il Pluto, trascritto senza glosse né scoli, è conservato alle pp. 215-218 (vv.1-327), pp.213-214 (vv. 328-486), pp.107-110 (vv. 487-781), pp.223-224 (vv. 782-936), pp. 219-220 (v.937-1095) e pp.221-222 (1097-fine); questa distribuzione caotica del testo è dovuta a errori nella rilegatura dei fascicoli.5 Nel manoscritto non ci sono indizi che permettano di ricostruire la sua storia.

2) Modena, Biblioteca Estense, a. U. 5.10 (olim III D 8, vel gr.127) (E)6. Manoscritto cartaceo, composto da 29 quaternioni e un ternione (il quarto fascicolo), per un numero complessivo di 236 ff. della dimensione di 250 x 175 mm e contenente una selezione di sei commedie di Aristofane: Pl., Nub., Ran., Eq., Av. (mancano i vv. 222-601 per la

2 Cf. OMONT 1896, p.28. 3 Cf. KOSTER 1959, p.135. 4 Cf. TURYN 1949, pp.139-141. 5

Sulla struttura del codice e la rilegatura errata di alcuni fascicoli cf. HOLWERDA 1977, pp. VI-VII.

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perdita di un quaternione) e Ach.. La datazione è controversa7: Zacher e Allen datano il codice alla fine del XIV sec., mentre White e Puntoni all’inizio del XV sec.

Il Pluto è trascritto ai ff. 5r - 39v, con un numero di 17/18 versi per pagina, ed è corredato di scoli a partire dal f. 6v ( vv. 54-70) e di glosse alla fine del f. 5v (la prima al v. 34); una mano successiva, caratterizzata da un inchiostro più scuro, aggiunge glosse in latino e greco al f. 5r.

Sui fogli di guardia si succedono le seguenti note di possesso: al f. Ir in alto si legge De Miser Marco musuro e più in basso con inchiostro rosso QUESTO LIBRO, È, DE MI ANDRONICO MANOLESSO8; quasi al centro della pagina cancellato con una linea è il nome Alvise Barbaro; al f.1r sul margine inferiore Iste aristophanes *** volumen fran barbari veneti patricij. Il primo possessore del codice dunque è Francesco Barbaro9 (1390-1454), uno tra i maggiori umanisti veneziani, nonno di quell’Ermolao Barbaro che a Padova tenne scuola di dottrine aristoteliche. Il codice è in seguito entrato in possesso di Marco Musuro10, probabilmente dopo che il manoscritto era passato a Alvise Barbaro.11

7

Sul dibattito intorno alla datazione del codice cf. ZACHER 1892, p.119, ALLEN 1890, p.14,WHITE 1914, pp. XCIII- XCV e PUNTONI 1896, pp. 466-467.

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Il nome di questo personaggio compare in un manoscritto conservato a Padova come autore di alcune lettere, nonché di una prefazione all’Eneide. Cf. Iter Italicum,II, p.13, vol.1.

9

Sui dati biografici di Francesco Barbaro cf. GUALDO 1964, in Diz. Biogr. degli Ital., VI, pp. 101-103. Sulla ricostruzione della sua biblioteca non si hanno notizie certe, ma vale la pena notare che era in possesso di due manoscritti importanti per gli editori moderni Vind. suppl.39 contenente Platone e Vat. Pal. gr.73 contenente Luciano, fornitogli da Giovanni Simeonakes di Candia. In quanto il più insigne allievo di Guarino, F. Barbaro doveva probabilmente aver avuto accesso ai suoi manoscritti; d’altra parte nel 1415 si recò a Firenze dove entrò in contatto con il circolo umanistico fiorentino di Traversari, Niccoli e altri con i quali mantenne una lunga corrispondenza e dai quali acquistò alcuni codici. Le sue lettere mostrano che egli cercava, prendeva in prestito, prestava a sua volta e copiava opere greche e latine che venivano alla luce a quel tempo. L’attività filologica dell’umanista sui testi classici è messa in evidenza dagli studi di Rollo cf. ROLLO 2005, pp.9-28 e trova un’ulteriore conferma nel lavoro di Fabio Vendruscolo, in cui dimostra che il codice Vind.Suppl. gr.55, contenente l’Alcibiade di Platone non solo è stato commissionato da Francesco Barbaro, ma ha subito una diorthosis sistematica proprio dallo stesso committente. Cf. VENDRUSCOLO 2008, pp.111-129. I suoi codici sono contrassegnati dalla nota di possesso Francisci Barbari e la sua biblioteca molto probabilmente venne ereditata dal nipote Ermolao Barbaro e alla morte di quest’ultimo molti codici rimasero a Venezia, alcuni in possesso di Apostolo Zeno, altri posseduti da J.B. Recanati e altri ancora conservati nel monastero di San Michele di Murano. Cf. MIONI 1958, pp.317-343, MIONI 1960, pp.389-390, DILLER 1963, pp.253-262,WILSON 2000, pp.31- 33.

10

Per una ricostruzione dettagliata della vita di Marco Musuro cf. CATALDI PALAU 2004, pp. 294-369;

interessante è anche l’articolo di David Speranzi che ha individuto la mano del giovane Musuro nel Riccardiano 77, in particolare in una unità codicologica trascritta da Aristobulo Apostolis su carta con filigrane ricorrenti nella produzione fiorentina dei primi anni Novanta del XV sec.. Cf. SPERANZI 2006, pp. 191-210.

11

Alvise Barbaro (1454-1533), nipote di Francesco Barbaro e fratello di Ermolao Barbaro, ricoprì molte cariche istituzionali, da capo della Quarantia (1501-1502) a capo del Consiglio dei Dieci (1515-1516). Nei suo dati biografici non ci sono indizi del suo interesse nei confronti degli studi classici, ma può essere entrato in possesso del manoscritto dal nonno dopo la sua morte o probabilmente ereditato dal fratello. Oltre ad E, Diller individua un altro codice (Vat. gr. 1421) contenente entrambe le note di possesso

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3) Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Pal. gr. 116, (Vp1)12. Manoscritto cartaceo in octavo, costituito da 141ff.. Contiene gli Erotemata di Manuele Chrysolora (ff.1-22v) e la triade aristofanea preceduta dalla Vita (f. 23r-v) e da argumenta.

Il Pluto (ff. 25-60), vergato sull’intero specchio di scrittura con un numero di 17/20 versi per pagina, è corredato da scolii marginali e da glosse interlineari molte delle quali sono traduzioni in lingua latina di alcune porzioni di testo o di singole parole. Chantry individua nel manoscritto scholia vetera e scoli appartenenti al gruppo p (Par. gr. supp. 135, Bod. Holk gr. 89 e Vat. Reg. Suec. gr.147) e al gruppo r (Vat. Chis. gr. 20, Par. gr. 2827 e Par. gr. 2821) trascritti dalla prima mano; una seconda mano inserisce scoli e talvolta glosse tricliniane soprattutto a partire dal v.885.

Come si deduce dall’annotazione in latino al f. 131v

( Aristophaneos liber mei guarini emptus in Const(antinopoli) anno ab incarnatione domini Mcccvj die p° martij), il codice fu comperato a Constantinopoli il giorno 1 marzo 1406 da Guarino, che H. Stevenson2 identifica nella figura dell’ umanista Guarino Veronese.13

La subscriptio in lingua greca al f. 140r reca un’ invocazione in cui lo scriba Alessio che chiede la protezione di Dio: w=) xriste/, boh/qei moi t%= s%= dou/lw a)leci/% t%

a)martwl%=. Nel repertorio di Vogel - Gardthausen al copista vengono attribuiti altri

codici quasi tutti sottoscritti al XV sec, ma non si hanno notizie sul suo conto e tantomeno sull’ambiente a cui era legato.14

5) Milano, Biblioteca Ambrosiana, L 39 sup., (M)15. Manoscritto cartaceo dell’inizio del XIV sec., costituito da 314 ff. (22, 4 x 15,1 cm). Contiene la triade bizantina di Euripide (Hec., Or., Phoen.), la triade di Aristofane, insieme ai Cavalieri e Uccelli (vv.1-1641) e la triade di Sofocle (Ai., El., O.T.) . Ad eccezione del ternione che inizia al f.92, la parte di Aristofane (ff. 89v segg.) è costituita da quinioni; il Pluto è trascritto

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Cf. STEVENSON 1888, p.55.

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Guarino Veronese (1374-1460) fu il primo tra gli umanisti a trascorrere un certo periodo a Costantinopoli, dove ebbe modo di imparare il greco parlato all’epoca. A lui si attribuisce il merito di aver portato in Italia molti codici, anche se sul numero non si hanno prove certe: rispetto al numero di cinquanta codici, sostenuto da Sabbadini, e a quello di cinquantaquattro sostenuto da Omont, Thomson mette in evidenza che durante il soggiorno a Costantinopoli Guarino non aveva le condizioni economiche per comprare codici e neanche tempo per copiarne di sua mano, dal momento che doveva lavorare per vivere. A quanto è noto, Guarino portò in Italia due manoscritti, un codice contenente la Suida andato perduto e di cui rimane un apografo (Laur. Pl. 51, 1) e il codice contenente Aristofane. Secondo Thomson, si deve immaginare che l’umanista doveva aver costituito la sua biblioteca, formata da 54 volumi, in un lungo periodo in tutto l’arco della sua vita. Cf. THOMSON 1976, pp.168-177.

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Tra gli altri segnalo il Par. Supp. gr.1272 ( 1458) e Sinait. 877 (1466). Cf. VOGEL -GARDTHAUSEN

1966,p.14.

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ai ff.91r -113r, con un numero di versi per pagina variabile tra i 25 e i 28. Turyn 16 ritiene che la scrittura di M, insieme a quella del Vat. gr. 2228, del Laur. Pl. 58, 29 e dell’Ambr. L 44 sup, sia riconducibile alla stesso copista del Vat. gr. 7, sottoscritto al 5 Maggio del 1310 e contenente il Lexicon di Giorgio Phrancopoulos.

Come ha messo in evidenza White, l’apparato di scoli mostra una stratigrafia di interventi nella quale si possono individuare tre fasi:1) scoli copiati con inchiostro rosso chiaro; 2) scoli vergati con inchiostro nero, introdotti da lemmi di colore rosso, che derivano dai vetera; 3) scoli copiati sempre con inchiostro nero, ma preceduti soltanto dalla prima lettera rubricata. Altro elemento interessante è che alla fine del Pluto si ritrovano 12 dodecasillabi presenti solo in U.