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V4 Marc Suppl gr XIV (Cl IX) 23 V6 Marc Suppl.gr XXVI (Cl IX)

L’edizione Aldina di Aristofane

II. I codici del XIV sec.

22 V4 Marc Suppl gr XIV (Cl IX) 23 V6 Marc Suppl.gr XXVI (Cl IX)

24 P19 Par. gr. suppl.135

25 Md1 Matr. N 53

26 W Vind. phil. gr. 163 27 W9 Vind. phil. suppl. gr. 71

Come abbiamo visto, i codici A M U sono quelli usati da Coulon nella sua edizione; U, P22, P25, Ven, Cr, Ps e Vat sono i rappresentanti delle edizioni di Giovanni Tzetzes, Thomas Magister e Demetrio Triclinio; il resto dei testimoni non sono noti da alcuno studio specifico sul testo se non quello degli scoli. Tra questi, per ragioni di accessibilità, purtroppo non è stato possibile collazionare i codici P19, Md1, W e W9; il cattivo stato di conservazione di Vv1 ha reso il testo in più punti illeggibile tanto da rendere impossibile la collazione, mentre Vc1, V4 e V6, pur essendo datati tra la fine del XIV e il XV sec., sono stati inclusi nella ricerca in quanto ritenuti interessanti per valutare l’evoluzione del testo del Pluto in questo arco di tempo.

Fatta eccezione dei parigini e dei laurenziani, la cui collazione è stata svolta direttamente sui codici, negli altri casi il testo è stato esaminato sui microfilm. L’edizione di riferimento è quella di Coulon; nella valutazione delle varianti si è tenuto conto di altri contributi rilevanti, in particolare dei lavori di Koster sui bizantini e delle edizioni ottocentesche di Blaydes e Porson, che risultano tutt’oggi uno strumento indispensabile per valutare la diffusione delle innovazioni.

Tale impostazione ha consentito di distinguere i codici per gruppi a seconda dell’influenza che li lega alle edizioni antiche: codici legati a Tzetzes, un gruppo di codici legati all’ambiente tzetziano, codici thomani, codici tricliniani e codici misti. Ad ogni gruppo è stato dedicato un capitolo, all’interno del quale sono stati tracciati, laddove possibile, precisi rapporti stemmatici e evidenziati i legami con il resto della tradizione.

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III. Un ramo della tradizione legato a Tzetzes:

Urb. gr.141 (U), Conv. Soppr.66 (F), Ambr.C222 inf. (K), Par. gr.655 (P22), Conv. Soppr.140 (Q) e Neap. gr. II F22

L’attività di Tzeztes su Aristofane è stata da tempo individuata nei manoscritti Urb. gr. 141 (U), Ambr. C 222 inf. (K) e Par. Suppl. gr.655 (P22), che, come si evince dalle annotazioni, contengono i suoi scoli.

La pubblicazione del commentario di U risale all’edizione del 1710 di Kuster che diede alle stampe per primo la collazione fatta da Zacagni1; il codice fu in seguito analizzato da Zacher nel suo lodevole lavoro sulla tradizione e composizione degli scoli aristofanei, dove pubblicò parte degli scoli alle Nuvole e alle Rane.2 L'individuazione dell’Ambrosiano, invece, va ascritta ad Angelo Maj che richiamava l'attenzione su un esemplare di Aristofane contenente"Iohannis Tzetzae commentarium ingens"3: il manoscritto, divenuto in seguito celebre per i Prolegomena de comoedia, editi da Keil4, fu studiato da Zuretti che pubblicò altre annotazioni tzetziane nell’ultima sezione della sua monografia5. Quanto al Parigino la prima menzione risale a Duebner che ne diede notizia nel 1866 in Opuscula philologica I, da dove M. Schmidt6 pubblicò il lungo scolio in versi al v.137 del Pluto, noto solo da questo testimone.

Sebbene l’individuazione dell’attività di Tzetzes risalga a XVIII sec., l’edizione completa del commentario compare nel 1960 in seguito ad un lungo lavoro di collazione dei manoscritti aristofanei da parte di Koster, Holwerda e Massa Positano. Il merito dell’edizione non consiste soltanto nella pubblicazione in forma organica del materiale tzetziano e in alcuni casi nella revisione di questo7, ma anche nella ricostruzione dell’attività del filologo bizantino, sviluppando spunti già elaborati da studiosi precedenti e mettendo in luce le caratteristiche del suo lavoro sul testo aristofaneo. Già Zacher, evidenziando le differenze tra U e P22, ammetteva l’esistenza di due edizioni

1 Cf. KUSTER 1710. 2 Cf. ZACHER 1888, pp.580-603. 3 Cf. SPICILEGIUM ROMANUM 1841, p.247. 4 Cf. KEIL 1848, pp.108-134 e pp.243-257. 5 Cf. ZURETTI 1892, pp.148-162. 6 Cf. SCHIMDT 1867, pp. 687-691. 7

Koster è il primo a correggere il testo dello scolio alle Rane 1328c, che prima di lui era disponibile nella trascrizione in gran parte errata data da Keil e poi ripresa senza controlli sia da A. Nauck nell’appendice alla sua edizione del Lexicon Vindobonense sia da Wendel nel suo articolo su Tzetzes nella

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del commentario: U la prima fase del lavoro del bizantino su Aristofane, mentre P22, insieme a K, l’ultima e più accurata revisione. Sulla base degli scoli Koster arriva a stabilire una cronologia relativa: Tzetzes avrebbe lavorato alla prima stesura del commento al Pluto prima di occuparsi di Licofrone, mentre il termine post quem per la seconda edizione è il periodo compreso tra il 1160 e il 1166, data delle (Istori/ai.8 Per quel che riguarda il testo, invece, come abbiamo accennato nella parte introduttiva, il lavoro editoriale di Tzetzes è oggetto di discussione: ci si interroga sulla possibilità di ammettere un’edizione “tzetziana”, ossia un testo che sia stato redatto dal bizantino e, ancora, se egli possa essere ritenuto autore di congetture o se attingesse ad altre fonti. Nel 1892 Zuretti scriveva “ Così che lo studiare Tzetztes negli scoli aristofanei è investigare fonti ben antiche e sicure, delle quali egli potè disporre: non si deve dimenticare certamente prudenza e cautela, ma trarne tutto l’utile possibile – s’ intende per gli scoli, chè per il testo l’opera di Tzteztes non ha importanza critica, in quanto egli più che altro conservò un dato testo, senza introdurvi modificazioni importanti, e lo conservò in forma che anche d’altronde ci è giunta, senza essere la più importante”. 9 Se da una parte Zuretti nega qualsiasi attenzione editoriale, dall’altra attribuisce a Tzetzes il merito di servirsi di fonti antiche che conferiscono autorevolezza al suo commento. E probabilmente la disponibilità di materiale non giunto fino a noi potrebbe spiegare la presenza nei codici tzetziani di alcune varianti non attestate in altri testimoni, senza escludere del tutto la possibilità che possano essere frutto di un lavoro congetturale (Koster).

Quello che per ora si può dire con certezza è che i codici contenenti il commentario concordano anche dal punto di vista testuale. Ai tre manoscritti sopra citati si aggiungono il codice Conv. Soppr.66 (F) che, pur non conservando gli scoli per la sezione del Pluto, si accomuna a U e i codici Conv. Soppr. 140 (Q) e Neap. gr. II F22 (Np1), che sono legati a K e P22, benchè presentino un sistema scoliastico diverso da quello tzetziano.

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Per l’analisi delle corrispondenze tra gli scoli aristofanei e altre opere tzetziane, cf. KOSTER 1960, pp.

XL-XLI e KOSTER 1953, p. 22.

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I manoscritti

1) Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Conv. Soppr. 66 (F). Manoscritto cartaceo della fine del XIII, costituito da 81ff. della dimensione di 243 x 157 mm. composto da 10 fascicoli tutti quaternioni e preceduto da due fogli di guardia davanti e tre dietro. Contiene in ordine la triade di Aristofane (ff.1-40), l’Elettra fino al v.755 (f.41-46r) e l’Edipo Re (vv.1-311, ff.46v

- 49; vv.312-fine, ff. 73-81) di Sofocle e l’Ecuba (ff. 50-59) e l’Oreste (ff.60-73) di Euripide (fino al v.1608). Alla sezione aristofanea segue l’annotazione u(po/qesij th=j o(/lhj )Ilia/doj (f. 40v). Matthiessen in un suo contributo nel 1982 ha dimostrato che F è solo una parte di un volume più grande che comprendeva anche Conv. Soppr. 139 contenente l’Iliade e datato dalla sottoscrizione al 1291.10 Il testo del Pluto, senza glosse né scoli, è disposto su due colonne di 32 versi ciascuna, ad eccezione dei ff. 4r,5r-6v e 8v dove il testo (vv.383-414, 489-597, 810-841), corrispondente per lo più alla sezione di tetrametri anapestici catalettici dell’agone, è trascritto su una sola colonna. Tale impaginazione, in cui i versi più lunghi occupano l’intero specchio di scrittura, è omogenea nel resto del codice11

e verosimilmente doveva essere presente nel modello.

Il manoscritto non contiene scoli, ma lo spazio bianco lasciato nei margini e soprattutto la disposizione del testo ai ff.9-11, in cui in una stessa pagina le due colonne si restringono in una per lasciare uno spazio sul margine laterale destro, fa ipotizzare che l’esemplare a cui attingeva ne era fornito.

L’annotazione posta sul foglio di guardia (hic liber est Abbatiae Florentinae XII a 263 A.C.) non dimostrerebbe secondo Blum l’appartenenza del codice alla biblioteca di Antonio Corbinelli dal momento che la sigla è stata apposta da una mano posteriore.12Tuttavia il fatto che F formasse un unico volume insieme a Conv. Soppr.

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Lo studioso ritiene che l’Iliade contenuta in Conv. Soppr.139 originariamente doveva seguire il f. 40 di

F come suggerisce l’annotazione posta al f. 40v e precedere la parte euripidea di F. Oltre alla somiglianza di formato e di scrittura tra i due codici, Matthiessen sottolinea la corrispondenza tra l’annotazione del f. 41r di F “ylias. homeri. Abbatie flor. s. II. 2” e quella presente al f.2r di Conv. Soppr.139 “Abbatie

fiorentine S.2”. Conv. Soppr. 139, analizzato da Turyn, apparteneva alla biblioteca di Corbinelli e

insieme a F dovevano formare un volume unico scritto nell’Ottobre del 1291, come si legge dalla sottoscrizione posta al f. 243v, e)teleiw/q(h) mhni£ o)ktwbr(i/%) d ©i)n(diktiw=noj) e× e)/touj, jw@ h(me/r(a) e.

Cf. MATTHIESSEN 1982, pp. 255-258 e TURYN 1972, pp. 73-74.

11 Cf. K

OSTER 1960, p. LVIII.

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Blum sostiene che il codice doveva essere frapposto a quelli corbinelliani come indica il numero progressivo del catalogo del cinquecento. Conv. Soppr. 66, infatti, segnato con il n°43, segue Conv. Soppr.140 (n°42), un codice effettivamente appartenuto a Corbinelli e contenente anche esso Aristofane. Mentre in Conv. Soppr.140 la nota di possesso risale ad una mano antica che Blum chiama A, quella presente in Conv. Soppr.66 è posteriore e viene definita mano D. Secondo lo studioso, la posizione del manoscritto ha spinto i monaci, che non avevano criteri razionali per la numerazione dei nuovi acquisti, a

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139, appartenuto a Corbinelli, fa ritenere anche F di Corbinelli; la sigla apposta da una mano posteriore si spiega perché inserita nel momento in cui il codice era stato smembrato e questo doveva essere avvenuto non molto tempo dopo la morte dell’umanista, quando i manoscritti entrarono far parte della Badia fiorentina (tra il 1425 e il 1439).

2) Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Urb. gr. 141 (U). Manoscritto