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all’altezza dei temp

Nel documento Oltre la pandemia dell'individualismo (pagine 48-52)

Giuseppe Dalla Torre

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quello degli atti di culto, in cui è assolutamente incompetente. Insomma: si sarebbe dato a Cesare quel che è di Dio.

Sempre in casa cattolica, si è talvolta prospettata la lesione di un diritto fondamentale del fedele: quello ai sacramenti (can. 213 codice canonico).

Le reazioni accennate sono ben comprensibili, se si considera la sofferenza che prova il credente nel vedersi privato di quotidiani strumenti di sostegno spirituale, e considerato anche il fatto che il sentimento religioso trova – a prescindere da ogni più radicale considerazione teologica – una necessaria esplicitazione nella di- mensione comunitaria. Esse tuttavia si prestano ad alcune consi- derazioni.

In primo luogo, è vero che nella Chiesa c’è un diritto ai sacramen- ti; ma è anche vero che questo diritto può trovare condiziona- menti e limiti (non solo ma) anche per ragioni oggettive di tempo e di luogo, come nel caso la tutela del diritto naturale alla salute ed alla vita stessa dei consociati. Non a caso il can. 843 § 1 parla di un diritto “opportunamente” richiesto.

Quanto all’ordinamento dello Stato, non c’è dubbio che la liber- tà religiosa è un diritto fondamentale e che, a norma dell’art. 19 Cost., l’unico limite espresso è quello dei “riti contrari al buon costume”. Ma non c’è altrettanto dubbio che esistono limiti ul- teriori, impliciti nel sistema costituzionale, a cominciare da quel- li derivanti dagli altri diritti fondamentali (alla vita, alla salute, ecc.). Non c’è la prevalenza di uno sugli altri; è necessario un contemperamento ragionevole. Nel caso specifico i provvedi- menti contestati non hanno radicalmente negato la libertà reli- giosa, né hanno proibito gli atti di culto pubblico; hanno provvi- soriamente nel tempo interdetto gli atti di culto collettivi, che è altra cosa. Non a caso, dopo un primo improbabile provvedi- mento di “chiusura delle chiese”, davvero gravemente lesivo del diritto in questione, le autorità competenti si sono precipitare a precisare che gli edifici di culto potevano rimanere aperti e i fe- deli singolarmente, e con le dovute precauzioni, potevano conti- nuare ad accedervi.

Del resto lo stesso Vaticano II, affermando in maniera rigorosa il diritto di libertà religiosa nella dich. Dignitatis humanae, ritiene legittime le limitazioni del suo esercizio quando ciò sia conforme all’ordine morale oggettivo (n. 7).

Contemplare e celebrare

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Una Chiesaall’altezzadeitempi

Circa le modalità di adozione dei provvedimenti in questione – e al di là del più generale problema della legittimità costituzionale degli atti governativi con cui si sono ristretti diritti fondamentali –, certamente è stata improvvida la loro adozione senza un conve- nire con la parte ecclesiastica (ma direi più in generale con le au- torità delle varie confessioni religiose). Il fatto si può forse capire per il clima di disorientamento e la concitazione nascente dalla inaudita progressione aggressiva del virus e dall’urgenza di inter- venire immediatamente per la salvaguardia di un bene primario qual è quello della salute pubblica. Ma certamente secondo le norme e prima ancora i princìpi che ispirano il nostro ordinamen- to si sarebbe dovuto procedere in maniera diversa, coinvolgendo l’altra parte. E ciò non per mania clericale di potenza o secondo le pretese della sovranità – come qualcuno ha pure insinuato –, ma per rispondere alla logica sottesa al testo costituzionale, che è poi quella esplicitata nell’art. 1 del Concordato, per il quale lo Stato e la Chiesa sono impegnati “alla reciproca collaborazione per la promozione dell’uomo e il bene del Paese”. È questa tra l’altro una direttiva che viene anche dal Vaticano II, in particolare nel § 76 della Gaudium et spes.

Di qui la iniziale, pronta adesione dell’episcopato italiano alle pre- scrizioni dell’autorità civile, cui è però seguita – come noto – una fase critica, perché all’allentamento dei vincoli in alcuni ambiti di vita non è parallelamente seguito altrettanto nell’ambito del culto. Che senso ha aprire i musei ma mantenere la proibizione per il culto? Ogni limitazione di diritti fondamentali è legittima se ra- gionevole e bilanciata col sacrificio di altri diritti fondamentali. Ma a questo proposito giova una considerazione più generale. L’atteggiamento responsabile dell’episcopato italiano dinnanzi alle prescrizioni dell’autorità civile non è solo indice di piena comprensione delle preoccupazioni e delle responsabilità di que- sta. A mio avviso è un indicatore dell’avanzare, nell’esperienza concreta, di una diversa dimensione dei rapporti della Chiesa col mondo che proprio la Gaudium et spes, recuperando la visione della A Diogneto, propone: la Chiesa nel mondo, più che la Chie- sa e il mondo.

Da giurista so bene quali sono state le ragioni storiche che hanno indotto (se non costretto) progressivamente a ridurre e rafforzare una visione prettamente giuridica, interistituzionale, internazio-

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nalistica, dei rapporti della Chiesa con le comunità politiche, e non è detto che tali ragioni siano completamente scomparse. Ma vedo il recupero di una concezione della Chiesa come popolo di Dio che vive nei popoli di questa terra, che di sicuro è maggior- mente vicina alle esperienze dei secoli più lontani della cristianità (e per certi aspetti della stessa età medievale), e che altrettanto certamente è portata avanti con forza, nelle parole e nell’azione, da papa Francesco. Il primo Papa – non mi stanco mai di ripeter- lo – davvero figlio del Concilio; gli altri, grandissimi, ne sono stati i facitori.

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a Chiesa in Italia dovrà riprogettare completamente la propria pastorale o semplicemente sarà chiamata ad ac- compagnare un processo di cambiamento di pensiero e di prassi già irreversibile prima della pandemia? Quan- do la “normalità” riguadagnerà il suo tempo, quali spa- zi pastorali si dovranno dedicare alle «cose nuove» e alle «cose antiche»? A queste domande occorre rispondere in un frangente che, presentando la duplice valenza dell’emergenza e della provvi- sorietà, chiede di affrettare il passo della conversione missionaria della pastorale. La tempesta provocata dal Covid-19, il cui ceppo virale è salito a bordo di una nave da crociera e non di un barcone, mostra la drammatica concretezza dell’immagine del “contagio”, a cui Paolo ricorre per indicare in quale modo si è propagato il «peccato di Adamo» (cfr. Rm 5,12). L’Apostolo assicura, però, che «il dono di grazia non è come la caduta» (Rm 5,15). Anche di questo stiamo facendo esperienza nelle circostanze attuali, che contribuiscono a trasformare la nostra fragilità in una più forte coscienza di solidarietà e persino di fantasia pastorale. «La situazione – sottolinea mons. Mario Delpini – è occasione».

Costretti a stare in canonica, i pastori non sono rimasti inerti ma hanno impiegato la tec-

Gualtiero Sigismondi

è vescovo della diocesi di Orvieto-Todi e assistente generale dell’Azione cattolica italiana. di Gualtiero Sigismondi

Contemplare e celebrare

La sfida per la pastorale

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