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Scienza e politica

Nel documento Oltre la pandemia dell'individualismo (pagine 123-126)

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rapporti tra scienza e politica assumono connotazioni diffe- renti a seconda delle culture nazionali e dei periodi storici. In certi paesi la scienza viene presa sul serio anche dal citta- dino comune, in altri no. In certe stagioni politiche gli esperti, i tecnici, gli studiosi vengono svalutati, stigmatiz- zandoli a seconda dei casi come soggetti chiusi in torri d’avorio, fuori dalla realtà o viceversa collegati a potentati economici (il che è talvolta vero, ma spesso non lo è). In altre stagioni invece l’ap- porto del sapere scientifico viene valorizzato. Ciò può accadere in dipendenza di eventi contingenti (è scontato pensare all’odierna emergenza coronavirus), oppure in modo stabile e sistematico. I singoli scienziati sono ovviamente esseri umani, con eventuali debolezze, interessi, idiosincrasie, vanità. Un corretto rapporto tra scienza e politica, d’altro canto, può essere immensamente van- taggioso. Non tanto per i politici e gli scienziati, quanto soprat- tutto per i cittadini e per il pianeta in cui vi-

viamo. Si potrebbe anzi sostenere che tale rapporto sia sempre più necessario, poiché l’umanità si trova oggi a fronteggiare minacce - che in larga parte essa stessa ha generato - di una pericolosità mai vista prima, rispetto alle quali l’apporto scientifico è indispensabile.

La responsabilità del futuro

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Scienzaepolitica

Può aversi, d’altro canto, anche un rapporto scienza/politica meno buono, o decisamente cattivo. Dipende da come viene im- postato. Bisogna che le due abbiano consapevolezza dei rispettivi confini e si pongano reciprocamente le domande giuste.

Spesso si vorrebbero avere dallo scienziato sia risposte certe su una data realtà, sia indicazioni su come si deve intervenire. Su certi temi vengono prodotte spiegazioni robuste (vale a dire sostenute da un’abbondante e concordante evidenza empirica). Su altri temi, specie quando sono nuovi e quindi poco o per nulla studia- ti, per arrivare a ipotesi adeguatamente corroborate ci vogliono tempo, inventiva, rispetto del metodo, risorse, fortuna, e non è neppure detto che vi si riesca. Uno scienziato che a domanda ri- sponda «al momento non lo sappiamo», o «forse è così, ma forse no», non per questo è meno scienziato, anche se non dispensa certezze, quanto piuttosto dubbi.

In secondo luogo, una cosa è dire: «Se si vuole X allora allo stato delle conoscenze la strada meno peggiore pare Y». Tutt’altra cosa è dire: «Si deve fare Y» o «Si deve volere X». Ciò che si deve o non si deve fare appartiene a una sfera diversa dalla scienza, quella del giudizio morale o politico. Nella foga della comunicazione e nell’urgenza di rispondere ai problemi sul tappeto tale distinzione può non essere esplicitata. Però deve restare, comunque, sottotrac- cia. Ovviamente anche lo scienziato ha una coscienza, valori, orien- tamenti politici, ma li possiede in quanto persona e cittadino. Uno scienziato serio ha a propria volta domande da porre. Ad esempio: «Siamo sicuri che si voglia proprio X?»; o anche: «Cosa si intende esattamente per X?»; oppure: «Avete considerato che se si fa X, ciò danneggia K?»; o: «Vi siete resi conto che X è pressoché impossibile da realizzare, mentre K’ sarebbe più alla portata?». I decisori dovrebbero saper dare queste risposte. L’ideale sarebbe che fossero capaci di non farsi neppure fare alcune di queste domande. Nelle grandi democrazie esistono, fortunatamente, i contrappesi, tra cui l’opinione pubblica, l’opposizione, il potere giudiziario e altri poteri indipendenti. Si deve ovviamente anche tenere conto degli orientamenti dell’elettorato. Al contempo, vi è chi decide, bilanciando i valori in campo - salute, lavoro, tutela della sfera privata, crescita e così via - in modi che per definizione sono opi- nabili. Può cercare di farlo al meglio, appunto con l’aiuto della scienza. Vi sono però casi in cui le carte si mischiano, le responsa-

Antonio La Spina

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bilità si confondono, si gioca con più mazzi e su più tavoli. Invece alcuni principi fondamentali dovrebbero essere assodati, per poli- tici, scienziati, media, cittadini.

Faccio solo due esempi. Lo sconvolgimento del clima è oggi evi- dente a tutti. Vi sono teorie, come l’effetto serra, robuste quanto basta per essere poste a fondamento di certe misure al riguardo, che a qualcuno non piacciono. Si può certo dire che non si inten- de compiere tali scelte. Ma se invece si dà addosso a quelle teorie affermando che sono di parte, ciò non è accettabile. Quasi tutti gli studiosi lo sanno. Chiunque altro deve averlo chiaro e com- portarsi di conseguenza.

Ancora, qualche politico (talvolta lo stesso che in precedenza ha ridicolizzato il sapere scientifico) in talune circostanze potrebbe cercare di parare certi rischi e contraccolpi sostenendo che la sua linea d’azione è dettata dalla scienza. Però magari si infastidirebbe se qualche autorità scientifica non si confacesse ai suoi desiderata. Se potesse si sceglierebbe esperti graditi, su misura.

Va molto bene se la politica interloquisce seriamente con i vari campi del sapere. Andrebbe assai meno bene se i criteri direttivi e le linee divisorie che qui ho evocato venissero trascurati. Dalle sfide di straordinaria gravità che oggi incombono su tutti i sistemi politici si dovrebbe saper trarre anche questa lezione.

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La responsabilità del futuro

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n questo periodo di emergenza sanitaria legata alla diffusio- ne del coronavirus Sars CoV-2 abbiamo visto la figura degli scienziati prendere la scena mediatica e politica. La necessi- tà di percorrere scelte politiche guidate da una valutazione tecnico-scientifica si è imposta sull’orientamento politico-i- deologico. È da rilevare che il protagonista in questa crisi sanitaria non è il singolo ricercatore, ma è il tavolo tecnico, luogo dove il confronto tra esperti permette di elaborare in maniera ponderata una proposta scientifica basandosi sulle informazioni a disposizio- ne. Di fronte a nuove sfide, come quelle del Sars CoV-2, queste conoscenze vengono utilizzate per formulare valutazioni tecni- co-scientifiche e ipotesi di lavoro. Queste indicazioni dovrebbero emergere attraverso gruppi di lavoro che fungono da “corpi inter- medi” tra le migliaia di ricercatori competenti e gli organismi po- litici dei paesi. I gruppi di lavoro possono costituirsi all’interno

delle società scientifiche, degli albi professio- nali e delle Università, così pure intorno alle associazioni culturali. L’importanza di una rappresentanza della comunità scientifica sta nella capacità di fare sintesi, di diminuire l’e- mergere di soggettività di pareri e di rendere più polifonica l’elaborazione dell’indicazione

Bernard Fioretti

è ricercatore a tempo determinato e docente di Fisiologia presso l’Università di Perugia, già ricercatore postdoc presso il «Max Planck» Institute of Experimental Medicine di Göttingen, Germania. di Bernard Fioretti

La ricerca come

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