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5. La Santa Fabbrica del Vittoriale degli Italian

5.5. All’interno della Cittadella del Vittoriale

Valerio Terraroli, nella sezione intitolata Percorsi simbolici ed iniziatici all’interno della Cittadella dannunziana, contenuta ne Il Vittoriale: percorsi simbolici e collezioni d’arte di Gabriele D’Annunzio, illustra i significati simbolici della Cittadella dannunziana.

Egli mette in evidenza come, dalle acque del lago di Garda, la percezione visiva del complesso monumentale del Vittoriale degli Italiani si configura non solamente nella serie di archi, loggiati, pili e palazzi tinteggiati di giallo ideati dell’architetto Gian Carlo Maroni, ma soprattutto nella serie di terrazzamenti del terreno e nell’imponente prua della nave Puglia, ancorata alla montagna e sormontata a guisa di corona dal Mausoleo delle arche: «ultimo ricovero delle spoglie del poeta e dei legionari fiumani»376. Gli edifici, i viali di accesso, le piazze, le arcate e i giardini della dimora dannunziana non sono tuttavia solamente una cornice architettonico- arborea, una significativa porzione di territorio nella quale le asperità montuose, i dolci declivi e gli interventi umani contribuiscono a creare un mondo altro, ma sono soprattutto un percorso della memoria, un itinerario fisico-simbolico, un’esaltazione

375 Ivi, p. 57. 376

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delle allegorie dannunziane e del binomio, di matrice tardo rinascimentale, poesia- natura e artificio-natura.

Lo studioso sostiene che il processo accumulativo e ridondante che caratterizza l’interno della Prioria, la casa del poeta, si proietta anche negli spazi aperti, «ma decantandosi e aprendo relazioni più equilibrate sia dal punto di vista semantico, sia compositivo»377. L’insieme degli edifici, alternati ritmicamente da spazi aperti costruiti, piazze, slarghi, archi, e da spazi verdi, conosce un primo compimento soltanto alla fine degli anni Trenta, a ridosso della morte del poeta (1° marzo 1938), ma il progetto d’insieme e le concatenazioni simboliche sono già configurate nelle mente di D’Annunzio dal 1923, come si evince dall’atto di donazione:

considerandolo un testamento d’anima e di pietra, immune per sempre da ogni manomessione e da ogni intrusione volgare… Per ciò ardisco offerire al popolo italiano tutto quel che rimane a tutto quel che da oggi io sia per acquistare e per aumentare col mio rinnovato lavoro: non pingue retaggio di ricchezza inerte ma nudo retaggio di immortale spirito. Tutto infatti è qui da me creato e trasfigurato.378

Valerio Terraroli asserisce che che la Cittadella dannunziana, il «Palladio del Garda»379 come la definisce il Comandante, nasce dalla necessità di rinnovellare ed eternare l’alleanza tra il poeta-soldato e la nazione, mediante un luogo che restituisca, attraverso il perenne omaggio agli eroi, il senso della «città di vita»380, titolo già attribuito a Fiume, in una virtuale mescolanza tra l’acropoli delle città greche e i Sacri Monti della tradizione italiana postridentina. Secondo lo studioso, nello schema architettonico dell’acropoli il sodalizio D’Annunzio-Maroni individua l’idea di diversi livelli di disposizione degli interventi architettonici, la distribuzione strategica di sculture, are sacrificali (i pili, i luoghi della meditazione) ed ex novo (i massi provenienti dai monti della guerra, le armi, i proiettili); dalla struttura articolata delle cappelle-teatro dei Sacri Monti sei e settecenteschi nasce invece l’idea dei percorsi diversificati, ascensionali, che promuovono al contempo un atto di devozione e un percorso interiore, il quale, proprio agendo sul riaccendersi di

377 Ibidem. 378 Ibidem. 379 Ibidem. 380 Ibidem.

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sentimenti comuni e il rinsaldarsi delle memorie collettive, ottiene di fondere l’individuo con la massa e la massa con lo spirito profetico e tragico del Vate.

Valerio Terraroli afferma inoltre che ai due modelli si sovrappongono poi altri quattro espliciti riferimenti simbolici pertinenti all’insieme del Vittoriale. Il primo, di matrice medievale, interagisce con lo spazio dell’antico borgo di Gardone e con il paesaggio, configurandosi come una rocca, una cittadella isolata dal mondo esterno per mezzo di un’alta muraglia, eretta tra il 1927 e il 1930, nella quale le merlature sono sostituite da piccoli pilastri a parallelepipedo, mutuati da quelli presenti sulle muraglie di contenimento dei vigneti e delle limonaie a terrazze con lo scopo di reggere pali di legno e reticoli di metallo necessari al sostegno e alla copertura delle coltivazioni (ancora una volta l’architettura rurale assume una dignità monumentale). Un secondo motivo fonde i topoi cristiani del Golgota, il monte del sacrificio e della transustanzazione di Cristo, e del Santo Sepolcro, la caverna chiusa da una pietra monolitica, con la tipologia sepolcrale dei mausolei imperiali romani, da Augusto ad Adriano, ovvero un tumulo circolare delimitato da mura possenti, arcate e scalee, dando vita alla Collina degli Eroi, l’attuale spazio del Mausoleo (realizzato tra il 1938 e il 1944), sulla quale poggiavano, tra gli ulivi, le arche dei legionari fiumani caduti. Un terzo modello si riconosce negli echi della cultura celtica suggeriti dalla sistemazione dell’Arengo all’interno dei giardini privati della Prioria: il bosco sacro all’interno del quale sono collocati i monoliti sacri (le ventisette colonne simboliche) e il cerchio di pietra (l’Arengo appunto) nel quale si compiono riti notturni (i riti dannunziani del ricordo dei legionari caduti a Fiume e dei martiri della guerra); inoltre anche l’idea del sepolcro dei guerrieri che pare ancorato alla poppa di una nave pronta a salpare (la prua della nave Puglia incastonata nella collina) rimanda ai rituali del funerale vichingo nel quale le spoglie del capo si allontanano nelle acque dell’oceano su una nave da guerra. Un quarto riferimento, di più difficile identificazione, è quello legato ai temi della nave, del viaggio, del naufragio e dell’eterna partenza. Al di là della reale presenza di scafi, come la prua della nave Puglia e il MAS, non solo il Casseretto, l’abitazione-studio di Gian Carlo Maroni, mutua la propria denominazione dal linguaggio marinaresco che definisce così gli alloggi degli ufficiali disposti a poppa, ma i pili in pietra che scandiscono gli spazi del Vittoriale altro non sono che sostegni per alberi maestri di un’immaginaria gigantesca nave: gli altissimi pennoni lignei sui quali sono issati bandiere, vessili e

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gonfaloni, tra l’altro, come nel caso del Pilo del Piave, uniti da camminamenti, ponti e scalette in ferro come sulla tolda di una moderna nave da guerra. Inoltre anche gli edifici dei loggiati intorno al cortile Dalmata e le Torri degli Archivi, realizzate tra il 1934 e il 1937, si protendono verso il lago come parte di una gigantesca poppa di nave ammiraglia, virtualmente riconoscibile nelle vedute aeree del complesso monumentale.

5.6. All’interno della Prioria, il palazzo-clausura di Gabriele