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2. L’arte nelle opere di Gabriele D’Annunzio

2.4. L’arte simbolista nelle opere dannunziane dal 1903 al

Oltre a riferimenti al clima preraffaellita, Alcyone contiene anche numerosi riferimenti all’arte simbolista.

Alla fine dell’Ottocento il simbolismo si diffonde dapprima in Francia, dove è forte la componente mistico-esoterica, quindi in Austria e in Germania. D’Annunzio manifesta la sua predilezione per la pittura simbolista sia nelle cronache d’arte sia nelle opere letterarie, in modo particolare in quelle edite dal 1903 al 1907.

I riferimenti all’arte simbolista presenti nelle opere dannunziane sono stati esaustivamente messi in luce da Aldo Putignano nel suo articolo D’Annunzio e la pittura simbolista: un inedito confronto con Gustav Klimt.

Lo studioso asserisce che alcune caratteristiche di Alcyone (1903), opera in cui si registra una decisa maturazione del simbolismo dannunziano, come il continuo ricorso al mito, l’idea della sopravvivenza dell’artista attraverso l’arte e il culto di Orfeo, rappresentato con il capo mozzo, ben si inquadrano nelle scelte espressive del tempo di autori come il francese Gustave Moreau, il più appariscente e riconosciuto portavoce di questo simbolismo multiforme, che cerca nel passato mitico e nella lettura mitologica della storia il segreto di una comunicazione allusiva.

Aldo Putignano realizza un confronto tra la pittura di Gustave Moreau e la scrittura di Gabriele D’Annunzio e registra numerose concordanze.

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Ad una delle opere più celebri di Moreau, Ragazza tracia con la testa di Orfeo, rimanda infatti l’appunto «il capo di Orfeo su la sua lira»175 del taccuino 10 così come, nel ritrarre la Salomè del Convito di Erode di Filippo Lippi per il quarto sonetto, dedicato a Prato, in Elettra (secondo libro delle Laudi, edito nel 1903 da Treves), D’Annunzio mostra di conoscere la bellezza fatale e lussuriosa della danzatrice immortalata dal pittore:

La figlia d’Erodiade, apparita

al Tetrarca, in sua frode e in sua melode magica ondeggia: entro il bacino s’ode bollire il sangue della gran ferita. Frate Filippo, agli occhi tuoi la Vita danza come colei davanti a Erode, voluttuosa; e il tuo desìo si gode d’ogni piacer quand’ella ti convita.176

Il termine “apparita”, infatti, sembra un omaggio a L’apparition di Moreau nel quale la danza erotica di Salomè si completa nel cerchio luminoso dove splende il teschio ancora sanguinante del Battista.

Per alcuni critici, tra i quali Aldo Putignano e prima Fortunato Bellonzi, Salomè è l’archetipo dell’orientaleggiante Basiliola de La nave, una tragedia del 1907. Fortunato Bellonzi, nel suo articolo D’Annunzio e le arti figurali, asserisce:

E al gusto di un orientalismo fastoso, tra Bisanzio e Medio Oriente (i momenti storici del passato cui Moreau guardò di più), guarda anche D’Annunzio. Basterà pensare alla Basiliola sparvierata come il suo legno della Nave: ne troveremmo l’equivalente di una delle eroine di Moreau, anche se invece di essere una Basiliola è una Salomè in atto di danzare per la testa recisa del Battista. Poi, quanto c’è in Moreau di morboso e di sognato, di fuori e dentro la realtà, così visivamente definito e preciso (e anche toccante dell’alta qualità della pittura) fa pensare che forse D’Annunzio l’abbia veduto, fermo restando nell’aria europea di quel tempo un diffuso richiamo a certi valori di bellezza formale.177

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Aldo Putignano, D’Annunzio e la pittura simbolista: un inedito confronto con Gustav Klimt, «Critica letteraria», 2, 2006, p. 281.

176 Ivi, p. 281.

177 Fortunato Bellonzi, D’Annunzio e le arti figurali, «Quaderni del Vittoriale», 34-35, luglio-ottobre

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Ma l’ombra di Salomè si scorge anche in Alcyone, nell’ambiguo personaggio di Gorgo, la donna di Tanagra che «fustiga i miei spirti»178 e vuole danzare nuda per il poeta che la invita invece a coprirsi di un velo leggero da cui il suo ventre traspare «quasi onda che nasce»179, immagine che trova riscontro nel citato sonetto di Elettra.

Nel quadro Pasiphae, inoltre, Moreau si sofferma sul mostruoso accoppiamento fra Pasifae ed il toro, che sarà argomento di ampia parte del dannunziano Ditirambo VI di Alcyone. Il momento ritratto è quello della vestizione della donna che si appresta ad entrare nella carcassa preparata da Dedalo per permetterle l’orrido congiungimento. Il corpo della donna è lucente ed i suoi colori stridono con il paesaggio ombroso nel quale si distingue appena una figura umana ricurva su sè stessa che osserva la scena senza che la regina si curi di lei. Viene da pensare ad un passo del Ditirambo, affidato alla voce di Icaro:

Splendea divinamente

la sua carne quand’ella penetrava nel simulacro per imbestiarsi. Io chiuso in me riarsi.180

Proseguendo nel confronto tra le opere dannunziane e la pittura simbolista, Aldo Putignano afferma che tra i pittori della prima generazione simbolista anche Puvis de Chavannes potrebbe aver attirato la curiosità del poeta: le sue tre Fanciulle sulla riva del mare potrebbero infatti essere a buon diritto accostate alle tre sirene, Erigone, Aretusa e Berenice, de L’oleandro, in Alcyone.

Secondo lo studioso, d’altro canto D’Annunzio è ancora troppo legato al valore figurativo del simbolo, ad una bellezza che ha origini classiche, per rinunciarvi del tutto: anche nel rappresentare la mutazione egli raccoglie l’attimo e si sofferma nel descrivere e proprio in questo residuo figurativo, che permane anche nelle opere più affini al gusto simbolista, possiamo cogliere non solo un superamento della maltrattata figura umana di Moreau, quanto un avvicinamento alla pittura dei secessionisti d’Austria.

178 Aldo Putignano, D’Annunzio e la pittura simbolista: un inedito confronto con Gustav Klimt, cit., p.

282.

179 Ivi, p. 282. 180

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Nel caso di Gustav Klimt, infatti, si può parlare di un qualcosa di più di una semplice comunione di temi, come dimostra Aldo Putignano attraverso l’inedito confronto che realizza nel suo articolo tra la poesia dannunziana e la pittura klimtiana.

Per sviluppare questo parallelo, lo studioso prende in considerazione alcune opere del pittore austriaco, tutte composte tra il 1890 ed il 1899, e le mette a confronto con alcune liriche di Alcyone (1903).

Le opere prese in esame sono: Fanciulla di Tanagra (1890-1891), Fanciulle con oleandro (1890-1892), Acqua mossa (1898), Pallade Atena (1898), Teseo e il Minotauro (1898 - disegno per «Ver Sacrum», organo ufficiale della Secessione austriaca), Sangue di pesce (1898, per «Ver Sacrum»), Pesci d’argento (1899), Nuda Veritas (opera della quale esistono due versioni: un disegno, pubblicato sul numero di marzo 1898 di «Ver Sacrum», e un dipinto di grandi dimensioni dell’anno successivo).

Il confronto mette in evidenza alcune concordanze, come il ricordo delle “tanagrine” (l’ospite di Feria d’agosto «vien da Tanagra»181

, come la protagonista del dipinto Fanciulla di Tanagra), l’uso di simboli comuni, come l’oleandro, pianta sacra della poesia dannunziana, e la raffigurazione di Pallade Atena - simbolo della purezza, della castità e del carattere sacro dell’arte -, che nella battaglia tra Teseo e il Minotauro, dipinta dal pittore viennese, ricorda forme e significati del Ditirambo IV: il disegno infatti mette in primo piano un guerriero che guarda (Pallade Atena) come nella scena eroica della storia di Icaro, il cui sacrificio ha carattere sacro in quanto vuole ripristinare quella purezza che l’accoppiamento di Pasifae con il toro aveva contaminato.

In particolare La Nuda Veritas klimtiana appare molto simile alla raffigurazione dell’Estate del Ditirambo III e Stabat nuda Aestas: la Verità di Klimt è “nuda” e le sue membra sono “aeree” («nuda le aeree membra che riga il tuo sangue d’oro»182

, si legge nel Ditirambo III), in quanto i contorni del corpo non sono definiti e sono immersi in un tenue azzurro; poi il dipinto è rigato da linee color oro (innovazione tipica di Klimt), che richiamano alla mente anche la «schiena

181 Ivi, p. 284. 182

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falcata»183 di Stabat nuda Aestas; inoltre la figura femminile è «alzata»184 (Ditirambo III), ha il «piè stretto»185 (Stabat nuda Aestas), la pelle di un colore chiarissimo («quasi bianca vampa effusa»186, si legge in Stabat nuda Aestas) e «i capei fulvi»187 (Stabat nuda Aestas). Non c’è dunque alcun elemento della descrizione della figura dannunziana che non corrisponda all’icona klimtiana.

D’altronde il modello di donna, pallido ed evanescente, che la Nuda Veritas di Klimt pone al centro è conforme ai gusti preraffaelliti del poeta. Si guardi ad esempio il ritratto di Elizabeth Siddal dipinto da Dante Gabriele Rossetti nel quadro Beata Beatrix, più volte celebrato da D’Annunzio.

Infine nel dipinto Acqua mossa del 1898 Klimt svolge con straordinaria maestria il tema delle metamorfosi marine disegnando corpi di donne che si dissolvono fra le acque. L’opera, onirica e sensuale, propone un’inedita fusione di donna e natura che sembra anticipare lo scorrere dell’Onda alcyonia, «creatura viva / che gode / del suo mistero / fugace»188, presso il cui grembo si rinfresca la sirena Aretusa.

È necessario però verificare se D’Annunzio abbia avuto o meno la possibilità di vedere tali opere.

Secondo Aldo Putignano, un primo vero momento di contatto potrebbe essere la prima Biennale di Venezia, nel 1895, dove sono attribuiti due premi: uno a Francesco Paolo Michetti per La figlia di Iorio ed un altro a Giovanni Segantini per Il ritorno al paese natio. Nel 1896 Segantini si trasferisce in Austria, dove è accolto con grandi onori e scrive per «Ver Sacrum»; D’Annunzio ne segue la carriera e alla sua morte compone una laude, destinata ad Elettra, Per la morte di Giovanni Segantini, anticipata sul numero monografico de «Il Marzocco» dell’8 ottobre 1899.

Dal 7 al 10 ottobre D’Annunzio raggiunge a Vienna Eleonora Duse, già inserita negli ambienti culturali del tempo: solo pochi giorni ma sufficienti a stimolare la curiosità del poeta verso gli artisti più in voga del momento. In particolare D’Annunzio potrebbe aver avuto in quest’occasione un primo accesso a «Ver Sacrum», dove vi

183 Ibidem. 184 Ibidem. 185 Ibidem. 186 Ibidem. 187 Ibidem. 188 Ivi, p. 287.

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erano scritti di Segantini, che muore in quei giorni, e il disegno della Nuda Veritas. Difficile poi che non abbia visto la raffigurazione di Teseo e il Minotauro, utilizzata come manifesto della prima Mostra della Secessione viennese del 1898, evento di assoluta grandezza nel panorama artistico europeo. Nel ritornare a Settignano, inoltre, D’Annunzio si ferma a Venezia dove, alla Biennale, è esposta fino al 31 ottobre Acqua mossa.

Ad inizio aprile 1900 D’Annunzio ritorna ancora a Vienna e questa volta si ferma diverso tempo, fino al 29, data in cui, sempre in compagnia della Duse, si reca in Germania. In quest’occasione D’Annunzio ha la possibilità di vedere dal vivo tutte le opere prese in esame da Aldo Putignano, compresa la Nuda Veritas, ed incontrare Hermann Bahr, critico austriaco e amico di Klimt.

È interessante e necessario mettere in evidenza che, nonostante questi punti di contatto, D’Annunzio non fa parola di Klimt in nessuno dei suoi tanti scritti, neppure in lettere private o taccuini. Questo silenzio è stato generalmente interpretato come un segno di assoluto disinteresse. Non bisogna dimenticare però che, a partire dagli ultimi anni dell’Ottocento, il silenzio di D’Annunzio riguarda non solo Klimt ma tutti i principali artisti figurativi del suo tempo, con rare eccezioni.

Il silenzio dannunziano su Klimt, secondo Aldo Putignano, si giustifica però anche in relazione alla scarsa condiderazione rivolta in quegli anni dagli ambienti culturali italiani verso il maestro viennese. Quando successivamente la situazione cambia, i legami tra D’Annunzio e la cerchia degli intellettuali austriaci che lo avevano apprezzato (Hermann Bahr e Hugo von Hofmannsthal, un altro scrittore della cerchia di «Ver Sacrum», in primis) si sono già allentati e, nell’imminenza della guerra, nessuno vorrà tornare indietro.

2.5. L’arte veneziana quattro-cinquecentesca e l’apporto dei