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4. Gabriele D’Annunzio e gli artist

4.5. Gli artisti del Vittoriale

Negli anni successivi al 1915, quando D’Annunzio si trasforma prima in un combattente con una forte propensione alle gesta eroiche e poi in un volontario recluso al Vittoriale, l’interesse per la pittura e per le altre arti muta di segno.

Nonostante ciò, i rapporti con i pittori non vengono meno. Al Vittoriale, nel 1924, viene chiamato il pittore Guido Cadorin per decorare gli ambienti secondo le indicazioni del poeta: tra i due i rapporti diventano amichevoli, anche se due anni prima non aveva avuto successo il tentativo, esperito dal pittore con i colleghi Mario Marenesi, Astolfo De Maria e Bortolo Sacchi, di ottenere l’appoggio dannunziano per una costituenda associazione di artisti. Il fatto è che, sempre più spesso, D’Annunzio è preso da un senso di sconforto e di vuoto: se si rivolge agli artisti, è perché lo accontentino nel rendere più decorata la sua residenza e perché ornino, presso Pescara, il sepolcro della madre (questa è la commissione ricevuta da Sartorio poco prima di morire).

Nel 1921 il poeta acquista la villa di Cargnacco a Gardone Riviera. Vi si stabilisce subito e, pensandola come dimora permanente e definitiva, decide di trasformarla e di ricostruirla a propria immagine e somiglianza. Avvia un cantiere, che resterà sempre aperto, per opere incessanti di restauro, ampliamento e migliorie. Chiama a raccolta architetti e decoratori. Si serve degli amici artisti per abbellire la propria casa e tutti partecipano all’impresa di buon grado.

Irene De Guttry, nella sezione intitolata Il superfluo mi è necessario come il respiro, contenuta nel catalogo D’Annunzio e la promozione delle Arti, asserisce che lavorare per D’Annunzio è per questi artisti un onore, un segno di prestigio. Gian Carlo Maroni presiede alle opere architettoniche e disegna i mobili. Guido Cadorin e Guido

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Marussig curano l’arredo e il decoro di alcune stanze. Mariano Fortuny e Vittorio Ferrari forniscono le stoffe, Napoleone Martinuzzi le lampade e gli oggetti in vetro, Renato Brozzi i piatti in argento e sculture grandi e piccole. Pietro Chiesa esegue le vetrate e Alessandro Mazzucotelli le opere in ferro battuto. Si tratta di un campionario di artisti eccellenti, i più affermati e i più affidabili. D’Annunzio li sollecita, li tempesta di affettuose lettere, piene di richieste, e li blandisce. Come afferma la studiosa, egli riserva loro quelle lodi superlative che a lui stesso piacciono tanto: «io ho quel che ho donato»337 è uno dei suoi motti preferiti.

Rossana Bossaglia, nella sezione intitolata D’Annunzio e gli stili, contenuta nel catalogo D’Annunzio e la promozione delle Arti, sostiene che sono artisti che recano tracce vistose dell’educazione secessionista e sviluppano uno stile più secco, insieme meno descrittivo e più oggettivo, rispetto ai contemporanei di altre scuole; inoltre essi sono artisti che hanno superato il Liberty e, se coltivano la decorazione, lo fanno con il freddo garbo del stile 1925 (successivamente ribattezzato Art déco). D’Annunzio si trova a suo agio con loro, e non per pigrizia, bensì per scelta.

Tra di loro hanno maggiore consuetudine con il poeta Gian Carlo Maroni, Guido Cadorin, Guido Marussig e Napoleone Martinuzzi.

Gian Carlo Maroni nasce a Trento nel 1893. Nel 1919 prende il diploma in architettura a Milano e, con il fratello Ruggero, laureatosi ingegnere, inizia una vasta opera di ricostruzione e di progettazione di nuovi edifici, sia pubblici che privati, a Riva del Garda.

Nel 1921 il legionario rivano Giuseppe Piffer lo presenta a Gabriele D’Annunzio, da poco trasferitosi nella tenuta di Cargnacco, che gli commissiona la progettazione di un grandioso monumento dedicato all’epopea fiumana da erigersi a Maderno sul Garda e mai realizzato. Con il fratello Ruggero si occupa dei primi urgenti lavori di risistemazione della villa di Gardone Riviera e poi, dal 1923, diviene esecutore materiale, il progettista e il creatore, accanto al poeta, del Vittoriale degli Italiani, lavoro che lo assorbe quasi totalmente.

337 Rossana Bossaglia et al. (a cura di R. B. e Mario Quesada), D’Annunzio e la promozione delle Arti,

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Valerio Terarroli all’interno della sezione intitolata Gian Carlo Maroni e la “Santa Fabbrica” del Vittoriale dal 1922 al 1938, contenuta ne Il Vittoriale: percorsi simbolici e collezioni d’arte di Gabriele D’Annunzio, asserisce che, nel lungo sodalizio tra il poeta abruzzese e l’architetto trentino, il rapporto personale subisce una metamorfosi che capovolge negli anni i rapporti di forza. All’inizio, dal 1921, il rapporto è di sudditanza psicologico-culturale da parte del giovane progettista, poi verso la fine degli anni Venti le relazioni si fanno più confidenziali e il ruolo di Maroni all’interno dei difficili equilibri della “corte” del Vittoriale si fa sempre più forte e decisivo, sino a diventare nei pieni anni Trenta il factotum, segretario ed economo, della comunità dannunziana, oltre che architetto e soprintendente della “Santa Fabbrica” (dal 1937), assumendo infine l’incarico di essere unico portavoce del poeta.

Guido Cadorin nasce a Venezia il 6 giugno 1892 ed è noto soprattutto come pittore del gruppo di Ca’ Pesaro.

Nel 1922 inizia l’amicizia con Gabriele D’Annunzio, che lo porterà a lavorare al Vittoriale. Non appena il poeta incomincia a pensare alla decorazione del complesso, Guido Cadorin diventa l’artista più impegnato in questa vicenda e più profondamente connesso con la caratterizzazione di gusto che il Vittoriale andrà assumendo nelle mani dell’architetto Gian Carlo Maroni. Nel 1924 Cadorin è convocato a Gardone Riviera, dove D’Annunzio gli commissiona la decorazione della stanza del Misello, cioè la camera da letto del poeta, architettata e studiata nel suo complesso da Maroni e decorata in assoluta intesa con le prescrizioni del poeta dal pittore veneziano. Qui l’artista sembra portare al massimo livello espressivo le qualità di decoratore che già numerose volte aveva dimostrato: l’impiego delle antiche tecniche artigianali della lacca, dei pannelli dipinti nei soffitti e delle vetrate, rende questo ambiente uno dei più omogenei ed affascinanti del Vittoriale. A Cadorin si devono, oltre al soffitto a pannelli raffiguranti figure femminili su un fondo oro, anche la progettazione di vetrate con figure di sante e il ritratto del poeta.

Rossana Bossaglia, nel suo articolo D’Annunzio e gli artisti delle Venezie, asserisce che dal carteggio intercorso tra D’Annunzio e Cadorin emerge un rapporto molto intenso tra le due personalità fino al 1925. La studiosa afferma che Cadorin conosce direttamente D’Annunzio nel 1922 o forse qualche anno prima e esegue lavori nella stanza del Misello fra il 1924 e il 1925, per poi allentare i rapporti con il poeta, o a

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causa di una caduta d’interesse da parte di quest’ultimo o perché egli stesso è travolto da altre incombenze e trascinato verso Roma dai suoi impegni con Marcello Piacentini. Rossana Bossaglia asserisce che le lettere sono molto interessanti soprattutto come testimonianza della cura con cui D’Annunzio seguiva l’esecuzione della camera da letto, dove il letto-bara è decorativamente funereo e fra l’altro, pur essendo con chiarezza conformato come una bara, corrisponde esattamente al disegno degli astucci per boccette di profumo che Adolfo De Carolis disegna in quegli stessi anni per il poeta. La stanza del Misello ha una caratterizzazione déco molto forte che si esemplifica nel ritratto del poeta realizzato da Cadorin, dove D’Annunzio è figurato come un lebbroso.

Guido Marussig, di origini triestine (nasce a Trieste nel 1885) ma di formazione veneta, è attivo a partire dagli anni Dieci nell’ambito della pittura da cavalletto, della decorazione, della grafica e della scenografia. Nel 1900 si trasferisce a Venezia, dove segue un corso di pittura e diviene sodale di molti artisti, in particolare di Guido Cadorin.

Egli entra nell’orbita dannunziana a partire dal 1922 e diviene il fedele esecutore di molti apparati decorativi del Vittoriale, dal cartone per la vetrata di San Giusto fino ai pannelli parietali e da soffitto della stanza del Giglio, dell’andito dell’Oratorio dalmata, della stanza del Monco, della scala di Giobbe, del Bagno blu, della stanza di Leda e della veranda dell’Apollino.

Napoleone Martinuzzi nasce a Murano, un’isola della laguna veneta, il 31 maggio 1892. È scultore e maestro vetraio, cresciuto nell’ambito della cultura simbolista e tardo liberty di Venezia.

Nei primissimi anni Venti, entrato nell’orbita dannunziana, inizia a operare contemporaneamente nell’ambito della scultura monumentale, nella quale mostra chiare ascendenze di matrice secessionista e tedesca, ma virate in forme neomichelangiolesche, e nell’ambito della creazione vetraria, diventando nel 1923 direttore del Museo vetrario di Murano e dal 1924 direttore artistico della manifattura Venini. E proprio dalla Venini arrivano al Vittoriale le decine di frutti, canestri, zucche, animali fantastici, vasi, coppe, servizi di bicchieri, servizi da tavola in vetro soffiato, elefanti, orsi, piante di cactus in pastra di vetro e splendidi lampadari. La produzione di Martinuzzi per il Vittoriale non è soltanto di oggetti di arredo, ma è

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soprattutto scultorea: egli realizza la Canefora, ora sistemata nel frutteto, e la Vittoria, ora collocata nell’Arengo del Vittoriale, della quale il poeta parla in una lettera con questa espressione: «La bella Vittoria che protegge ora la vecchia casa»338.

Rossana Bossaglia, nel suo articolo D’Annunzio e gli artisti delle Venezie, asserisce che D’Annunzio intrattiene con il vetraio Napoleone Martinuzzi e il pittore Guido Cadorin scambi epistolari in cui mostra di tenere nella più alta considerazione la maestria tecnica dei due veneziani, indicati nelle lettere del 1924 e 1925 con i nomignoli di “fra Napè” e “fra Guidotto”, rispettivamente Martinuzzi e Cadorin. Dal canto loro, questi ultimi nel 1929 manifestano al poeta la loro ammirazione per la sua opera di mecenate e collezionista dichiarando:

Vediamo rivivere lo spirito e la forma regale degli artefici della Gloria della Serenissima. In Lei sempre più si realizza la continuazione naturale di questo spirito e pensiamo che se la Repubblica non fosse morta e si fosse continuato in Palazzo Ducale a decorare e trasformare delle sale per il gusto moderno, si sarebbe certamente fatto così; con quello stile così antico e moderno nello stesso tempo.339

338 Rossana Bossaglia, D’Annunzio e gli artisti delle Venezie, D’Annunzio e Venezia, «Atti del

convegno» (28-30 ottobre 1988) a cura di Emilio Mariano, Lucarini, Roma, 1991, p. 312.

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