3. Gabriele D’Annunzio e la rinascita dell’editio picta
3.3. Le edizioni illustrate delle opere dannunziane dal 1892 al
A partire dal 1889 D’Annunzio affida la pubblicazione delle sue opere a Treves, la cui casa editrice ha sede a Milano. Il piacere, che è il primo volume che
273 Susanna Scotoni, D’Annunzio e l’arte contemporanea, cit., p. 45. 274 Ibidem.
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D’Annunzio pubblica con Treves, esce senza illustrazioni, se si eccettua il fac-simile dell’incisione Lo Zodiaco, eseguita da Sartorio, firmata come il protagonista del romanzo e messa in vendita per pubblicizzare l’uscita del volume. Ma per il successivo testo affidato a Treves, L’Isotteo, il poeta ha già chiare e precise richieste: il testo deve avere copertina del giovane Alfredo Ricci, già tra gli illustratori dell’Isaotta Guttadauro, e deve recare «la figura della Primavera che è nell’allegoria di Sandro Botticelli»276. La morte improvvisa del Ricci vanifica la scelta del poeta, ma resta preciso il segno di un gusto ormai chiaramente affine a quello del cenacolo dei preraffaelliti romani presieduto da Sartorio.
Ed è appunto Sartorio a fornire, poco dopo, nel 1892, l’illustrazione che precede L’innocente (terzo romanzo del poeta), la quale tuttavia non risolleva le sorti tipografiche del libro, rifiutato da Treves e mediocremente stampato da Bideri: «una doppia pagina dal cupo soggetto, un Cristo in croce, una candela prossima a spegnersi, che ben si adegua all’altrettanto cupa vicenda di Tullio Hermil»277
.
A Sartorio sono commissionate anche le illustrazioni per L’invincibile (che poi assumerà il titolo di Trionfo della morte nel 1894) e quelle per il Poema paradisiaco (1893). Susanna Scotoni, nel suo saggio D’Annunzio e l’arte contemporanea, asserisce che in queste illustrazioni il Sartorio «tentava l’argomento letterario dell’arte intesa come chimera e traduceva questa idea di pennellate torbide e impastate, che sommergevano fra grigi sporchi e illuminazioni subitanee i ricordi dell’arte antica e davano loro l’apparenza di monumenti decrepiti e spettrali»278
. Anche il Michetti risulta attratto da questi aspetti in Mysterium, la creatura appassionata e inquietante, che orna l’edizione del rinnovato Intermezzo nel 1894.
Nel 1894, in occasione della pubblicazione definitiva dell’Intermezzo, in cui D’Annunzio ripubblica, in una seconda edizione, ampliata e riveduta, parte delle poesie raccolte nel 1883 con il titolo di Intermezzo di rime, il poeta scrive a Michetti:
C’è ora in questo libro un significato di tristezza quasi pubblica […] vorrei che tu mi facessi un disegno da premettere al libro. Tu hai compreso come
276 Rossana Bossaglia et al. (a cura di R. B. e Mario Quesada), D’Annunzio e la promozione delle Arti,
cit., p. 61.
277 Ivi, p. 62. 278
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nessun’altro la terribilità distruttiva della donna […] vorrei un volto gorgoneo sopra un fondo simbolico. Sarebbe una gemma preziosissima per il mio libro, una specie di suggello funebre […] tu hai compreso, credo, lo spirito del libro. È la geremiade del giovane su cui pesa la fatalità dell’amore distruttivo.279
Riguardo al concetto dell’amore distruttivo il poeta scrive proprio nell’edizione del 1883 dell’Intermezzo di rime: «La giovinezza mia barbara e forte / in braccio delle femmine si uccide»280. La Gorgone michettiana sarà tempestivamente eseguita: sotto il titolo di Mysterium, una figura femminile dallo sguardo allucinato mostra il virgulto appena reciso con la falce che stringe il pugno, simbolo del suggello funebre appunto richiesto dal poeta.
Come afferma Patrizia Rosazza Ferraris, nella sezione intitolata D’Annunzio e la rinascita dell’editio picta, contenuta nel catalogo D’Annunzio e la promozione delle Arti, un primo vero momento di autentica raffinatezza editoriale si ha nel 1895, quando appare il «Convito», la rivista diretta da Adolfo De Bosis, alla quale D’Annunzio collabora, non solo pubblicandovi i suoi testi, ma anche contribuendo alla definizione della linea teorica della rivista stessa. Sul «Convito», la cui veste grafica è studiata dal Cellini, compare a puntate, nei primi mesi del 1895, Le vergini delle rocce, con tavole di Morani e di Sartorio. La particolare cura con cui la rivista viene preparata, dal tipo di carta alla nitida composizione dei caratteri e al buon livello delle illustrazioni, consente di rilevare un salto qualitativo nel livello delle pubblicazioni dei testi del poeta.
Ancora nel 1895 un ulteriore, piccolo ma raffinato contributo del Cellini all’editoria dannunziana è l’impresa Multa renascentur, stampata dall’editore fiorentino Poggi sulla copertina de L’allegoria dell’autunno, il discorso tenuto dallo scrittore in occasione dell’inaugurazione della prima Biennale veneziana, nel 1895.
Trasferitosi a Settignano, nel 1898, la consuetudine di D’Annunzio con gli artisti romani inevitabilmente si attenua. A Firenze si reca però, nel 1901, anche Adolfo De Carolis, allievo di Alessandro Morani, socio del gruppo In Arte Libertas e di conseguenza adepto del cenacolo preraffaellita romano. È a lui che D’Annunzio
279 Rossana Bossaglia et al. (a cura di R. B. e Mario Quesada), D’Annunzio e la promozione delle Arti,
cit., p. 62.
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sceglie di rivolgersi all’atto della prima messa in scena e poi dell’edizione del testo della Francesca da Rimini, una tragedia pubblicata da Treves nel 1902. Patrizia Rosazza Ferraris, nella sezione intitolata D’Annunzio e la rinascita dell’editio picta, contenuta nel catalogo D’Annunzio e la promozione delle Arti, ritiene necessario precisare che questo della Francesca da Rimini sia il primo vero caso di autentica grafia editoriale legata all’attività del poeta. La studiosa mette in evidenza che fino ad allora sono prodotte isolate illustrazioni e rari frontespizi e solo nel caso dell’Isaotta Guttadauro si ha un primo organico tentativo di collegare testo e immagini, ma è con la Francesca da Rimini che si assiste all’ambizioso progetto di fondere in un unicum tutte le parti del libro: caratteri, materiali, tecnica delle illustrazioni e impaginazione. Questi elementi contribuiscono a legare insieme testo ed immagini, sulla falsariga di quanto stava facendo in Inghilterra la Kelmscott Press di Morris e Burne-Jones.
Il volume, subito notato dai bibliofili e assai lodato per «la perfetta nitidezza e leggiadria di proporzioni»281 e «la grande euritmia generale»282, apre la serie di quelle edizioni che, organicamente illustrate sia da Adolfo De Carolis sia da Giuseppe Cellini, caratterizzano la produzione dannunziana nel primo decennio del nuovo secolo, fino agli anni della guerra.
Autore materiale di questo nuovo rinascimento del libro è la casa editrice Treves, alla quale si deve, tra l’altro, la pubblicazione, sempre nello stesso periodo, delle opere del Pascoli, ancora con illustrazioni del De Carolis.
In questi anni d’intensissima produzione, D’Annunzio riserva in linea di massima al De Carolis le illustrazioni dei suoi testi teatrali, la Francesca da Rimini (1902), La figlia di Iorio (1904), La fiaccola sotto il moggio (1905) e la Fedra (1909), con l’eccezione de La nave (1908), affidata a Duilio Cambellotti che ne è anche scenografo, e al Cellini quelle per le poesie (i primi tre libri delle Laudi) e le prose (Forse che sì, forse che no). Molto probabilmente tale divisione è giustificata dal fatto che il De Carolis in quegli anni collabora, oltre che alla Francesca da Rimini, anche ad altri allestimenti teatrali, con soddisfacenti contaminazioni tra scene e illustrazioni.
281 Ibidem. 282
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Stefano Fugazza, nella sezione intitolata De Carolis e D’Annunzio, contenuta in Pagine sull’arte, prende in esame le illustrazioni realizzate da Adolfo De Carolis per i testi teatrali dannunziani. Lo studioso afferma che la prima opera decarolisiana per D’Annunzio - i disegni per la Francesca da Rimini, commissionati nel 1901 -, pur risentendo di una tipologia preraffaellita, allude al Liberty «per il movimento lineare consentito dall’esito grafico»283: basti pensare all’ultima figura dove l’unico
elemento rettilineo è rappresentato da una lunghissima spada retta da un angelo. Un caso a parte è costitituito da La figlia di Iorio (1904), per la quale D’Annunzio pare non esser stato troppo costruttivo. Qui l’artista utilizza per la prima volta la tecnica xilografica (cioè un procedimento di stampa con matrici lignee, incise a rilievo) e tende, conformemente all’atemporalità e alla sacralità della tragedia, a un certo arcaismo di rappresentazione.
In Fedra (1909) le figure si fanno già più classicheggianti e in copertina un possente eroe michelangiolesco lotta con un gigantesco cavallo, ma intervengono le solite complicazioni liberty, sicché, come afferma Renato Barili nel catalogo Il Liberty a Bologna e nell’Emilia Romagna del 1977, «se l’opulenza cinquecentesca dei corpi è troppo piena per poter essere annullata, [De Carolis] ne riduce l’escrescenza a sottili ghirigori di pieghe, esattamente come succede a un animale schiacciato sull’asfalto; o, se si preferisce un paragone più gentile, a un fiore conservato tra le pagine di un volume ponderoso»284.
Via via però il De Carolis si sostituisce al Cellini anche nella realizzazione delle illustrazioni per le poesie e per le prose. A lui infatti sono commissionate sia le illustrazioni per Merope, il volume finale delle Laudi, edito da Treves nel 1912, sia quelle per le riduzioni in edizione economica che vengono progressivamente fatte dei quattro libri. Patrizia Rosazza Ferraris, nella sezione intitolata D’Annunzio e la rinascita dell’editio picta, contenuta nel catalogo D’Annunzio e la promozione delle Arti, afferma che le cause di questa predilezione vanno ricercate da un lato nella precisa fedeltà con cui De Carolis si attiene alle istruzioni del poeta, mentre Cellini spesso cerca di modificare le sue indicazioni, e dall’altro nel progressivo allontanamento dell’artista romano dal scrittore abruzzese, di cui non condivideva più il tumultuoso stile di vita.
283 Gabriele D’Annunzio, Pagine sull’arte, cit., p. 115. 284
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Susanna Scotoni, nel suo saggio D’Annunzio e l’arte contemporanea, esamina le illustrazioni realizzate da Giuseppe Cellini e da Adolfo De Carolis per le Laudi del cielo, del mare, della terra e degli eroi. La studiosa asserisce che in questa occasione si ribadisce ancora la prevaricazione di D’Annunzio sui propri illustratori. Sia Giuseppe Cellini, impegnatosi nella prima edizione, sia il giovane Adolfo De Carolis, impegnatosi nell’edizione economica, si sottopongono al compito di fornire elaborazione visiva elevata ai temi del poeta. Ma il primo opera una ripresa estrema del preraffaellismo sottilmente evocativo della sua formazione e filtra i rimandi all’incisione del Rinascimento tedesco, attraverso la squisitezza della grafica inglese. Il secondo invece mostra immagini quasi statuarie: «assume un’ampiezza levigata di forme, riferibile a espressioni sintetiche, come quelle di Maurice Denis e di Aristide Maillot, e dunque a una cultura che avrebbe avuto ulteriori esiti nei primi decenni del Novecento»285.
La collaborazione di De Carolis con D’Annunzio, intensa soprattutto nel primo decennio del Novecento, si conclude con le xilografie per il Notturno, edito da Treves nel 1921.