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Gabriele D’Annunzio, Maroni e la “Santa Fabbrica” del Vittoriale

5. La Santa Fabbrica del Vittoriale degli Italian

5.4. Gabriele D’Annunzio, Maroni e la “Santa Fabbrica” del Vittoriale

Durante i diciasette anni in cui Gabriele D’Annunzio vive a Gardone, ma anche oltre la sua morte, la tenuta di Cargnacco, divenuta dal 1923 il Vittoriale degli Italiani, ha l’aspetto di un cantiere in perenne attività.

Valerio Terraroli, nella sezione intitolata Gian Carlo Maroni e la “Santa Fabbrica” del Vittoriale dal 1922 al 1938, contenuta ne Il Vittoriale: percorsi simbolici e collezioni d’arte di Gabriele D’Annunzio, definisce il complesso:

una fucina nella quale gli elementi del linguaggio architettonico e decorativo si mescolano e si sovrappongono creando inedite relazioni tra di loro e con il paesaggio circostante, come un’opera letteraria che non trovi mai un aspetto stabile e definitivo.361

Lo studioso asserisce che la trasformazione da residenza privata a teatro del mondo, un teatro della memoria collettiva e insieme individuale, ha comportato inevitabilmente il sovrapporsi e il fondersi di due diverse vicende biografico- culturali: da un lato il poeta, il quale non solo ha già tracciato nella propria mente lo schema generale del «Theatrum de vivis lapidibus»362, i percorsi e le associazioni simboliche, ma propone continuamente soluzioni progettuali; dall’altro il giovane architetto, di formazione accademica, ma sensibile ai mutamenti del gusto, al quale viene affidato il compito di dar forma alle idee e di renderle reali attraverso le strutture architettoniche.

Un’esaustiva analisi del rapporto tra il poeta abruzzese e l’architetto trentino è fornita da Valerio Terarroli all’interno della sezione intitolata Gian Carlo Maroni e la “Santa Fabbrica” del Vittoriale dal 1922 al 1938, contenuta ne Il Vittoriale: percorsi simbolici e collezioni d’arte di Gabriele D’Annunzio.

Lo studioso afferma che nel lungo sodalizio tra il poeta e l’architetto Gian Carlo Maroni, «costellato da slanci affettuosi, da puntature isteriche, da amore fraterno e

361 Valerio Terraroli, Il Vittoriale: percorsi simbolici e collezioni d’arte di Gabriele D’Annunzio, cit.,

p. 29.

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filiale»363, il rapporto personale subisce una metamorfosi che ribalta nel tempo i rapporti di forza. All’inizio, dal 1921, il rapporto è di sudditanza psicologico- culturale da parte del giovane progettista, poi verso la fine degli anni Venti le relazioni si fanno più confidenziali e il ruolo di Maroni all’interno dei complessi equilibri della “corte” del Vittoriale si fa sempre più forte e determinante, sino a divenire nei pieni anni Trenta il factotum, segretario ed economo, della comunità dannunziana, oltre che architetto e soprintendente della “Santa Fabbrica”, assumendo infine il compito di essere unico portavoce del Vate.

L’incontro tra i due avviene nell’estate del 1921 tramite il legionario trentino Giuseppe Piffer e probabilmente per i buoni uffici del fratello di Gian Carlo, Ruggero Maroni, già attivo in villa Thode per i primi urgenti interventi di ristrutturazione della nuova residenza dannunziana. Il giovane architetto, volontario in guerra dal 1915 e decorato con la medaglia d’argento, diplomatosi all’Accademia milanese di Brera in disegno architettonico, non solo è imbevuto di miti dannunziani, accesi dal discorso di Quarto dei Mille e dalle imprese eroiche del Comandante, ma si identifica nel valore innovatore dell’“architettura rustica” sostenuta sia da D’Annunzio, sia da Marcello Piacentini, con l’obiettivo di riscostruire nel paesaggio una sorta di unitarietà riannodando i fili, spezzati dalla storia e dagli eventi bellici, tra architettura moderna e preesistenze storiche, attraverso mirati interventi di restauro e di progettazione.

Valerio Terarroli dichiara in merito all’architetto trentino:

Egli individua negli edifici a duplice o triplice ordine di logge rivolte verso il lago, con archi a tutto sesto, la più tipica espressione dall’architettura benacense, accanto ai pilastri quadrangolari ideati per sostenere le coperture delle cedraie e delle limonaie sui terrazzamenti artificiali a mezza costa: si tratta di lemmi architettonici che, con poche varianti e aggiustamenti, rientrano perfettamente nella nuova impronta classicheggiante assunta dal dibattito architettonico contempoeaneo.364

D’altro canto Gabriele D’Annunzio, approdato sul Garda, riscopre il paesaggio italico e ne riconosce le potenzialità atte ad esaltare, in un’operazione trasfigurante, gli atti eroici e il mito della nazione, attraverso la costruzione di un Palladio, di una

363 Ibidem. 364

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«nuova città di vita»365, nella quale immagina appunto che un «ordine paesano accordi il pilastro quadro della cedraia e l’arco intero del palazzo pretorio»366

. Il giovane Gian Carlo Maroni gli sarà sempre fedelmente a fianco in una relazione esclusiva, giocata su un perenne alternarsi di gratificazioni e tensioni emotive, testimoniato dal fitto carteggio intercorso negli anni tra i due, nel tentativo di dare corpo e forma singolare ai sogni del Comandante.

L’acquisto della proprietà nel novembre del 1921 testimonia un repentino mutare delle intenzioni da parte del neoproprietario: dalla semplice sistemazione della settecentesca casa Thode per un breve soggiorno a un ambiente “metamorfizzato” con un lessico eclettico, tra reminescenze neorinascimentali ed episodi déco. Le ambizioni progettuali del poeta sembrano inizialmente relegare l’architetto al ruolo di tramite e di interprete dei suoi desideri, tuttavia la personalità di Maroni e i risultati del lungo sodalizio si aprono a interpretazioni più articolate, poiché il dare e l’avere tra committente e progettista risulta alla fine complesso e stratificato.

Stabilitosi a Cargnacco agli inizi del 1922, Gian Carlo Maroni si sistema con il fratello Ruggero nella casa colonica (battezzata dal poeta Porziuncola), appena sgomberata e collocata a fianco della casa padronale, divenuta da pochissimo la Prioria. Qui dapprima insieme, poi già in quell’anno da solo, egli elabora disegni, prospetti, planimetrie, schizzi e soluzioni formali che vengono successivamente approvati in via definitiva dal committente.

Del resto D’Annunzio ha espresso pochi giudizi sull’architettura sia in merito al proprio ultimo rifugio, sia in senso generale, toccando il problema essenzialmente nei casi in cui si tratti di manipolare e trasformare l’esistente o di adottare soluzioni scenografiche specifiche, ma mai con indicazioni di merito sulle costruzioni ex novo. Inoltre, come dichiara Valerio Terraroli, lo stesso Maroni è coinvolto per via indiretta all’evolversi del dibattito architettonico nel primo dopoguerra:

partecipando a quella temperie culturale, di matrice milanese, che tende a semplificare i modelli rispetto sia all’enfasi retorica dell’eclettismo di ritorno, sia alla ripetizione delle ormai obsolete e ridondanti formule moderniste,

365 Ibidem. 366

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mantenendosi in equilibrio ed equidistante dall’incipiente razionalismo, su una linea che riconosce nello stile la propria ragion d’essere, uno stile che sa muoversi tra il neosecessionismo del milanese De Finetti e del veneziano Brenno Del Giudice, il neoclassicismo di Muzio e una radice di purismo novecentista che deve sempre fare i conti con le scelte eclettiche e di sensuale, colorito decorativismo di Gabriele D’Annunzio.367

All’inizio delle attività progettuali e costruittive, c’è un impegno specifico nella ridecorazione interna della Prioria e una prima sistemazione nei giardini di alcune reliquie di guerra, «presenze simboliche atte a modificare da subito la percezione del giardino trasformatosi da luogo di smemorate delizie in un luogo sacro di meditazione e rimembranza»368.

I lavori interni proseguono per tutto il 1922 con una serie di interventi che modificano poco o nulla la struttura preesistente e si orientano a rivestire le pareti e a predisporre gli arredi in modo da “metamorfizzare” radicalmente l’atmosfera che da quietamente borghese viene assumendo l’aspetto e la sacralità di un antico convento.

Tra il 1923 e il 1926 la Prioria e le sue dipendenze, il portico del Parente, il cortile degli Schiavoni e i giardini, sono nella sostanza completati. In particolare tra il 1924 e il 1925 è progettata e conclusa la stanza del Lebbroso o del Misello o dei Sonni puri, aggiunta all’originale corpo di fabbrica di villa Thode con lo scopo di chiudere il primitivo cortile aperto verso la valletta del rivo dell’Acqua pazza. La stanza, pensata come luogo mistico di meditazione in particolari circostanze e anniversari, ma anche come «Theatrum mortis»369, vera e propria camera funeraria per l’esposizione del corpo-reliquia del poeta, è l’unico ambiente del Vittoriale, se si esclude la successiva stanza di Cheli, compiutamente déco, nato da un progetto unitario, ex novo, e dalla compresenza di artisti di gusto moderno e di cultura omogenea: Guido Cadorin per i dipinti e i cartoni delle vetrate, Napoleone Martinuzzi per i modelli delle lampade e Pietro Chiesa per le vetrate preziose.

Nel dicembre del 1923 Gabriele D’Annunzio dona allo Stato quello che da allora è nominato il Vittoriale degli Italiani, «coinvolgendo le pubbliche istituzioni in

367 Ivi, p. 32. 368 Ivi, p. 34. 369

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un’infinita gara al rialzo poiché il dono sarà tanto più ricco quanto più sarà stato sovvenzionato per essere portato a compimento»370. La ratifica della donazione e la conseguente pubblicazione nella «Gazzetta ufficiale» nel 1930 pongono le fondamenta teorico-normative della Cittadella del Vittoriale, rivelando, come asserisce Valerio Terraroli, «l’obiettivo di essere l’estrema e più completa opera poetica del Comandante»371.

L’acquisizione delle proprietà limitrofe, già avviata nel 1923 e conclusasi nel 1932, permette un progressivo allargarsi dell’originaria tenuta. Vengono acquistati la villa pseudo liberty detta Maona (in seguito ribattezzata San Damiano, quando diviene foresteria per gli artisti ospiti del poeta nel 1922-1925, poi La Freccia nel 1927 e infine Mirabella, quando diviene la residenza della moglie del poeta, Maria Hardouin di Gallese, durante le sue permanenze a Gardone), il frutteto, alcuni rustici tra i quali il Casseretto (che diviene la nuova residenza-studio di Gian Carlo Maroni) e nel 1925 la neogotica torre Ruhland, trasformata dall’architetto nella darsena per il MAS, motoscafo antisommergibile (ma l’acrostico viene utilizzato dal Comandante per ideare il motto “Memento Audere Semper”), utilizzato nella Beffa di Buccari e donato a D’Annunzio, insieme alla porzione prodiera, fino al ponte di comando, dell’incrociatore Puglia, dall’ammiraglio Paolo Thaon di Revel nel 1923. Poi tra il 1925 e il 1938 si svolge il montaggio della prua della nave Puglia sul crinale, montando lo scafo (nel 1925) e aggiungendo nel tempo la parte poppiera in muratura (tra il 1933 e il 1938), montando l’albero di poppa (nel 1934) e collocando (nel 1932) il grandioso bronzo della Vittoria angolare, modellato da Renato Brozzi, sulla prua, sopra un fascio di frecce e il motto «Così ferisco»372.

Il promontorio che sostiene la nave Puglia divide le due vallette dell’Acqua pazza e dell’Acqua savia e i due torrenti, artificialmente condotti con cascatelle, dirupi e ponticelli, confluiscono nel Laghetto delle danze, in forma di violino e prospiciente il Portale rivano, dalle squisite cadenze déco, realizzati tra il 1923 e il 1924. 370 Ivi, p. 39. 371 Ibidem. 372 Ivi, p. 40.

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Nella parte settentrionale le acquisizioni permettono la sistemazione del Colle delle arche (futuro luogo del Mausoleo), mentre l’abbattimento del frantoio e della casa colonica, la Porziuncola, a ridosso della Prioria, corrisponde all’avvio delle fondazioni per il palazzo di Schifamondo (2 febbraio 1927), avendo terminato nel 1926 la creazione del cavalcavia di passaggio tra la ormai vecchia residenza e il nuovo edificio: si tratta della stanza di Cheli, anche chiamata Cenacolo dell’Angelo, in riferimento alla sua funzione di sala da pranzo per gli ospiti dell’“arcangelo” Gabriele, «il secondo ambiente della Prioria nel quale il sicuro gusto maroniano ottempera alle istanze decorative coerentemente déco nell’impiego delle lacche rosse e nere, nelle profilature dorate, nell’impiego di elementi in stucco con foglia d’oro e nelle vetrate alabastrine di Pietro Chiesa»373.

Valerio Terraroli mette in evidenza che il 1930 è una data discriminante non solamente perché si evince sempre più chiaramente dai carteggi un ribaltamento di ruoli e di forze in campo nel rapporto tra committente e architetto, a favore di quest’ultimo, ma soprattutto perché:

Maroni riesce consapevolmente a proporre formulazioni architettoniche rinnovate, strutture che si inseriscono senza contraddizione nell’alveo di quell’archiettura nazionale, insieme antica e moderna, classica e razionalista, popolare, nel senso di rustica, e rurale, aulica e monumentale, nella quale emerge senza soluzione di continuità la memoria della grandezza repubblicana e imperiale di Roma, accanto al rigore etico della tradizione comunale e medievale italiana.374

Tra il 1930 e il 1932 l’archietto procede nel compimento dei rivestimenti interni del palazzo di Schifamondo, con boiseries in legno di rovere scuro e pannelli in lacca rossa e dorature, aprendosi alle linee di tendenza dello stile Novecento, leggibile nei progetti per la sistemazione delle sale da bagno e per la nuova alcova dannunziana dell’Aurora, nella quale i soffitti a lacunari e l’impiego di repertori geometrici nel pavimento, nei modelli delle aperture, le quali nei grandi oculi rimandano al tema della nave, e nelle soluzioni di piccole librerie occultate in semicolonne cave, ispirate al classicismo monumentale, denunciano una precisa

373 Ivi, p. 42. 374

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virata di Maroni, e dello stesso D’Annunzio, verso un gusto insieme severo e sontuoso, rievocativo e monumentale, ma nella sostanza moderno e accogliente.

Nel 1932 vengono rese agibili le monumentali scale a doppia rampa per accedere dal cortile Dalmata sia all’erigendo Museo della guerra e Auditorium, sia al nuovo appartamento per il Comandante: scale congiunte al cavalcavia della stanza di Cheli e ornate dalla vetrata di San Giusto, protettore di Trieste, realizzata nel 1923 da Pietro Chiesa su un cartone di Guido Marussig. Il complesso del Museo-Auditorium viene iniziato nel 1927 e portato a compimento nel 1938. Il modello di riferimento è il mausoleo di Diocleziano a Spalato. Sotto la cupola viene montato l’aereo SVA, impiegato dal poeta nel volo su Vienna.

Nel corso degli anni Trenta, accanto a ulteriori sistemazioni all’interno della Prioria, prosegue il lavoro di arredo e sistemazione dello Schifamondo e specialmente della sala di Aurora o dei calchi. Per quest’ultima sala, Maroni si muove verso un’assoluta semplificazione nella scelta di forme geometriche e nell’impiego di una tappezzeria blu oltremarino, che fa da sfondo ai monumentali calchi in gesso acquistati dal medesimo architetto presso la gipsoteca Vallardi di Milano nel 1935: si tratta del Prigione morente e del Prigione ribelle di Michelangelo (posti ai due lati dell’alcova), di due dei Prigioni (mai terminati per la tomba di Giulio II Della Rovere a Roma, montati di fronte al letto), della Madonna con Bambino e dell’Aurora (sempre di Michelangelo per le tombe medicee di Firenze).

Nel 1934 il poeta commissiona l’Officina, che si configura come un vero e proprio ponte di comando con una moderna scrivania a forma di penisola, con scaffalature aperte al piano inferiore e ornata dal calco della Venere di Cirene, mentre la luce artificiale emana dai plafoni del soffitto e dalle modernissime lampade in vetro smerigliato prodotte dal 1937 dalla Fontana Arte di Milano, società fondata da Pietro Chiesa e da Gio’ Ponti.

Tra il 1932 e il 1936 Maroni prosegue nell’allestimento delle vie d’accesso alla piazzetta Dalmata, dell’ingresso monumentale e della piazza dedicata ai caduti di Gardone, nella sistemazione dei diversi pili in pietra, sui quali sventolano bandiere e

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gonfaloni della Cittadella, e dà l’avvio ai lavori per la creazione del Teatro o Parlaggio su modello del teatro di Albano e dei teatri di Siracusa e di Pompei, divenuto inevitabilmente il fulcro visivo di tutto il complesso monumentale. La grande cavea è iniziata nel maggio del 1935 e nel 1939 risultano già compiuti l’accesso a monte e le sottostrutture ad arco delle gradinate.

L’ultima impresa condotta da Maroni, ormai defunto il suo mentore, è la costruzione del Mausoleo, che a partire dal 1939 sostituisce definitivamente il Mastio o Colle delle arche allestito a partire dal 1928.

Come mette in evidenza Valerio Terraroli, anche dopo la morte del poeta prosegue la realizzazione delle metafore e delle allegorie che egli aveva ideate, avendo sempre come obiettivo una perfezione formale ed un ideale assoluto che viene esplicitamente ribadito nel Libro segreto: «Tutto vive e tutto perisce nella forma»375.