DENTRO
E FUORI DI NOI
di Lauretta Ottolenghi e Francesca PaveseGérard París-Clavel, Punto di vista (manifesto per Fontenay sous Bois), 1992. « Questo manifesto rappresenta per me uno spazio simbolico, un augurio che il posto in cui viene affisso possa diventare un 'occasione di scambio di punti di vista, così come avviene agli angoli delle strade» (G. Paris-Clavel).
messa in scena della vicenda biblica alla ricerca di un colle-gamento tra passato e presente, e Berlin Jerusalem (1989) in cui si ripercorrono le origini del conflitto arabo-israeliano attra-verso la storia intrecciata dei primi collettivi agricoli sionisti in Palestina e delle prime
mani-festazioni di intolleranza nazi-sta in Germania.
I film disponibili in videocassetta sono indicati nella Guida 1993. VHS Film di Giuseppe Marchetti, Luciano Pinelli e Gabriele Rifilato, Nuova ERI, Torino, 1993.
X
«Siamo tutti migranti!»1.Viviamo in un mondo in movimento, in continua e sem-pre più accelerata trasformazio-ne. «Siamo tutti migranti..., non è più possibile oggi parlare di emigranti ed immigrati», ricor-da Ferrarotti. Siamo tutti co-stretti, inevitabilmente, a con-frontarci con situazioni di insta-bilità, di incertezza economica, p o l i t i c a e sociale, a c u i t e da flussi migratori sempre più dif-fusi. La drammaticità dei pro-blemi ci accomuna tutti ma di-viene al tempo stesso motivo di d i v i s i o n i , c o n t r a p p o s i z i o n i , conflitti; terreno di coltura per pregiudizi dall'una e dall'altra parte. I pregiudizi di sempre, quelli di cui ciascuno è incon-sapevolmente portatore — nes-suno ne è immune — in questi momenti storici divengono più virulenti e malefici, fino ad as-sumere la forma aberrante del fanatismo religioso, del razzi-smo, dell'antisemitismo. Tahar Ben Jelloun, scrittore-psicologo marocchino (che vi-ve a Parigi e lavora con pazien-ti nordafricani), senza mezzi termini afferma: «L'immigrato è una a b e r r a z i o n e dei tempi moderni... È un errore della no-stra epoca... Una sbavatura del-la storia... Non ha altro da ven-dere che la sua forza-lavoro e i suoi modi maldestri, spaesati, quelli di uno che ha l'aria di scusarsi in continuazione. Non 10 si vuol vedere. Non è carino da vedere. Si ammazza perché 11 passante è Arabo: non si am-mazza per conflitti personali. No. Il crimine razzista si bea di questa caratteristica: aggredisce il simbolo, la faccia dell'Altro che rispecchia tutte le altre fac-ce... Su di lui si scarica l'odio, l'odio per se stessi, la propria miseria, e poi uno si sente me-glio. Dietro a questa meccanica c ' è un partito, un m o v i m e n -to...». E ancora: «L'Europa ha la memoria corta. E un brutto segno, vuol dire che sta invec-chiando. Se i figli degli immi-grati le propongono una cura (gratuita) di ringiovanimento farebbe male a rifiutarla. Eppu-re è proprio quello che sta acca-dendo. E un peccato oltre che una ingiustizia»2.
Tahar Ben Jelloun coglie con drammatica efficacia e chiarez-za anche le dinamiche psicolo-giche e relazionali di un feno-meno complesso del quale sono in generale più evidenti e quin-di più facilmente analizzabili gli aspetti sociali, politici, stori-ci ed economistori-ci.
Le problematiche psicologiche particolari che riguardano la persona che emigra e il suo am-biente (vecchio e n u o v o ) , le motivazioni dell'emigrazione e le sue conseguenze,
te sono state poco analizzate dal punto di vista
psicoanaliti-co. «Nonostante (o forse pro-prio per questo) molti tra i pio-nieri della psicoanalisi [e Freud stesso] abbiano vissuto in pri-ma persona esperienze
migrato-rie»3. Eppure complesso è l'in-treccio di atteggiamenti,
reazio-ni emotive, difese, pregiudizi che coinvolgono sia l'emigran-te che il gruppo sociale in cui si
inserisce.
Da un lato l'emigrante, spesso
senza diritti e senza certezze, è esposto ad «ansie persecutorie»
legate allo sradicamento, al cambiamento, all'impatto duro
con il «nuovo» e l'ignoto per lo
più ostile; ad «ansie
depressi-ve» legate al lutto per gli
ogget-ti abbandonati e per le parti
perdute del Sé; ad «ansie
con-fusionali» per la difficoltà a di-scriminare tra il «vecchio» e il
«nuovo», conseguente al
so-vraccarico di stimoli emotivi e
cognitivi. Dopo la separazione
e iì distacco dal proprio paese
di origine, se l'accoglienza nel
nuovo non è adeguata a
conte-nere tutte queste ansie, lo
stra-niero difficilmente riuscirà ad
integrarsi e ad attaccarsi ai
nuo-vi oggetti; rischia di vivere il
cambiamento come un «evento
c a t a s t r o f i c o »4 e non c o m e
un'opportunità evolutiva,
un'e-sperienza arricchente e
creati-va. Dopo il lutto e la perdita
su-bita non si apre uno spazio di
«rinascita».
Il paese ospitante, d'altra parte,
è chiamato a fare i conti con
ansie diverse ma altrettanto
ra-dicate. Paure di essere invasi, espropriati delle proprie cose,
ansie c o n f u s i o n a l i legate al
confronto con la diversità
cul-turale, religiosa, sociale; paura
che la propria cultura, identità,
venga intaccata, «meticciata»,
distrutta. Ansie dunque legate
al cambiamento, all'incontro
con la diversità, con il nuovo,
che attivano simmetriche paure catastrofiche.
Ricerca in gruppo. II passaggio ad una so-cietà multiculturale, multietnica, multirazziale è in realtà una difficile sfida. Ci sembra comunque improroga-bile e irrinunciaimproroga-bile l'impegno di sviluppare una ricerca cultu-rale volta non solo a «interpre-tare» i tragitti degli uomini e della loro storia, ma anche a trasformare, ad attivare proces-si di cambiamento a partire dai propri ambiti di competenza e di appartenenza.
A v v i a r e su temi così vivi e scottanti momenti di riflessione e ricerca volti a cogliere la spe-cificità del problema attraverso una confronto interdisciplinare di gruppo, ci è sembrato un
punto di partenza produttivo. Si è così spontaneamente costitui-to da alcuni mesi presso l'Isti-tuto G r a m s c i di T o r i n o un gruppo di lavoro di cui fanno parte docenti (universitari e della scuola secondaria), esperti di laboratori teatrali, psicoso-ciologi, psicoanalisti, sopsicoso-ciologi, storici, giuristi, persone quindi con culture, formazioni, lin-guaggi e appartenenze diverse. Oltre all'analisi e allo studio delle radici storiche e psicoso-ciali del pregiudizio e delle di-namiche conscie ed inconscie ad esso connesse, «il lavoro del gruppo si è incentrato sull'ana-lisi di tecniche formative, in grado di sviluppare tra i giova-ni modalità relazionali più di-sponibili e aperte nei confronti della diversità di cui l'Altro, lo straniero è portatore. Tali tecni-che dovrebbero permettere di cogliere, al di là della minaccia alla propria identità, possibilità di apprendimento e di crescita nel confronto con l'altro, il di-verso, l'inusuale»5.
Il g r u p p o d i v i e n e l u o g o di scontro, di confronto e di in-contro fra «diversi», un'occa-sione privilegiata di apprendi-mento e di autoapprendiapprendi-mento, a partire da un'esperienza viva e immediata cui non sono estra-nee dinamiche affettive (buone e cattive), che favoriscono pro-cessi cognitivi. Il gruppo divie-ne cioè una sorta di laboratorio in cui attraverso una lente che ingrandisce e moltiplica, si in-tersecano e si sovrappongono molteplici livelli di complessità e diversità individuali, culturali e gruppali, organizzativi e isti-tuzionali, «un luogo in cui l'in-terrogarsi, sui dubbi più che sulle certezze, dà l'avvio ad un autentico processo di riflessio-ne, premessa essenziale a qua-lunque cambiamento»6. Si parla intorno a un tavolo, ognuno è portatore di un punto di vista che coglie solo una parte. Il sociologo coglie soprattutto il pregiudizio nel mondo estemo e i suoi effetti sulla realtà socia-le. Lo storico attingendo ad un passato più o meno recente illu-mina sulle ripetizioni di certe modalità di comportamento con effetti nefasti; coglie aspetti ri-correnti, condizioni ambientali favorenti, costanti e variabili indispensabili alla comprensio-ne di un fenomeno così com-plesso. Lo psicologo ha una prevalente attenzione al mondo interno, ai processi psichici consci e inconsci che si accom-pagnano alle dinamiche rela-zionali.
J
Incontrare l'Altro. Il termine stesso pregiu-dizio implica adesione a modelli di pensiero e di com-portamento precostituiti,assun-ti acriassun-ticamente e difensiva-mente dall'ambiente culturale, sociale (gruppale e familiare) di origine. Il pregiudizio si confi-gura quindi come una difesa in-dividuale e sociale, un'arma di riserva che ciascuno porta in sé per i momenti di maggiore dif-ficoltà; il suo potenziale difen-sivo-offensivo dipende dal gra-do di maturazione morale e ci-vile dei singoli e del gruppo so-ciale di appartenenza. Infatti l'incontro con l'Altro, diverso proprio perché Altro — a maggior ragione se straniero, con un colore diverso di pelle e pure tradizioni culturali e reli-giose estranee — è all'insegna dell'ambivalenza, comporta at-tese e timori, speranze nel nuo-vo ma anche paure di sofferen-za. Può essere però un'occasio-ne preziosa di apprendimento se c'è disponibilità al cambia-mento; ma ogni cambiamento comporta anche sofferenza, do-lore psichico, paura di perdita. Apprendere è infatti soprattutto «un processo di formazione in-teriore, in cui non è tanto in questione il ritenere determinati "contenuti" mentali, quanto la "struttura" della mente, che si m o d u l a n e l l ' e s p e r i e n z a e di conseguenza di essa farà un di-verso uso»7.
L'apprendimento dunque, co-me qualsiasi processo evolutivo psichico implica sofferenza e Io sviluppo del pensiero è legato alla capacità di modulare la sofferenza. Esiste cioè «una ca-pacità di soffrire, intesa come potenzialità di crescita mentale, che costituisce una caratteristi-ca fondamentale, specificaratteristi-ca non solo di singoli invidivui, ma an-che delle varie unità sociali e da esse in d i f f e r e n t e misura posseduti. Tale misura condi-ziona il loro valore educativo, ossia la possibilità di promuo-vere un apprendimento che cor-risponda a un effettivo svilup-po. Questa azione, delle unità sociali sui singoli e fra di esse, si esplica attraverso una comu-nicazione inconscia, che viag-gia su canali non verbali, ed è regolata dai dinamismi profon-di — identificazioni proiettive e introiettive — a livello fanta-smatico». Tutto ciò determina «l'introduzione di un'ambiguità tra ciò che è proprio e ciò che è dell'altro, tra ciò che appartiene ad un'unità e quanto a un'altra e di una difficoltà ad assumersi la propria parte, e la relativa sofferenza, senza indurla in al-tri». «L'abilità con cui alcune persone riescono a indurre altre a recitare una parte nel teatro della loro vita fantasmatica, è soltanto inferiore alla prontezza con cui queste ultime accettano di recitare la parte che viene lo-ro imposta»8.
I meccanismi difensivi sono
quelli della scissione e della proiezione, con i relativi effetti nei rapporti interpersonali. Le identificazioni proiettive e in-troiettive cui si fa riferimento sono m e c c a n i s m i d i f e n s i v i molto primitivi, cui ricorrono inconsapevolmente gli indivi-dui e i gruppi in particolari mo-menti storici, politici, economi-ci, come reazione ad avveni-menti e cambiaavveni-menti che pos-sono mettere in discussione va-lori e certezze ritenute, fino a quel momento, immutabili. In tali situazioni l'Io, per libe-rarsi dall'angoscia, scinde le parti buone da quelle cattive e le proietta con amore o con odio, dentro gli oggetti estemi. La proiezione delle parti cattive dentro l'oggetto, lo carica di angoscia persecutoria: gli im-migrati ad esempio che posso-no intaccare specifici interessi, come la casa o il territorio, di-vengono oggetto di attacchi persecutori anche in quanto in-vestiti di un significato simboli-co. I conflitti inconsci sono per-tanto determinanti nei rapporti interpersonali soprattutto quan-do l'Altro assume le sembianze di tutte le parti negative non ac-cettate dentro di sé.
Altre volte vengono scisse ed espulse le parti depressive del Sé. «In questi casi il senso di inferiorità o quello del proprio fallimento vengono messi den-tro il diverso, ricavandone un illusorio sentimento di superio-rità»».
Bion afferma che nel processo del pensiero le operazioni di scissione possono avere un va-lore positivo quando servono a mettere in discussione le inte-grazioni e i collegamenti già ef-fettuati, per ricercarne altri e
scoprirne diversi significati. «In questo modo si apre la via a nuovi processi mentali rompen-do il convenzionalismo implici-to nell'accettazione passiva di schemi e simboli già dati» (es. pregiudizi)»10.
E quanto accade nelle situazio-ni di grosso cambiamento ca-ratterizzate da instabilità politi-ca e sociale: per difendersi da angoscie, insicurezze, dubbi, le differenze vengono esaltate e i fenomeni di scissione divengo-no prevalenti. E un passaggio inevitabile che può preludere alla ricerca di nuovi equilibri? Lo Stato, come guida, le Istitu-zioni, come punti di riferimento stabile — specie quelle con f u n z i o n i educative — come possono svolgere una funzione di contenimento in grado di fa-vorire nuovi equilibri indivi-duali e sociali, il passaggio dall'esclusione all'accettazione, dalla scissione all'integrazione? Un'integrazione che non è mai un punto di arrivo stabile, ma un punto di equilibrio soggetto
a l l e c o n t i n u e o s c i l l a z i o n i di ogni processo di sviluppo. Le fasi di c a m b i a m e n t o d u n q u e oscillano tra l'angoscia del ba-ratro, della catastrofe e l'attesa di un nuovo non più rinviabile, che evoca al t e m p o stesso an-gosce e speranze. La tentazione di tornare indietro, di evitare il passaggio, di barricarsi, di col-pire l'altro, gli altri, per salvar-si, è sempre in agguato.
Un incontro storico.
È di q u e s t i g i o r n i la storica stretta di m a n o tra «i d u e v e c c h i g u e r r i e r i » Rabin e Arafat.
«Per ogni cosa c ' è una stagione e un tempo per ogni s c o p o sotto il cielo...
Un tempo per a m a r e e un tem-po per odiare...
Un t e m p o p e r la g u e r r a e un tempo per la p a c e » cita R a b i n dal Libro dei Libri e aggiunge: « S i g n o r e e S i g n o r i il t e m p o della p a c e è a r r i v a t o ! » A n c h e se: «Costruire il nostro d o m a n i è più difficile che combattersi. S e n t o c h e a d e s s o c o m i n c i a n o per noi le vere responsabilità» sottolinea saggiamente Arafat. «Ciò che caratterizza i d u e eroi di questa riconciliazione non è s o l t a n t o il c o r a g g i o , è a n c h e l'intelligenza. I n t e l l i g e n z a p i ù storica c h e p s i c o l o g i c a . S o n o stati lungimiranti e h a n n o sapu-to superare ostacoli fatti di ran-core, di odio, di paure. Alcuni estremisti c e r c h e r a n n o di silu-rare questa pace. P r o b a b i l m e n t e riusciranno a produrre una certa agitazione, ad a c c e n d e r e qual-c h e f u o qual-c o , m a n o n p o t r a n n o mai invertire il corso della Sto-ria ...La StoSto-ria possiede una sua ironia. In questa v i c e n d a l ' i r o -nia si è rivestita di m o l t o san-gue e rivolgimenti. M a gli uo-mini sono fatti così: la sventura non fa loro p a u r a sul serio. A volte la v a n n o a c e r c a r e e n e fanno una ragione di essere e di combattere. Questa pace è il
ri-sultato di un lungo lavoro. La
dobbiamo a qualche uomo
ab-bastanza pazzo da scommettere
sul dialogo e sul negoziato»".
U o m i n i c o m e loro d i m o s t r a n o che le ragioni della solidarietà p o s s o n o a v e r e la m e g l i o s u l l ' o d i o e sulla d i s t r u t t i v i t à ; d i v e r s a m e n t e la c i v i l t à s t e s s a sarebbe s c o m p a r s a da t e m p o .
1 F. Ferrarotti, Viaggio intorno alla qualità della vita, Corriere della Sera, 15/11/1992.
2T. Ben Jelloun, Le pareti della so-litudine, Einaudi, Torino, 1990; E tornano in Europa gli spettri del passato, passim Repubblica, 15 giugno 1993.
3 L. Grinberg, R. Grinberg, Psicoa-nalisi dell' emigrazione e dell'esi-lio, Franco Angeli, Milano, 1990.
4B i o n (1971), Apprendere dal-l'esperienza, Ed. Armando, Roma. 5 Vedi in appendice il documento del Gruppo di lavoro interdiscipli-nare operante all'interno del Comi-tato "Oltre il razzismo" presso la Fondazione A. Gramsci di Torino. 6 A. Orsenigo, Training e interven-to in un servizio di salute mentale, Ed. Studi di Analisi psicologica, Milano, 1988.
7 D. Meltzer - M. Harris, Il ruolo educativo della famiglia (p. IX Pre-sentazione di A. Imbasciati), Ed. Centro Scientifico Torinese, Tori-no, 1986.
8 D. Meltzer, op. cit., p. X. 9 S. Malizia, P.L. Giordano, Razzi-smo: meccanismi psicologici della relazione con il diverso, in Psichia-tria & Medicina, n. 9, 1990. l0Bion, op. cit.
11 T. Ben Jelloun, Se ebrei e arabi si scoprono cugini..., Repubblica, 8 settembre 1993.
Appendice.
Documento del Gruppo di lavoro interdisciplinare "Diversità e didattica" ali'interno del Comitato "Oltre il razzismo"
Indichiamo brevemente alcune pro-poste emerse nel gruppo di lavoro interdisciplinare per una formazio-ne multiculturale attraverso tecni-che di apprendimento attivo. Una delle ipotesi su cui si è foca-lizzata la riflessione del gruppo è che l'insuccesso relazionale sia una delle condizioni che alimenta il ri-corso a stereotipi sull'altro i quali a loro volta si traducono spesso in esclusione, incomprensione, rifiu-to, violenza.
Guardando il problema del razzi-smo da questo punto di vista, il supplemento d'informazione e la denuncia morale non esauriscono le strategie di educazione multiet-nica, anzi lasciate a se stesse, po-trebbero avere effetti addirittura c o n t r o p r o d u c e n t i . Il lavoro del gruppo si è perciò incentrato
sul-l'analisi di tecniche formative in grado di sviluppare modalità rela-zionali più disponibili e aperte nei confronti della diversità di cui l'al-tro, lo straniero, è portatore. Tali tecniche dovrebbero permettere di cogliere, al di là della minaccia alla propria identità, possibilità di ap-prendimento e di crescita nel con-fronto con l'altro, il diverso, l'inu-suale.
Nel corso di una serie d'incontri fra docenti, esperti di laboratori teatra-li nelle scuole, psicosociologi, psi-coanalisti, sociologi, storici e giuri-sti, sono state vagliate alcune ini-ziative già realizzate e altre che po-trebbero essere avviate in modo sperimentale nelle scuole da inse-gnanti interessati.
In particolare:
a) Laboratori interclasse condotti da gruppi di insegnanti sulla falsa riga di una sperimentazione già av-viata lo scorso anno sul tema della mafia.
b) Laboratori di tecniche attoriali incentrate sulla fonetica, il corpo e la parola.
c) Ricerche guidate dagli insegnan-ti sulle condizioni di vita degli im-migrati, la loro storia, il loro modo di percepirci, i confronti fra valori e fra culture.
Il gruppo prevede per il futuro di sviluppare il lavoro in tre direzioni: 1) Incontri con gruppi di insegnanti per presentare e discutere le inizia-tive di cui sopra e i relativi presup-posti teorici.
2) Seminari conoscitivi ed espe-rienziali in cui insegnanti ed esperti possano discutere le impostazioni delle varie fasi della progettazione, realizzazione e verifica dei processi attivati.
3) Individuazione e censimento di altre esperienze di apprendimento attivo applicabili al campo della formazione multietnica.
(Torino, giugno 1993)
Si segnala inoltre, che il gruppo di lavoro ha in fase di progettazione, per la primavera del 1994, un Se-minario di formazione rivolto agli insegnanti della scuola media supe-riore dal titolo: «Il tema della di-versità nella relazione psico-peda-gogica: esperienze a confronto». (Torino, settembre 1993)
Gérard Paris-Clavel, Vedere ciò che si vede (manifesto per Fontenay sous Bois), 1993. «Voir le Voir è il titolo di un libro di John Berger sul ruolo e la funzione dell'arte. Associando queste parole a un'immagine grafica molto semplice (...) spero di spingere a ve-dere in maniera diversa dal solito le immagini che ci circondano: pubbli-che, artistipubbli-che, pubblicitarie o mentali È urgente imparare, reimparare a os-servare la nostra stessa immagine met-tendola a confronto con quella che ci facciamo degli altri. Guardare è
sce-gliere» (G. Paris-Clavel).