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Sisifo 26

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Academic year: 2021

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Sisifo

^ ^ ^ ^ ^ _ Idee ricerche j H F dell'Istituto ^ ^ ^ ^ ^ ^ Gramsci ^ o t t o b r e 1993 Quaderno n. 1

CONTRO IL PREGIUDIZIO

in collaborazione con

CGIL SCUOLA TORINO / VALORE SCUOLA

COPERTINA

Juliette Weisbuch/Polymago, I bambini uniti contro l'apartheid, 1987; manifesto a cura dell'Unesco.

PRESENTAZIONE

Questo fascicolo congiunto di «Sisifo» e di «Valore Scuola» sulle tematiche del pregiudizio e dell' intolleranza nei confronti dello «straniero» nasce per im-pulso del Comitato «Oltre al razzismo. Per la cultura del dialogo e della tolleranza». Il Comitato, istituito nell'ambito della Fondazione Gramsci Pie-montese, riunisce oltre cin-quanta associazioni torinesi (di cui diamo conto in seconda di copertina) attive nell'educazio-ne alla tolleranza e nell'educazio-ne coordi-na l'attività.

Il fascicolo è rivolto soprattutto al mondo della scuola e vuole essere uno strumento di infor-mazione e di riflessione sui vari aspetti attraverso cui si manife-stano il pregiudizio e la discri-minazione nei confronti delle minoranze e dei diversi. Lo scopo è di contribuire, attra-verso la mediazione attiva degli insegnanti, ad accrescere la consapevolezza dei giovani su questi problemi e ad orientarne la formazione in direzione dell'universalismo dei valori e dei comportamenti.

Dalle pagine che seguono emergono approfondimenti sin-tetici e mirati su un ampio arco di questioni afferenti al risor-gere dell' antisemitismo e

al-l'insorgere della xenofobia e del conflitto etnico in numerosi paesi europei. Ogni articolo, corredato da bibliografie mira-te, ha una sua autonomia argo-mentativa ed espositiva, ma può essere letto nel contesto delle più ampie problematiche su cui si articolano le varie se-zioni. Prendendo le mosse dall' introduzione di Norberto Bobbio e dagli articoli di carat-tere generale e definitorio della prima parte, si illustrano in successione, nella seconda e terza parte, i caratteri storici, sociologici e politici e gli aspet-ti emergenaspet-ti del razzismo e del-la xenofobia. L'ultima sezione è infine specificamente dedicata agli strumenti e alle metodolo-gie di una didattica della tolle-ranza e deli antirazzismo, al momento tutt'altro che consoli-data nella nostra scuola. Gli articoli sono opera di auto-revoli studiosi ai quali va il rin-graziamento delle riviste. Il fa-scicolo è stato realizzato grazie all' impegno finanziario e orga-nizzativo della Fondazione Gramsci Piemontese e della CGIL Scuola di Torino e al contributo degli inserzionisti. Senza il loro apporto questa impresa non sarebbe stata pos-sibile.

A. Badini, S. Belligni, G. Neppi Modona, S. Scamuzzi

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IL COMITATO

"OLTRE IL RAZZISMO"

OBIETTIVI

E METODI DI LAVORO

Alla fine del 1992, in concomi-tanza con l'acuirsi anche in Ita-lia di episodi di razzismo, anti-semitismo e xenofobia, molti istituti scolastici hanno organiz-zato a caldo assemblee e lezio-ni; si sono intensificate le richie-ste di interventi rivolte dalle scuole agli enti, alle associazio-ni ed ai singoli tradizionalmente più impegnati su queste temati-che; a livello cittadino vi è stata una sorta di gara nell'organizza-re incontri e dibattiti.

Questo generoso attivismo ha però messo in luce anche i limiti di iniziative spesso improvvisate e non coordinate tra loro ed il ri-schio di dispersione delle scar-se risorscar-se esistenti. Ha così pre-so corpo l'idea di coordinare le risorse disponibili, creando sta-bili forme di collegamento e si-nergie nell'azione di contrasto del pregiudizio e dell'Intolleran-za verso i «diversi», anche al fi-ne di evitare antieconomiche sovrapposizioni di iniziative e possibili effetti di saturazione. Il bisogno di coordinamento era evidentemente molto avvertito: i primi incontri a titolo personale presso la Fondazione Gramsci Piemontese si sono tradotti nel giro di poche settimane nella costituzione del Comitato «Oltre Il razzismo. Per la cultura del dialogo e della tolleranza», di cui fanno ora parte oltre cin-quanta enti e associazioni, con il patrocinio della Regione, della Provincia, del Comune, del Provveditore agli Studi e con la collaborazione dei Dipartimenti di Scienze Sociali e di Studi Po-litici dell'Università di Torino. Obiettivo primario del Comitato è di mettere a disposizione delle scuole — elementari, medie e medie superiori — un articolato e flessibile programma di inter-venti e di servizi didattici, tra i quali insegnanti e studenti po-tranno scegliere i metodi ed i contenuti più idonei e congeniali alle loro concrete esigenze di informazione e di formazione. Il programma — descritto in altra parte di questo fascicolo — rac-coglie le varie iniziative promos-se dagli enti e dalle associazioni aderenti al Comitato, opportu-namente coordinate tra loro al fine di coprire tutti i possibili set-tori di intervento e di evitare so-vrapposizioni nei contenuti e nei tempi. Il Provveditore agli Studi di Torino ne curerà la trasmis-sione a tutti gli istituti di istruzio-ne della Provincia.

Nel giro di pochi mesi il

Comita-to «Oltre II razzismo» ha sapuComita-to proporsi come organismo credì-bile ed efficiente nei confronti dei suol Interlocutori, sia nel mondo della scuola che tra le Istituzioni del governo locale, grazie ad un modello di rapporti interni e ad un metodo di lavoro che sollecitano una riflessione importante sul significato di questa iniziativa. Del Comitato fanno parte enti ed associazioni molto «diversi» per tradizioni culturali e posizioni ideologiche, per le attività svolte e il modo di lavorare, per la rappresentati-vità di gruppi, ceti ed interessi differenziati e non omogenei. Ebbene, il primo risultato positi-vo sta proprio nell'essere riusciti a fare convivere queste diver-sità, in un clima di comprensio-ne e di rispetto per le posizioni e le esigenze di ciascuno. In questo sforzo non usuale nel rapporti tra «diversi» risiede la forza del Comitato «Oltre il raz-zismo» e la sua aspirazione di porsi come punto di riferimento di quanti intendono mettere in-sieme le loro risorse e creare si-nergie per contrastare la diffu-sione del pregiudizio e della di-scriminazione.

Per il Comitato «Oltre il razzismo» Guido Neppi Modona

Hanno fino ad ora aderito al comitato:

ADSIP Associazione dirigenti scuola primaria provincia di Torino, ANED Associazione Nazionale Ex Deportati Politici, Archivio Nazionale Cinematografico della Resistenza, ARCI Nova, Associazione Culturale Zadig, Associazione Culturale Araba, Associazione Immigrati del Ghana, Associazione Immigrati del Senegal, Associazione Immigrati della Costa d'Avorio, Associazione Immigrati dello Zaire, Associazione Nazionale Presidi, Associazione Teatro di Torino, Associazione Zingari, AXEL, CDEC Centro di Documentazione Ebraica, CESEDI Centro servizi didattici, Centro «Terracini» per i diritti dei cittadini,

Centro culturale Kafila, Centro d'iniziativa per l'Europa,

Centro per l'educazione, Centro Studi e Ricerche «M. Pannunzio»,

Centro studi «Bruno Longo» Centro UNESCO di Torino, CGIL Scuola,

CIDI Centro di Iniziativa Democratica

degli insegnanti, Circolo «Il Ponte», COGIDAS Comitato genitori democratici, Comitato torinese per la laicità nella scuola, Comune di Torino, Assessorato all' Istruzione, Dipartimento per il servizio pedagogico,

Comunità ebraica di Torino, CGIL - Coordinamento immigrati,

Dipartimento Scienze Sociali dell'Università di Torino,

Dipartimento Studi Politici dell'Università di Torino, EGEI Federazione Giovanile Ebraica Italiana, FNISM Federazione Nazionale Insegnanti scuola media, Fondazione «Vera Nocentini», Fondazione Rosselli, GIOC, Gruppo Abele, IRSSAE Piemonte, Istituto Storico della Resistenza di Alessandria, Istituto Storico della Resistenza di Asti, Istituto Storico della Resistenza in Piemonte, Torino, Istituto Storico della Resistenza in provincia di Vercelli,

Istituto di studi storici «G. Salvemini», Magistratura democratica. Psicolista, SERMIG, Settimanale evangelico «Riforma», Sinistra Giovanile PDS, SOS Razzismo, UCIM Unione Cattolica insegnanti medi, Unione Culturale, Torino.

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Istituto Gramsci piemontese

CONTRO IL PREGIUDIZIO

Editoriale 1 Organismi direttivi Consiglio di amministrazione:

Aldo Agosti, Arnaldo Bagnasco, Angelo Benessia, Luciano Bonet, Bruno Contini, Alfonso DI Giovine, Giovanni Ferrerò, Bruno Lamborghini, Isabella Massabò Ricci, Guido Neppi Modona, Claudio Sabattini, Sergio Scamuzzi.

Collegio dei revisori:

Guido Bonfante (Presidente), Andrea Grosso, Giuseppe Nesci.

Presidente:

Guido Neppi Modona

Direttore:

Sergio Scamuzzi

Comitato scientifico:

Cristiano Antonelli, Adriano Ballone, Luigi Bobbio, Mercedes Bresso, Giovanni Carplnelli, Claudio Dellavalle, Giuseppe Dematteis, Giuseppe DI Chio, Carlo Federico Grosso, Gian Carlo Jocteau, Adriana Luciano, Stefano Piperno, Franco Ricca, Gian Enrico Rusconi, Walter Santagata, Gustavo Zagrebelsky.

Struttura organizzativa:

Amministrazione e segreteria:

Angela Ferrari, Anna Silvestro

Biblioteca:

Rosangela Zosi

Archivio: Renata Yedid Levi Formazione:

Francesco Scalambrino

Sisifo

Idee ricerche programmi dell'Istituto Gramsci piemontese

Direttore: Silvano Belllgni.

Recfaz/one.Silvano Bellignl, Giuseppe Berta, Luciano Bonet, Mario Dogliani, Sergio Scamuzzi.

Direttore responsabile:

Giancarlo Carcano.

Redattore grafico:

Gianfranco Torri.

Immagini di: Juliette Welsbuch, (copertina), Nous Travaillons Ensemble, Roman Cieslewicz, Michel Quarez, Zanzibar't, Alain Le Quernec e gli studenti del Liceo Brizeux, T.A. Lewandowski, Graphiti, Tom, studenti dell'IED di Roma e Cagliari, Gérard Paris-Clavel.

Stampa:

Arti Grafiche Roccia, Torino

La corrispondenza deve essere Inviata alla redazione di «Sisifo», Istituto Piemontese «A. Gramsci», via Vanchlglia 3, 10124, Torino

(Tel. 011/8395402).

COORDINATE DEL PREGIUDIZIO

R a z z i s m o , oggi, di N o r b e r t o B o b b i o 4 Biologia senza razze, di Alberto Piazza 6 La democrazia dei pregiudizi, di Delia Frigessi e N i c o l a Negri 8

Etnicità e cittadinanza, di Sergio Dellavalle 10 Antisemitismo, di L u c i a n o G a l l i n o 14 D i o d o p o Auschwitz, di Silvia B e n s o 18

ANTISEMITISMO

Ricorsi dell'antisemitismo, di Stefano Levi Della Torre 20 Dalla diaspora all'olocausto. Questioni di storia ebraica, di Enrico Fubini 24

Dal sionismo al negoziato israelo-palestinese. Un percorso bibliografico

di C l a u d i o Vercelli 27 R a z z i s m o , revisionismo, negazionismo, di Gian Enrico Rusconi 28

XENOFOBIA E IMMIGRAZIONE

La nostra rimozione quotidiana, di Francesco Ciafaloni 32 L'identità degli immigrati. Vecchi confini e nuove affinità, di Vanessa Maber 34

Gli atteggiamenti della p o p o l a z i o n e verso gli immigrati extracomunitari

di E n r i c o A l l a s i n o 36 La trattazione del razzismo nei media, di C a r l o M a r i e t t i 38

La giustizia penale contro la discriminazione e l'intolleranza

di G u i d o N e p p i M o d o n a 40 Diritti degli extracomunitari e politiche dell'immigrazione

di P i e r L u i g i Z a n c h e t t a 43

VECCHI E NUOVI RAZZISMI IN EUROPA

Naziskin, skinheads, b o n e h e a d s , di Valerio Marchi 45 Germania: l'arcipelago bruno, di Elia B o s c o 47 L'antisemitismo russo, di Ilja Levin 50 Diritti umani negati e conflitto etnico in B o s n i a , di Stefano Giachino 52

PER UNA DIDATTICA DELLA TOLLERANZA

Testi e programmi per una educazione alla tolleranza

di F r a n c e s c o S c a l a m b r i n o 54 Leggere «gli Altri» nella scuola, di Adriano Ballone 56

Le immagini della S h o à . D o c u m e n t a r i storici per le scuole, di Marcello Pezzetti 59

A l c u n e note per una filmografia sul razzismo, di M a s s i m o Arvat 61 Alla ricerca del pregiudizio dentro e fuori di noi, di Lauretta Ottolenghi

e Francesca P a v e s e 63 A proposito di « C o m e t e » . U n teatro contro il pregiudizio

di P i e t r a N i c o l i c c h i a 66

Le immagini di questo numero: la grafica contro il razzismo

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COORDINATE

DEL PREGIUDIZIO

RAZZISMO, OGGI

di Norberto Bobbio

9 I razzismo è diventato uno dei grandi p r o b l e m i dei nostri giorni, e lo sarà cor di più nei prossimi an-ni. Noi italiani siamo sempre stati un p o p o l o di emigranti. Soltanto in questi anni stiamo diventando una terra di immi-grazione. Destinata, non illu-diamoci, a crescere. All'immi-grazione dai paesi che chiamia-mo convenzionalmente del Ter-zo Mondo, si sta aggiungendo quella dai paesi dell'Est euro-peo in seguito al crollo del co-munismo. La gravità del pro-blema odierno rispetto alle im-migrazioni del secolo scorso sta nel fatto che allora il flusso im-migratorio procedeva da paesi sovrappopolati, come era l'Ita-lia, verso paesi poco popolati, come le Americhe, o quasi spo-polati, c o m e l ' A u s t r a l i a . Ora avviene il contrario: il flusso immigratorio arriva ai paesi eu-ropei che sono tra i più popolati del mondo.

^ i fronte a un'immigra-^ M zione di massa, i pro-HL/MS blemi che deve affron-tare un paese come l'Ita-lia sono ben diversi da quelli cui si trova di fronte, ad esem-pio, l'Australia. Tra questi pro-blemi c ' è anche l'insorgere di fenomeni razzistici. La neces-sità del p o p o l o o s p i t a n t e di convivere improvvisamente e imprevedibilmente con indivi-dui di cui si conoscono poco i costumi, per nulla la lingua, coi quali si riesce a comunicare so-lo a gesti o con parole storpiate, genera inevitabilmente, sottoli-neo «inevitabilmente», atteg-giamenti di diffidenza che van-no dal dileggio verbale, al rifiu-to di ogni forma di comunica-zione o contatto, dalla segrega-zione, all'aggressione.

erpeggia ormai da tempo la domanda cui si cerca di dare r i s p o s t e a n c h e con sondaggi e inchieste: «Gli ita-liani sono razzisti?». Cito l'otti-ma ricerca che si è svolta a To-rino, intitolata c u r i o s a m e n t e Rumore: questo titolo vuol far capire che l'atteggiamento raz-zistico è per ora soltanto un ru-more di fondo, che non si è an-cora trasformato in azioni con-crete e solo raramente affiora alla superficie sino al punto da creare un disturbo. Il contenuto del libro è dato dal sottotitolo Atteggiamenti verso gli immi-grati stranieri. Comincia con un capitolo Pregiudizio etnico e varie forme in cui esso si esprì-me: socio-culturale, socio-eco-n o m i c o , p e r s o socio-eco-n a l e . F a c c i o qualche esempio per mostrare che non vi sono s o r p r e s e : il

p r e g i u d i z i o è m o n o t o n o . Le frasi che ora sono rivolte agli extra-comunitari sono su per giù le stesse che alcuni decenni fa qui a Torino erano rivolte ai meridionali. Pregiudizio di ca-rattere generale: «...hanno più difetti che pregi e invadono il nostro territorio». Pregiudizio di tipo s o c i o c u l t u r a l e : « a p -paiono differenti nella menta-lità, nel comportamento, nella vita sociale, nelle tradizioni»; Pregiudizio socio-economico: «Sono scansafatiche, vivono a nostre spese, minacciano i no-stri interessi». Pregiudizio di carattere personale: «Sono ma-l e d u c a t i , d i s o n e s t i , s p o r c h i , portatori di malattie contagiose, violenti con le donne ecc.»'.

9 1 pregiudizio etnico è uno dei tanti pregiudizi che in-festano la nostra mente ed è uno dei più pericolosi. A n c h e p e r c h é è d i f f i c i l e da estirpare. Sulla natura e le varie forme del pregiudizio una spe-cie di compendio generale è il volume, che vedo meno citato di quello che dovrebbe essere, di P i e r r e - A n d r é T a g u i e f f , La force du préjugé, di più di 600

pagine, che, come si apprende dal sottotitolo. Essai sur le ra-cisme et ses doubles, è dedicato prevalentemente al pregiudizio razziale2. Il pregiudizio vi è de-finito come un «giudizio pre-maturo», che induce a «credere di sapere senza sapere, a preve-dere senza indizi sufficienti si-curi, a trarre conclusioni senza possedere le certezze necessa-rie, ma affermando e talora an-che imponendole come certe». Tempo fa, affrontando lo stesso tema, mi sono espresso in que-sto modo: «Noi di solito chiam i a chiam o " p r e g i u d i z i o " u n ' o p i -nione o un insieme di opinioni, talora anche un'intera dottrina, che viene accolta acriticamente e passivamente dalla tradizione, dal costume oppure da un'auto-rità, i cui dettami accettiamo senza discuterli: acriticamente e passivamente in quanto li ac-cettiamo senza verificarli, per inerzia o per rispetto o per ti-more. E li accettiamo con tanta forza che resistono a ogni con-futazione razionale»3. Il pregiu-dizio non solo provoca opinioni e r r o n e e , m a , a d i f f e r e n z a di molte opinioni erronee, è più difficilmente vincibile, perché l'errore che esso provoca deri-va da una credenza falsa, con-tro la quale non vale né un ar-gomento razionale né una pro-va empirica. La falsa vendetta si distingue da un ragionamento errato che si p u ò d i m o s t r a r e falso, e dall'assunzione di un dato di fatto falso, la cui falsità si può empiricamente provare.

hi è senza pregiudizi sca-gli la prima pietra. Non esiste pregiudizio peggio-re di quello di cpeggio-redepeggio-re di non avere pregiudizi. Diceva Mon-tesquieu: «Chiamo pregiudizio non già ciò che fa sì che si igno-rino certe cose, ma soprattutto ciò che fa sì che ignoriamo noi stessi»«. A me personalmente preme, il razzismo, cercare di capirlo, prima di condannarlo, il " che è sin troppo facile, dal

mo-mento che è tanto malfamato che nessuno si dichiara pubbli-camente razzista.

E m'interessa prima di tutto ca-pirlo, perché se per "razzismo" s'intende in una prima approssi-mazione un atteggiamento di diffidenza verso il diverso, spe-cie poi per il diverso che inter-viene inopinatamente nella no-stra vita, c'è un po' di razzismo in ognuno di noi, e non c'è nul-la di p e g g i o del moralismo a buon mercato, perché in genere quando è a buon mercato è an-che ipocrita. In secondo luogo, e soprattutto, solo cercando di comprenderne le ragioni possia-mo tentare di correggerlo, e in estrema ipotesi, di eliminarlo.

• 1 r a z z i s m o non p i o v e

^ dall'alto, non è un atteg-giamento che si manifesti al di fuori di certe circo-stanze. Non si è razzisti in

ge-nerale, in astratto, nei riguardi di tutti i diversi. Nei riguardi di

certi gruppi di diversi possiamo avere atteggiamenti d'indiffe-renza e in certi casi anche di s i m p a t i a o a m m i r a z i o n e . La condizione preliminare per l'in-sorgere di un atteggiamento o

di un comportamento razzista è

il venire in contatto diretto con l'altro, o per meglio dire con

gli altri. Il razzismo è orientato non tanto verso la persona

sin-gola, per la quale puoi avere

sentimenti di odio, di disprez-zo, in generale di avversione,

ma verso un gruppo, o per l'in-dividuo singolo in quanto ap-partenente a un gruppo. La più autentica e persistente forma di

razzismo che i popoli europei abbiano conosciuto è l'antise-mitismo: ma gli ebrei formava-no comunità che vivevaformava-no in

mezzo a noi, facevano parte del nostro stesso mondo, nonostan-te la segregazione, anche se bi-sogna fare molta attenzione a non confondere l'antisemitismo con il razzismo in generale, e in specie col razzismo con cui ab-biamo a che fare in questo pe-riodo di nuove migrazioni. L'antisemitismo è una forma di razzismo, ma è una f o r m a di r a z z i s m o che ha per ragioni storiche caratteri particolarissi-mi. Si potrebbe cominciare ad osservare che, mentre per razzi-smo s'intende generalmente un

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atteggiamento di avversione verso popoli considerati infe-riori, e quindi derivante da un complesso di superiorità, che è servito a giustificare ogni spe-cie di dominio e oppressione coloniali, l'antisemitismo, al c o n t r a r i o , è c a r a t t e r i z z a t o dall'attribuzione agli ebrei di una potenza soverchiarne, mi-steriosa e malefica, di una vo-lontà perversa di dominare il m o n d o , e quindi è, se mai, l'espressione di un complesso d'inferiorità5. Aggiungo che vi sono almeno due figure storiche dell'antisemitismo tradizionale che non avrebbe alcun senso at-tribuire anche all'atteggiamento di ostilità verso gli immigrati, che ha dato origine all'attuale discussione sul razzismo. Mi ri-ferisco alla figura del «capro espiatorio», che ha tanta parte nella secolare persecuzione de-gli ebrei, e su cui sono state scritte tante dotte dissertazioni, e la figura del complotto ebrai-co nel presunto favoreggiamen-to, da un lafavoreggiamen-to, della eversione comunista dell'ordine mondia-le, e, dall'altro, contradditoria-mente, del capitalismo superna-zionale, di cui il comunismo dovrebbe essere il mortale ne-mico. La differenza tra l'antise-mitismo tradizionale, che affon-da le sue radici nella storia dell'Occidente cristiano, e le varie forme etnocentriche e xe-nofobiche attuali nei riguardi dei cosiddetti extra-comunitari si rivela anche nel fatto che mentre, come si è detto, il raz-zismo di oggi nasce esclusiva-mente nel contatto diretto tra gli ospitanti forzati e gli ospiti non graditi, l'antisemitismo perdura tenacemente anche là dove, co-me in Germania e in Polonia, gli ebrei sono quasi del tutto scomparsi, e non costituiscono più né un pericolo, né una pre-senza ingombrante.

^ ^ ome ho detto, la condizio-M y ne pregiudiziale di atteg-^ atteg-^ giamenti razzistici, come quelli che si vanno diffondendo in Europa in seguito alle recenti migrazioni, è il contatto diretto. Ma bisogna tener conto di altre circostanze che possono provo-care forme più o meno gravi di attrito. Non siamo razzisti nei confronti di popoli o gruppi et-nici, che pur essendo in contat-to diretcontat-to con noi, non danno nell'occhio. Questo è il caso, ad esempio, dei cinesi che a Torino, come in altre grandi città italiane, se ne stanno ap-partati, svolgendo il loro lavoro che è quello in genere di risto-ratore, e pertanto si vedono molto meno in giro, molto me-no dei cosiddetti extracomuni-tari, che vivono esercitando un piccolo commercio sulle strade.

Oltre al fatto materiale, già di per se stesso generatore di attri-ti, della convivenza coatta sullo stesso territorio, la presenza del diverso è generatrice di conflitti per il solo fatto che un estraneo entra nel nostro spazio princi-palmente per cercare di vivere 0 meglio di sopravvivere con espedienti leciti o illeciti, e così facendo minaccia i nostri inte-ressi sul mercato del lavoro. Ciò è tanto vero che le varie forme di razzismo odioso non s o r g o n o nei riguardi di un gruppo di turisti che viene a vi-sitare la nostra città, oppure di persone che fanno un lavoro non in concorrenza col nostro, com'è il caso delle domestiche filippine, che sono ricercale, apprezzate e vezzeggiate. Per le stesse ragioni, non abbiamo at-teggiamenti razzistici verso po-poli lontani con cui non abbia-mo alcun contatto: non mi ri-sulta che gli italiani siano razzi-sti nei riguardi degli esquimesi; però, se improvvisamente cen-tinaia di esquimesi invadessero le nostre città in cerca di lavo-ro, fiorirebbero in breve tempo 1 soliti stereotipi: sono sporchi, puzzano, non hanno voglia di lavorare ecc. Il razzismo, sì è detto, sorge come atteggiamen-to di diffidenza verso il diverso. Ma non tutti sono diversi allo stesso modo: c'è diverso e di-verso.

M e la r a g i o n e m a t e r i a l e dell'insorgere e dello sca-tenarsi dell'atteggiamento razzistico è il contatto materia-le, la convivenza non cercata, anzi coatta, o la temuta concor-renza nel mercato del lavoro, la predisposizione mentale da cui nasce il razzismo è il cosiddetto etnocentrismo, che definisco dall'ammirevole libro di Tzve-tan Todorov, Noi e gli altri, tra-dotto recentemente (1991) da Einaudi, come quell'atteggia-mento di «noi» verso gli «altri» che consiste nell'elencare in modo indebito i valori caratteri-stici della società alla quale ap-parteniamo a valori universali, anche quando questi valori so-no tratti da costumi locali, par-ticolaristici, in base ai quali è scorretto, per non dire insensa-to e talora anche ridicolo, giu-dicare della nostra superiorità rispetto a chi appartiene a un gruppo etnico dai costumi di-versi, altrettanto particolaristi-ci'. Ogni popolo tende a consi-derare se stesso come civile e a respingere gli altri popoli come barbari. La contrapposizione tra noi, civili, e gli altri (i non eu-ropei in genere) barbari, attra-versa tutta la storia dell'Occi-dente. Questo giudizio soffre peraltro di una circolare reci-procità: ogni popolo è barbaro

all'altro. Gli italiani non sono da meno.

Sarebbe strano che non lo fos-sero. Dalla contrapposizione tra i Greci che si ritenevano civili, perché liberi, e i Persiani consi-derati barbari, perché si sotto-mettevano senza ribellarsi ai lo-ro despoti, è derivata la con-trapposizione fra Occidente e Oriente, il cosiddetto eurocen-trismo. La maggior parte dei fi-losofi europei del secolo scorso sono stati eurocentrici: sono stati eurocentrici tanto Hegel quanto Marx.

^ è diverso e diverso an-che rispetto ai com-portamenti che vengo-no di v o l t a in volta assunti verso gli «altri», verso coloro che consideriamo altri da noi, non eguali a noi, tanto da riser-vare loro un trattamento diffe-renziato. Vi sono, infatti, scale di trattamento, che dipendono sia da qualità soggettive, sia da situazioni oggettive. Al gradino più basso sta il semplice dileg-gio verbale (chiamare «terroni» i meridionali, «vu cumprà» i marocchini). Su un gradino più alto sta l'evitamento, il non vo-ler avere a che fare con loro, il tener le distanze, senza peraltro giungere ad atti ostili, l'indiffe-renza, il mostrare se mai un certo fastidio di fronte alla loro presenza. Io scostarsi quando si avvicinano, e così via. Più in su c ' è la discriminazione, dalla quale si può far incominciare propriamente il razzismo istitu-zionale, ove per discriminazio-ne s'intenda il non riconoscere loro gli stessi diritti, e qui in-tendo prima di tutto i diritti per-sonali, cioè quei diritti che ap-p a r t e n g o n o a ogni u o m o in quanto uomo, i diritti di libertà e di proprietà e via via i princi-pali diritti sociali.

Alla discriminazione si accom-pagna di solito la segregazione, che consiste nell'impedire il mescolamento dei diversi tra gli eguali, il loro collocamento in uno spazio separato, general-mente in zone degradate della città, la costrizione a vivere tra loro e soltanto tra loro, con la conseguenza inevitabile della cosiddetta «ghettizzazione». L ' u l t i m o g r a d i n o è quello dell'aggressione, che comincia sporadica e casuale contro i sin-goli individui, e arriva allo ster-minio premeditato e di massa.

^ ai primi gradi agli ulti-^ J mi si giunge attraverso

un vero e proprio salto qualitativo. Ma c ' è di mezzo qualche cosa che non è più soltanto il razzismo come atteggiamento spontaneo e irri-flesso nei riguardi del diverso

che viene a inserirsi non richie-sto nella tua comunità e minac-cia il tuo posto di lavoro o ad-dirittura la tua identità. C'è il razzismo come ideologia, o ad-dirittura come dottrina, che pre-tende di essere fondata su dati di fatto e di essere scientifica-mente dimostrabile: una dottri-na che si può trasformare anche in una compiuta, se pure per-versa, visione del mondo. Pur-troppo questa distinzione nel parlar comune di solito non si fa. donde derivano false rispo-ste e non adeguati rimedi.

M ^ erché si possa parlare ^ f W di ideologia (o teoria) r a z z i s t i c a o c c o r r o n o queste tre condizioni, che possiamo definire i postula-ti del razzismo come visione del mondo: 1) L'umanità è visa in razze diverse, la cui di-versità è data da elementi di ca-rattere biologico e psicologico, nonché in ultima istanza anche culturali, questi ultimi derivanti peraltro dai primi. Che ci siano razze s i g n i f i c a che vi sono gruppi umani i cui caratteri so-no invariabili e si trasmettoso-no ereditariamente. Sul fondamen-to scientifico di questa dottrina, la cui veridicità ha avuto in passato molti fautori, non è il caso di discutere, perché essa è soltanto uno dei postulati della ideologia razzistica ed è anche il più innocuo, giacché ne deri-va dal punto di vista dell'azio-ne pratica una politica di sepa-razione e la condanna del me-ticciato. 2) Non solo ci sono razze diverse, ma ci sono razze superiori e inferiori. Con questa affermazione l'ideologia razzi-stica fa un passo avanti. Ma si trova di fronte alla difficoltà di fissare quali siano i criteri in base ai quali si possa stabilire con certezza che una razza è superiore all'altra. I criteri di volta in volta adottati possono essere estetici: «Noi siamo belli e loro brutti», o intellettuali; «Noi siamo intelligenti e loro stupidi», o morali: «Noi siamo buoni e loro sono malvagi». Spesso nelle ideologie razzisti-che c'è un miscuglio di tutti e tre i criteri. Anche questo se-condo postulato non ha conse-guenze di per se stesse negati-ve. Si può infatti sostenere che, una volta accertato un rapporto tra superiore e inferiore, il pri-mo ha il dovere, proprio in quanto superiore, di proteggere l'inferiore, di ammaestrarlo, di educarlo, di aiutarlo a giungere ai gradi più alti dei valori, di cui il superiore si ritiene porta-tore. Di questo tipo è il rappor-to tra genirappor-tori e figli minorenni. Esiste nella storia delle istitu-zioni politiche una forma di go-verno detta paternalismo,

(6)

se-condo la quale si riconosce che

il sovrano è superiore ai suoi sudditi, paragonati a figli mino-renni. e proprio perché tale

de-ve comportarsi verso di loro

come un padre amorevole e

be-nefico; 3) Non solo ci sono

raz-ze, non solo ci sono razze supe-riori e inferiori, ma le superiori, proprio perché superiori, hanno il diritto di dominare quelle in-feriori, e di trame

eventualmen-te tutti i possibili vantaggi. An-che se la giustificazione del co-lonialismo si è servita

soprat-tutto del secondo principio, non

ha mai rinunciato all'uso anche

del terzo. Ma solo con l'avven-to al potere di Hitler, si è

for-mato per la prima volta nella storia dell'Europa civile «uno

stato razziale»7: uno stato raz-ziale nel più pieno senso della

parola, perché la purezza della

razza doveva essere perseguita

non soltanto eliminando

indivi-dui di altre razze, ma anche

in-dividui inferiori fisicamente o

p s i c h i c a m e n t e d e l l a p r o p r i a

razza, come i malati terminali, i

minorati psichici, i vecchi non

più autosufficienti ecc.

/

a distinzione fra compor-tamento razzistico e ideo-logia o dottrina del

razzi-smo è importante perché

in Italia abbiamo a che fare

so-prattutto con il primo. Una vera

e propria ideologia razzistica

italiana non c'è: anche durante

la campagna razziale

antiebrai-ca del fascismo scarsi e

scarsa-mente sentiti sono stati i

tenta-tivi di acclimatare nel nostro

paese ideologie o dottrine raz-zistiche sorte altrove. In Italia

esiste sinora quel «rumore» di

cui ho parlato all'inizio. Se un problema relativo al razzismo

in Italia esiste, esiste soprattut-to nei r i g u a r d i del r a z z i s m o spontaneo. In Italia non esisto-no neppure come già esistoesisto-no

in Francia (Le Pen) e in

Germa-nia (i Republikaner), partiti raz-zistici. E pur vero che non c ' è bisogno di un partito razzista perché nasca il razzismo, ma è innegabile che la formazione di un simile partito lo rafforza. Vi sono però almeno due partiti i cui programmi contengono pro-poste razzistiche, come le Le-ghe rispetto ai Meridionali, e il Movimento sociale rispetto agli immigrati dal Terzo Mondo. La vigilanza è necessaria. Non c'è bisogno di una ideologia razzi-sta perché sorgano conflitti raz-ziali. Il conflitto razziale è ine-vitabile, come ho già detto, do-ve do-vengono a contatto attrado-ver- attraver-so un'immigrazione di massa popolazioni diverse per costu-mi, lingua, tradizioni, religione. Basta per accendere il conflitto il pregiudizio, che, come si è detto, alligna in ogni uomo,

an-che se non basta combattere il pregiudizio per risolvere i con-flitti etnici, che scoppiano or-mai un po' dappertutto nei pae-si ad alta immigrazione e non risparmieranno il nostro paese.

come non si può tollerare gli intolleranti. Ma una democrazia non può essere esclusiva senza v e n i r m e n o al suo p r i n c i p i o ispiratore.

BIOLOGIA

SENZA RAZZE

di Alberto Piazza er controllare, se non f i p e r e v i t a r e del tutto, l'insorgere di conflitti J L . e t n i c i o c c o r r e c h e il governo scelga e attui una tica dell'immigrazione. Le poli-tiche dell'immigrazione si col-locano fra l'estremo dell'assi-m i l a z i o n e , che c o n d u c e alla progressiva omologazione degli immigrati agli abitanti storici del paese ove sono accolti, at-traverso il graduale riconosci-mento dei cosiddetti diritti di cittadinanza, tra cui il principa-le è il diritto politico, da distin-guersi a ogni modo dai diritti personali, che in uno stato di diritto dovrebbero essere rico-nosciuti a tutti, e l'altro estremo del rispetto delle differenze che conduce, al contrario, a consen-tire all'immigrato la conserva-zione di ciò che lo fa diverso, la propria lingua, i propri riti, i propri costumi (si ricordi il di-b a t t i t o s c o p p i a t o in F r a n c i a sull'uso del chador in scuola da parte delle ragazze musulma-ne). Fra i due estremi vi posso-no essere soluzioni di compro-messo, che dipendono da mol-teplici fattori che variano da paese a paese. La scelta fra le due soluzioni estreme dipende anche dalla maggior o m i n o r forza dei pregiudizi reciproci dei due soggetti del conflitto.

1 II v o l u m e è a p p a r s o nel 1992 presso l'editore Rosenberg & Sel-lier di Torino. Le frasi citate si tro-vano a p. 27.

2 Questo brano si trova a p. 185. 1 Questo brano è tratto da una con-ferenza, intitolata La natura del pregiudizio, tenuta il 5 novembre

1979, pubblicata, insieme con altre conferenze dello stesso ciclo, in un volume. La natura del pregiudizio, a cura della Città di Torino e della Regione Piemonte.

4 Traggo questa citazione, come al-tre, dal libro di T a g u i e f f , sopra m e n z i o n a t o . Il brano di Monte-squieu è citato a guisa di motto all'inizio di p. 274.

5 Notevoli osservazioni sul tema in Stefano Levi Della Torre, Attualità del razzismo e dell' antisemitismo in Europa, nel fascicolo tutto dedi-cato al razzismo di «Problemi del socialismo», maggio-agosto 1989, pp. 61-84.

6I I libro, uscito in F r a n c i a nel 1989, reca nel sottotitolo, La rifles-sione francese sulla diversità uma-na.

7 Cosi è intitolato il libro di M. Buerleigh e W. Wippermann, Lo stato razziale (Germania 1933-1945), trad. it. Milano, Rizzoli, 1992.

«Così L. Balbo e L. Manconi, 1 razzismi reali, Milano, Feltrinelli,

1992, p. 89. Degli stessi autori, be-nemeriti promotori dell'Associa-zione Italia-Razzismo, vedi anche / razzismi possibili, Milano, Feltri-nelli 1990.

9 1 dibattito è più che mai / J aperto. Non è questa la

se-^ de per tentare di chiuder-lo, ammesso che io ne sia capace. Quale che sia la solu-zione da adottare, non bisogna mai perdere di vista la ragione profonda della lotta al razzismo in tutte le sue forme e manife-stazioni: d e m o c r a z i a e razzi-smo sono incompatibili. Alme-no per due motivi: la democra-zia è fondata su valori univer-sali, come la libertà, la giusti-zia, il rispetto dell'altro, la tol-leranza e la n o n - v i o l e n z a ; il razzismo è antiliberale, antie-gualitario, intollerante, e istiga alla violenza. In secondo luogo, la democrazia è inclusiva, nel senso che tende a includere co-loro che per una ragione o per un'altra, stanno fuori della cer-chia dei privilegiati, e a esten-dere anche a loro gli stessi ritti. Ogni forma di potere di-spotico è esclusivo: tende, al-l'opposto, a escludere i già in-clusi, negando, per esempio, i diritti di libertà agli avversari politici. N a t u r a l m e n t e non si può includere tutto e tutti, così

(7)

0 n questi tempi in cui si usa / m parlare di società

multiet-M s nica e in cui tornano pur-troppo a manifestarsi atteggiamenti di discriminazio-ne razziale, mi si chiede spesso se il concetto di razza abbia un fondamento biologico. La ri-sposta non è scontata perché è difficile ricondurre il significa-to di quessignifica-to termine al suo va-lore storico quando, da una par-te gli spar-tessi studiosi di biologia lo hanno usato con intendimen-ti diversi e spesso ambigui, e dall'altra l'uso con'ente si è ca-ricato di riferimenti culturali di abbietta memoria.

Un esempio significativo delle difficoltà che circondano l'uso del termine razza, è stato dato di recente quando, in Tutto-scienze, all'esposizione dei ri-sultati di alcune nostre ricerche (peraltro riassunte in m o d o esemplare) è stato dato il titolo: «Le razze sono nate 10 mila an-ni fa». Dal momento che l'arti-colo non fa menzione (corretta-mente) di classificazioni in raz-ze delle popolazioni umane, al lettore viene più che naturale chiedersi se le razze umane esì-stano davvero.

¿ m b b e n e : la s u d d i v i s i o n e f y della nostra specie in

raz-ze è biologicamente infon-data. Se esaminiamo due indi-vidui a caso, il loro corredo ge-netico (cioè l'insieme dei geni la cui informazione è archiviata e si trasmette per mezzo del Dna) sarà, con certezza quasi assoluta, diverso: nel mondo biologico la diversità costitui-sce la r e g o l a , l ' u n i f o r m i t à l'evento eccezionale.

La variabilità biologica interin-dividuale si può misurare se-guendo diversi livelli di indagi-ne. Con una distinzione appros-simativa che corrisponde anche a una successione storica e a una difficoltà tecnica crescente, le misure si possono riferire a caratteri: 1) antropometrici (per esempio, dimensioni delle ossa e delle forme del corpo) e

an-troposcopici (per esempio,

co-lore della pelle, forma dei ca-pelli); 2) molecolari, nel senso di molecole biologiche la cui presenza è regolata da geni (per esempio, gruppi sanguigni, en-zimi presenti nel sangue); 3) di

Dna (sequenze parziali o totali

di geni).

er semplicità, i caratteri

" W W esteriori sono stati i primi a essere studiati dagli a n t r o p o l o g i . Il

«diverso» viene classificato co-me tale in base a paraco-metri che della biologia moderna manife-stano l'ignoranza più che la co-noscenza: la persona di pelle scura è, da un punto di vista

ge-netico, sì diversa dalla persona di pelle chiara, ma i geni che controllano il colore della pelle costituiscono una proporzione irrisoria della totalità dei geni (circa 100.000) che sono diffe-renti in due persone con lo stes-so colore della pelle.

La persona di pelle scura viene «vista» diversa dalla persona di pelle chiara, solo perché il colo-re della pelle è un carattecolo-re visi-bile e in quanto tale viene cultu-ralmente isolato rispetto ai ca-ratteri la cui esistenza non è tan-gibilmente riconosciuta dai no-stri sensi. In modo simile il co-lore degli occhi, la forma e le dimensioni fisiche del nostro corpo, possono essere associati a differenze genetiche che han-no nella realtà un peso molto minore di quello che sembra. Il difetto di prospettiva era già stato chiaramente intuito da Darwin, quando notava (in The Descent of Man and Selection in Relation to Sex) che la specie umana è unica e, citando una dozzina di autori a lui contem-poranei in disaccordo sul nume-ro delle razze (da 2 a 63) ag-giungeva come «sia difficile identificare caratteri di chiara evidenza biologica che separino le razze». E c o n c l u d e v a : «Quando i principi dell'evolu-zione saranno accettati da tutti... le discussioni tra chi sostiene l'esistenza di sottospecie o raz-ze, morranno di una morte si-lenziosa cui nessuno farà caso».

j m m uesta ultima profezia si è avverata solo in tempi M molto recenti, quando è stato possibile esamina-re i dati molecolari e delle se-quenze di Dna (nel senso prima specificato). Statisticamente si è dimostrato che la variazione genetica all'interno dei vari raggruppamenti di solito defini-ti secondo criteri geografici o linguistici, è dello stesso ordine di grandezza di quella tra i rag-gruppamenti. Tale oservazione deriva dal fatto che in quasi tut-te le popolazioni tutti i geni che si conoscono sono presenti, an-che se con frequenze differenti, e che tutte le p o p o l a z i o n i o gruppi di popolazioni hanno rapporti di affinità diversa a se-conda del gene che si conside-ra. Ne consegue che nessun ge-ne singolo è sufficiente a clas-sificare le popolazioni umane in categorie sistematiche.

^ .a variabilità che esiste in M tutte le popolazioni, anche M s in quelle di piccole

dimen-sioni, si è accumulata in tempi m o l t o lunghi, f o r s e dall'origine stessa della nostra specie Homo, circa 700.000

an-ni fa: altrimenti non ci spieghe-remmo la presenza della mag-gior parte dei polimorfismi che conosciamo in quasi tutte le po-polazioni. La differenziazione geografica degli uomini anato-micamente moderni (Homo sa-piens sasa-piens) è recente, risa-lendo a circa 100-150.000 anni fa (il 20 per cento del tempo di esistenza della specie). Perciò non vi è stato tempo sufficiente per una differenziazione all'in-terno di ciascun gruppo. Inoltre la nostra specie, come quella dei nostri antenati più vi-cini Homo erectus, ha sviluppa-to un'attività migrasviluppa-toria molsviluppa-to intensa in tutte le direzioni, con fenomeni di ibridazione tra po-polazioni magari separate da lungo tempo. Le mescolanze diminuiscono le differenze ge-netiche, introducendo gradienti continui di variabilità che ren-dono ancora più difficile la de-finizione di «confini» genetici.

^ al punto di vista scienti-s t a fico, il concetto di razza

è perciò privo di fonda-menti. Si può obiettare che gli stereotipi razziali hanno una coerenza che permette an-che ai profani di «classificare» le persone. Tuttavia, come già

si è sottolineato gli stereotipi più diffusi (colore della pelle, colore e forma dei capelli, tratti del viso) riflettono differenze superficiali.

Confrontando la storia genetica di molti geni e di molte popola-zioni, siamo in grado di distin-guere gruppi di popolazioni di-verse e di ordinarle in una ge-rarchia tassonomica. Ma tali gruppi non possono identificar-si con le «razze», perché cia-scun livello tassonomico sepa-rerebbe partizioni differenti, e non vi è alcuna ragione biologi-ca per preferirne uno in partico-lare. Inoltre piccole variazioni nei geni o nei metodi di analisi impiegati possono spostare cer-te popolazioni da un gruppo all'altro. Voler realizzare una tassonomia delle popolazioni umane di cui ci si possa fidare è una causa persa.

E stato proprio questo tipo di analisi che ci ha permesso dì documentare che le innovazioni tecnologiche e culturali dal Pa-leolitico a oggi hanno profon-damente influenzato la struttura biologica dell'uomo moderno: se si considera che Io scim-panzè e l'uomo moderno condi-vidono il 98 per cento dei geni, in quel 2 per cento di diversità si concentra una potenzialità

(8)

evolutiva assolutamente straor-dinaria, i cui dettagli costitui-scono il fascino del nostro ten-tativo di ricostruzione.

r

i m a n e d a e s a m i n a r e il

m o t i v o p e r c u i lo s t e -r e o t i p o d e l l a -r a z z a sia così difficile da estirpare. Vi è una responsabilità della c o m u nità s c i e n t i f i c a o r m a i a m p i a -mente documentata a l m e n o per quel che riguarda le generazio-ni passate, ma vi è qualcosa di p i ù p r o f o n d o , f o r s e u n a c o n -t r a d d i z i o n e non a n c o r a risol-ta tra l ' e v o l u z i o n e b i o l o g i c a c h e premia la diversità e l'evoluzio-ne s o c i a l e c h e i n v e c e p r e m i a l'omogeneità sociale, il non es-sere diversi dagli altri quale ga-r a n z i a di c o n s e ga-r v a z i o n e d e l l a s t r u t t u r a s o c i a l e e s i s t e n t e , l ' i d e n t i f i c a r s i in un g r u p p o di uguali per potersi m e g l i o difen-dere da altri gruppi.

Nel 1959 il filologo G i a n f r a n c o Contini individuò l ' e t i m o l o g i a della parola razza nel f r a n c e s e antico haraz, « a l l e v a m e n t o di cavalli, deposito di stalloni» di cui è rimasta a n c h e in italiano l ' e s p r e s s i o n e « c a v a l l o di r a z -z a » . P r o p o n g o di r i p o r t a r e il termine alla sua etimologia ori-ginaria: il razzismo esiste m a la r a z z a n o n si p u ò r i f e r i r e a l l a nostra specie.

(Da: "Esistono i razzisti, non le

razze", in "La Stampa. Tuttoscien-ze", n. 557, 17 marzo 1993).

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LA DEMOCRAZIA

DEI

PREGIUDIZI

di Delia Frigessi e Nicola Negri

J

«Idea od opinione errata,

anteriore alla diretta

co-noscenza di determinati

fatti o persone, fondata su

con-vincimenti tradizionali e

comu-ni ai più, atta a impedire un

giudizio retto e spassionato»: questa definizione del pregiudi-z i o , t r a t t a d a l l o Z i n g a r e l l i (1970), nella sua concisione e

apparente semplicità dice già

alcune cose importanti. Ne

sot-tolineiamo due: l'accenno «ai

più», da intendere quale riferi-mento a una maggioranza, a un gruppo dominante e quello al carattere eminentemente «ideo-logico» del p r e g i u d i z i o , una credenza che non ha nulla a che

fare con l'evidenza e che anzi comporta una caduta di razio-nalità. Tecnicamente il pregiu-dizio può essere c o n f i g u r a t o come un «errore», consistente in un giudizio arbitrario che

co-struisce l'«altro» — ciò che è a

«noi» estraneo — in maniera predeterminata, utilizzando

ste-reotipi. E il p r e g i u d i z i o l ' e

-spressione di un atteggiamento intollerante, che attinge sempre alla sfera del patologico? Molte incomprensioni e

diffi-coltà derivano oggi da una

ri-sposta a f f r e t t a t a e positiva a

questa domanda. Ci sembra uti-le perciò proporre una rifuti-lessio- riflessio-ne sulla varietà dei modi e delle

ragioni del pregiudizio, che sia

altrettanto attenta al come e al perché della sua riproduzione.

Questo discorso riflessivo può incominciare ricordando che il

pregiudizio può assumere

sva-riate forme. Può essere etnico,

razziale, di classe o di genere ma sempre si esprime attraver-so c o n c e z i o n i s u p e r f i c i a l i e

semplificate, che implicano una

presa di distanza sociale. Chi formula un pregiudizio si

per-cepisce sempre esterno, distan-te dai gruppi o dagli indvidui

pregiudicati.

A parte questo elemento comu-ne le diverse categorie di pre-giudizio sono assai differenzia-te, non solo fra di loro ma an-che al proprio interno. E impor-tante rendersene conto soprat-tutto nel caso del pregiudizio razziale, per cercare di

oltre-passare le concezioni stereoti-pate che p a r a d o s s a l m e n t e si

sviluppano sul razzismo stesso. A chi sia ansioso o frettoloso nel p r e n d e r e le d i s t a n z e dal pregiudizio razziale, tutto può apparire razzista: ogni atteggia-m e n t o di e s t r a n e i t à , r i f i u t o , emarginazione o non rispetto dell'altro. E di più: chiunque abbia simili atteggiamenti sa-rebbe potenzialmente pronto a ricorrere al genocidio. Si per-viene così ad un allargamento indebito del concetto di razzi-s m o e delle conrazzi-seguenze dei pregiudizi, fonte di confusione. Pregiudizi e stereotipi sull'altro

(9)

possono invece avere contenuti molto diversi, sia positivi sia negativi e non equivalgono, sic et simpliciter, né all'etnocentri-smo, né alla xenofobia e neppu-re al razzismo. Vale la pena ri-chiamare qualche definizione in proposito, senza pretendere dì andare in profondità'.

Esìste un d i f f u s o

etno-^ etno-^ J p centrìsmo spontaneo, fi-siologico addirittura, che coincide con il nostro legittimo bisogno di possedere radici e identità sociale e non comporta ostilità verso l'altro da sé. Nep-pure esso si identifica con le forme di malcelato rifiuto del pluralismo culturale, di soprav-valutazione acritica del model-lo occidentale di vita, d'indiffe-renza per la storia — personale e collettiva — delle persone di-verse per origini e cultura. Contigua all'etnocentrismo è la xenofobia: una reazione ancora di tipo « p r i m a r i o » , attinente cioè alla difesa dell'identità. Tuttavia, la xenofobia compor-ta ostilità: un rifiuto dell'intru-f; so.

Il razzismo propriamente detto t r a s f o r m a questa reazione in ideologia, in comportamenti, in modalità di predominio. A dif-f e r e n z a d e l l ' e t n o c e n t r i s m o e della xenofobia, il razzismo ha 1 storicamente fatto appello a

ra-gioni in primo luogo biologi-che. Queste stesse ragioni han-no permesso al razzismo di le-gittimare lo sfruttamento di in-teri paesi e popolazioni, quando non il loro sterminio.

Nell'ultimo decennio, si sono constatate ulteriori differenzia-zioni, all'interno del razzismo stesso. Accanto, e talvolta al posto, del razzismo biologiz-zante classico (il nero è costitu-zionalmente inferiore al bian-co), si è manifestato un razzi-smo che si basa sulla rivendica-zione aggressiva delle differen-ze culturali, considerate immo-dificabili e che utilizza anche l'etnocentrismo trasformandolo in seconda natura. Il diritto alla difesa di questa «seconda natu-ra» culturale legittima poi, sul piano politico, la militanza or-ganizzata contro l'altro. Dunque, sono storicamente esi-stiti e continuano a riproporsi diversi modi di percepire e af-frontare l'altro, «il diverso» per c o l o r e d e l l a p e l l e , c u l t u r a , gruppo di appartenenza. Analo-ghe osservazioni potrebbero es-sere sviluppate per i pregiudizi di classe e di genere. La messa a f u o c o di simili varietà è la premessa fondamentale per ol-trepassare una concezione trop-po s c h e m a t i c a — essa stessa pregiudiziale — del pregiudizio e per chiarire i meccanismi che

|

I

possono generarlo. Per questa via si può superare quella visio-ne che fa sempre derivare i pre-giudìzi da patologie individuali o collettive.

J

A prendere le distanze da qualcuno, esprimendo su di lui giudizi stereoti-pati, possono contribuire fina-lità sia di dominio, sia dì con-servazione della coesione inter-na del gruppo di appartenenza. Non sempre tuttavia questa pre-sa di distanza sociale risponde a ragioni di egemonìa o di con-trollo sociale.

Negli ultimi decenni, un'ampia letteratura2, mirata a mettere in luce la «normalità» dei pregiu-dizi, ha illustrato la loro stretta connessione con i meccanismi che reggono il nostro pensiero quotidiano. Operazioni cogniti-ve che non agiscono tanto a li-vello individuale ma di intera-zione/™ individui e che servo-no per categorizzare il sociale. Attraverso questi meccanismi le persone, insieme alle loro si-tuazioni, esperienze e compor-t a m e n compor-t i s o n o r a g g r u p p a compor-t e e classificate, con tutti i conse-guenti vantaggi cognitivi. Il ri-sultato ultimo di queste opera-zioni consiste nella individua-zione di due o più gruppi, in-group e outin-group.

Questo processo di polarizza-zione avviene attraverso l'atto della semplificazione. Da un la-to, vi è un'esagerata percezione della comunanza delle opinioni e dei comportamenti che si sup-pongono accomunare i membri del proprio gruppo. Dall'altro lato, si esaspera la percezione d e l l e d i s s o m i g l i a n z e c o n i membri del gruppo esterno, che vengono fortemente omologati. Seppure riduttiva e causa di fal-sa coscienza, questa semplifica-z i o n e è s p e s s o e f f i c a c e p e r l ' u o m o m o d e r n o , costretto a fronteggiare una realtà sociale e s t r e m a m e n t e complessa. Un m o n d o c h e gli r i s u l t e r e b b e troppo difficile o costoso cono-scere in tutta la sua varietà. In questa prospettiva, il pregiudi-zio appare come una forma di c o n o s c e n z a da parte d e l l ' / n -group suWoul-group o — per dirla in altri termini — come un modo funzionale di organizzare l'informazione sull'altro. Tracce consistenti del ruolo co-gnitivo svolto dai pregiudizi emergono, in modo dinamico e flessibile, nel discorso, che è la forma per eccellenza della inte-r a z i o n e q u o t i d i a n a . P e inte-r c i ò l'analisi del discorso costituisce un utile s t r u m e n t o per c o m -prendere le dimensioni sociali del pregiudizio1.

Nel discorso si esprimono in-fatti esperienze e opinioni

per-sonali — spesso negative e cri-tiche — sui membri dell'oui-group, sforzandosi tuttavia di farlo in modo socialmente ac-cettabile e credibile. Emergono, proprio per questo, tensioni che varie strategie, attraverso mos-se mos-semantiche e particolari for-me di distanza che possono as-sumere per esempio forma di m e t a f o r a , c e r c a n o in diversi modi di mascherare. La tensio-ne più evidente, quella che col-pisce di più è la difficoltà di conciliare la descrizione critica, negativa, del membro deH'out-group con una presentazione di sé che sia al di sopra di ogni so-spetto di pregiudizio, che con-fermi la presenza e la consi-stenza di un atteggiamento ra-zionalmente tollerante presso i membri delì'ingroup. La gente sa che le norme di tipo solidari-stico hanno corso e sono condi-vise nelle società democratiche, ispirate a valori universalistici. E considera perciò utile e con-veniente rafforzare questa co-munanza che consente di rin-saldare i legami, di adeguarsi alle norme della democrazia e, al tempo stesso, di soddisfare le proprie esigenze personali di legittimazione come portavoce del gruppo di appartenenza.

J m Questa osservazione ci porta a un ultimo pun-M to, spesso trascurato. Si tratta dell'appoggio reciproco fra concezioni stereotipate de-gli altri e fiducia nei valori che ispirano il riconoscimento uni-versale dei diritti, che ha carat-terizzato — nel secondo dopo-guerra — le società democrati-che occidentali. Cioè quelle democrati-che più hanno perseguito obbiettivi di welfare e integrazione socia-le.

In queste società, molte politi-che orientate a garantire in mo-do universalistico l'accesso ai diritti sociali, lottando contro la povertà e le esclusioni, si sono rette su un mix di valori — in primo luogo quelli dell'ugua-glianza e della solidarietà — e pregiudizi. Ad esempio, il valo-re dell'uguaglianza è stato per-s e g u i t o , per-s e p p u r e in m a n i e r a molto imperfetta e conflittuale, privilegiando in modo stereoti-p a t o gli asstereoti-petti e c o n o m i c i e materiali delle disuguaglianze sociali: la mancanza di pensioni per alcune categorie di anziani, di un reddito minimo per i po-veri, di un lavoro riconosciuto per gli immigrati, di adeguati posti di lavoro per i soggetti de-boli. Si s o n o trattate così in modo superficiale e sommario le disuguaglianze che, meno ri-solvibili attraverso l'elargizione di risorse e compensazioni, ri-guardavano in primo luogo la

specificità del modo di essere di c i a s c u n o : le diversità più complesse di tipo fisico, psico-logico, culturale. D'altro canto, la solidarietà è stata rivolta ver-so i biver-sogni di un Uomo astrat-to e generico, spesso identifica-to con la figura del produtidentifica-tore maschio occidentale. Ai biso-gni di quest'ultimo sono stati assimilati in modo stereotipato quelli fondamentali dell'intera umanità. Ridotti all'essenziale, solo questi bisogni hanno costi-tuito il punto di riferimento al quale indirizzare, in nome dei principi universalistici, la soli-darietà verso gli altri. Sono sta-te così trascurasta-te le richiessta-te più peculiari ma non meno fon-damentali di chi per sesso, per età, per configurazione psicolo-gica, a quel prototipo non era riconducibile.

Negli ultimi anni, la crisi finan-ziaria e morale di varie forme di Stato sociale, le tensioni pro-vocate in molti paesi dalla pre-senza di una immigrazione stra-niera, l'esplosione drammatica di guerre etniche, hanno messo profondamente in crisi questo mix di v a l o r i e p r e g i u d i z i . L'economia non basta a risol-vere i problemi di integrazione degli «altri». Anzi, in continua-zione si ripropongono conflitti tra scarsità delle risorse e aspi-razioni all'uguaglianza ne! be-n e s s e r e . E di c o be-n s e g u e be-n z a , sempre meno un modello uni-versalistico di bisogni, un rife-r i m e n t o a l l ' U o m o toutcourife-rt, sembra far presa su movimenti e popoli.

In questa situazione, l'universa-lismo potrebbe cedere il passo a o r i e n t a m e n t i più c h i u s i . I nuovi orientamenti potrebbero tentare di perseguire (e conser-vare) i valori dell'uguaglianza e della solidarietà, sempre intesi in modo stereotipato, su scala più piccola, fra di «noi»: nella

propria regione o città, nel prò- ( prio quartiere, dentro i confini

delì'ingroup. Il rischio di que-sto collasso della problematica d e l l ' u n i v e r s a l i s m o p o t r e b b e essere la perdita del m e t o d o stesso che caratterizza la demo-crazia. Metodo che presuppone l'interazione, e la ricerca del-l'interazione, con l'altro: con chi ha diversi interessi, diversi scopi e «la pensa» anche in mo-do diverso. Sul principio della interazione potrebbe prevalere quello della inclusione-esclu-sione sociale, con esiti indefini-ti. Ogni esclusione può infatti costituire l'antecedente storico, culturale o politico che legitti-ma un'altra esclusione, renden-do possibile la formazione di ingroup sempre più ristretti. Si delineerebbe quindi una crisi delle «convenzioni» delle de-mocrazie occidentali4,

(10)

nell'am-b i t o d e l l e q u a l i h a n n o f i n o r a convissuto, in tensione m a sen-za entrare in diretto contrasto, il s e n s o di s u p e r i o r i t à r i s p e t t o a l l ' a l t r o e l ' a p e r t u r a , la tolle-ranza e il rispetto nei suoi con-f r o n t i . L i m i t a r s i al d i s c o r s o s u l l ' e m e r g e n z a dei p r e g i u d i z i nella sfera delle patologie indi-viduali e collettive non consen-te di cogliere i problemi di que-sta trasformazione in atto — la contrazione della « d e m o c r a z i a dei pregiudizi» — e l ' u r g e n z a di farvi fronte.

' Per l'introduzione a un'analisi più approfondita di queste questioni si veda: van Dijk. 1987; Rusconi, 1989; Balibar, 1990; Lanternari, 1990, 1992; Gellner, 1991; Puglie-se, 1991; Balbo, Manconi, 1992. ^Fra la letteratura disponibile in italiano si rinvia a Tajfel, 1981. Utile anche il sintetico contributo di Maas, 1991.

J Importanti osservazioni a riguar-do, in testi tradotti, si trovano in Brown, Yule, 1983; Ter Wal, 1991; van Dijk, 1989. Per un'analisi del discorso del pregiudizio etnico rife-rita al caso piemontese vedi Friges-si, 1992.

J Questa tesi è sviluppata sulla base di alcuni dati e m p i r i c i in Ires, 1992. Il volume raccoglie i dati di una ricerca su cui si è già scritto in Sisifo (Negri, 1993) e alla quale entrambi gli autori di queste note hanno partecipato.

Riferimenti bibliografici Balbo L., Manconi L., 1 razzismi reali, Feltrinelli, Milano, 1992. Balibar E., Razzismo e politica, in «Il Passaggio», novembre-dicem-bre, 1990.

Brown G., Yule G., Discourse

Anahsis, Cambridge Univ. Press,

Cambridge, 1983 (trad. it. Il Muli-no, Bologna, 1986).

Frigessi D.. / discorsi del pregiudi-zio etnico, in Ires 1992. Gellner E-, Etnicità, sentimento na-zionale e industrialismo, in «Pro-blemi del socialismo», voi. 3, An-geli, Milano. 1991.

Ires, Rumore. Atteggiamenti verso gli immigrati stranieri, Rosenberg & Sellier, Torino, 1992.

Lanternari V., L'incivilimento dei barbari. D e d a l o , Bari, 1990. Lanternari V., Dall' etnicità al raz-zismo in Le tribù della città piane-ta, migrazione e razzismo, E d . Giunta Regionale Toscana, Firen-ze, 1992.

Mass A., Gli stereotipi, in R. Tren-tin (a cura di), Gli atteggiamenti sociali: teoria e ricerca, Bollati Boringhieri, Torino, 1991. Negri N-, Ostilità e compiacenza verso gli immigrati stranieri: su al-cuni aspetti mentali dell' esclusione sociale a Torino, in «Sisifo», n. 25, 1993.

Pugliese E., Le interpretazioni del razzismo nel dibattito italiano sulla immigrazione, in «La critica socio-logica», n. 4, 1991.

Rusconi G.E., Osservazioni sul razzismo, in «Micromega», n. 1. 1989.

Tajfel H., Human Groups and So-cial Categories, Cambridge Univ. Press, Cambridge, 1981 (trad. it. Il Mulino, 1985).

Ter Wal J., li linguaggio del pre-giudizio etnico, in «Politica ed eco-nomia», n. 4, 1991.

van Dijk T.A., Comunicating Raci-sm, Sage, London, 1987.

van Dijk T.A., La riproduzione del pregiudizio, in «Democrazia e di-ritto», n. 6, 1989.

Zingarelli N., Vocabolario della lingua italiana, Zanichelli, Bolo-gna, 1970.

ETNICITÀ

E CITTADINANZA

di Sergio Dellavalle

X

Se gli anni Ottanta sono

stati caratterizzati da uno

strabordante individuali-smo, molto sta a indicare che il

decennio in corso passerà agli

annali c o m e c o n t r a d d i s t i n t o dalla ricerca, da parte dei

diver-si attori sociali, della

ricostru-zione di una qualche forma di

«identità», personale innanzi-tutto, ma anche — e in ultima istanza soprattutto — collettiva. Mentre la fine, almeno tempo-ranea, delle utopie sociali e la deregulation del welfare state

avevano «liberato» il singolo in

un mondo economico-sociale pressoché privo di appartenen-ze determinate, inculcandogli la

convinzione — o forse l'illu-sione — che l'integrazione po-tesse e dovesse avvenire

esclu-sivamente tramite la «mano

in-visibile» del mercato, si nota negli ultimi anni uno

sposta-mento d'interesse sempre più

m a r c a t o verso quelli che

po-trebbero essere definiti i

«fon-damenti morali» delle società

moderne, verso le ragioni

sog-gettive che inducono gli indivi-dui a considerarsi parte di una

collettività e a riprodurla. In

al-tri termini, su un assunto

fonda-mentale sembra ormai trovarsi

d'accordo la maggior parte sia

degli studiosi della politica sia

dell'opinione pubblica non

spe-cialistica, cioè sul fatto che —

come scrive Axel Honneth —

«senza una determinata

"quan-tità" di legame comune a valori

collettivi, ossia senza ciò che

possiamo chiamare una

comu-nità sociale dei valori o, in

mo-do meno compromettente, una

forma culturale di vita, non è

garantita la funzionalità di una

società democratica»1. Peraltro, a questa rinnovata

ri-chiesta di identità collettiva si

a c c o m p a g n a una drammatica corrosione delle risorse ideolo-giche e sociali che tradizional-mente erano state adibite, quan-to meno negli ultimi secoli, a

formulare una risposta soddi-sfacente al problema della defi-nizione del «Noi». E a tal ri-guardo sarebbe ingenuo ritene-re che la crisi investa solo il

pensiero della sinistra,

comuni-sta o socialdemocratica che sia:

una volta perso il suo tradizio-nale avversario, anche il pen-siero liberale o, in generale, conservatore sembra cadere in gravi difficoltà, come stanno a dimostrare le vicende del rea-ganismo negli Stati Uniti e del thatcherismo in Gran Bretagna, o le crescenti difficoltà della Democrazia Cristiana tedesca — e a maggior ragione della sua cugina italiana — a racco-gliere intorno a sé un elettorato di centro-destra sempre più dif-ferenziato.

Proprio da questo coacervo di bisogni di identità difficili da

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