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LA GIUSTIZIA PENALE

Nel documento Sisifo 26 (pagine 40-43)

CONTRO LA

DISCRIMINAZIONE

E

L'INTOLLERANZA

di Guido Neppi Modona

Prevenzione e repressione

del pregiudizio razziale.

La repressione penale dei

feno-meni di razzismo e di antisemi-t i s m o d o v r e b b e p o r s i c o m e

l'ultima spiaggia, in situazioni in cui, falliti tutti gli altri stru-menti di prevenzione e di

con-t r a s con-t o o p e r a n con-t i sul t e r r e n o

dell'educazione e della cultura

al dialogo ed alla tolleranza, si è a p p u n t o costretti a colpire

con il rigore della legge penale gli autori di singoli episodi di violenza o di propaganda razzi-sta. Riporre eccessivo affida-mento sulle risposte della

giu-stizia penale non è che uno dei tanti modi di scaricarsi la

co-scienza, di delegare ad altri —

in q u e s t o c a s o alle f o r z e

dell'ordine ed alla magistratura

— quello che dovrebbe essere

l'impegno quotidiano di scruta-re le manifestazioni e gli

atteg-giamenti di pregiudizio e di

in-tolleranza che sono dentro

cia-scuno di noi e che possiamo

ve-dere riflessi nei nostri rapporti interpersonali.

La sensazione del ricorso alla

delega e della ricerca di

scor-ciatoie rispetto alla complessità degli aspetti culturali, sociali, psicologici che stanno dietro agli episodi di v i o l e n z a e di

odio razziale, è stata ad

esem-pio evidente nell'autunno

scor-so di fronte alla recrudescenza anche in Italia di gravi manife-stazioni di antisemitismo e di

xenofobia. La prima risposta è

stata una affannosa rincorsa —

del governo e delle varie forze politiche — verso nuovi prov-vedimenti legislativi, volti a

rendere più rigorosa ed efficace

la repressione penale, come se

qualche processo e qualche

an-no di galera in più potessero

ri-solvere ogni problema. Curio-samente, si è anche dimenticato

che già e s i s t e v a n o numerosi strumenti legislativi per colpire

le manifestazioni di discrimina-zione razziale — segnatamente la legge 13 ottobre 1975, n. 654, che ha dato esecuzione

al-la convenzione internazionale di New York del 7 marzo 1966

— e che sino ad allora quelle norme erano rimaste pressoché inapplicate, a causa di una

evi-dente sottovalutazione del

fe-nomeno da parte delle forze di

polizia e della magistratura. Più che di carenze legislative, si

sa-rebbe semmai dovuto parlare di un ritardo culturale nell'appli-cazione delle norme esistenti e

a p p r o f o n d i r e le ragioni della sostanziale inerzia degli appa-rati preventivi e repressivi. Queste premesse, doverose per chiarire il carattere marginale e di extrema ratio della repres-sione penale nel più ampio qua-dro degli strumenti per contra-stare la diffusione

ranza e del pregiudizio razziale, non escludono che sia necessa-rio ed utile trattare anche di questo aspetto, quantomeno per-venire incontro alla diffusa, seppure talvolta eccessiva fidu-cia riposta dalla coscienza col-lettiva negli interventi giudizia-ri. In particolare, nel contesto di questo fascicolo speciale di «Sisifo» e dì «Valore Scuola» dedicato agli insegnanti ed agli studenti, è assai opportuna una informazione aggiornata sullo stato della legislazione e sulle possibilità di intervento della giustizia penale; quantomeno perché siano chiari i confini del lecito e dell'illecito e, prima ancora, per inquadrare i delicati rapporti che in un ordinamento democratico intercorrono tra il diritto costituzionale della li-bertà di manifestazione e del proprio pensiero e la repressio-ne penale della propaganda e della diffusione di idee volte al-la discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o reli-giosi.

Profili costituzionali.

11 primo problema è appunto quello della compatibilità della repressione penale della divul-gazione di idee basate sul pre-giudizio e sull'intolleranza raz-ziale con l'art. 21 della Costitu-zione, che garantisce a tutti «il diritto di manifestare libera-mente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione». Analoga-mente, la repressione delle as-sociazioni e delle organizzazio-ni volte a perseguire obiettivi di discriminazione razziale sem-bra scntrarsi con un altro fon-damentale diritto costituziona-le, sancito dall'art. 18, che assi-cura ai cittadini «il diritto di as-sociarsi liberamente, senza au-torizzazione, per fini che non sono vietati ai singoli dalla leg-ge penale».

In realtà, l'esercizio di tali dirit-ti è condizionato al rispetto di altri principi costituzionali, che costituiscono anche essi pilastri fondamentali del nostro ordina-mento democratico: da un lato il principio di eguaglianza (art. 3 Cost.), secondo cui «tutti i cittadini hanno pari dignità so-ciale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di ses-so, di razza, di lingua, di reli-gione, di opinioni politiche,- di condizioni personali e sociali»; dall'altro il divieto di riorganiz-zazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista (XII disposizione transitoria della Costituzione), che a sua volta non è altro che una appli-cazione del metodo democrati-co quale strumento esclusivo delle competizioni politiche

(art. 49 Cost.).

Il principio di eguaglianza co-stituisce il presupposto della convivenza civile, della coesio-ne e dell'unità nazionale: un paese in cui fossero ammesse forme di discriminazione basa-te su razza, lingua, religione, sesso, opinioni politiche e con-dizioni personali o sociali, sa-rebbe una nazione a rischio di continui scontri interni, sino al-la guerra civile ed alal-la disgre-gazione dell'unità nazionale, come purtroppo hanno recente-mente insegnato le tragiche vi-cende dell'ex Iugoslavia. Nes-sun dubbio, quindi, che la tute-la del principio di eguaglianza prevalga sulla libertà di diffon-dere e propagandare idee volte alla discriminazione, in quanto ciascun ordinamento, anche il più aperto e democratico, deve essere posto in grado di difen-dersi dalla propagazione di ger-mi capaci dì attentare agli stessi fondamenti della sua esistenza. Circa la libertà di associazione, lo stesso art. 18 Cost. proibisce le associazioni per fini vietati ai singoli della legge penale. Con riferimento, poi, all'espresso divieto posto dalla XII disposi-zione transitoria, la legittimità della repressione penale di as-sociazioni aventi tra i propri fi-ni la propaganda e l'incitamen-to all'odio razziale trova il suo fondamento nella stessa Costi-tuzione, in quanto uno degli in-dici di riconoscibilità di una as-sociazione volta a ricostituire il partito fascista è individuato dalla legge proprio nella propa-ganda razzista (art. 1 1. 20 giu-gno 1952, n. 654, e successive modificazioni). Anche qui vale la considerazione generale che l'ordinamento democratico non può tollerare che al suo intemo si creino stabili strutture volte a perseguire tali fini, la cui po-tenziale carica di pericolosità per la vita democratica del pae-se è certamente maggiore delle manifestazioni individuali di propaganda e di incitamento all'odio razziale.

Chi sostiene l'illegittimità co-stituzionale delle norme che re-primono la propaganda razziale e le associazioni che perseguo-no fini di discriminazione per un supposto contrasto con gli articoli 21 e 18 Cost. si trova allineato con quella cultura pseudo-garantista che ha ad esempio sostenuto la legittimità delle organizzazioni di stampo mafioso in nome del diritto di associazione, ovvero ha riven-dicato la legittimità della pro-paganda o dell'apologia del ter-rorismo in nome della libertà di manifestazione del proprio pen-siero. Sarebbe assurdo, in altri termini, che lo stesso ordina-mento democratico contenesse

principi idonei a scalzare i pre-supposti della sua sopravviven-za: i diritti e le libertà costitu-zionali i n c o n t r a n o limiti di compatibilità, ed uno di essi è proprio il divieto di diffusione dei germi della discriminazione e dell'odio razziale, etnico, na-zionale e religioso.

La disciplina penale e processuale.

La repressione penale è ora es-senzialmente affidata alla re-centissima legge 25 giugno 1993, n. 205, che ha convertito il decreto legge 26 aprile 1993, n. 122, recante come titolo «Misure urgenti in materia di discriminazione razziale, etni-ca e r e l i g i o s a » , p r e s e n t a t o sull'onda della recrudescenza degli episodi di intolleranza razziale alla fine del 1992 e nei primi mesi del 1993. Le nuove norme hanno modificato, am-pliato ed integrato la preceden-te disciplina basata sulla legge n. 654/1975, emessa in esecu-zione della convenesecu-zione inter-n a z i o inter-n a l e di New York dei 1966, nonché sull'art. 4 com-ma 2 della legge 20 giugno 1952, n. 645, e successive mo-dificazioni, in tema di sanzioni contro il fascismo.

Il sistema repressivo delineato dalla legge del 1993 si basa su cinque principali figure di rea-to, volte a colpire, rispettiva-mente, la propaganda razzista, gli atti di violenza per motivi razziali, l'ostentazione in pub-bliche riunioni di emblemi o simboli usuali delle associazio-ni razziste, il divieto di accede-re a luoghi ove si svolgono competizioni sportive recando i predetti simboli o emblemi, a) L'art. 1 comma 1 lett. a) pu-nisce con la reclusione sino a tre anni chi diffonde in qualsia-si modo idee fondate sulla su-periorità o sull'odio razziale o etnico, ovvero incita a com-mettere o commette atti di di-scriminazione per motivi raz-ziali, etnici, nazionali o religio-si. Rispetto alla precedente leg-ge del 1975, è stato opportuna-mente inserito l'incitamento a commettere atti di discrimina-zione anche per motivi religio-si, nonché la diffusione di idee basate anche sulla superiorità o s u l l ' o d i o etnico, prima non previsti. L ' a m p i a escursione tra il minimo ed il massimo della pena (da 15 giorni a tre anni di reclusione) consente di graduare la sanzione tenendo conto dei diversi livelli di gra-vità dei fatti, soprattutto con ri-ferimento alla occasionalità de-gli atti di discriminazione, ov-vero alla loro natura di episodi inquadrabili in un organico di-segno di diffusione e di

incita-mento all'intolleranza. È signi-ficativo rilevare che vengono equiparati e puniti con la me-desima sanzione sia gli atti di discriminazione che l'incita-mento a commetterli, mediante l'uso di una tecnica legislativa che dimostra la volontà di anti-cipare il fronte della tutela pe-nale per colpire anche condotte che solo eventualmente potran-no sfociare in specifici atti di discriminazione.

b) Più severa è la sanzione — da sei mesi a quattro anni di re-clusione — a carico di chi in qualsiasi modo incita a com-mettere o commette violenza o atti di provocazione alla vio-lenza per motivi razziali, etni-ci, nazionali o religiosi (art. 1 comma 1 lett. b). La medesima pena è prevista sia nel caso che gli atti di violenza siano stati effettivamente commessi, sia q u a n d o v e n g a n o r e a l i z z a t i c o m p o r t a m e n t i p r o d r o m i c i , quali l'incitamento o la provo-cazione alla violenza; è questo un segno della volontà del legi-slatore di colpire con particola-re rigoparticola-re la violenza ispirata da finalità di discriminazione, me-diante l'arretramento del fronte della tutela p e n a l e a n c h e a comportamenti che si limitano ad istigare all'uso della violen-za.

c) I due reati sinora esaminati si riferiscono a comportamenti posti in essere da un singolo soggetto, o anche da più perso-ne riunite, in forma occasiona-le ed episodica, senza che gli autori del reato si avvalgano di alcuna stabile struttura orga-nizzativa. L'alta carica di peri-colosità di fenomeni associati-vi, quali gruppi di naziskin e skinhead, che annoverano tra i loro fini la programmazione e la realizzazione di atti di di-scriminazione e di violenza, è presa espressamente in consi-derazione dall'art. 3 comma 3, che pone il divieto di «ogni or-g a n i z z a z i o n e , associazione, movimento o gruppo avente tra i propri fini l'incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, na-zionali o religiosi». La mera partecipazione ad una di tali organizzazioni, a prescindere dal fatto che siano stati com-messi specifici fatti di propa-ganda, di discriminazione o di violenza o altri reati, è punita con la reclusione da sei mesi a quattro anni; più grave è la pe-na — da uno a sei anni di re-clusione — per coloro che pro-muovono o dirigono tali asso-ciazioni.

In caso di condanna per i tre reati sinora esaminati, il giudi-ce può applicare facoltativa-mente una o più pene accesso-rie. Alcune rientrano nel

TA. Lewandowski, Croatia Serbia, (autoedizione fax alla Biennale di Zagabria), 1991.

zionale bagaglio delle misure preventive e di controllo al fine di evitare le commissione di

nuovi reati: si tratta

dell'obbli-go di rientrare nella propria

abitazione entro un'ora

deter-minata e di non uscirne prima

di altra ora prefissata, per un

periodo non superiore ad un

an-no; della sospensione della

pa-tente di guida e del passaporto

per non più di un anno, nonché

del divieto di detenere armi di

qualsiasi genere. Altre presen-tano carattere di novità ed

ine-diti contenuti

pedagogico-rie-ducativi, modellati sulla

speci-fica natura dei reati commessi. Particolare interesse riveste

l'obbligo di prestare per non

più di dodici settimane attività

non retribuita a favore della

collettività per finalità sociali e

di pubblica utilità, tra cui la

stessa legge indica le opere di

bonifica e di restauro degli

edi-fici danneggiati con scritte,

em-blemi o simboli propri delle

as-sociazioni razziste, ovvero il

la-voro in organizzazioni di

assi-stenza sociale e di volontariato

per handicappati,

tossicodipen-denti, anziani ed

extracomuni-tari, nonché prestazioni di

lavo-ro per finalità di protezione

ci-vile, di tutela del patrimonio

ambientale e culturale e altre

analoghe di pubblico interesse. Altrettanto inedito, e stretta-mente correlato al carattere an-tidemocratico dei reati di stam-po razziale, è il divieto di

svol-gere attività di propaganda elet-torale per le elezioni politiche o amministrative successive alla condanna e, comunque, per un periodo non inferiore a tre anni, d) L'obiettivo di colpire alcune tipiche modalità di espressione e di azione dei gruppi naziskin, ovvero di analoghi gruppi gio-vanili che compiono atti di vio-lenza o di teppismo cui non so-no estranee componenti razzi-ste, è affidato ad una nuova fi-gura di reato, che si propone evidenti finalità preventive ri-spetto a possibili episodi di

in-tolleranza e di violenza: l'art. 2 comma 1 della legge 205/1993 punisce con la reclusione sino a tre anni chiunque in pubbliche riunioni compie manifestazioni esteriori od ostenta emblemi o simboli usuali di un'associazio-ne di stampo razzista, e) Analoghe finalità, suggerite dall'esigenza di prevenire quel-le manifestazioni di vioquel-lenza e di teppismo negli stadi che so-vente sfociano in episodi di in-tolleranza e di razzismo, ven-gono perseguite mediante il di-vieto di accedere in luoghi ove si. svolgono competizioni ago-nistiche con gli emblemi o i simboli di associazioni di stam-po razzista. La relativa viola-zione, prevista come reato con-travvenzionale, è punita con l'arresto da tre mesi ad un anno (art. 2 comma 2). La disciplina è completata dal divieto per le persone condannate o denun-ciate per i reati di propaganda o di incitamento alla violenza per motivi razziali, ovvero per par-tecipazione ad una associazione di stampo razzista, di accedere in luoghi ove si svolgono com-petizioni agonistiche per un pe-riodo di cinque anni. Anche questo reato ha natura contrav-venzionale ed è punito con l'ar-resto da tre mesi ad un anno (art. 2 comma 3).

Infine, per qualsiasi reato com-messo per finalità di discrimi-nazione o di odio etnico, nazio-nale, razziale o religioso, ovve-ro allo scopo di agevolare l'at-tività di associazioni sorrette da tali finalità (basti pensare ai de-litti di minacce, lesioni perso-nali, violenza privata, incendio, danneggiamento, detenzione e porto di armi), è previsto, a ti-tolo di circostanza aggravante, l'aumento della pena sino alla metà (art. 3). La disciplina di tale aggravante è connotata da particolare severità, in quanto l'aumento di pena non può es-sere bilanciato, a differenza di quanto disposto in via generale per le altre circostanze

aggra-vanti, ove concorrano circo-stanze attenuanti ritenute equi-valenti o preequi-valenti. Non a ca-so, analoga disciplina era stata dettata per i reati aggravati dal-la finalità di terrorismo o di eversione dell'ordinamento co-stituzionale.

f) Per completezza, è opportu-no ricordare che nella repres-sione penale delle manifesta-zioni di razzismo possono in-tervenire due ulteriori reati, contenuti anche essi in leggi speciali. La 1. 9 ottobre 1967, n. 962, dedicata alla prevenzione e repressione del genocidio, pu-nisce in primo luogo con gra-vissime sanzioni chi, al fine di distruggere in tutto o in parte un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso, commette atti diretti a cagionare lesioni personali o la morte di persone appartenenti al gruppo, ovvero deporta tali persone. Nell'ambi-to di tali reati, la legge prevede la pubblica istigazione e l'apo-logia del genocidio (punite con la reclusione da uno a cnque anni), tra cui rientra a n c h e l'esaltazione o l'incitamento a ripetere esperienze di genocidio storicamente avvenute. In con-creto, è dato rilevare che reati di apologia e pubblica istiga-zione al genocidio si accompa-gnano frequentemente ai fatti di discriminazione, odio e violen-za r a z z i a l e previsti dalla 1. 205/1993, con particolare rife-rimento all'esaltazione della tragica esperienza storica dei campi di sterminio nazisti. g) Infine, l'art. 4 comma 2 del-la 1. 20 giugno 1952, n. 645, in tema di sanzioni contro il fa-s c i fa-s m o , m o d i f i c a t o dalla 1. 205/1993, punisce con la reclu-sione da uno a tre anni a chiun-que pubblicamente esalta idee o metodi razzisti; la pena è della reclusione da due a cinque anni se il fatto è commesso con il mezzo della stampa.

La legge n. 205/1993 ha anche previsto numerose disposizioni processuali, volte a rendere più agevole la prevenzione, l'accer-tamento e la repressione dei va-ri reati, tra cui il sequestro delle sedi, degli emblemi, dei simbo-li e del materiale di propaganda delle associazioni di stampo razzista; la più ampia possibi-lità di procedere all'arresto in flagranza degli autori dei reati più gravi; lo scioglimento delle associazioni e la confisca dei beni in caso di condanna.

I limiti della risposta penale e l'impegno individuale contro l'intolleranza e il pregiudizio.

Dall'insieme delle norme pena-li e processuapena-li emerge il qua-dro di un sistema repressivo forte, idoneo a svolgere non

so-lo le funzioni di prevenzione generale e di deterrenza della giustizia penale, ma anche di prevenzione speciale nei con-fronti degli autori dei reati, me-diante le nuove pene accessorie di contenuto pedagogico-riedu-cativo.

Riporre eccessivo affidamento nella legge e negli interventi della giustizia penale signifi-cherebbe però muovere da una visione sostanzialmente pessi-mistica, come se venisse dato per scontato che i germi della discriminazione e dell'intolle-ranza non possono essere pre-venuti, ma solo combattuti me-diante l ' e f f i c a c i a dissuasiva della minaccia della sanzione e poi della repressione penale. Significherebbe cedere all'illu-sione liberatoria che norme di legge più severe e di più agevo-le applicazione siano la risposta risolutiva e abbandonarsi alla lusinga di una delega istituzio-nale alle forze dell'ordine ed alla magistratura.

I limiti ed i pericoli della dele-ga istituzionale debbono essere tenuti presenti soprattutto per-ché i destinatari privilegiati di queste pagine sono studenti ed insegnanti. Ai giovani (ed ai lo-ro maestri) si deve chiedere in primo luogo di capire e di rico-noscere che le radici del pre-giudizio e, quindi, dell'intolle-ranza, stanno dentro ciascuno di noi, nei nostri atteggiamenti quotidiani, nei nostri rapporti interpersonali, nel nostro modo di rapportarci con i diversi veri o presunti. La cultura della tol-leranza può nascere solo dalla somma di tanti piccoli e quoti-diani sforzi di attenzione e di consapevolezza dei nostri com-portamenti ed atteggiamenti, non certo dalla soddisfazione di vedere qualche naziskin o qual-che teppista condannato dalla giustizia penale. Quando si af-fronta il tema della repressione penale bisogna dunque avere ben chiaro che la legge, la poli-zia ed i giudici non sono gli strumenti vincenti contro il pre-giudizio, ma un segno di debo-lezza e di impotenza per non essere riusciti a prevenire le manifestazioni dell'intolleranza attraverso l'impegno costante nei luoghi in cui ciascuno svol-ge la propria attività.

E però giusto e necessario che i giovani sappiamo che il fonda-mento delle leggi che punisco-no severamente la discrimina-zione, l'odio e la violenza raz-ziale risiede nella nostra Costi-tuzione, nata dalle ceneri di una guerra che ha devastato l'Euro-pa e dalla tragedia dei campi di sterminio, ma anche dalla Resi-stenza degli uomini liberi al fa-scismo ed al nazismo e dalla lo-ro volontà di dettare principi in-compatibili con quelle barbarie.

Ed è anche giusto che i giovani sappiano che vi sono delle linee di demarcazione tra il lecito e l'illecito anche sul terreno delle proprie convinzioni ideali: in particolare, che la libertà di

Nel documento Sisifo 26 (pagine 40-43)

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