P ARTE S ECONDA
NORMALIZZAZIONE E CRITICITÀ
5. Alleggerire i compiti quotidiani di gestione: libertà e normalizzazione L’aspetto su cui sembra convergere gran parte degli intervistati è quello per cu
gli strumenti digitali ‘alleggeriscono’ in qualche modo il peso dei compiti quotidiani di gestione della malattia. Mario, ad esempio, parla del sensore che porta
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al braccio mettendo in luce come, grazie allo strumento, eviti di ‘massacrarsi le dita’ con il classico metodo del pungidito e delle strisce:
Allora, siccome con quel sensore lì, col FreeStyle anche col cappotto, un giaccone bello pesante, capta bene [il segnale], io uso quello, mi viene comodo quello. Io misurerò dalle 10 alle 13-14 volte al giorno. (…) sto molto attento per aggiustare anche perché da quando lo uso così ho migliorato il livello delle ipo. Pertanto, prima per controllare se ero in ipo o il mio livello di glicemia dovevo bucarmi il dito così… non è che ne avessi, a parte pensarci, ma poi la voglia di massacrarmi le dita in continuazione, e mi trovavo certe volte che io ero in ipo senza saperlo, invece con questo qui mi son messo le note che ogni 2 ore mi suona, pertanto me la provo e vedo se… mi indica già che la glicemia è in diminuzione, allora intervengo e mangio qualche cosina, se invece è che cresce molto faccio un paio di unità di insulina, cerco di attenuarlo ecco. (Mario, 67 anni, DT1, esordio a 32 anni)
Tommaso, invece, evidenzia come grazie al microinfusore eviti di ‘bucarsi’ con le penne di insulina più volte al giorno:
il passaggio dalla penna al microinfusore per me…è stato decisamente un altro mondo, perché non bucarsi 4 volte al giorno, 12 volte ogni tre giorni, mi ha dato un’ottima libertà! (Tommaso, 53 anni, DT1, esordio a 23 anni)
Per Marcella, controllare spesso la glicemia misurata dal sensore diventa quasi un gioco:
La tecnologia è un po’ un gioco, cioè se te la fai amica diventa quasi una sfida; infatti, la dottoressa mi dice “ma perché te la misuri così spesso con il Libre?”, mica perché ho paura di star male, ma perché è un gioco: “Dai, oh, faccio una camminata di mezz’ora, vediamo se va giù, vediamo come va, vediamo la media, se ho migliorato la media”… credo che questa leggerezza nel prendere una patologia che invece è molto seria, sia un po’ il segreto per vivere bene. (Marcella, 52 anni, TD1, esordio a 14 anni)
L’agevolazione offerta dagli strumenti digitali nello svolgimento dei compiti quotidiani di gestione, poi, è spesso associata ai termini ‘tranquillità’, ‘libertà’ e ‘normalità’:
Il micro-infusore mi tolto l’obbligo delle 4 iniezioni al giorno e questo qui [il sensore] mi da un po’ più di tranquillità, ecco diciamo così. (Vincenzo, 64 anni, DT1, esordio a 15 anni)
Dal mio punto di vista il salto grandissimo che proprio mi ha cambiato la vita sia psicologicamente, che mi ha dato una tranquillità veramente grandissima, e poi anche come controllo, è stato che ho applicato su di me il Libre dell’Abbott che ho ormai da 3 anni (…) secondo me questo, il Libre che mi ha dato una tranquillità psicofisica, veramente è stato un salto enorme (…) Vedi è una questione di un secondo [controllare i dati del sensore], non costa niente e uno vede. È così, allora mi bevo un caffè, magari ci metto un puntino di zucchero perché se no magari lo bevo senza zucchero. È tutto un feedback sull’alimentazione. Adesso ce l’ho un pochino alto e magari mi vado a fare una passeggiata (…). Mi ha dato una tranquillità… (Giuliano, 50 anni, DT1, esordio a 2 anni)
io appena sentii parlare di questo apparecchio, capii che era la soluzione migliore per noi diabetici per essere più liberi. E in effetti chi ha il Freestyle quello che dice è che si sente più libero. È la libertà proprio…ti fa sentire libero! Perché in qualsiasi momento tu sai come sei messo e in più sai l’andamento! Perché una cosa è sapere che tu hai adesso 120, però il 120 può diventare un 180 nel giro di 5 minuti e un 50 nel giro di 5 minuti. Allora, vedere anche l’andamento, se sta salendo, se è uguale, se sta scendendo in fretta se sta salendo in fretta, ti permette di muoverti di conseguenza. (Mario, 67 anni, DT1, esordio a 32 anni)
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Amanda racconta la sua esperienza con il microinfusore Omnipod, del tipo senza tubi:
il micro-infusore che ho, Ominpod…da tre anni mi lascia un sacco in più di libertà per una serie di motivi, tipo: devo mangiare fuori pasto, invece che farmi una siringa, io basta che col mio telecomandino dico inserisco 20 grammi di carboidrati…metti, mangio una banana, sono 25 grammi carboidrati, inserisco e via…la prassi vorrebbe che prima mi provassi la glicemia, poi calcolassi i carboidrati di quello che st mangiando, poi sparassi l’insulina (…). E quindi anche la mia vita quotidiana è migliorata molto, perché… sono un po’ più libera. (Amanda, 23 anni, DT1, esordio a 10 anni)
Emerge, inoltre, che la necessità dei pazienti diabetici è quella di sentirsi il più possibile ‘normali’:
diciamo che paradossalmente ora [con l’utilizzo del sensore] non sono più malata. Ero una ragazzina che tra l’altro ha sviluppato tante paure di fare cose: “allora, non andare al largo, non nuotare, non sciare, puoi andare in ipo, stare male”. Ho dovuto fronteggiare situazioni non solo di stress, ma anche di pericolo, del tipo sei in mezzo al mare e vai in ipo e sono arrivata alla spiaggia quasi in pre-coma. Non avere strumenti vuol dire essere veramente schiavi, è una mancanza di libertà… cioè, la conoscenza è libertà, perché se tu conosci e hai gli strumenti puoi… non ti senti più schiavo e vincolato alla tua patologia, sei libero. (…) Noi non siamo la nostra malattia, abbiamo questa malattia, ma noi vorremmo fare le scalatrici, se potessimo… però non sono la mia malattia! Fa parte di me, è una caratteristica come i miei capelli ricci. (Marcella, 52 anni, TD1, esordio a 14 anni).
I digital device, quindi, intervengono sul processo di normalizzazione della malattia, che consente ai malati di preservare la propria identità personale, emozionale e sociale attraverso l’adozione di plurime strategie materiali e cognitive (Millen & Walker, 2001; Royer, 1998), come ad esempio impegnarsi a svolgere
attività abituali anche laddove vi siano limitazioni fisiche o reperire informazioni che rafforzino e convalidino esperienze personali. Il tentativo di normalizzare la propria patologia, ossia di rendere il diabete ‘parte di sé’ (Riaz, Wolden, Gelblum, & Eric, 2015) emerge soprattutto quando i malati parlano della loro esperienza con l’utilizzo dei sensori nella quotidianità:
A parte il fatto che [il sensore] ti responsabilizza perché ce l’hai davanti agli occhi tutto il giorno, ma diventa anche forse un motivo in più per dire “ho bisogno che questa cosa vada bene”. (…) cioè prima era proprio un rifiuto anche del dover dire “no questo non lo mangio perché lo devo evitare”. No. Oggi non ho più questo… riesco a mangiare tutto ma con cognizione di causa. (…) Non mangio più una stecca intera di cioccolata bianca, mangerò un pezzo di cioccolata nera… e non mi pesa più perché ho più consapevolezza della malattia. E comunque del fatto che gestirla è diventato più facile che averla. Cioè perché queste tecnologie comunque ti permettono di fare tutto come tutti gli altri. (Eleonora, 33 anni, TD1, esordio a 18 anni)
Sì, queste tecnologie nuove, questi strumenti nuovi hanno aiutato tanto ad avere una vita più normale, anche se io mi son sempre ritenuto normale. Anche quando siamo in compagnia, tra amici, facciamo le vacanze assieme, così si preoccupano molto loro di me: devi mangiare, andiamo, è ora di pranzo, ci fermiamo, andiamo a cercare un posto, ti va bene se andiamo a mangiare qui, guarda se c’è… Insomma, io dico: “guardate ragazzi, sono normale come voi. Se dobbiamo andare a mangiare ci penso io, scelgo io quello che posso mangiare, non preoccupatevi”. Cioè, delle volte mi mettono in difficoltà, che non vorrei. Non vorrei metterli questi pensieri, ecco. Io mi ritengo normale, normale… (Mario, 67 anni, DT1, esordio a 32 anni)
Ah, cosa mi ha cambiato? Tutto! Ha cambiato tutto, che io riesco a condurre una vita tranquilla, più sotto controllo perché naturalmente non ho più crisi di ipo o di iper che mi fanno fermare la macchina, per prendere degli zuccheri perché non riesco più a proseguire, oppure mal di testa o capogiri, cose che insomma possono capitare in una persona con diabete tipo 1 che ha delle glicemie con sbalzi rilevanti senza
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nessuna motivazione sotto sotto, soltanto dati dall’umore, dallo stress e da quant’altro. Quindi sicuramente, mi ha cambiato questo, insomma mi ha cambiato che…la mia vita è normale! E oltretutto con la nuova strumentazione, il sensore, mi sento anche più sicura (Ludovica, 48 anni, DT1, esordio a 25 anni)