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Apprendimento ed esperienza nei metodi classici di gestione del diabete Il diabete è una malattia piuttosto ‘personale’ nel senso che ogni malato ha un

P ARTE S ECONDA

5. Apprendimento ed esperienza nei metodi classici di gestione del diabete Il diabete è una malattia piuttosto ‘personale’ nel senso che ogni malato ha un

rapporto glicemia-insulina diverso dagli altri, il corpo di ogni malato reagisce diversamente agli stimoli, ad esempio all’attività fisica intrapresa o a situazioni di forte emotività e di stress. Ciascuno di essi, pertanto, deve crearsi una propria e personale routine basata sull’autogestione e sull’autocura:

ognuno chiaramente ha la propria storia personale perché siamo degli individui, quindi non è neanche facile – come dire – standardizzare delle terapie su delle malattie così complesse perché poi ogni individuo, ogni corpo, ogni fisico reagisce a suo modo e quindi io non è che quello che va bene per te posso farlo andare bene per altri. (Giuliano, 50 anni, DT1, esordio a 2 anni)

27 Per un approfondimento del concetto di ‘gamification’ si rimanda al secondo paragrafo del

Per spiegare meglio il concetto, riprendo la definizione di self-care proposta da Dill et al. (1995, p. 9) «l’auto-cura va oltre il riconoscimento del disturbo e il successivo trattamento dei sintomi; coinvolge anche l’interpretazione delle esperienze di malattia presenti e passate. (…) Guardare come le persone interpretano e rispondono a condizioni che influenzano la loro salute richiede una comprensione delle loro circostanze sociali ed economiche, delle biografie personali, delle convinzioni sulla salute e del concetto di sé». Si tratta, perciò, di intervenire sui sintomi della malattia con pratiche studiate e consolidate su se stessi, sulle proprie condizioni specifiche, sulla propria storia di malattia. Questa gestione, naturalmente, si impara e si consolida con il passare del tempo.

Il primo approccio con l’autogestione scaturisce dai suggerimenti e dalle prescrizioni del diabetologo:

Mi svegliavo la mattina, mi misuravo la glicemia e valutavo il livello di glicemia e il livello di insulina da fare in base a quello che dovevo mangiare. All’inizio mi hanno prescritto una dieta ipocalorica di 1400 calorie, dove praticamente la mattina potevi mangiare il latte con i biscotti, piuttosto che il caffè, piuttosto che… facendo una terapia che loro ti davano già preimpostata relativa a questa dieta. Quindi per esempio all’inizio mi sembra che facessi 6 unità [di insulina] la mattina, 12 unità a pranzo e 10 unità la sera, i primi anni. Ma questa cosa ovviamente non bastava perché oltre a quello tu devi cambiare il tuo regime alimentare che a quell’età non è proprio il massimo. Cioè, se sei stata abituata per una vita a mangiare in un determinato modo, dover cambiare da un giorno all’altro la dieta non è semplicissimo. Comunque la giornata si svolgeva così: una volta svegli si faceva la misurazione della glicemia, in base a quello mangiavi. (Agnese, 29 anni, DT1, esordio a 18 anni)

In un secondo momento, poi, interviene l’esperienza nella gestione ‘personalizzata’ della malattia:

personalmente io, per esempio, ho la glicemia molto strana, alta e bassa, e quindi ci sono giornate che va bene, giornate dopo che non vanno bene, o settimane sì e

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settimane no, quindi, questo mi porta a dover studiare a modo, io tengo sempre un diario mio personale, dove mi appunto di tutto, l’attività, cosa mangio e cosa non mangio, che mi aiuta a dire “va bene, in questo periodo così, ho notato che se io in questo orario ho la glicemia sempre alta, vuole dire che ci vuole un po’ di rinforzo”, per cui sono in grado…questa è una cosa mia personale… sono in grado di intervenire sul mio device e darmi delle impostazioni diverse. (…) è fondamentale l’autocontrollo! (…) monitorarsi, cambiare. per esempio se ci sono certi cibi che, non lo so, ho notato in quel periodo che mi mandano su la glicemia, evitarlo; oppure, se vedo…tipo le paste lievitate come pizza, gnocco (…) non sono come se ti mangiassi un dolce però io dico che è peggio di quando mangi un dolce, per un diabetico. Quindi, agire proprio su quello che vai a mangiare, su come ti muovi, è quello. Sì, auto-gestione, autocontrollo, autocura di se stesso, perché è una patologia che richiede questo. (Ludovica, 48 anni, DT1, esordio a 25 anni)

Uno dei compiti che si apprendono in base alle indicazioni fornite dai medici – ma che poi si perfezionano e si consolidano con l’esperienza quotidiana è la ‘conta dei carboidrati’. Ogni cibo ha una certa quantità di carboidrati per 100 grammi. Tale quantità, poiché i carboidrati contengono degli zuccheri, influisce sul livello di glicemia nel sangue. La conta dei carboidrati, dunque, è utile per pianificare i pasti assunti dai pazienti diabetici e calcolare, su questa base, le unità di insulina necessarie a bilanciare i carboidrati ingeriti28.

Beh, che cosa è cambiato inizialmente, sicuramente il mio approccio con l’alimentazione, nel senso che prima mangiavo un po’ più liberamente, mentre adesso ci sto un po’ più attento, insomma. tengo conto dei carboidrati, conto gli zuccheri, mentre prima invece ero molto più… free… (Riccardo, 27 anni, DT1, esordio a 21 anni)

28 Un esempio di conta dei carboidrati è consultabile al link https://www.diabete.com/il-

conteggio-dei-carboidrati-cho-in-5-passi/ nel quale si trova un articolo redatto dal dott. Danilo Cariolo, biologo nutrizionista.

Nelle fasi iniziali della malattia, ai pazienti viene prescritta una dieta rigida e, in base agli alimenti da assumere, si suggerisce loro di iniettarsi una certa quantità di insulina, già calcolata a monte per bilanciare l’apporto di zuccheri della dieta prescritta:

Allora, [per la conta dei carboidrati] mi sono comportato in base a una tabella… Allora, inizialmente mi è stata fatta una dieta: tu mangi circa 2000 calorie al giorno, colazione, pranzo e cena. A pranzo ti mangi questo, allora ti fai un tot di insulina, stessa cosa a cena e a colazione. Lì, poi, col tempo si impara e si fanno gli aggiustamenti. Si vede se so che per caso sono a cena delle volte – non ci vado molto spesso perché non mi piace – ecco in quel caso so che devo farmi quel tot di unità in più, ecco. Se invece ho fatto dell’attività fisica e poi devo andare a pranzo me ne faccio un po’ meno perché so che l’attività fisica un po’…ci picchia forte. I medici dicono che “il miglior medico è il paziente stesso”. (Mario, 67 anni, DT1, esordio a 32 anni)

Come anticipato da Mario, con l’esperienza si possono fare degli aggiustamenti. Imparando a calcolare i carboidrati e, di conseguenza, a calcolare le unità di insulina necessarie a bilanciarli, si può decidere di mangiare cibi diversi (ed in diverse quantità) rispetto alla dieta prescritta in un momento iniziale:

cosa fondamentale che è il calcolo dei carboidrati. Questo è stato luminoso: prima io avevo la mia dose di pane sempre uguale, il mio cibo sempre uguale; ipotesi: hai la nausea, sei malato, io dovevo comunque fare l’insulina e mangiare, era un supplizio. Ora io calcolo i carboidrati…non voglio mangiare e non mangio, oppure se voglio mangiarmi 3hg di tagliatelle…ovvio fanno ingrassare. C’è un calcolo, una conoscenza di sé per capire anche qual è il tuo rapporto carboidrati-insulina, cioè per bruciare un carboidrato quanta insulina devo fare, un rapporto che tu devi studiare su di te, facendo dei conti. Ma posso mangiarle, faccio le unità proporzionate…il calcolo non è sempre semplice, perché un conto è il piatto di pasta… tutto ciò che contiene carboidrati può essere quantificato e compensato con l’insulina. Non c’è più un mangiare sempre quello…, ma una libertà di decidere cosa mangiare o non

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mangiare. Mi mangio l’insalata che ha pochissimi carboidrati, non faccio l’insulina… (Marcella, 52 anni, DT1, esordio a 14 anni)

L’apprendimento e la conoscenza del proprio corpo, che si acquisiscono con l’esperienza, consentono ai diabetici un certo margine di libertà – come spiegato da Marcella – rispetto alle tipologie di cibo da mangiare. Questo rappresenta un elemento importante per la normalizzazione della propria condizione (Riaz, Wolden, Gelblum, & Eric, 2015):

Ma all’inizio tu non impari subito a fare il calcolo dei carboidrati. All’inizio vai per tentativi, per capire anche quanto il tuo corpo reagisce ad un’unità di insulina. Per esempio prima, all’inizio, il mio rapporto insulina-glucosio era di 1 a 50: quindi un’unità di insulina abbassava la glicemia di 50 punti. A lungo andare questa cosa poi è cambiata, ma questo lo puoi valutare solo quando impari a fare il calcolo dei carboidrati. Per i primi anni quindi io ho seguito quello che stabiliva il medico per me e nel momento in cui vedevo che c’era una glicemia troppo alta o troppo bassa aumentavo o diminuivo [le unità di insulina] in base al valore. Mi regolavo io. Se per esempio nella dieta avevo il pollo e l’insalata e a questo corrispondevano tot unità di insulina, se mangiavo invece una pizza mi regolavo io, perché il pollo non contiene carboidrati, la verdura neanche, o comunque non è un quantitativo sufficiente per poter fare l’insulina, perché altrimenti vai in ipoglicemia; invece la pizza ne devi fare il doppio di quella che solitamente fai perché l’impasto ha un contenuto di carboidrati assurdo, in più con tutti gli ingredienti che metti sopra sono tutto un più, più, più, più, che aumenta i carboidrati. (Agnese, 29 anni, DT1, esordio a 18 anni)

Affinché si possa acquisire un certo livello di libertà nella gestione, pertanto, è necessario un percorso che comprende elementi di apprendimento ed esperienza, basati sulla conoscenza del proprio corpo.

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