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dell’abbondanza

7.1 Declinare la partecipazione

7.2.3 Allestire insieme ?

Nel corso della ricerca abbiamo trovato utile la visione, forse molto italiana, del Design come una sorta di fenomeno emergente da un sistema comples-

so di relazioni tra molteplici soggetti. Secondo questa prospettiva potremmo

interpretare l’idea di design diffuso come una possibile risposta alla continua richiesta di nuove soluzioni progettuali, che non si limita più all’ambito indu- striale ma che abbraccia artefatti comunicativi, servizi, strategie etc e che ha portato a un considerevole aumento della varietà degli interlocutori coinvolti nel sistema.

Le esperienze partecipate prese in analisi in questo lavoro possono inscri- versi nell’ambito del design diffuso. In questo contesto il ruolo del progettista esperto si è spesso rivelato essenziale nella messa a punto dei processi che hanno consentito di valorizzare, o mettere a sistema, saperi e conoscenze che si trovavano al di fuori delle istituzioni promotrici – assumendo pertanto una funzione che va ben oltre la semplice figura del facilitatore.

Nel riconoscere l’importanza strategica dei processi di co-design e co- creazione, sentiamo il dovere di segnalare un certo rischio di banalizzazione, se non direttamente di mistificazione, nelle aspettative generate da queste metodologie progettuali, soprattutto quando le si presenta in modo acritico come un toccasana, rapido, efficace e politicamente corretto, senza una ri- flessione più approfondita sui limiti – oltre che sulle potenzialità – di questi approcci progettuali.

Dai casi presi in esame emergono, per lo meno, tre modalità operative che crediamo opportuno differenziare:

Una delle accezioni di co-design che abbiamo riscontrato si riferisce a un insieme di tecniche di indagine conoscitiva sulle esigenze dell’utente. Rias- sumendo in modo telegrafico potremmo dire che si tratta di una evoluzione aggiornata, riveduta e corretta, della tradizionale fase di analisi e contestua- lizzazione che precede a ogni proposta di tipo progettuale – con un maggiore

coinvolgimento diretto degli utenti e con una maggiore enfasi sulla necessità di sviluppare una relazione di empatia tra progettista e utilizzatore finale.

Un approccio di questo tipo si è rivelato particolarmente utile quando l’oggetto dell’azione di progetto concerne la sfera più intima degli utenti, co- me nel caso del progetto express2connect, descritto tra le attività di Waag, o quando gli utenti sono in qualche modo i principali depositari del patrimonio culturale che si pretende valorizzare, come nel caso del Museo Mater.

In questi casi, pur trattandosi di metodologie di progetto centrate

sull’utente – e pur prevedendone una partecipazione attiva – va sottolineato che la sintesi progettuale finale rimane, sostanzialmente, a carico della figura del progettista.

Una seconda accezione di co-design riguarda in realtà le strategie di comu- nicazione, destinate alla sensibilizzazione di un amplio numero di attori, per mezzo di un coinvolgimento diretto in una attività di progettazione, intesa in primo luogo come una modalità di militanza attiva.

Iniziative di questo tipo si articolano in processi partecipativi di marcato carattere orizzontale, in cui hanno modo di emergere le diverse abilità indivi- duali, che consentono generalmente di mantenere un elevato livello di moti- vazione, grazie alla possibilità di materializzare, in tempi relativamente brevi, un risultato tangibile.

Tra i casi presi in esame, rientrano in questa categoria iniziative come “BigPicnic” ed altre attività analoghe promosse da Waag, alcuni aspetti del progetto Territorio Archivo (TA) o molti degli interventi urbani, a scala di quartiere, promossi da Medialab Prado.

L’efficacia di queste esperienza va misurata, a nostro giudizio, sul piano della efficacia comunicativa e in funzione della capacità di creare un livello di coinvolgimento suscettibile di svilupparsi in una relazione più durevole nel tempo con le istituzioni implicate. La qualità che possa eventualmente emergere dalle soluzioni di carattere progettuale passa quindi a un secondo piano.

Abbiamo inoltre rilevato una terza accezione – più legata alle dinamiche di consolidazione dei sistemi di “conoscenza aperta” che ad esperienze

puntuali di progettazione collettiva – che potremmo descrivere come l’insie- me di strategie che consentono di captare l’intelligenza diffusa in quei contesti in cui gli attori coinvolti sono esperti e portatori di una conoscenza specifica.

Questa tipologia di iniziative si caratterizza per due aspetti significativi: si tratta di una relazione inter pares tra esperti – spesso di carattere interdisci- plinare – e si sviluppa per iterazioni successive su tempi medio-lunghi, spes- so ben oltre la durata che si è soliti contemplare nelle esperienze di carattere progettuale. In queste esperienze l’evento di carattere puntuale si moltiplica in una serie di attivazioni che scandiscono il ritmo dell’iniziativa creando i tempi necessari affinché possa avere luogo un autentico ed approfondito processo di apprendimento collettivo.

Alcuni aspetti del progetto TA, l’esperienza di coderdojo Madrid, così co- me molti dei progetti tutelati nel quadro del projecto patrimoni (PPUJ1) o – nel suo insieme – l’idea di ecomuseo, così come è stata portata avanti da “La Ponte” (ELP), rappresentano un buon esempio di questa tipologia di iniziati- ve.

La mancanza di un legame preciso con un evento concreto, ed il fatto di essere spesso iniziative promosse dal basso, comporta che iniziative di que- sto tipo si sviluppino, con certa frequenza, in una modalità expert-design-

less, ai margini del contributo di progettisti professionali. Allo stesso tempo,

queste “comunità di interessi” tendono più di altre a mostrare un forte ca- rattere locale e ad articolarsi intorno alla agibilità di un determinato spazio fi- sico che, oltre a servire da aggregatore, è spesso anche formalmente legato alle origini alla iniziativa.

L’elemento che ci sembra decisivo per stabilire la natura di questi processi collaborativi è senza dubbio il tempo; una attività troppo veloce difficilmente può essere considerata come una reale esperienza di co-design e, nel caso lo fosse realmente, si tratta probabilmente di un caso talmente semplice da potersi considerare solo come un primo passo in una strategia di sensibi- lizzazione o come una gratificante esperienza effimera, più vicina alle logiche del consumo culturale che ai processi di apprendimento sociale.

Ne le indagini conoscitive sull’utenza, ne altre esperienze di progettazione basata sul dialogo possono seriamente svilupparsi nei tempi che certe mo- dalità di design thinking sembrerebbero promettere, per mezzo di cerimonie del post-it ed altri simulacri di design faking.