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3.2.1 Uraco patente e uraco pervio.

Si definisce pervio (o persistente) l’uraco che non si è chiuso spontaneamente alla nascita, patente quello che si è normalmente chiuso alla nascita e per poi riaprirsi successivamente.

L’uraco pervio può essere dovuto ad un difetto congenito. E’ possibile avanzare alcune ipotesi che giustifichino una eccessiva tensione e dilatazione dell’uraco tale che si verifichi una deformazione ed un successivo difetto di chiusura alla nascita. Le cause possibili sono la torsione o una eccessiva lunghezza del cordone ombelicale oppure una sua resezione artificiale invece della rottura naturale per strappamento.

L’uraco patente è un difetto acquisito. Può essere dovuto ad una eccessiva tensione addominale nei primi giorni di vita a causa della ritenzione di meconio, ad infezioni, insufficiente trattamento terapeutico ecc.

In passato la condizione di uraco pervio o patente era ritenuta il principale fattore predisponente alle infezioni ombelicali e quindi anche alla setticemia neonatale. Tuttavia studi più recenti dimostrano che le alterazioni dell’uraco si sviluppano successivamente (giorni o settimane) alla diagnosi di setticemia (HOLDSTOCK, 2004). Questo è vero soprattutto in puledri poco più grandi (da 1 settimana a 1 mese), nei quali lo sviluppo di uraco patente svela una infezione ombelicale preesistente (Reef, 1998). In realtà, quindi, le alterazioni dell’uraco si configurano come frequenti complicazioni in puledri già malati. Altre complicazioni possono essere:

• dermatite periombelicale;

• cistite, necrosi della parete vescicale (per infezione ascendente);

• peritonite; • setticemia.

Segni clinici. L’esame obiettivo generale potrebbe rivelare un

deficit dello stato generale del puledro con abbattimento, febbre, disidratazione, vista l’alta incidenza di patologie dell’uraco in corso di setticemia e in neonati con problemi al parto.

All’esame obiettivo particolare si osserva un gocciolamento continuo o intermittente di urina (a seconda della pressione addominale) che porta l’ombelico ad essere sempre bagnato e allo sviluppo di dermatite.

Diagnosi. I sintomi clinici permettono una diagnosi agevole, che

viene confermata attraverso l’esame ecografico. Quest’ultimo consente di determinare con maggiore certezza lo stato fisiologico dell’uraco oppure se si è già sviluppato un processo settico. E’ utile eseguire anche un emogramma e la ricerca delle IgG.

Reperti ecografici. Il segno principale che distingue l’uraco

patente è la presenza di una piccola quantità di liquido anecogeno lungo tutto il lume fino all’apice della vescica. Invece, la presenza di liquido solo nella porzione caudale dell’uraco senza continuazione nel peduncolo ombelicale suggerisce l’esistenza di un diverticolo uracale.

Il piano di scansione migliore è quello longitudinale che permette di visualizzare tratti più lunghi nello stesso momento (apice vescicale + uraco caudale; moncone ombelicale + uraco craniale). Il sondaggio richiede una manualità delicata perché la pressione sulle pareti addominali e sull’uraco può portare allo spostamento del liquido contenuto e quindi ad un falso negativo.

Diagnosi differenziali.

• Infezione vasi ombelicali; • ernia ombelicale;

• edema della parete addominale ventrale; • flemmone ombelicale localizzato;

• trauma ombelicale.

Terapia. Si interviene attraverso un trattamento medico locale e

sistemico e nei casi più gravi con l’intervento chirurgico.

La terapia locale consiste in una disinfezione esterna del moncone ombelicale con clorexidina e nell’applicazione di una gelatina oleosa sulla cute circostante per impedire l’irritazione data dalla fuoriuscita di urina. La disinfezione interna si esegue mediante l’introduzione di un piccolo tampone di cotone impregnato di una soluzione di formalina al 10% o tintura di iodio al 2%. Queste soluzioni favoriscono la cauterizzazione dell’uraco. Il tampone viene inserito nell’uraco fino a 1-2cm e mantenuto in sede per qualche istante; è importante non procedere oltre perché si è possibile trasportare più internamente l’infezione oppure aggravare meccanicamente l’alterazione dell’uraco. Questa procedura viene ripetuta 2-4 volte al giorno per 2-3 giorni finché l’urina cessa di gocciolare.

Il trattamento sistemico consiste in una copertura antibiotica. Si somministrano antibiotici forti e ad ampio spettro, ciò anche in senso preventivo alla setticemia.

L’intervento chirurgico è l’approccio consigliato quando insorgono

complicazioni, quando la terapia medica non risolve il problema in 24-48h e la cauterizzazione ha fallito e può essere rischioso rimandare ulteriormente l’intervento. Infatti se i trattamenti risultano inefficaci, ciò può significare che un uraco patente in realtà è l’evidenza di un problema più complesso, quale l’infezione di più strutture ombelicali. In conclusione, i segni che suggeriscono la rimozione chirurgica dell’uraco sono il peggioramento delle condizioni generali del puledro, la necrosi o la suppurazione dell’ombelico. L’operazione è relativamente semplice e consiste nella escissione dell’uraco dopo doppia legatura, ma è importante riuscire a rimuovere tutte le strutture intaccate dal processo infettivo. La copertura antibiotica va data dal momento della diagnosi fino a 3 giorni dopo l’intervento (Holdstock, 2004).

3.2.2 Uroperitoneo.

La causa di uroperitoneo è data più spesso dalla rottura o da un difetto congenito della vescica o dell’uraco. Sono colpiti soprattutto puledri maschi di una settimana di età, con una incidenza che va da 0,2% a 2,5%. Questi presentano sforzo alla minzione o continuo gocciolio di urina, depressione del sensorio e un progressivo ingrossamento dell'addome (Reef, 1998).

La valutazione ecografica dei soggetti malati permette una diagnosi agevole e la localizzazione del probabile punto di fuoriuscita dell’urina. Nel caso in cui non fosse possibile individuare il difetto a carico della vescica o dell’uraco, prima dell’eventuale intervento chirurgico, è necessario procedere ad una analisi più approfondita sull’integrità dell’uretra e degli ureteri. L’aspetto ecografico di uroperitoneo è dato da una grande quantità di liquido anecogeno libero nella cavità addominale con anse intestinali fluttuanti sul liquido stesso. Il liquido peritoneale può però diventare ipoecogeno per la presenza di filamenti di fibrina se si sviluppa una peritonite secondaria o una cistite. (Reef, 2003)

Nel caso della rottura della vescica, questa si presenta collassata e piegata su se stessa con solo una piccola quantità di urina all’interno. Generalmente l’apertura si trova sulla parete dorsale, ma non è sempre possibile individuarla proprio per il fatto che la vescica si piega su se stessa. Questo aspetto è differente da una vescica integra ma vuota, che è piccola e contratta ma non ripiegata su se stessa (Reef, 1998).

La rottura dell’uraco non è facilmente visibile, a causa del fatto che le pareti dell’uraco stesso si riconoscono male nell’immagine ecografica. Tuttavia i segni evidenti di uroperitoneo sono un abbondante liquido anecogeno, libero attorno all’uraco, nello spazio retroperitoneale e nel sottocute della parete ventrale dell’addome. La fessura dell’uraco, da cui si ha la fuoriuscita di urina, di solito è piccola e l’accumulo di liquido in addome è graduale. La vescica,

infatti, non presenta difetti di riempimento ed ecograficamente ha la normale forma circolare con contenuto anecogeno (Reef, 1198). Infine la rottura dell’uretra è una evenienza più rara e anche più difficile da diagnosticare. Anche in questo caso la vescica può essere normalmente piena e si dovrebbe apprezzare una grande quantità di liquido anecogeno nello spazio retroperitoneale tutto intorno al rene omolaterale alla lesione.

Le conseguenze dell’uroperitoneo si rendono evidenti in un momento successivo rispetto all’esordio della patologia: puledri di 3-4 settimane di età, quindi, sono colpiti da peritonite, aderenze degli organi addominali, cistite necrotica e infiammazioni dei vasi ombelicali (onfaloarteriti e onfaloflebiti) (Reef, 1998).

3.2.3 Diverticolo uracale.

Questa alterazione non è di origine infiammatoria e consiste nell’accumulo di liquido (urina) all’interno dell’uraco. Può essere diagnosticata solo attraverso l’esame ecografico, ma il più delle volte è un reperto occasionale.

Ecograficamente è possibile vedere alcune piccole aree anecogene cranialmente all’apice della vescica. La struttura dell’uraco appare nella norma eccetto una possibile dilatazione rappresentata appunto dalle aree anecogene.

Tale alterazione non è evidenziata da nessun tipo di sintomatologia, in alcuni casi può essere presente solo una moderata stranguria. Generalmente si assiste ad una involuzione spontanea nell’arco di alcuni giorni (Holdstock, 2004).

3.3 ERNIA OMBELICALE o ONFALOCELE.

E’ una condizione frequente in neonatologia equina. Sono colpiti più spesso i purosangue inglesi e con maggiore incidenza le femmine. Per ernia si intende la fuoriuscita di organi o visceri attraverso aperture naturali, accidentali o teratologiche all’interno di cavità preformate o neoformate.

Le ernie ombelicali sono dovute sia a fattori ereditari che acquisiti. Nel primo caso si assiste ad una mancata chiusura della parete addominale ventrale in coincidenza dell’anello ombelicale, a livello del quale la pressione addominale determina uno sfiancamento del peritoneo che esce e forma l’iniziale cavità erniaria; nel secondo caso entrano in gioco soprattutto fattori traumatici, quali cadute, sforzi (ad esempio un parto laborioso), trazioni eccessive sul cordone ombelicale.

La classificazione delle ernie ombelicali viene fatta in base alle dimensioni e alle complicazioni da processi infettivi o da incarceramento del contenuto erniario. Secondo questi parametri le ernie possono essere: piccole o grandi, e semplici o complicate. Le ernie piccole si presentano come una tumefazione dell’ombelico di pochi cm di diametro e sono le ernie abbastanza frequenti. L’ernia piccola semplice si può ridurre manualmente e si possono apprezzare facilmente le pareti fibro-cartilaginee della porta erniaria. Il sacco erniario contiene l’omento e il liquido peritoneale. In alcuni casi può contenere anche tratti di intestino, quali l’ileo o il digiuno, ma raramente questi rimangono incarcerati. Semeiologicamente un’ernia si considera piccola quando le sue dimensioni esterne non superano i 5 cm e alla palpazione passano meno di tre dita attraverso la porta erniaria.

Le ernie grandi sono le più frequenti. Esternamente il sacco erniaro può superare i 5 cm di diametro ed alla palpazione attraverso la porta erniaria possono passare più di tre dita. Il sacco erniario

contiene l’omento e tessuto adiposo e, date le dimensioni, è molto probabile che vi entri una porzione di intestino: sono contenute più spesso anse del piccolo intestino, ma eccezionalmente si può trovare il colon ventrale ed il cieco, i quali, una volta alloggiati nel sacco erniario, hanno più probabilità di essere incarcerati, complicando l’ernia stessa.

L’ernia semplice può essere sia piccola che grande, ma comunque è riducibile manualmente. Non sono presenti segni di aderenza tra i visceri erniati ed il sacco erniario. Lo stato fisiologico degli organi erniati e la funzionalità sono mantenuti, senza che la permanenza nel sacco abbia alterato la perfusione ematica con conseguente edema, aumento di volume, stasi ematica e necrosi delle pareti dell’organo.

L’ernia ombelicale si considera complicata quando una porzione dell’intestino rimane strangolato nel sacco erniario insieme all’omento, per cui l’ernia non può essere ridotta manualmente. Solitamente sono interessati da questo fenomeno soprattutto puledri di età superiore ai 6 mesi (con una media di 11,5 mesi di età) (Reef, 1998).

L’ernia in questo caso deve essere risolta chirurgicamente, in caso contrario l’ansa intestinale incarcerata andrà incontro a processi ischemici e necrosi. Le alterazioni più gravi infatti si verificano a livello del microcircolo delle pareti intestinali. Questo viene interrotto e ciò provoca ischemia dei tratti più a valle, congestione ed edema di quelli a monte; l’ischemia porta a necrosi e a rottura della parete viscerale con conseguente inquinamento del peritoneo e della cavità addominale. L’incarceramento dell’intestino ha una sintomatologia colica acuta e si presenta come una tumefazione calda e dolente a livello del moncone ombelicale. Quindi, in un puledro con un’ernia ombelicale, al manifestarsi di una sindrome colica, è sempre opportuno intervenire velocemente, visitando il soggetto ed effettuando una ecografia ombelicale.

Segni clinici. L’esame obiettivo generale può rilevare sintomi

significativi nel caso di ernia complicata o incarcerata, a causa rispettivamente di un coinvolgimento sistemico dell’infezione o di una compromissione degli organi incarcerati.

Il sintomo principale è quello di addome acuto. Si osserva un calo delle condizioni generali del puledro con abbattimento, anoressia, alterazione delle grandi funzioni organiche.

All’esame obiettivo particolare, la tumefazione dell’ombelico è il segno clinico patognomonico. Le dimensioni della massa permettono di differenziare le ernie piccole e semplici (<5cm) dalle

grandi (>5cm). Non si associano altri sintomi al caso di ernia semplice.

Per quanto riguarda l’ernia complicata, si osserva edema infiammatorio dei tessuti adiacenti e alla palpazione si avverte calore e dolorabilità acuta. E’ possibile percepire l’esistenza di un ascesso e la sua presenza è svelata da una massa fluida dotata di pareti proprie ma non comunicante con il sacco erniario. In associazione all’ernia può essere presente uno scolo, del quale è necessario determinare la composizione (sieroso, siero-emorragico o purulento) e l’origine (un ascesso sottocutaneo, infezione dei vasi ombelicali, una perdita di urina dalla vescica incarcerata).

Nel caso di ernia incarcerata la sintomatologia è acuta, data da sindromi coliche associate ad aumento di volume dell’addome, grande dolorabilità e durezza del sacco erniario. E’ importante considerare che spesso i segni di colica addominale possono essere sia i sintomi dell’ernia incarcerata, ma possono dimostrare anche il contrario, ovvero che patologie preesistenti del tubo digerente o dell’apparato urinario favoriscono lo sviluppo dell’ernia e lo strangolamento ei visceri. Infatti molti di questi puledri hanno un’anamnesi patologica prossima comune, data da coliche ricorrenti.

Nel caso particolare della fistola entero-cutanea, oltre alla ragionevole possibilità che si sviluppi un’enterite, si ha la perdita del contenuto liquido intestinale che porta ad un grave squilibrio elettrolitico e ad una pericolosa debilitazione (Reef, 1998).

Diagnosi. L’esame ecografico è il mezzo più efficace e meno

invasivo per verificare il contenuto dell’ernia (liquido, omento o anse intestinali), le dimensioni, la presenza di infezioni ed il coinvolgimento di strutture ombelicali o di altri organi. Durante l’esame è essenziale distinguere l’ernia dalla rottura del pavimento addominale (sventramento), nel quale si ha la rottura del peritoneo e gli organi erniari giacciono a contatto con i piani sottocutanei intatti.

La diagnosi di ernia semplice è possibile attraverso il solo esame clinico, nel quale viene accertata la possibilità di ridurre l’ernia e l’indipendenza anatomica tra le varie strutture coinvolte. L’ernia

complicata o irriducibile, invece, richiedono l’esame ecografico

perché è necessario determinare il contenuto del sacco erniario, le dimensioni della porta erniaria e lo stato delle strutture interessate.

Reperti ecografici. In condizioni fisiologiche l’omento ha un

aspetto eterogeneo, da ipoecogeno ad ecogeno, dovuto alla presenza di grasso. Invece, l’omento incarcerato appare compatto o cavitato a seconda della quantità del tessuto necrotico e dell’infiltrazione cellulare dei tessuti strangolati. Il digiuno o l’ileo, quando sono incarcerati nell’ernia, assumono un aspetto simile a quello di una ostruzione intestinale.

Il lume intestinale è dilatato e meteorico prossimalmente e collassato distalmente. A monte dello strangolamento, le anse si presentano atoniche e meteoriche. La parete appare ingrossata, assume un aspetto turgido e corrugato in prossimità dello strozzamento. Nello spessore della parete è possibile individuare la presenza di masse: ascessi, nel caso ci sia una complicazione infettiva, o raccolte ematiche secondarie a traumi, delle quali sono

riconoscibili i coaguli iperecogeni di fibrina. Il contenuto luminale consiste in una massa fluida e in gas meteorici che distendono il tratto d’organo. A valle non si osservano alterazioni patologiche evidenti: l’intestino è vuoto e le pareti sono collassate.

Il grosso intestino non può essere inglobato interamente nell’ernia, ma solo una porzione del colon ventrale o del cieco. Tale porzione si presenta come una dilatazione sacciforme dell’organo strangolata nell’ernia. La parete intestinale è ispessita, edematosa ed atonica. Gli organi erniari, dopo incarceramento e strangolamento, si presentano devitalizzati perché parte di loro può andare incontro velocemente a necrosi (Reef, 1998).

Diagnosi differenziali.

• Infezione vasi ombelicali; • edema addominale ventrale; • flemmone tessuti peri-ombelicali;

• trauma/rottura dell’ombelico (Holdstock, 2004)

Terapia. Indipendentemente dalle dimensioni, ogni tipo di ernia

deve essere trattata. Infatti, benché in neonatologia l’incarceramento di anse intestinali nell’ernia ombelicale abbia una incidenza bassa, la persistenza dell’ernia dopo un trattamento di tipo conservativo sembra favorire il realizzarsi dell’incarceramento e dello strozzamento delle anse (Reef, 1998). La risoluzione dell’ernia ombelicale, inoltre, permette di proteggere gli organi interni dai traumi, dal possibile conseguente sventramento e ne migliora l’aspetto estetico.

Nel caso di ernie piccole ma che contengono una porzione di intestino è raccomandato sospingere manualmente con delicatezza il contenuto attraverso la porta erniaria in addome (taxis manuale). Questo procedimento va eseguito giornalmente fino a quando i muscoli addominali ventrali (m.lo retto) acquistano una tonicità sufficiente a riparare il difetto; ha inoltre lo scopo di prevenire la

formazione di aderenze tra le anse intestinali o il loro incarceramento.

Ernie di piccole dimensioni possono essere trattate con l’uso di

anelli elastici quando l’ecografia ha escluso la presenza di tratti di

intestino e non è possibile ricorrere altrimenti alla chirurgia. L’anella va assicurato alla parete addominale in modo che chiuda ermeticamente il sacco erniario e lasci fuori la parte esuberante dell’ernia. Bisogna accertarsi che la quantità di tessuto esuberante sia sufficiente a permettere questa manovra altrimenti l’anello rischia di scivolare via. In seguito si può avere gonfiore, edema e infiammazione dell’ombelico, ma regredisce gradualmente nell’arco di 2-4 giorni, finché l’ernia va incontro a necrosi, si stacca e lascia una piccola superficie ulcerata che cicatrizza.

L’intervento chirurgico è richiesto per le ernie complicate o di grandi

dimensioni. L’erniorrafia si esegue in anestesia generale e il puledro

viene messo in decubito dorsale. Dopo aver fatto una tricotomia ovale intorno all’ernia e preparato il campo chirurgico, si esegue una dissezione di cute e sottocute e ribaltate. Il peritoneo sottostante deve essere lasciato integro per impedire l’inquinamento suo e della cavità addominale, quindi viene spinto all’interno dell’addome. Tuttavia è possibile che infezioni preesistenti compromettano lo stato del peritoneo o del sottocute in modo tale che al momento della dissezione sia impossibile evitare di strappare il peritoneo. Dopo la riduzione e la correzione di eventuali complicazioni (exeresi dei tessuti necrotici ed infetti, resezione delle porzioni intestinali necrotiche), il sacco erniario viene chiuso. La sutura della breccia operatoria viene fatta con un filo di nylon monofilamento. Può essere eseguita con la tecnica di Mayo (Mayo overlap) con la quale si ottiene la sovrapposizione dei tessuti suturati, peritoneo e piani fasciali, oppure mediante l’applicazione di una “maglia” sterile contenitiva, posta tra il peritoneo la guaina del m.lo retto addominale. Infine per assicurarsi che la chiusura della

porta erniaria sia resistente, si possono cruentare i margini della porta stessa per stimolare la formazione di tessuto fibroso mediante un processo di cicatrizzazione per seconda intenzione. Cute e sottocute sono chiuse con una sutura continua con monofilamento assorbibile, mentre la cute eccedente viene rimossa.

Alcuni chirurghi sostengono che l’intervento debba essere eseguito su tutti i casi di ernia piuttosto che solo in quelli che presentano un coinvolgimenti delle anse intestinali, cosicché ogni eventuale complicazione può essere risolta tempestivamente (Holdstock, 2004).

Il follow-up post-operatorio si svolge con l’ecografia che consente di seguire la riparazione dell’ernia o la comparsa di complicazioni. I parametri sotto controllo sono la chiusura dell’anello ermiario, il liquido peritoneale, l’aspetto e la motilità intestinale. La chiusura dell’ernia si considera consolidata dopo che si è creato un anello fibroso spesso attorno ai margini della porta erniaria.

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