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PARTE SPERIMENTALE

1. MATERIALI e METOD

1.4 ESAME ECOGRAFICO.

Questa ricerca è stata svolta utilizzando un ecografo messo a disposizione dalla facoltà di Medicina veterinaria dell’università di Pisa. Si tratta di un modello portatile “ESAOTE” dotato di una sonda di tipo convex. E’ un modello a multifrequenza ,che permette di poter scegliere la frequenza di trasmissione degli ultrasuoni a 5MHz oppure a 7,5MHz. Tale possibilità si è resa particolarmente utile nel corso delle visite eseguite in campo, sia perchè permette di cambiare sonda premendo semplicemente un tasto funzione, sia perché è più vantaggioso portare un minor bagaglio di attrezzatura. Inoltre tale modello offre la possibilità di memorizzare le immagini su un supporto floppy disk.

Ciascun soggetto, come precedentemente illustrato, è stato sottoposto a tre esami ecografici eseguiti in date prestabilite al termine della visita clinica.

L’esecuzione dell’esame diagnostico richiede la presenza di almeno tre persone: due collaboratori, di cui uno controlla la madre, mentre l’altro partecipa all’esame, atterrando il puledro e poi costringendolo a terra; la terza persona si deve poter occupare solamente dell’indagine ecografica.

1.4.1 Atterramento e preparazione del paziente.

L’esame ecografico può essere svolto sia trattenendo il puledro in

stazione quadrupedale che in decubito laterale. Entrambe le

manovre possono essere eseguite da una sola persona

Innanzitutto un primo operatore lega la madre alla lunghina e la fa retrocedere fino a farle appoggiare i posteriori ad un angolo, impedendole ogni possibilità di offesa. Quindi un secondo operatore afferra velocemente la base della coda del puledro, ribaltandola sul dorso, e gli passa, altrettanto velocemente, l’altro braccio sotto il

collo. Con questo tipo di presa il puledro si blocca istintivamente e può essere spostato a piacere.

Se l’esame viene eseguito in stazione quadrupedale sono sufficienti due persone oltre a chi effettua l’esame ecografico: una controlla la madre e l’altra regge il puledro appoggiandolo contro la parete del box, così da limitare al massimo i suoi movimenti durante la visita. Se invece si decide di atterrare il puledro in decubito laterale si deve seguire una serie di passaggi che permettono di farlo scivolare a terra delicatamente, senza traumi. I passaggi per l’atterramento del puledro sono gli stessi già descritti nella “Preparazione del paziente” al capitolo relativo. Tuttavia, a differenza di quanto è riportato in proposito in letteratura, secondo la nostra esperienza, la contenzione del puledro in decubito è migliore e più sicura se viene compiuta da due persone, dove una blocca gli arti anteriori e l’altra i posteriori. La variazione adottata nel corso degli esami si riferisce a chi contiene il puledro, che, atterrando l’animale, deve lasciare una gamba sotto il collo e distendere l’altra sopra il costato, fino ad appoggiare il piede a terra dall’altra parte del puledro. In questa posizione i soggetti in esame non riescono a liberarsi ed in breve si tranquillizzano.

In base all’esperienza accumulata durante l’attività descritta nel presente lavoro si possono fare alcune considerazioni.

L’esame in stazione quadrupedale permette una visualizzazione ottimale delle strutture ombelicali, poiché queste, poggiando sul pavimento addominale, sono più vicine alla sonda e quindi immediatamente riconoscibili senza il pericolo che si interpongano altre strutture. Tuttavia dopo alcuni minuti i puledri cominciano a mostrare segni di insofferenza e tentano di divincolarsi rendendo più difficile l’esame: alzano alternativamente gli arti posteriori infastiditi dai movimenti della sonda, oppure lasciano l’appoggio sulle gambe e lentamente si siedono sul posteriore; infine i più energici si caricano sul posteriore e tentano di saltare. Per questo

motivo l’esame in stazione è indicato soprattutto per i puledri più piccoli, fino ad una settimana di età, quando cioè è più facile trattenerli in quella stessa posizione più a lungo e senza ricorrere ad una costrizione troppo energica.

Il decubito laterale permette una contenzione migliore e più tranquilla: il puledro infatti non ha punti di appoggio su cui fare leva per sottrarsi all’atterramento e quasi tutti i soggetti, dopo qualche minuto in quella posizione, si rilassano completamente fino quasi ad addormentarsi. In questo modo è possibile eseguire un’indagine approfondita. Tuttavia è importante non trattene troppo a lungo il puledro in decubito: l’esame e il contatto fisico prolungato con gli operatori infatti sono in sé eventi stressanti; il neonato inoltre deve poter assumere il latte materno con regolarità senza “saltare la poppata”; se, al contrario, lo ha appena assunto, la permanenza in decubito può disturbare la digestione.

Per la preparazione del paziente, la letteratura suggerisce di tosare il puledro nella regione dove deve essere eseguito l’esame, per avere immagini il più definite possibile. Nello svolgimento della presente esperienza invece, si è preferito non tosare mai i puledri per rendere l’esame il meno invasivo possibile; la tosatura infatti richiede necessariamente l’atterramento ed una prolungata e insistente manualità sul soggetto.

Il metodo alternativo adottato è stato quello di bagnare e lisciare il pelo del puledro con alcool etilico per allontanare il più possibile l’aria tra i peli. Dato che l’alcool tende ad evaporare molto velocemente, è stato necessario bagnare la cute più volte ed usare il gel per ecografo.

Le immagini ottenute avevano una definizione sufficiente ad assicurare loro un valore diagnostico.

Non è mai stato necessario ricorrere al contenimento farmacologico per nessuno dei puledri inseriti in questo lavoro tranne che per un

soggetto al quale, in concomitanza con l’esame ecografico ombelicale, venivano applicati i gessi ad entrambi gli arti anteriori per la correzione di contrattura dei tendini flessori. A questo puledro sono stati somministrati sedativi ed analgesici seguendo, un protocollo ortopedico.

1.4.2 Punti di repere.

Nel corso delle numerose visite ecografiche abbiamo potuto constatare che le strutture in esame potevano essere individuate più facilmente in determinati punti e che da questi si poteva poi partire per analizzare il loro decorso e raccogliere le misure.

La vena ombelicale è il vaso più facilmente individuabile grazie al fatto che le connessioni, il peduncolo ombelicale caudalmente e il fegato cranialmente, la mantengono in posizione. Inoltre,la vena può essere reperita nelle immediate vicinanze del moncone ombelicale, dato che essa, al momento dello strappo del cordone ombelicale, non retrocede all’interno della cavità addominale.

Il suo punto di repere è la base del peduncolo ombelicale: tenendo fermo con una mano il peduncolo si appoggia la sonda davanti alla sua base e si procede lentamente in direzione craniale per pochi centimetri. Senza proseguire oltre, ma ripetendo lentamente la stesso gesto a ritroso si dovrebbe essere in grado di individuare una struttura ovale di diametro inferiore ad 1cm, con un centro da ipoecogeno ad anecogeno e con una parete ecogena sottile.

Proseguendo cranialmente, è importante tenere sempre al centro dello schermo la vena. Essa tende a ridursi di diametro a metà della distanza tra l’ombelico ed il fegato, anche se questo è difficile da apprezzare ad occhio. L’indagine della vena ombelicale termina al suo ingresso nel parenchima epatico all’altezza dell’incisura

onfalica.

Le arterie ombelicali e l’uraco vengono visualizzati insieme, ma il loro punto di repere è la vescica. Il complesso formato dalle arterie

e dall’uraco è più mobile rispetto alla vena ed è difficile da localizzare direttamente rimanendo in prossimità dell’ombelico. La vescica è invece una struttura anecogena, abbastanza grande e di facile riconoscimento.

Partendo dalla vescica si procede cranialmente per individuarne l’apice. A questo punto, sono già visibili le due strutture circolari, che si presentano con un aspetto tipico “a bersaglio”, simmetriche e poste ai lati dell’apice vescicale. Proseguendo ulteriormente, tali strutture tendono ad avvicinarsi fino a che la vescica vera e propria scompare e sono loro stesse a circoscrivere una struttura ipoecogena dai limiti non bene identificabili che è l’uraco. L’immagine così ottenuta è un’immagine caratteristica chiamata “triade”.

Muovendosi cranialmente, la triade può essere sondata fino in prossimità dell’ombelico, dove però l’aspetto della struttura si altera andando a confondersi con i tessuti circostanti; ciò è dovuto al fatto le arterie ombelicali, in virtù dello strato muscolare della parete, si ritirano all’interno della cavità addominale per qualche cm (fino a 6cm) al momento della rottura del cordone ombelicale.

Proseguendo invece caudalmente alla triade, si possono riconoscere le due arterie, le quali decorrono lungo i lati della vescica finché non è più possibile inquadrarle entrambe ed è necessario seguirne una per volta, spingendo la sonda molto all’interno dell’incavo della coscia.

Come è già stato detto l’esame ecografico può essere svolto correttamente sia in stazione che in decubito e in base alla nostra esperienza si possono fare alcune considerazioni in proposito.

La visualizzazione migliore e più facile delle strutture ombelicali si ottiene con l’esame in stazione quadrupedale poiché le strutture si adagiano sul pavimento addominale a 2-3 cm dalla sonda, per gravità e sotto il peso degli organi addominali. In decubito laterale, invece, le stesse strutture sono ugualmente facili da individuare,

ma la loro posizione può non essere mantenuta, poiché, per gravità, tendono a scivolare appena lateralmente al piano sagittale mediano; ciò vale soprattutto per i tratti più caudali delle arterie ombelicali che sono vincolati ai fianchi della vescica, la quale si sposta in base al grado di riempimento.

Tuttavia tale differenziazione non ci è sembrata determinante o significativa dal punto di vista della semeiotica ecografica e tale da preferire un approccio ad un altro; i criteri di preferenza sono determinati piuttosto da situazioni contingenti, quali un numero sufficiente di operatori, collaborazione da parte del puledro, ecc… Infine un episodio merita un breve cenno. Nel corso di un esame ecografico la ricerca delle arterie e dell’uraco appariva particolarmente difficile, anche perché la vescica era completamente vuota e mancava quindi un importante punto di riferimento. In quella occasione è stato necessario rimandare la visita di circa 30 minuti: l’obiettivo era quello di aspettare che nella vescica si accumulasse una quantità di urina sufficiente a rendere l’apice vescicale più visibile e di conseguenza anche le strutture in esame. Il tentativo ha avuto successo e durante il secondo esame ecografico le strutture erano più facilmente individuabili.

1.4.3 Registrazione delle misure e delle immagini.

Le strutture prese in esame erano la vena ombelicale, le arterie ombelicali nel loro insieme e l’uraco.

Il protocollo di ricerca prevedeva lo studio dell’aspetto ecografico di tali strutture lungo il loro decorso fin dove fosse possibile, la misurazione del diametro vasale in punti predeterminati e la registrazione della rispettiva immagine. Per misurazione del diametro vasale si intende che, a carico di ciascuna struttura, vengano misurati il diametro interno del lume vasale ed il diametro esterno comprensivo delle pareti vasali. Nel caso di strutture

ellissoidali come la vena o l’uraco, il diametro si riferisce alla media matematica dell’asse maggiore e dell’asse minore.

Qui di seguito viene presa in considerazione ciascuna struttura e descritto il relativo approccio ecografico.

La vena ombelicale è stata sondata fino ai suoi limiti: il peduncolo ombelicale caudalmente e l’ingresso nel fegato cranialmente.

Aspetto ecografico. L’aspetto della vena è caratteristico e viene

mantenuto lungo tutto il suo decorso: è una struttura ovale dal contenuto ipoecogeno o anecogeno, le pareti sono ecogene e sottili. Il vaso è posto a circa 2cm al di sotto della superficie cutanea e la media dei suoi diametri è generalmente ≤1cm, anche se le dimensioni tendono a ridursi leggermente a metà tra l’ombelico ed il fegato. Tale modificazione tuttavia può essere rilevata solo con la misurazione strumentale, mentre è più difficile da apprezzare ad occhio nudo. A volte è possibile osservare un alone ipoecogeno che circonda la vena.

Punti di rilevazione. Per la vena ombelicale ne sono stati previsti tre:

1) 1-2 cm cranialmente all’ombelico;

2) a metà percorso tra l’ombelico ed il fegato, dove il diametro vasale tende a restringersi;

3) in prossimità dell’ingresso nel fegato.

La rilevazione più difficile è quella in prossimità del fegato. Durante l’esame, il vaso viene seguito a partire dall’ombelico fino a qualche centimetro caudalmente al processo xifoideo, dove la vena fa una curva e si solleva dal pavimento addominale per entrare nell’incisura onfalica del fegato. A questo livello, la vena può facilmente uscire dall’inquadratura e a volte è difficile ritrovarla; è necessario allora riprendere l’indagine ripartendo dall’ombelico.

Secondo la nostra esperienza il piano di scansione trasversale è quello d’elezione per l’indagine della vena, rispetto a quello

longitudinale. La sezione trasversale, infatti, permette di osservare tutte le strutture del vaso e di calcolarne i diametri.

Le arterie ombelicali e l’uraco vengono sono stati esaminati insieme lungo il tratto che va dal moncone ombelicale fino all’apice vescicale, dal momento che in questo tratto rappresentano un’unica unità morfologica.

Aspetto ecografico. Le arterie appaiono come due strutture circolari

simmetriche. Hanno un aspetto cosiddetto “a bersaglio”: uno strato periferico iperecogeno spesso che è la parete vasale, un alone ipoecogeno ed, infine, un centro ecogeno che rappresenta il coagulo intravasale. Il coagulo in alcuni casi può non essere presente, specialmente nella prima visita post-partum, perché nel vaso sono presenti piccolo coaguli mischiati a sangue ancora liquido.

L’uraco è visibile ecograficamente soltanto quando contiene ancora una piccola quantità di urina, perché le pareti molto sottili tendono a collabire se il lume è completamente vuoto; esso si presenta quindi come una area ipoecogena posta tra le due arterie.

Punti di rilevazione. Per le arterie ombelicali ne sono stati previsti

due:

1) 1-2 cm caudalmente al peduncolo ombelicale; 2) all’apice vescicale o ai lati della vescica.

Per la rilevazione dell’intero complesso uraco e arterie ombelicale è stato previsto un solo sito:

1) all’apice della vescica.

Il sondaggio è stato eseguito in sezione trasversale per poter apprezzare, come nel caso della vena, la forma e l’aspetto delle strutture e poterne misurare i diametri.

Contrariamente alle altre strutture, è importante esaminare l’uraco anche in sezione longitudinale per avere la possibilità di individuare eventuali diverticoli.

Al termine di ogni visita, si ottenevano da un massimo di 10 misurazioni ad un minimo di 8 per ciascun soggetto. I valori erano espressi in centimetri ed erano rispettivamente 4 per le arterie, 4 per la vena, 1 per l’uraco e 1 per il complesso arterie e uraco. Questa variabilità è giustificata dal fatto che in alcuni casi non era possibile effettuare tutte le rilevazioni previste; le cause potevano essere il decubito prolungato del soggetto, il reperimento difficile dei vasi ai tratti più distali dall’ombelico, la necessità di rispettare dei limiti di tempo, ecc…

1.5 STATISTICA.

Ogni puledro aveva una cartella individuale (vedi 1.3 Cartella clinica) e su di questa venivano annotate tutte le misure rilevate strumentalmente.

Al termine delle due stagioni riproduttiva (2005 e 2006) è stata effettuata una analisi statistica sui risultati ottenuti dal gruppo di controllo, per avere dei valori di riferimento e per verificare se l’involuzione delle strutture ombelicali avesse un significato statistico e quindi un valore scientifico.

L’elaborazione statistica iniziava con il calcolo della media, la

deviazione standard e il valore massimo e minimo per ciascuna

struttura ombelicale esaminata. Quindi sono stati effettuati i test statistici veri e propri: la distribuzione normale ed il test T di

Student.

Come è già stato detto, per le diverse strutture ombelicali, sono stati individuati 10 siti di rilevazione di misure con lo scopo di poterne confrontare l’evoluzione nell’arco delle tre visite successive, ciascuna in maniera indipendente dalle altre.

Le popolazioni su cui verificare la distribuzione normale erano date dall’insieme dei valori, riportati per ciascuna struttura ombelicale in ogni giorno di visita, di tutti i 16 soggetti di controllo.

Il test T di Student è stato fatto per mettere a confronto le misurazioni di ogni struttura ombelicale registrate durante la visita I con le misurazioni registrate durante le altre due visite (II e III). I risultati sono stati considerati statisticamente significativi per p≤0,05.

2. RISULTATI

2.1 GRUPPO di CONTROLLO.

Il gruppo di controllo era formato da un totale di 16 soggetti dei quali 11 (68,75%) sono stati visitati tre volte e 5 (31,25%) due volte.

Le misurazioni delle strutture ombelicali di ciascun soggetto registrate in ciascuna visita sono riportate nelle tabelle 1, 2, 3.

Le arterie ombelicali sono state misurate in due punti distinti del suo decorso:

- 2 cm caudalmente all’ombelico; - all’apice vescicale.

In entrambi i casi sono stati rilevati sia il diametro interno (luminale) che quello esterno, comprendendo le pareti del vaso (Tabella 2).

Anche a vena ombelicale è stata misurata in due punti del suo decorso:

- 2 cm cranialmente all’ombelico;

- a metà altezza tra l’ombelico e il fegato.

In entrambi i casi sono stati rilevati sia il diametro interno (luminale) che quello esterno, ovvero comprendendo le pareti del vaso (Tabella 3).

I dati riferiti alle misurazioni della vena all’altezza della sua deviazione verso l’ingresso nel fegato erano carenti rispetto agli altri dati. Anche lo studio statistico ha dimostrato che non era possibile individuare una distribuzione normale per le dimensioni ridotte del campione. Quindi è stato deciso di escluderle il punto di rilevazione a livello del fegato.

Infine sono stati misurati l’uraco ed il complesso arterie e uraco Entrambe le strutture sono state misurate in un solo punto:

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