• Non ci sono risultati.

Alcune erbe rivestono una valenza sul piano culturale e sono radicate nelle memorie della gente vissuta in un momento storico dove ci si serviva al banco della natura anche per sostituire dolci e caramelle, altrimenti piuttosto rari. Alcune piante, infatti, possiedono un caratteristico aroma zuccherino e venivano succhiate spesso per gioco o

per divertimento, soprattutto dai bambini. Per molti interlocutori del posto questo avveniva con il Lamium orvala, la falsa ortica maggiore, che in dialetto riveste l’eloquente epiteto di ciucimèl, proprio in virtù del fatto “I suoi fiori contengono un nettare particolarmente dolce, che viene succhiato volentieri dai ragazzi.”104

Rodolfo, però mette in guardia da possibili complicazioni:

Sì, però, bisogna star atenti, sti qua, a ciuciàr. Sti qua i varìe el nèttare, no? Che l’é molto dolce, no? Però quando che è ora, che, apunto, el se matura el nèttare, bisogna star atenti de no magnàr anca e formighe, parché ghe n’é anca e formighe che va ciór el nettare. Di fatti, se uno varda un fià accuratamente sua pianta, se el vede che ghe n’é movimento o qualche formiga, òcchio, ah, prima de meter in boca!”

Questo uso è, o comunque era, molto diffuso, però non tutti lo condividono. Gino e la moglie non hanno mai giocato succhiando questi fiori, che conoscono perché utilizzavano come cibo per il loro bestiame: “Se ndea a taiarli col messorìn na volta. E dopo co a carioea se i portea casa, se ghe i dea da magnàr ae bestie. Maria mi dice che una pianta che da bambina usava cercare per addolcirsi le labbra era il comune trifoglio, o strafòi:

I: E ghe n’èra altre piante che te te ciucea? M: El trifoglio, noialtri, e basta.

I: El trifoglio vero e proprio?

M: Sì, el trifoglio. Parchè te ghe cavava un afarét aa volta e te ciuciava. I: Ma el fiór?

M: El fiór del trifoglio, quel rosa. L’ha un po’ de nettare, pochissimo, ma insomma.

Secondo Miranda, anche le bacche di dulcamara venivano succhiate, perché contenevano un aroma, al contrario dei fiori precedenti, piuttosto amarotico, ma comunque gradevole. Nel complesso queste piante erano apprezzati sostituti in mancanza di dolci veri e propri, che venivano rimpiazzati anche da tutti i piccoli frutti dolci, come le fragoline selvatiche e le more, di gelso e di roa, di rovo:

A: Satu cosa che ghe ièra ancora che el ièra bon? Le roe. Te sa, i cuòr de roa. G: Ah ben, i cuòr de roa, sì.

A: Le roe, etu mai sentìst?

104 F. D

I: Sì, ho presente.

A: Adès co e buta e fa el butét fresc, eora se va là, se tira via e se ciucia. Ma, Gino, no te ghen cata pì, no, des, de chee robe là!

G: No, roe ghe ne, lu, roe, dapartùt. Ma chi eo che va magnàr chea roba là? I: Ma eora chee la e fa tipo more?

A: Sì, more.

I: E le e diverse da quee dei morèr?

A: Sì, sì, sì. L’é pì bone quee dea roa. Vitu quante robe! G: Eh, le cose de roa, le e bone!

Gino e Antonietta, inoltre, conoscono le gambuie, che loro raccontano di aver apprezzato per il loro aroma dolciastro:

G: E ganbuie, le vièn sui prà. I: E sti qua cossa ei, fiór?

G: No, l’é na èrba, che a vien fora, a vièn alta. L’ha un gambo e na olta ghen ièra tanta sul prà da me nono Tony, là via. Eora noaltri tosatei se ndea… e co l’é fresche se e magnea.

A: Se e ciucea! No ghe n’era altro da ciuciàr! I: No l’é el pan e vin?

A: No! L’é naltra roba. Ma el pan e vin el sarà na specie, anca quel. G: Sì, ma la sgambuia l’é na pianta picoeta, e la vièn su alta. I: De cossa vièn, de sta staión qua?

G: Eh, sul primo taio de fen; ades, qua a magio, insuma.

Io non riesco ad indentificare questa pianta. Penzig105, tuttavia, riporta la forma

Sgambùgie, in riferimento al Rumex acetosa, detto in dialetto della zona comunemente pan e vin, pianta che Gino e Antonietta conoscono e che non fanno coincidere, però,

con quella in questione, pur definendola simile.

Alcune piante erano tenute in considerazione non solo per il loro gusto, ma anche per le proprietà dissetanti che avevano; tra queste specialmente proprio il pan e vin, l’Acetosa: “è molto diffusa nelle campagne e conosciuta un po’ da tutti perché le foglie e i gambi di sapore acidulo sono un buon dissetante di emergenza: il masticarli provoca un aumento della salivazione.”106

Più interlocutori confermano di conoscere questa sua proprietà, come Zita: “Co se era cee se vegnea inte el bosc e dopo se vea sé e acqua no ghe n’èra na volta, sul Montèl, no ghe n’era fontane. Eora se magnea el pan e vin, el fea

105 O. P

ENZIG, Flora popolare italiana, 2 Voll., Bologna, Edagricole, 1974.

106 F. D

vegnar saliva in boca.” Laura C. viveva in pianura e mi spiega di averla utilizzata durante le camminate nei campi, perché ne apprezzava il sapore, ma anche per la sua proprietà dissetante:

M:. Ah, el pan e vin se magnava, invesse, el pan e vin se ciuciava, sì. I: Ma par divertimento?

M: Eh, sì, ma magari te caminava, te fea na passegiata, te metea in boca sto pan e vin e l’èra qualcossa… sì, te dava anca un po’ de sollièvo, insoma, no so. I: Cossa ièrea, a foia?

M: No, praticamente, noaltri se magnava el germoglio del fiór, cioè el fior prima de seccarse, proprio fresco, disón.

I: Quindi che staión?

M: Maggio. Anca aprile par quea, ma sicome che e passeggiate se e fava in sto periodo…

Anche Paolo lo usa durante le camminate nel Montello, in caso di sete, e mi spiega qualcosa in più su questa pianta:

Beh, l’é soprattutto in pianura, però te o trova sulle radure, sulle radure te o trova. E… l’é un’èrbacea, no? Quindi dove che ghe n’é folto no te pòl catarla, parchè no cresse gnente sotto el folto. Ecco, però el pan e vin l’ha un aspetto per cui vièn usato… mi personalmente lo usavo quando che andavo a caminàr in Montéllo, perché? Quando che ère sensa acqua per farme passàr… come dissetante. E l’é estremamente dissetante.

Anche i piccoli frutti come fragole e more, oltre che essere apprezzati per il gusto dolce, sono utili per la loro funzione dissetante:

Come dissetante come per esempio tutti i piccoli frutti, che no i te serve come alimento. Ti prova a pensàr de ciòr su fragoe par… per alimentarve: no esiste. Esiste par dissetarte. E ghe n’é vari altri frutti di questo tipo qua che i podarie èssar, come dire… studiati, in questo tipo di contesto. El contesto della caccia non mi impedisce de pensàr che un certo tipo di frutti di bosco, molto acidi, e quindi che i fa sì che te passe a sé parchè i te fa salivàr in maniera importante, no fossero usati anche in tempi molto antichi, per dire, no? Parchè l’é normale pensarlo, par dirte.

Rodolfo mi spiega che una pianta con simile caratteristica è l’Oxalis acetosella: “come l’acetosa è una pianta utile, in caso di mancanza d’acqua, a calmare la sete (…)”. Qualcuno, in dialetto, la chiama pan cuc: “L’é che a contièn acido salico, in sostansa. L’é par quel che a ciucia ghe stua a sé. Però bisogna star atenti de no ciuciàr… mi, da bocia, ghe n’ho magnà anca tanta, però no è che a sie…”; Rodolfo vuole mettere in guardia per le possibili controindicazioni per l’abbondante acido ossalico che contiene.

 Considerazioni

Da un punto di vista enogastronomico negli ultimi anni si è riaccesa l’attenzione per le cucine regionali e si è affievolita la soggezione verso ciò che era proposto dall’esterno, fatto che non coglie impreparata questa regione, dopo che lo stesso Giuseppe Mazzotti, proprio in un suo “Elogio alla cucina Veneta” aveva affermato “Ma le specialità della cucina veneta sono infinite.”107

L’abbozzato viaggio attraverso le specialità naturali di questa zona ha svegliato innumerevoli implicazioni di carattere culturale che potrebbero essere raccolte ed ampliate, del resto “(…) il cibo, sia esso raccolto o cacciato, crudo o cotto, più o meno manipolato costruisce una delle spie identitarie più sicure e attendibili”108

, e anche la cucina più povera, impegnata a soddisfare il primario e fisiologico bisogno della fame, rimanda a memorie, consuetudini e tradizioni, consentendo di affermare definitivamente, con Ulderico Bernardi: “Il valore del mangiare è in questo suo sottrarsi all’animalità, per diventare fatto primariamente culturale.”109

107

G. MAZZOTTI, U. BERNARDI (a cura di) Scritti sulla cucina Veneta, Trevigiana, Valdostana; cit. p. 21.

108 C. S

PARVOLI, Memorie di cucina e tradizioni di una comunità; cit. p. 21.

4