• Non ci sono risultati.

A quanto pare, non ci sono solo dosi ed ingredienti naturali da conoscere e rispettare nell’utilizzo dei rimedi naturali, ma anche altri accorgimenti da onorare per comporre correttamente i medicamenti di volta in volta necessari. Sia Anna che Bruna, infatti, sottolineano quanto sia importante prelevare il campione di erba necessario non solo facendo attenzione alla specie, ma considerando anche i luoghi di raccolta, perché le piante selezionate risultino pure e naturali, senza contaminazioni chimiche di alcun genere, senza che siano intaccate da prodotti tossici, come i diserbanti o lo smog delle auto; devono essere piante su posti sicuri, devono essere “erbe antiche, erbe ferme” secondo Anna, e Bruna le fa eco:

B: (…) eora lu el cercava un terreno dove fosse… dove fosse rigido el terreno, e dove che el fosse selvaggio.

I: Quindi importanti no le é solo le èrbe ma anca i posti dove che se i trova? B: Eh, sì, assolutamente.

Non solo i luoghi ma anche i tempi rivestono grande valore nella fitoterapia, e sono valutati con estrema attenzione; questo accade nella fase della raccolta della pianta, come racconta Bruna, a proposito della selezione del Biancospino:

I: Quindi ghe n’è proprio dei momenti estremamente precisi?

B: Perché varda che più de na volta me disea me papà “Me accompagnetu che nden tor un po’ de biancospino?” o co lu andavo l’ora sulla ferrovia, drio la ferrovia, che era già chiusa, anca lora, comunque… lo accompagnavo eà. E là ghe n’èra tante piante de biancospino e me ricordo che el ndava… lu desmontava, ndea veder, el diseva “No, ancora no, no se pol. Ghe vol ancora

128

Si tratta principalmente di tre testi: L. VARVELLO, Curatevi con le erbe. Piante medicinali e le loro

proprietà curative, Milano, De Vecchi Edizioni, 1962; G. NEGRI, Erbario Figurato, Milano U. Hoepli Editore, 1923; F. BADEAU, Curarsi con i fiori, Milano, Mondadori, 1977.

do giorni.” O do, tre giorni, dipendea anca el tempo, cossa che el fasea, parchè se pioveva, eora bisognea spetar che se vesse sugà, e che no ghe fosse tant vento… cioè lu l’aveva tutta, proprio, sta particolare conoscenza.

Anche nella fase della preparazione vera e propria del medicamento, però, i tempi sono importanti, ed è necessario rispettarli, perché il progetto vada a buon fine : “Eora lu l’èra molto attento, appunto, alla cura: come lavarle, come curarle, cussì, ma dopo anca te dovea fermarte co el vea ciapà el boio, cioè no el dovea bollire… eora el stea attento, quando che vegnea su a prima bollicina, tac!, el stusea, quindi… attento ai tempi.”

Nella preparazione dei vari rimedi, poi, c’è da considerare anche l’utilizzo di particolari strumenti, per pestare le piante e ridurle in poltiglia, e tutta la serie di contenitori per cuocerle o farle scaldare o bollire, che, a seconda del risultato dovuto, dovevano possedere determinati requisiti: “Eh, e dopo l’èra attento, parchè su ste robe qua ghe n’è… l’èra pien de pentolini de terra cota, che l’avea, o de acciaio inossidabile.” Appi e Pagnucco trovano conferma di questo ed altri accorgimenti nella loro indagine sull’utilizzo delle piante nel Friuli: “I recipienti adoperati devono essere di terra cotta o smaltati”.129

Fondamentalmente il principio di base è che tutto debba essere naturale, non solo la materia prima del medicamento, la pianta, dunque, ma possibilmente anche ciò che entrerà in contatto con essa durante la preparazione: Bruna mi racconta che il padre pestava i ranuncoli, per ridurli in una poltiglia, perché utili alla risoluzioni di certi dolori, con una sgèpera, un largo sasso del Piave, rifiutando il martello, che sarebbe stato più veloce e maneggevole, perché “tutto deve essere naturale”.

Detto questo, bisogna considerare che c’erano, e ci sono, alcune erbe, che possono essere seccate e messe via per essere utilizzate successivamente, magari in previsione di stagioni dove non sarebbero più reperibili allo stato naturale, o comunque non allo stadio voluto.

Questo può accadere, secondo Gabriella, con le radici di Tarassaco e secondo Zaccaria con altre piante, a lui particolarmente care: “Eora lu che el metea via, che el metea via

sui sacheti ièra la gramigna, le cavee de panocia, el biancospino, l’èrba cavaina, ma non tanto, parchè qua te a trovava, ma comunque i mesi de inverno no te a trovea, quindi…” Anche secondo Anna per vari medicamenti, si tratti di pomate o di sciroppi, le erbe

129 E. e R. A

PPI, A. e D. PAGNUCCO, Le piante nell’uso popolare in Friuli. Terapia e cucina, Pordenone, Edizione Concordia 7, 1979; cit p. 19.

necessitano di essere essiccate, per poter essere impiegate. Lei mi dice che secondo la sua esperienza, in molti casi, non è bene che questo avvenga fuori, attraverso l’esposizione solare, perché il processo di essiccazione sarebbe eccessivo e avverrebbe in tempi troppo brevi, il che rovinerebbe le piante. Anna, in definitiva, usa disseccarle mettendole in soffitta, ponendole sopra le graticole “dei cavalièr”, dei bachi da seta, e lasciando le finestre aperte, in modo che la stanza risulti sufficientemente arieggiata. A seconda della modalità con cui venivano preparate, le sostanze, poi, assumevano dei particolari epiteti. Bruna mi spiega, per esempio, la differenza tra gli infusi e i decotti, il primo costituito da piante messe a mollo nell’acqua appena scaldata, mentre nel secondo caso, invece, le piante vengono immerse nell’acqua e giungono ad ebollizione con essa. Ancora una volta, ricorrendo all’esperienza del padre, Bruna mi dà dei chiarimenti:

I: Cossa cambia?

B: Eh, cambia sì, perché le èrbe le ha dee proprietà. Quel che conta l’é le proprietà che le ha dentro e quindi ghe n’é delle proprietà che le se rivaluta col calore, ma ghe n’é delle proprietà, delle vitamine che, co e riva a sessanta gradi e se deperisse. Aeora l’importante l’éra rivar al limite, in modo da tirar fora tut el mèio e dopo… Quindi, anca questo l’é proprio un arte, proprio uno studio che ghe voea.

I: Ma quindi qual sarie quel che se fa bollire, el decotto?

B: Sì, el decotto lo fai bollire, invece l’infuso te porta l’acqua a ebollizione, te a tira fora, te assa che bene, te o copre, e te assa là fermo, finche se ha raffreddà. Dopo te filtra e queo l’é l’infuso.

Anche le tinture potevano essere ottenute, facendo macerare le erbe desiderate con dell’alcol, talvolta dopo essere state essiccate e frullate, come nel caso dell’aloe, secondo Anna. A lei chiedo qualche chiarimento su come venga impiegato questo elemento, l’alcol, e lei mi risponde che è necessario e non può assolutamente risultare nocivo quand'è mescolato alle erbe, anzi: se è puro e naturale sortirà degli effetti positivi sulla salute della persona interessata. Questo a patto che venga utilizzato in dosi non eccessive: normalmente, per quanto riguarda i suoi preparati, si aggira attorno a una percentuale del quaranta per cento, non di più. La presenza dell’alcol nei prodotti, inoltre, permette loro di durare nel tempo, nonostante la mancanza di conservanti chimici.

Per quanto concerne l’accorpamento di creme e pomate, nel passato potevano essere composte da elementi come il burro e lo strutto di maiale, ma io non ho conosciuto nessuno che comunemente le facesse e che, di conseguenza, abbia saputo spiegarmi il

procedimento. Anna, a quel che comprendo, ne produce specialmente per curare dolori articolari, e secondo lei la base più valida sta nello zinco, che lei acquistava in grandi quantità, in polvere, e che appare come un’asciutta farina che mi fa vedere. Le chiedo dove la acquisti, considerando la grande attenzione verso l’origine degli ingredienti utilizzati che la contraddistingue, e mi parla di mercati specializzati, che hanno luogo raramente, ma con regolarità, e mi dice di essersi rifornita, specialmente, da una commerciante di Feltre, che scendeva a Montebelluna in occasione del mercato settimanale, ma mi pare di capire che questo non succede più. Chiaramente lo zinco va mischiato alle piante di volta in volta più indicate allo scopo, le quali vengano aggiunte dopo l’essiccazione, e la loro triturazione. Ogni pomata può contenerne varie, mescolate assieme tra loro. Per quanto concerne i dolori, comunque, Giovanna mi spiega che non necessariamente si debba usare una pomata; va benissimo anche una tintura, che è a base di alcol, il quale, penetrando nella parte interessata attraverso il massaggio, produrrebbe esso stesso degli effetti benefici e curativi. Nessuno degli informatori non specializzati mi parla di pomate; neanche Appi e Pagnucco, nella loro indagine sul Friuli, ne evidenziano l’uso popolare, parlando piuttosto di cataplasmi, poltiglie come quella che consiglierà Bruna a base di ranuncolo, per la cura della sciatica: “Si riducono le erbe fresche in poltiglia, si pongono sopra una pezzuola (possibilmente di lino) e si applicano sulla parte da curare.”130

Maria Treben, appassionata di fitoterapia di larga esperienza, nella sua pubblicazione parla semplicemente, appunto, di “poltiglie” , preparazioni molto simili a quelli descritti sopra come cataplasmi, e si aiuta con uno strumento comune in molte cucine per la loro preparazione “Col mattarello si schiacciano sul tagliere steli e foglie onde ottenere una poltiglia. Spalmata su di un panno la si applica sulla zona malata del corpo, fasciandola indi con un telo e mantenendola calda.”131

Zaccaria Dal Secco, come accennato, utilizzava dei grandi sassi raccolti nel vicino letto del fiume Piave.

In altri casi venivano preparati quelli che nel dialetto veneto erano chiamati profumi o

profùn, che corrispondono alle fumigazioni: “Si mette la pianta su un recipiente e si

versa sopra dell’acqua bollente. Ci si pone sopra, con il capo coperto da un asciugamano, e si respira profondamente il vapore per una decina di minuti.”132

Nel caso che ho trovato, la pianta in questione veniva fatta bollire nell’acqua, prima che

130

Ivi, p. 18.

131 M. T

REBEN, La salute dalla farmacia del Signore, Steyer, Ennsthaler, 2000; cit. p. 7.

132 E. e R. A

avvenisse la fumigazione, per poi seguire il procedimento descritto sopra, da Appi e Pagnucco.

In alcuni casi, poi, saranno proposti dei pediluvi, fatti con dell’acqua, bollita col le erbe necessarie alla cura del disturbo che si vuole colpire, per esempio la cattiva circolazione.

Evidentemente, nel caso di Zaccaria come altri, alcuni medicamenti venivano fatti al bisogno, secondo le eventuali richieste e le problematiche che di volta in volta risultavano essere legate all’interessato; altri prodotti, invece, erano preparati con regolarità, per prevenire eventuali problemi; per esempio in primavera, che era una stagione delicata, dove si riscontravano disturbi come debolezza e la necessità di scrollarsi di dosso la pesantezza invernale, lui preparava sempre un tonico particolare: “Per esempio, quando che iera in primavera, soprattutto in primavera, quindi adesso, lue l preparava un infuso per depurarse, perché el disea ‘L’organismo, dopo l’inverno, assopito, cussì…’”, e questo avveniva perché, in effetti, “Il concetto di prevenzione è alla base di molte medicine tradizionali.”133

A Giovanna rivelo, constatazione forse un po’ banale, che mi sembra complicato riuscire a individuare le varie erbe necessarie e a distinguerle fra loro, perché molte si assomigliano, e lei mi risponde che questa difficoltà si fronteggia con la tanta pratica, che si matura negli anni.