minati dall'Aucuy sulla Revue d'economie politique
E) Altri impieghi reali
1. Fino al 1914, parlare di convertire in beni non fruttiferi una parte del proprio patrimonio superiore all'uso diretto che di essi beni si volesse o potesse fare sarebbe parso un assurdo. Le vi-cende successive però, e lo stato di insicurezza economica e giuridica procurato dalla moneta ava-riata hanno rimesso di moda anche codesto arcaico sistema di conservazione della ricchezza. E convien ammettere che coloro i quali lo adottarono non ebbero, in generale, durante l'inflazione, a pen-tirsene.
Ragionando però nel presupposto che l'ecce-zionale stato di cose stia ora, per quanto
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mente, liquidandosi, e che necessità superiori all'arbitrio umano ci restituiscano condizioni di scambio meno isteriche, riprendon valore tutti gli argomenti contrari ad una pratica, per la quale occorrono, quanto meno, nozioni ed attitudini tutt'altro che facili o comuni.
Comprare merci per rivenderle, lucrando plus-valenze o semplicemente non incontrando perdite, fu semplice e gradita cosa finché l'aumento inces-sante e rapido dei prezzi assegnò premi nominali inaspettati a qualunque detentore di beni concreti. Anche allora però guadagni considerevoli tocca-rono soltanto ai commercianti specializzati in co-desti affari; mentre, pei profani, il prezzo general-mente sborsato (per incapacità e pagamento di commissioni), le spese di deposito e di conserva-zione, di assicuraconserva-zione, i deperimenti, la scelta in-tempestiva della data di vendita convertirono non di rado in perdita l'utile sperato. Per lo più poi il rovesciamento di congiuntura avvenne tanto ino-pinatamente, da rendere impossibile di liberarsi
degli stock conservati prima che i prezzi ne preci-pitassero. In Italia, dal 1920 in poi, erano nume-rosi, fra gli altri, gli agricoltori che, diffidando delle sorti della moneta e della solidità delle banche, ma contando sul sostegno dei mercati dei prodotti, non si affrettavano a venderli, accumulandone spesso delle riserve ingenti. Eesistettero essi ancora, sperandola momentanea, alla diminuzione dei
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prezzi che si delineò nell'autunno 1926, in seguito alla rivalutazione della lira; e si indussero soltanto a vendere quando, alcuni mesi dopo, si ebbe il tracollo. Il grano, il riso, il bestiame valevano adora circa la metà di un anno prima; e la offerta disor-dinata dei produttori impazienti di realizzare quanto eran stati prima riluttanti a cedere con-corse a deprimere i prezzi. L'esito del calcolo fu dunque tutt'altro che brillante.
Col ritorno di una moneta relativamente stabile e di condizioni politiche che rassicurino sulla vali-dità dei rapporti giuridici normali, nessuno pen-serà certo più a ripetere l'esperimento.
2. Una forma caratteristica di impiego in cose è quella, pure assai diffusa ai giorni nostri, del-l'acquisto di oggetti d'arte, mobili, gioie, ecc.
In patrimoni di considerevole entità, una quota relativamente piccola può opportunamente assu-mere tale figura; che rappresenta indubbiamente una misura precauzionale contro eventualità for-tunatamente rare, ma non da escludersi tassativa-mente (in Russia i superstiti borghesi delle eca-tombi bolsceviche si salvarono da morir di fame vendendo, a uno a uno, gli oggetti che ornavano le loro case e le loro persone; in Germania ed in Austria, durante la crisi di inflazione, le più distinte famiglie si difesero in ugual modo contro la totale indigenza).
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Singolarmente però si illuderebbe clii pensasse di ricavare da questo cespite un qualsiasi utile, ricorrendovi sistematicamente, a scopo di specu-lazione. Non v'ha, in realtà, ramo d'affari che richieda competenza più. squisita per evitare scon-certanti sorprese. Le gioie comprate da un pro-fano gli costano almeno il doppio di quanto, a sua volta, potrebbe ricavarne. E sul mercato delle
opere d'arte, dei mobili antichi, ecc., prospera una frode grandiosa ed abilissima, da cui gli stessi uomini del mestiere non sono affatto sicuri di difendersi. Riempirsi la casa di simile roba, con la speranza di sottrarre il proprio avere alle alee degli impieghi consueti è ingenuità che molti han scontata amaramente; anche perchè, volendo rea-lizzare, le spese degli intermediari, l'attesa dell'oc-casione, ecc. riducono in misura ignota l'effettivo provento. Ed alla rovina si aggiunge spesso il ridicolo per la saccenteria canzonata. La sorte sfortunata del protagonista della Famiglia
del-l'antiquario è classica lezione, che ai dilettanti di anticaglie d'ogni secolo e d'ogni paese gioverebbe assai mandare a mente.
P A R T E S E C O N D A — LE VARIE SPECIE D'INVESTIMENTI
CAPITOLO SECONDO.
GLI I M P I E G H I M O B I L I A R I .
A) Caratteri generali.
1. Dal confronto generico che abbiam premesso circa le ragioni di preferibili rispettiva dei beni immobili e mobili sono risultate abbondantemente le ragioni per le quali, nella società moderna, i secondi godono di crescente favore e tendono a coprire campi sempre più estesi della pubblica ricchezza.
Se non che il moltiplicarsi con rapidità fanta-stica di codesti segni rappresentativi e l'indefinito differenziarsi dei loro tipi va aumentando correla-tivamente a tal punto le difficoltà di conoscenza e di scelta, da rendere il risparmiatore immensa-mente perplesso nell'accoglierne la molteplice ed eclettica offerta. Una classificazione non troppo empirica della innumerevole folla riempirebbe da sola molti volumi. Ma anche da un semplice rag-gruppamento in alcune essenziali categorie emer-gono alcuni distintivi peculiari che posson offrire sufficienti criteri di orientamento. Rimanendo sempre ben inteso che la decisione pratica dovrà, caso per caso, fondarsi sopra un'ulteriore esame informativo e tecnico, diretto ed analitico, quale
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nessuna guida generale può presumere di fornire in così delicata, ed in gran parte misteriosa, materia.
2. A due grandi gruppi principali suole tradi-zionalmente ridursi la figura giuridica dei titoli costituenti il mercato finanziario mondiale: quelli a reddito variabile e quelli a reddito fìsso.
I primi sono quote di partecipazione ai benefìzi delle imprese che li emettono; i secondi crediti per una determinata somma in moneta legale, portanti interessi regolari ed immutabili.
Entrambe le categorie si dividono in più sotto-gruppi.
I valori a reddito fìsso sono pubblici o privati, perpetui od ammortizzabili. Oggi quasi soltanto gli Stati emettono ancora, abbastanza frequente-mente, dei primi, che loro conferiscono il diritto di non rimborsare mai il capitale, ma in pari tempo di riscattarlo a volontà (talvolta dopo un certo numero di anni dalla emissione), offrendo la resti-tuzione del capitale nominale, spesso con opzione di un altro titolo a interesse minore (conversione). Più comune però è l'uso dei prestiti redimibili, a cui largamente ricorrono enti pubblici ed imprese private. Abbiamo così tutta una serie di codesti titoli, secondo l'indole dell'ente debitore ed il tempo e la forma del rimborso (tutto insieme, a data fìssa, come nelle compagnie ferroviarie
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americane; oppure a volontà del debitore, fra due date contrattualmente prescritte (Stato Nord-Ame-ricano); o ancora secondo un piano di ammorta-mento scalare, per estrazioni o per rate annuali in aggiunta agli interessi (sistema preferito in Europa).
I diritti dei portatori di titoli a reddito variabile differiscono invece profondamente, secondo che si tratti anzitutto di azioni o di quote di fondazione. Gli azionisti percepiscono un dividendo, che può venir loro corrisposto in due rate, la prima delle quali per lo più fìssa e rappresentante l'interesse al saggio normale del capitale conferito (al corso di emissione), la seconda variabile, come costi-tuente una porzione effettiva di profìtto.
Le quote di fondazione, inventate daUa
Com-pagnia di Suez per ricompensare i suoi iniziatori e d'allora in poi assai diffuse, rappresentano dei van-taggi senza versamento di capitale, e senza diritto a rimborso, riconosciuti ai creatori od ai primi collaboratori di certe imprese; non ricevono quindi che la parte degli utili che può considerarsi vero profìtto. Talvolta il diritto a partecipare alla distri-buzione incomincia soltanto oltre un dato percento, che può superare considerevolmente il saggio di frutto normale (i fondatori della Società Edison non ottengono nulla finche ciascun azionista abbia ricevuto 30 fr.). In caso di scioglimento della società le quote partecipano al riparto del-l'attivo eccedente l'importo del capitale azionario.
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Assomigliano in ciò alle azioni di godimento (quelle il cui capitale è stato integralmente rimborsato); ma, a differenza di queste, sono sprovviste di voto alle assemblee generali, e quindi non intervengono a decidere i profitti che loro competono, dipendendo questi dalle deliberazioni dei soli azionisti, salvo osservanza dello statuto sociale.
Nelle azioni si distinguono le ordinarie dalle pri-vilegiate; le quali ultime possono esserlo a diverso titolo.
Hanno per lo più diritto ad un dividendo minimo garantito, da prelevarsi sugli utili prima che alle altre azioni sia assegnata la parte che loro spetta. E godono generalmente della stessa prerogativa nel reparto finale, per scioglimento. Sono dunque qualcosa di intermedio fra l'azione e l'obbliga-zione. Non sempre quindi l'apparente vantaggio deve considerarsi assoluto. Perchè può avere per contropartita delle limitazioni importanti di altri diritti (spesso, per es., le azioni privilegiate parteci-pano in misura minore alla parte d'utili che supera il loro minimo, e sono allora dei titoli dotati di un margine di valorizzazione molto ridotto, se la so-cietà fa affari brillanti). Agli Stati Uniti, la esage-rata emissione di titoli di tal fatta fra il 1907 ed il 1912, ne rivelò più d'un inconveniente pei loro portatori.
Un'altra forma di privilegio conferito a certe azioni consiste nel diritto a più d'un voto nelle
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assemblee (azioni a voto plurimo). Il sistema, che tende a mantenere il dominio nelle mani del gruppo detentore di una minoranza numerica di titoli, è largamente praticato nei paesi di maggior svi-luppo industriale. In Italia la giurisprudenza ha risolto finora in vario senso il quesito se esso sia compatibile col disposto del Codice commerciale vigente; ed il problema è stato ampiamente dibat-tuto dalla commissione che ne prepara la riforma. Parecchie grandi società lo hanno tuttavia adot-tato e lo praticano, in forma più o meno palese. Differiscono pure i pareri circa la convenienza, pel comune azionista, di entrare in una combinazione, che lo priva dei poteri normali di direzione e di controllo. C'è chi ritiene che suscitando in questo modo la diffidenza del pubblico, e quindi allonta-nando le simpatie degli investitori, le società così costituite finiranno per fare il proprio danno; ma si risponde d'altra parte che anche gli azionisti ordinari guadagnano se l'azienda acquista solidità maggiore, con la continuità di direzione preservata dai colpi di mano a base di denigrazioni irrespon-sabili delle assemblee ugualitarie. Per lo più poi essi ricevono dei compensi concreti, prescrivendosi che i titoli a voto plurimo non possan percepire utili se prima non ne furono distribuiti, in misura uguale o superiore, agli altri. È diffìcile dire chi degli avversari o dei fautori del metodo abbia asso-lutamente ragione; ciò dipendendo sopratutto da
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elementi di fatto, da valutarsi caso per caso. Certo è soltanto che nell'acquisto dei valori di simili aziende, si impone una cautela specialissima ed un esame, più del solito rigoroso, della situazione tec-nica e della rispettabilità e competenza dei dirigenti.
3. Tanto le azioni che le obbligazioni possono essere nominative od al portatore.
I vantaggi delle prime, consistenti sopratutto nella sicurezza contro le perdite, distruzioni, furti, ecc. e nella grande comodità di percezione degli interessi e dividendi (che l'ente debitore rimette spesso direttamente al titolare) loro hanno procurato a lungo, in taluni paesi (Inghilterra) una preferenza assoluta; mentre in altri, malgrado gli sforzi dei governi per diffonderne l'uso anche con privilegi tributari (come l'imposta italiana del 15 % sui dividendi, ora abrogata), si attribuì sempre maggior valore alle doti di pronta trasferibilità e specialmente di segretezza dei titoli al latore. Le simpatie per questi ultimi e la loro diffusione non fece che crescere, col perfezionarsi dei mezzi di custodia offerti dalle banche (cassette di sicurezza,
dossiers in amministrazione, ecc.) da un lato, e con la crescente pressione ed inquisizione fiscale, che assegna un pregio sempre maggiore alle forme di ricchezza suscettibili di occultamento. Dove, come in Italia, la condizione del contribuente divenne più critica, bastò l'annuncio che si voleva rendere
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obbligatoria la nominai ività dei titoli per determi-nare nna flessione fortissima nei loro corsi, ed un marasma dei mercati che non cessò finché non fu espressamente revocata l'imprudente minaccia. Ma un modo di vedere analogo si osserva ovunque sul continente europeo. Ciò influisce, per riflesso, nota il Withers, a modificare le tendenze e le consuetu-dini anche nei paesi finora più fedeli alla nomina-tività, come l'Inghilterra; la quale, per potersi mantenere in contatto coi mercati che fanno domanda preferenziale od esclusiva di titoli al portatore, è spinta ad imitarne i metodi. Ivi pure del resto agiscono le cause generali che, dal 1914 in poi, hanno aumentata in sommo grado l'impor-tanza del requisito di liquidità nella composizione del patrimonio.
4. Il grado di preferibilità specifica dei singoli valori, come le loro ulteriori distinzioni economiche e giuridiche appariranno meglio dall'esame anali-tico delle principali categorie.
Fa d'uopo però premettere intanto che la scelta dei medesimi essenzialmente dipende dall'indole, stato, capacità, mezzi del risparmiatore che la decide. L'infinita diversificazione dei titoli mobi-liari forma una scala di reddito nominale via via più incerto, a mano che si passa dalle rendite ed obbligazioni alle azioni privilegiate, alle ordinarie, alle azioni di godimento, alle quote beneficiarie.
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Ma, appunto per ciò, nel vastissimo e straordina-riamente vario mercato, si trova merce adatta a tutti gli scopi ed a tutte le psicologie. Non esiste titolo buono o cattivo in senso assoluto e per tutti; ma quello che giova allo speculatore non è consi-gliabile al redditiere, e quello opportuno pel pos-sessore di larghi capitali può presentare gravi inconvenienti pel risparmiatore modesto. Interessi, rischi, scadenze, costituiscono elementi di superio-rità positiva o negativa in ragione delle speciali esigenze individuali, a cui deve ispirarsi, con serena obbiettività introspettiva, il giudizio di ciascuno. Fino a pochi anni addietro le autorità finanziarie più reputate solevano distinguere i valori, secondo le qualità intrinseche, in fondamentali, comple-mentari {d'appoint) e di speculazione. Attribuivano ai primi quelli che univano la massima sicurezza di reddito alla più grande stabilità di capitale, e che erano inoltre dotati di facilità di negoziazione, senza fluttuazioni troppo sensibili (Leroy-Beaulieu vi includeva, in prima linea, pei risparmiatori francesi, i consolidati inglese, francese e, a un grado più basso per la meno completa negoziabilità, i belgi, svizzeri, olandesi, scandinavi, egiziani; i fondi coloniali garantiti dal governo francese; le obbligazioni delle grandi imprese ferroviarie nazio-nali di Parigi e delle grandi città; del Crédit
fonder, dello Staatsbahn austriaco, di quattro o cinque grandi compagnie ferroviarie
nord-ameri-P A R T E S E C O N D A L E V A R I E S nord-ameri-P E C I E D ' I N V E S T I M E N T I
cane). Il frutto di un patrimonio così collocato era tenue (dal 3 al 4 % circa); le plusvalenze piccole e poco frequenti ; comune la prospettiva di prossime conversioni. Tuttavia, per la quasi nullità del rischio, si consigliava al piccolo e medio redditiere di attenervisi, almeno per i tre quarti della sua sostanza; e si riconosceva sensata l'abitudine di molti industriali e commercianti di tenere in tale forma delle riserve considerevoli, facilmente realiz-zabili da un momento all'altro, o suscettibili di procurare subito delle larghe anticipazioni ban-carie. Nella categoria degli accessori si facevano rientrare quei titoli che, senza possedere le qualità eminenti dei primi, si raccomandavano tuttavia per reddito costante e apparentemente solido e, possi-bilmente, per buona speranza di valorizzazione (rendite di Stati meno accreditati dei suddetti; obbligazioni di società industriali e fondiarie di primo ordine nazionali e straniere ; delle ferroviarie americane di seconda classe; azioni ferroviarie francesi, ecc.). Il reddito medio così procurato poteva agevolmente superare dell'I y2 o 2 % quello ottenuto col primo gruppo. Il comune redditiere poteva, senza rischio, tenerne in portafoglio pel 20-25% del suo capitale; il più agiato anche il 30-50%, a condizione di osservare rigorosamente la regola della ripartizione compensativa dei rischi, non collocando in ciascun impiego più del 5 % del totale.
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Ai valori di speculazione appartenevano infine quelli che, pel paese da cui provengono o per le condizioni dell'impresa che rappresentano, com-portano alee numerose (fondi pubblici di Stati a finanza più o meno dissestata; la maggior parte dei titoli industriali, soggetti alle mutazioni im-provvise di tecnica oltreché agli sbalzi di congiun-tura; i titoli bancari esclusi pochi di primissimo ordine). Era il gruppo di gran lunga più numeroso, nonché il più adatto ad esercitare vivaci seduzioni sul pubblico, sebbene le rovine che aveva seminate fra gli ingenui e gli sventati compensassero larga-mente le fortune procurate ai più fortunati o più accorti. Contro il suo miraggio venivan perciò posti in guardia i risparmiatori modesti, mentre si riconosceva la convenienza per i più ricchi, in grado di economizzare regolarmente una parte cospicua del loro reddito, di convertire una quota di tale risparmio in codesti valori, scelti però con molto discernimento e cautela.
Non occorre aggiungere che la classificazione proposta era considerata fin d'allora tutt'altro che rigida, continui essendo i passaggi, specialmente fra il secondo ed il terzo gruppo, dovuti alle varia-zioni di consistenza delle imprese in relazione alla fase ascendente, consolidata o declinante del loro sviluppo. Ma se, in condizioni normali e pacifiche, gli spostamenti imprevisti erano eccezione, dal 1914 in poi sono divenuti a tal segno la regola da
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volgere radicalmente il bell'ordine gerarchico (come la semplice lettura della riferita esemplificazione ben mostra) e frustrare qualunque tentativo di ricostruirlo.
Oggi quindi meglio che mai il criterio di scelta nella sterminata folla di titoli mobiliari diventa una questione di simpatie e di finalità soggettive, che si sottraggono ad ogni precettistica. A tale tassativo presupposto si intendono quindi espressamente subordinati i riflessi, necessariamente vaghi e gene-rici, che seguono, rispetto ai gruppi di valori più noti ed importanti.