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Prima di concludere il capitolo è doveroso dare spazio e analizzare le altre contestazioni che vengono mosse nei confronti dell’ELR.

Sarebbe impossibile amministrare un programma del genere senza incorrere nei gravi problemi di incompetenza, corruzione e discriminazione. Questo tipo di obiezione non è

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del tutto fuori luogo o infondata, è vero che possono esserci problemi di questo tipo, ma allo stesso modo ci si può aspettare che questi stessi esistano anche in una realtà nella quale l’arma per contrastare la povertà sia un sistema di welfare. È intrinseco alla società e alle istituzioni per qualsivoglia sistema burocratico e con un minimo di discrezionalità. Il punto a favore di un programma ELR è però che, come pensato nel presente lavoro, le attività di assunzione e orientamento vengono svolte da organizzazioni no-profit e delocalizzate all’interno del territorio nazionale in modo capillare. Le condizioni necessarie sono quelle descritte sopra: non ci sia rimpiazzamento dei lavori che precedentemente non faceva parte del programma e che venga offerto il salario pubblico di base. Allo Stato è riservato il solo compito di fornitore delle risorse necessarie.

L’ELR in definitiva è assimilabile a programmi già visti come il Works Progress Administration (WPA-1930) o il Piano del lavoro lanciato dalla CGIL (1949). Le maggiori

differenze individuabili sono sicuramente il contesto storico-economico e soprattutto, conseguenza della precedente, le mansioni coinvolte nonché il tipo di lavoratori aderenti ai suddetti programmi. In quegli anni sono state compiute molte opere pubbliche strutturali e lavoratori anche molto abili e preparati erano senza un’occupazione. L’ELR, per come è pensato, spingerebbe questi disoccupati particolarmente qualificati verso il settore privato, con una maggiore retribuzione, e si occuperebbe di lavoratori meno specializzati. Senza dimenticare la particolare attenzione alla cura dei beni pubblici e comuni, si può stilare un breve elenco esemplificativo delle occupazioni che potrebbero far parte del programma ELR:

• Assistenza agli anziani • Sorveglianza aree pubbliche • Servizi ambientali

• Custodia di biblioteche pubbliche • Assistenza alle famiglie a basso reddito

Senza lo scopo di essere esauriente è stato stilato questo elenco dei lavori che potrebbero far parte di un programma ELR tralasciando quelli più scontati come l’affiancamento a operai specializzati.

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La gestione di lavoratori “difficili”. Essendo il programma ELR esteso a tutti i lavoratori

disponibili, pronti e capaci, è possibile che alcuni lavoratori presenteranno caratteristiche che rendono la loro gestione piuttosto difficoltosa e sicuramente i casi devono essere valutati e affrontati singolarmente. Quello che si può fare è immaginare di poter risolvere casi di lavoratori che difficilmente riescono a condividere un ambiente di lavoro facendogli svolgere le proprie mansioni da casa, magari attraverso un pc, o semplicemente lavorando per obiettivi che raggiungerà lavorando isolato. Un’altra soluzione può essere un’assunzioni con una retribuzione legata alle ore effettivamente lavorate inducendo così il lavoratore ad assumere un comportamento più consono. In ogni caso, come già ricordato in precedenza, bisogna essere consapevoli che in alcuni casi l’efficienza lavorativa sarà molto bassa. Questo non vuol dire però che un lavoratore che aderisce al programma ELR, percependo quindi un salario pubblico di base, non possa essere licenziato o soggetto a sanzioni disciplinari.

Gli individui non idonei al lavoro. Leggendo le argomentazioni esposte si evince che il

suggerimento circa il “rimpiazzamento” della spesa per il welfare con quello per intraprendere un programma ELR, ovviamente non fa riferimento anche a quella parte di spesa sociale per l’assistenza rivolta alle persone che non sono nella condizione di auto-sostenersi. Infatti l’ELR non sostituisce tutta la spesa sociale, dovrà rimanere vivo il principio ispiratore dell’assistenza delle persone non autosufficienti. A rafforzare quanto appena detto, poco sopra, è stato ricordato come alcune posizioni lavorative facenti parte del programma ELR saranno rivolte proprio all’assistenza dei più bisognosi.

L’effetto ELR sull’incarico sindacale. In generale è difficile dire se l’effetto di un

programma ELR abbia effetti positivi o negativi sulle sigle sindacali, si può intuire però che la paura e la minaccia di perdere l’occupazione sarà mitigata o del tutto scomparsa. Anche la negoziazione per il livello di salario minimo sarà condizionata dalla presenza del salario pubblico di base. Se questo però vale per “l’esercito dei lavoratori ELR” non sarà del tutto vero per i lavoratori del settore privato che continueranno ad avere bisogno di una tutela circa l’ottenimento dei benefici, non solo retributivi, legati al proprio rapporto lavorativo.

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I lavoratori che aderiranno al programma ELR saranno stigmatizzati. Se a essere

assunti dall’ELR sarebbero solo i lavoratori “scartati” dal settore privato c’è il rischio che quest’ultimi vengano etichettati come persone con delle qualità negative. Esiste quindi il rischio che possano essere stigmatizzati più di quanto possa avvenire attraverso l’adesione ad un programma di welfare assistenziale. Con un po’ d’inventiva e buona volontà questo rischio può essere evitato, si pensi all’eventualità di inserire dei vantaggi per i ragazzi che, studiando, hanno accumulato 1-2 anni di partecipazione a lavori socialmente utili attraverso il programma ELR; integrare lavoratori che per un motivo o l’altro hanno bisogno di una posizione part-time nonostante siano ben qualificate; in generale collaborare con il volontariato e mostrare quindi che l’adesione all’ELR è un vantaggio e non una necessità.

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CONCLUSIONI

Concetto sempre presente negli insegnamenti accademici e non, è quello del cosiddetto “free lunch”, tutti gli studiosi di economia si sono trovati a dover comprendere quest’intuitiva metafora. Il punto cruciale in questo senso non è se vengano offerti o meno pasti gratuiti a qualcuno, ma piuttosto è importante capire come e chi sarà a pagare il conto.

Nell’esporre i concetti di cui sopra: lo stretto pieno impiego, la distribuzione del reddito, le politiche per l’impiego e il datore di lavoro di ultima istanza; il fine come facilmente comprensibile, è quello di analizzare e mostrare concretamente una strada percorribile per risolvere il problema della povertà. A questo punto potrebbe porsi in essere l’analogia con la metafora appena citata, la scomparsa della povertà per mano esclusiva dello Stato potrebbe essere vista come un’offerta di un “pasto gratuito”. Questo non perché viene fornita una somma di denaro per non lavorare come nel caso di un welfare assistenziale, ma bensì perché non si richiede agli attuali poveri di trovarsi un lavoro o un metodo di sostentamento che li renda autonomi e autosufficienti.

Ovviamente questa è solo una visione che meglio si identifica nella filosofia meritocratica e strettamente capitalistica degli ultimi 50 anni, una prospettiva miope e che non riconosce l’evidenza di un capitalismo imperfetto e che quindi necessita di riforme sostanziali e continui controlli. L’instabilità intrinseca del sistema finanziario ne è una prova.

L’intervento governativo, specie nei momenti di maggiore difficoltà, veniva auspicato e consigliato ben prima dell’arrivo delle teorie di Minsky, esso poteva e doveva assumere diverse forme. Quella qui esposta è volta nel suo aspetto sociale a eliminare la povertà da disoccupazione involontaria, con essa probabilmente si attenuerebbero anche altre tensioni che la società è spesso obbligata a vivere come la micro- criminalità, il lavoro nero, la perdita di capitale umano e altre degradazioni difficili da quantificare economicamente. L’aspetto sul quale mi sono soffermato di più è quello prettamente economico, della sostenibilità e dei benefici che un programma ELR porterebbe senza dimenticare di confutare le obiezioni e critiche che sono state mosse nel tempo nei confronti di questa teoria.

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Quindi, chi paga il conto? I cittadini.

Era scontato e inevitabile che a pagare fossero loro, espressione comunitaria che identifica il maggior contribuente dello Stato. Essendo quest’ultimo a doversi fare carico dei costi della figura di “datore di lavoro di ultima istanza” ci si aspetta che l’imposizione fiscale possa aumentare o comunque giocare un ruolo fondamentale nell’approvvigionamento delle risorse necessarie. A questo proposito si è affrontato anche il tema morale dei contribuenti netti, diversamente dalla loro controparte non beneficeranno direttamente dei vantaggi del programma volto alla riduzione della povertà. Per evitare che queste famiglie siano indotte a sostituire lavoro con il tempo libero e quindi ad oltrepassare la linea di break-even e diventare così dei beneficiari netti è necessario creare in loro una percezione di trade-off positivo. Nessun contribuente sarà disposto a versare di più nelle casse dello Stato per mero sentimento altruista, creare un ritorno per questi è la sfida che deve perseguire il governo. A fungere da cuscinetto tra le richieste crescenti di contributi e il malcontento potrebbero esserci le funzioni che svolgono quotidianamente i beni pubblici e i “commons”, implementare e potenziare queste categorie di beni giustificherebbe le maggiori pretese governative. Indirizzare quindi le nuove risorse in questo senso è una soluzione non trascurabile.

Combattere la povertà attraverso il pieno impiego raggiunto tramite un programma ELR, come dimostrato, ha dei risvolti positivi anche per i già occupati e in generale per il sistema economico e finanziario del Paese. Se per ridurre il numero delle famiglie indigenti è necessaria una migliore distribuzione del reddito, questa si può ottenere anche attraverso il potenziamento delle funzioni e delle capacità del welfare state. Questo meccanismo di distribuzione del reddito più efficiente evidenzia però dei limiti e degli ostacoli. Ripercorrendoli brevemente essi sono:

1. La macroeconomia di una tassa negativa sul reddito 2. I limiti alla crescita economica

3. La stabilità dei salari relativi

4. I feedback provenienti dal pieno impiego protratto nel tempo

Questi sono affrontati e analizzati singolarmente nel corso del capitolo 2 così come il principio errato che sta alla base dell’idea che si può combattere efficacemente la povertà attraverso l’assistenzialismo. Porre ai margini della comunità e rendere

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riconoscibili gli individui e le famiglie che sono stati messi nel medesimo angolo dal mercato non contribuirà ad aumentare la felicità né di chi usufruisce di questa assistenza né di chi è riuscito ad integrarsi nelle “logiche di mercato” e che contribuisce a far sì che questo welfare selettivista metta in atto le proprie potenzialità.

Un’alternativa quindi è un programma governativo nel quale lo Stato assuma la funzione di datore di lavoro di ultima istanza: chiunque è disposto, pronto e capace a lavorare può essere assunto nel settore pubblico in cambio di un salario di base prestabilito. Come mostrato nel corso di questo lavoro un assetto di politica per l’impiego come quello appena suggerito non porterebbe necessariamente ad una maggiore spesa in disavanzo per lo Stato, sicuramente il valore assoluto della spesa sarà maggiore, ma questa sarebbe al lordo delle crescenti imposte in entrata e non valutando gli effetti positivi indiretti sull’occupazione nel settore privato e sul PIL. Non è sicuramente passato inosservato a chi scrive che la crescita in termini assoluti del PIL nel tempo non abbia impedito l’aumento della povertà, ma è un dato che se contestualizzato può dare utili informazioni previsionali.

L’aspetto inflattivo dell’ELR è quello preso più in considerazione dagli economisti critici nei confronti del programma e che in realtà è da considerarsi nullo. Per “inflazione” si intende una crescita persistente nel tempo dell’indice dei prezzi; istituendo un pavimento salariale si può riscontrare un incremento una tantum dei prezzi dovuto all’aumento del salario di base dal livello nullo, dal valore precedente uguale a zero a quello stabilito dal salario pubblico di base. Di conseguenza si dimostra che una politica di pieno impiego, anche non essendo un naturale stadio dell’economia senza l’intervento dello Stato, non è necessariamente fonte di maggiori pressioni inflattive e non preclude che queste continuino ad esserci a causa di altri fattori dell’economia. La funzione più interessante del pieno impiego raggiunto attraverso un programma ELR è quella di stabilizzatore economico. Oltre a fornire un prezzo àncora, quello del lavoro, ha un funzionamento anticiclico rispetto al sistema economico che permette di attutire le conseguenze negative frutto delle contingenze che emergono nei periodi di crisi. Il funzionamento e la motivazione che sono alla base di questo meccanismo vengono analizzati nel capitolo precedente.

L’obiettivo di questo elaborato è quindi contestualizzare la teoria del “Big Government” con lo scopo di raggiungere e mantenere un livello nullo di povertà. Il

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mezzo utilizzato per arrivare a tale fine è stata l’idea dell’economista di Chicago, Hyman Minsky, di raggiungere e mantenere lo stretto pieno impiego, che rappresenta la giusta via per eliminare la povertà. Percorrendo il sentiero delineato da Minsky, si sono intrecciate così le teorie del pieno impiego, dell’instabilità finanziaria e del business cycle mantenendo, volutamente, un’illustrazione del pensiero non formale da un punto di vista matematico.

Il risultato è uno spunto di riflessione leggermente articolato, forse anacronistico, da tenere in considerazione se si vuole rispondere in maniera esaustiva alla domanda: cosa si può fare se si vuole eliminare la povertà?

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