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Lo Stato come datore di lavoro di ultima istanza

Definita la funzione ultima del programma, creare e mantenere una situazione di pieno impiego, assumere tutta la forza lavoro che non trova impiego nel settore privato, si può illustrare la strada da percorrere e i principi ispiratori.

“The policy problem is to develop a strategy for full employment that does not lead to instability, inflation and unemployment. The main instrument of such a policy is the creation of an infinitely elastic demand for labor at a floor or minimum wage that does not depend upon long-run and short-run profit expectations of business. Since only government can divorce the offering of

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employment from the profitability of hiring workers, the infinitely elastic demand for labor must be created by government”.18

Questo strumento è appunto il datore di lavoro di ultima istanza (Employer of Last Resort).

Terminologia usata anche da Minsky e che di certo non è la migliore per un programma come questo, le parole “di ultima istanza” potrebbero identificare un malfunzionamento nei beneficiari netti, così come potrebbe suonare come “un’ultima spiaggia”.

A questo proposito Wray propone le diciture di “Buffer stock employment” piuttosto che “Basic public sector employment (BPSE)”, “inflation-fighting employment programme (IFEP)”, “Currency stabilization jobs programme (CSJP)”, “Full employment and price stability programme (FEAPS)”.

In alter parole lo Stato annuncia un salario al quale chiunque voglia lavorare può essere assunto nel settore pubblico, una base d’assunzione nel settore pubblico ad un salario pubblico di base.

Gli impieghi già esistenti o successivamente creati nel settore pubblico che non rientrano nel programma non verranno eliminati o modificati. La strategia migliore è sicuramente quest’ultima, in alternativa si può prevedere anche un possibile ricollocamento dei lavoratori già occupati; la conseguenza di tale configurazione potrebbe essere il ridimensionamento dei costi per il governo e potrebbe causare pressioni deflazionistiche sull’economia, impieghi che prima godevano di un “alto salario” ora vengono adeguati al salario pubblico di base. Questo potrebbe essere compensato da un taglio delle tasse o un incremento della spesa.

L’importo del salario pubblico di base sarà il risultato di approfonditi studi volti a determinare un salario di sussistenza rappresentante il nuovo salario minimo legale, questo nuovo valore assoluto prenderà il posto del vecchio pavimento salariale che ammontava a zero.

Questa politica logicamente porterà all’eliminazione completa della disoccupazione, definiti come lavoratori le persone disposte a lavorare al salario prestabilito e che non

18 Wray (1998), Understanding Modern Money: The Key to Full Employment and Price Stability,

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hanno trovato un’occupazione anche dopo averla cercata. Certamente ci saranno alcuni individui, facenti parte della forza lavoro, ascrivibili nella categoria dei disoccupati volontari: ci saranno alcuni non disposti a lavorare nel settore pubblico, altri non disposti ad essere assunti e percepire il salario pubblico di base e altri ancora che faranno parte della cosiddetta disoccupazione frizionale. Perciò per quello che concerne il programma qui esposto una situazione nella quale chiunque è disposto, pronto e capace a lavorare per il salario pubblico di base potrà farlo. Si può definire così la situazione di pieno impiego o zero disoccupazione.

Un’implicazione dell’ELR sarà che la spesa che in precedenza veniva destinata ai disoccupati si ridurrà drasticamente o eliminerà del tutto. Al contrario dei sussidi ai disoccupati, la possibilità di essere assunti ad un salario pubblico di base non avrà una copertura parziale o una progressività negativa, tantomeno un limite di tempo. Nessun cittadino verrà escluso da questo tipo di sussidio e nessuno verrà pagato per non lavorare.

Per non annullare l’intraprendenza e svilire le capacità dei lavoratori potrebbe essere previsto un periodo, più o meno fisso, nel quale l’individuo verrà indirizzato nella ricerca a tempo pieno di un impiego in relazione alle proprie capacità. Solo successivamente, scaduto quest’arco temporale, può essere contemplato un servizio di assistenza per valutare se continuare la ricerca o in alternativa optare per un percorso di formazione in un altro ambito che meglio si incrocia con le opportunità di lavoro attuali. Mentre la parte finanziaria di un programma ELR deve essere affidata allo Stato, l’amministrazione può essere decentralizzata. È possibile che alcune parti del programma, come quelle di training, possano essere appaltate dalle imprese private. Altre parti potrebbero essere di competenza di organizzazioni no-profit e altre ancora potrebbero prevedere la responsabilità delle amministrazioni locali.

Lo scopo primario di un BPSE è preparare i lavoratori per essere assunti in posizioni “non-BPSE”, a prescindere che siano nel settore privato o pubblico, tutti i lavori facenti capo ad un programma BPSE devo prevedere un percorso di training efficace. Potrebbe apparire, allora, molto simile ad un programma di sussidio alla disoccupazione, quello che lo rende diverso sono i principi che lo guidano: l’universalità del servizio, l’efficacia e l’equità. In questo caso non vengono esclusi i nuovi lavoratori, coloro che si immettono per la prima volta nel mondo del lavoro che risulterebbero così qualificati

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indipendentemente dalla ragione che li ha portati nello stato di disoccupazione; l’equità risiede nel fissare un unico salario pubblico di base.

Ovviamente la politica ELR non si sostituisce ai programmi di assistenza generale, né tantomeno va ad escludere del tutto l’assistenza preesistente al lavoro e i lavoratori licenziati o che in generale vengono privati di un contratto di lavoro. Così come non può occuparsi degli individui non in grado di svolgere lavori in autonomia conseguendo un risultato remunerativo. Con un programma come questo viene enfatizzata la migrazione da un sistema prettamente basato sul welfare.

Lo stesso Minsky, ma anche Wray, nei propri scritti nel corso degli anni si sono cimentati in più o meno grezzi calcoli per dimostrare la sostenibilità economica di un programma nel quale lo Stato assume il ruolo di datore di lavoro di ultima istanza. I risultati mostrano che portare avanti una politica di questo tipo, come già detto in precedenza, farebbe aumentare la spesa pubblica, ma non in tutti i periodi storici questo si tradurrebbe in un maggiore disavanzo. Nell’economia americana degli anni ’70 Minsky mostra come uno schema governativo volto all’ottenimento del pieno impiego si sarebbe auto-alimentato, auto-finanziato dalla crescita del PIL e dell’imposizione fiscale. Quando un’economia opera al di sotto del pieno impiego, i costi diretti per l’economia di impiegare le risorse “vacanti” sono uguali a zero. Difficili da contabilizzare sono la varietà di possibili benefici per la società e per le famiglie associati ad un basso tasso di disoccupazione. Presumibilmente nel lungo periodo, non stupirebbe riscontrare un contributo alla diminuzione della criminalità, lavoro nero, perdita di capitale umano e altre degradazioni sociali difficili da quantificare economicamente. Ovviamente la disoccupazione è solo uno dei fattori che contribuiscono a questo tipo di problemi e non c’è la pretesa di risolverli del tutto solo occupando un maggior numero di persone. Non ci sono dubbi, però, che si andrebbero a risolvere tutti quelli provocati dalla disoccupazione involontaria.

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