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VI. La poetica di Peyron L'arte nella sua scrittura

VI.II La poetica

VI.II.III Altri temi

Peyron sentì l'esigenza di confrontarsi con numerosi e diversi temi per riuscire nell'a- nalisi di se stesso. Temi che nacquero intorno agli anni trenta, ma che furono affrontanti in un'ottica totalmente nuova al ritorno dalla seconda guerra mondiale. Come quello del mani- chino che nacque dopo il rientro dal primo viaggio in Francia: proprio per questo sempre at- traversato da una componente surrealista, come si può ben notare in Un Rêve d'été (fig.39), dove presenta numerosi elementi che portarono Peyron a trattare i suoi soggetti negli anni cin- quanta attraverso una nuova fantasia sentita per immagini. In Un Rêve d'été (fig.39) e in Ma-

nichini (fig.40) si nota subito come il tema del mare viene trattato in maniera differente: nella

prima è stato rappresentato come un oggetto della composizione, mentre nella seconda appare in maniera allusiva attraverso il veliero. Il mare fu un elemento che ha attraversato la vita pri- vata e a cui il pittore lega i propri ricordi sia d'infanzia ad Antignano, che in età adulta.

Figura 39: Guido Peyron, Un rêve d'été, 1930, tecnica e misure ignote, collezione eredi Peyron- Livorno

Figura 40: Guido Peyron, Manichini, 1958, olio su tela, 65x45 cm, collezione privata

Il soggetto ricorrerà nei suoi quadri attraverso un'immagine evocativa o rappresentativa. Inte- ressante per comprenderne meglio la fantasia fu l'opera Manichino allo Specchio del 1952 (fig.41) dove Peyron riesce a restituirci il tormento personale, ispirato dalla forma non canoni- ca e dolente del manichino che non si specchia; dallo specchio che non riflette; dagli attrezzi appesi al muro sfumati ed infine i fiori che sono l'unico segno di speranza, il soggetto rappre- sentato si pone così al di fuori dello spazio del tempo e della causalità

Figura 41: Guido Peyron, Manichino allo specchio, 1952, olio su tela su tavola, 90x63 cm, collezione privata

Altro tema che si affaccia nel panorama peyroniano dal rientro parigino fu quello delle maschere, dove i soggetti furono distorti nella propria fisionomia in una sorta di teatralità, come nell'opera La maschera che si annoia (fig.13).

Aldo Carpi nell'articolo “Maschere come rivelazioni e simboli nella pittura” accosta il tema ai profondi drammi esistenziali del Novecento, primo fra tutti la guerra, nonché lo avvi- cina a riflessioni teatrali. Non fu solo un soggetto affrontato in Europa, Carpi portò come esempio lo stesso gruppo Novecento Toscano, nonché quello milanese e romano. Portando come esemplificazioni la pittura di Giovanni Costetti, per il quale i volti di Arlecchino celano misteri di malinconia, e ancora da Primo Conti a Gino Severini, interpreti audaci delle avan- guardie europee in Toscana, la scena teatrale diventa un pretesto per partecipare al clima di sperimentazione282. Peyron si mostra così inserito nelle principali tematiche delle avanguardie europee, ma ponendo a confronto le sue opere con i pittori sopracitati si nota immediatamente

282Carpi, Aldo, Maschere come rivelazioni e simboli nella pittura, in “Bollettino del Rotary club”, 4 dicembre 1951

Figura 42: Guido Peyron, Arlecchino, 1956-1957, olio su tela, 75x55 cm, collezione privata

la diversità nel trattare le stesse tematiche.

I volti di Peyron vengono rappresentati attraverso un registro grottesco e deforman- te283. Le maschere tornarono con un' intensità differente negli anni cinquanta: sotto il costume di arlecchino o di pulcinella Peyron ne accentua l'identità di marionette, inserendovi una ma- schera che nasconde il volto e fa sì che la fisionomia risulti ancora di più stravolta284 e distante da qualunque dato reale. Da notare come nel primo caso Peyron decida di trattare il tema come un ritratto statico, mentre sul finire degli anni cinquanta decida di inserire una sorta di movimento, dato dal suonare la chitarra come in Arlecchino (fig. 42) o dal ballare come in Pulcinella (fig. 43).

L'originalità peyroniana sta nell'identificazione con questi soggetti emblematici di uno stato d’animo di singolare malinconia come si può rilevare anche nel tema dei circhi, 283 http://www.arcadja.com/auctions/it/private/peyron_guido/opere/22703/o/?rvn=3, (accesso del 05/09/2017) 284 http://www.arcadja.com/auctions/it/private/peyron_guido/opere/22703/o/?rvn=3, (accesso del 05/09/2017)

Figura 43: Guido Peyron, Pulcinella, 1957, olio su tela, 63x45 cm, Banca CR Firenze S.P.A

attraverso un'intensità differente.

L'altro tema affrontato durante e dopo il periodo parigino fu quello dei circhi. L'argomento a Peyron caro, in quanto nel periodo francese, come testimoniato dalle numerose lettere inviate a Baccio sentì, soffrendone, quella solitudine che lo ha portato ad immedesimarsi in questi personaggi che sono per definizione marginalizzati.

Peyron tornò al soggetto del circo dopo la partecipazione alla XXIV Biennale di Venezia, ma in questo contesto la solitudine, di conseguenza la marginalizzazione, fu legata alla sua arte.

In questi quadri si nota la quotidianità dei personaggi che Peyron riesce a dipingere senza speranze, tormentati da un'umanità che si è rassegnata e perciò allontanata285, i soggetti «a volte tenerissimi, amabili, a volte irritanti»; e le figure «sempre pregne di quella volontà che si potrebbe dire di conquista, e quasi di redenzione»286.

285 http://www.arcadja.com/auctions/it/private/peyron_guido/opere/22703/o/?rvn=3, (accesso del 05/09/2017) 286 Colacicchi, Giovanni, Mostra retrospettiva del pittore Guido Peyron, Firenze, Istituto Poligrafico dello Stato

P.V, 1966 (catal. mostra, Firenze), pp. 1-2

Guido Peyron, Studio di domatore, 1936, olio su tela, 95x75 cm, collezione privata

Altre composizioni ricorrenti, che affrontò anche attraverso la parola scritta, furono legati al viaggio e agli amori impossibili, attraverso cui, sopratutto sulla carta, affrontò una serie di riflessioni intime, dove il viaggio fu inteso alla stregua di pellegrinazioni che lo portarono a rielaborare i valori della sua vita.

Il tema del viaggio, sempre presente, venne affrontato dopo il ritorno dalla guerra e trattato con insistenza negli anni cinquanta. Il viaggio viene inteso da Peyron come un qualcosa per riscoprire se stessi e non tanto per fuggire dalla realtà: infatti i luoghi rappresentati e descritti sono legati a esperienze passate come in Il sogno del nostromo (fig.44), dove ritroviamo molti elementi già descritti.

Altro componimento, gli amori impossibili, è ben rappresentato dal quadro La Donna

del Mare (fig.45). In quest'opera Peyron raffigura gli elementi a lui più cari: il veliero che gli

ricorda la possibilità di viaggiare e la donna ovvero la possibilità di trovare una certa stabilità familiare. Queste due condizioni, che Peyron sapeva di non poter più avere, le ricerca nella quotidianità delle azioni per raggiungere una sorta di felicità e soddisfazione.

Figura 44: Guido Peyron, Il sogno del nostromo, 1952-1954, acquarello su carta su cartone, 39x29 cm,collezione privata

Figura 45: Guido Peyron, Manichino o la donna del mare, 1958, olio su tela, 65x45 cm, Studio d'arte moderna Il Fiore-Firenze

In Peyron fu presente la volontà di non cogliere solo le apparenze dei suoi soggetti, ma giungere all'intimo delle cose287. Forse proprio per questo nei suoi quadri possiamo ritrovare oggetti ed elementi a lui cari come nelle opere presentate. Gli oggetti del suo arredamento che tornano insistentemente in tutte le opere, come i “lumi” che marcano le scene di interno dove queste composizioni riflettono l'oscillazione tra sovrabbondanza e solitudine.

287 Timpanaro, Sebastiano, Mostra personale, Firenze, Galleria Il Cenacolo, 1947 (catal. mostra, Firenze)

Guido Peyron, Il mio cassettone, 1960, tecnica e misure ignote, collezione eredi Peyron- Livorno

In numerose composizioni gli oggetti vennero trattati in un'ottica più surreale, la stessa produzione che Timpanaro interpretò come «stregua di cortei nuziali»288. Uno dei numerosi oggetti che affascinò il pittore fu la sedia, concepita come una sorta di prolungamento del corpo, trattandola in maniera differente. Nel primo caso il ragazzo, nel quadro Ragazzo in

piedi (fig.46), si appoggia soltanto, facendo si che la sedia e il giovane sì esaltino a vicenda,

mentre nel Ritratto della Madre in Giardino (fig.47) riesce a evocare l'età della madre attraverso una sedia più robusta, una poltrona che sostiene l'età che avanza.

288 Timpanaro, Sebastiano, Peyron, Firenze, Parenti Editore, 1943

Figura 46: Guido Peyron, Ragazzo in piedi, olio su tela, 81x100 cm, collezione Laetitia Ferruta-Peyron-Firenze

Mentre le pipe (fig. 48-49), che appaiono sempre con più insistenza negli anni cinquanta, sono

Figura 47: Guido Peyron, Ritratto della madre in giardino, 1942, olio su tela, 80x64,5 cm, collezione privata

Figura 48: Guido Peyron, Composizione con pipa, 1952, tecnica e misure ignote, collezione eredi Peyron-Livorno

la testimonianza e l'omaggio di Eugenio Montale a Georges Braque289.

Importante fu anche lo studio e la presenza dei velieri sia nei suoi quadri che nei suoi scritti: in entrambi i casi sono stati trattati con profondo sentimento evocativo del riappropriarsi della pace interiore. Il veliero oggetto che avevano potuto ammirare nel suo

289 Montale, Eugenio, La complice Marietta , in "Le prose narrative", Milano, Mondadori, 2008

Figura 49: Guido Peyron, Composizione con portapipe calice e bottiglia, 1957-1959, olio su tela, 45x35 cm, collezione privata

studio critici e ammiratori.

Infine i fiori che Peyron stesso coltivava, rendendone possibile la complessa rappresentazione. Da qui l'apprezzamento unanime.

Peyron attraverso la propria arte riesce a stimolare negli elementi rappresentati suggestioni intime. Per mezzo dell'esperienza maturata, sopratutto negli anni trenta, riesce a evocare anche con immagini inaspettate, una moltitudine di sentimenti che spaziano in tutti gli stati d'animo, dalla commozione all'angoscia. Il pittore conferisce nuovi aspetti a cose note, raffigurandoli con occhi della fantasia.

VII Intervista

Ringrazio Patrizia Peyron, nipote di Guido Peyron, terzultima figlia di Mario Peyron, per la sua disponibilità a condividere i suoi ricordi per il mio approfondimento della personalità del pittore.

Villa Mario Peyron, Firenze 6/07/2017

• Mi racconti quello che si ricorda del periodo fino agli anni venti?

Guido quando era giovane, era un po' dissoluto, gli piaceva mangiare, amava le donne e le macchine. Mio nonno (Angelo Peyron) aveva un sacco di disponibilità economica, era industriale e lo zio Guido finiva tutto e ad un certo punto fece cambiali a babbo morto. Il nonno lo venne a sapere, la prima cosa che fece fu diseredarlo. Ecco perché poi lui è rimasto fuori da tutto il patrimonio.

• Come fece a ripagare i debiti?

Lo liquidò nel senso che mio nonno pagò tutti i debiti che aveva fatto e lo diseredò in maniera tale che poi lui non è mai rientrato nelle divisioni.

• Quando si è sposato Guido?

Assolutamente non lo so. Il matrimonio è durato poco perché insomma questa famosa Laetitia io non l'ho conosciuta, ne ho sempre sentito parlare ma non ti so dire proprio niente. S'era sposato lo stesso giorno con la zia Emilia. Ho sempre sentito dire in famiglia che i due fratelli si sposarono contemporaneamente lo stesso giorno, io non so se hanno fatto una cerimonia insieme addirittura, perché loro stavano insieme in piazza Indipendenza in quel momento. Solamente sono due matrimoni che sono andati a finire male. Si sono divisi tutti e due i fratelli, sia la zia Emilia che lo zio Guido. Mentre invece il mio babbo, che aveva sposato la mia mamma e si erano dopo trasferiti in campagna a Casafrassi a Siena, il matrimonio è andato benissimo, forse c'era questo fatto che dicevano che portava male.

Paolo invece non si è sposato.

• Erano divorziati?

No a quell'epoca divorziati no. Io direi separati sicuramente. Non ne sono sicura perché lo zio Guido era stato diseredato e quindi dopo la sua morte Laetitia non poteva entrare nelle divisioni.

• Ha avuto dei figli?

Non credo che lui abbia mai avuto un figlio, mai sentito dire di qualcosa di un po' di più serio perché qualche cosa si sarebbe saputo. Anche se gli piacevano moltissimo le donne.

• Dell'incidente stradale cosa si ricorda?

Ah, investì una bambina quando era giovane, andando, credo da Firenze a Livorno ma non sono sicura. Lui aveva avuto questo incidente dove gli era morta questa bambina.

• Si ricorda se poi ha più guidato?

Io non ho mai visto guidare lo zio Guido veramente. Non mi ricordo neanche se avesse una macchina. A Livorno non aveva la macchina, assolutamente, ma neanche a Firenze.

• Quindi non possedeva un'automobile?

Può darsi che ce l'avesse ma io non mi ricordo assolutamente. Ma io non l'ho mai visto guidare, per me non aveva neanche la macchina. Ad esempio a Casafrassi, quando veniva, lo portava il mio babbo. Non l'ho mai visto guidare però non è detto.

Lui è andato prima in Francia e non so niente ma è li che ha imparato a dipingere, questo sicurissimamente te lo dico, però di più non so.

• Quindi secondo lei, Guido ha imparato a dipingere in Francia?

Sì sì. Lui ha imparato li e poi è tornato, credo. Comunque lui è tornato già molto galvanizzato da questo periodo.

• La casa in via degli Artisti era sua o in affitto?

Non credo fosse sua.

• Si ricorda come era sistemata?

Fai conto che era un grande corridoio lungo il quale c'erano tutte queste porte dove si aprivano grandissimi stanzoni, ognuno di questi artisti aveva una stanza e poi dietro c'era un grande giardino. Aveva questa stanza dove c'erano un bagno e una cucina piccolissima. A lui piaceva molto cucinare ha scritto anche un libro ed era bravissimo per la verità. Lui viveva in questa stanza e io mi ricordo ancora il profumo, l'odore di questa stanza particolarissimo, perché c'era l'odore delle vernici, l'odore del liquore, me lo ricordo proprio come un buon odore. Più che altro, questo stanzone enorme era tutto in disordine, aveva una barca, aveva un letto, era una cosa spaventosa però era piacevole. In fondo c'era questa grande finestrona con una specie di giardino. Era particolare.

• Nel giardino aveva uno spazio personale?

Lui un giardino personale non ce l'aveva, era di tutti. Era molto verde, pieno di piante e fiori, a Guido piaceva molto mettere questi fiori nei vasi.

• Chi gli ha comprato più quadri?

Quella che gli ha comprato più quadri di tutti è la zia Emilia. Con la sorella, erano più vicini rispetto anche al mio babbo. Perché ad un certo punto si è sposato ed è andato a

vivere in campagna da un'altra parte della provincia e quindi con la zia Emilia erano rimasti più uniti. Mentre lo zio Paolo di quadri dello zio Guido non ne aveva. Perché io a Fiesole ho vissuto e non mi ricordo[...]ma forse sì, perché su in cima aveva dei quadri. Forse cinque o sei. Sì, cinque o sei è possibile, ma molte opere sono sparite quando lo zio Paolo stava male.

• I rapporti fra i fratelli come erano?

Lui negli ultimi tempi andava più d'accordo con la zia Emilia perché gli comprava i quadri. Con lo zio Paolo no di certo e il babbo morì prima. C'era sempre un contrasto fra lo zio Guido e lo zio Paolo. Perché anche quando eravamo a Livorno insieme, lo zio Guido e il mio babbo, prendevano sempre in giro lo zio Paolo. Lo zio Paolo aveva questa miss inglese. Quando è morto il mio nonno, che io non ho mai conosciuto, lo zio Paolo era piccolo e aveva sei o sette anni e allora la nonna che era una donna tutta di un pezzo, ci faceva stare a tavola in maniera composta e a noi non ci piaceva per niente. Fu consigliata di mettere questo bambino alla Querce290 perché sennò un bambino piccino doveva crescere con dei valori. Alla

Querce la nonna non andò mai a trovarlo. Lui aveva la miss inglese, perché a quell'epoca per imparare le lingue ti prendevano la miss. Lo zio aveva questa miss inglese, la quale miss poveretta rimase senza lavoro quando fu messo in collegio ma lo andava sempre a trovare. Gli portava le cosce di pollo, gli portava quello che poteva. Quando poi Paolo è stato grande, l'ha tenuta sempre con se questa signorina. Guido e il mio babbo la prendevano in giro. C'era tanta differenza di età, ce n'era parecchia ma Paolo era molto più piccino perché c'erano state nel frattempo due bambine che erano morte, che avevano lo stesso nome.

• Perché ce l'aveva sempre tanto con lo zio Paolo?

Perché era dell'altra sponda. In famiglia non era dichiarato ma perfettamente saputo da tutti e siccome loro invece erano i maschi e gli piacevano le donne[..]e poi per quell'epoca era diverso. Poi lui Guido non poteva vedere questa miss Zanaga291. Che tra l'altro lo zio

Paolo s'era fatto una cappellina e aveva messo da una parte lui e dall'altra «un angelo della mia vita»292che era la Zarina. Lui le ha voluto un bene dell'anima a questa signorina e aveva

290 Il collegio Madonna della Querce in via della Piazzola, fu il collegio della nobiltà fiorentina

291 Zanaga (o Zarina, chiamata così da Paolo Peyron in maniera affettiva) aveva già lavorato per la famiglia Bardini lavorò anche come tutrice per la famiglia Peyron.

ragione lui perché lei era stata molto affettuosa nel momento in cui lui bambino aveva bisogno e invece la mia nonna mica perché era cattiva, ma perché era stata abituata alla tedesca. Lei doveva essere d'acciaio. Era anche una maniera di ragionare che avevano. Lei era tremenda anche con se stessa. Non mollava mai, me la ricordo quando veniva in campagna, prendeva sempre la cosina con l'acqua calda, non mangiava mai un boccone di più. Era proprio una donna bellissima ma gelida, probabilmente abituata in questa maniera.

• Con i nipoti aveva un buon rapporto?

Con Lydia Campatelli e Fiammetta, mia sorella, che ci correva 16 anni, non so che rapporto aveva. Io e Imperia, l'altra mia sorella, sicuramente avevamo un altro rapporto.

• A Firenze sa chi frequentava?

Lui qui era amico di tutti, aveva il suo gruppo di intellettuali, quel periodo c'era Montale, Baccio Maria Bacci. C'è anche un quadro con tutti loro e lui era amico con loro tantissimo. Poi noi abbiamo un libro di Moravia, “Gli Indifferenti”, dove c'è la dedica allo zio Guido.

• A Livorno aveva amici?

C'era la Viviana che gli faceva la pasta con il pesce, perché sopra il garage ci viveva il casiere con questa donnona cicciona che era la sua moglie che, come a tutti i livornesi, gli piace mangiare e bere, che andava molto d'accordo con lo zio Guido. Poi altre cose non le so, ma questo di sicuro e lei gli faceva queste cose buone da mangiare. Erano i casieri che durante la guerra avevano messo un po' di mobili nel garage perché per starci 21 famiglie su tre piani era dura! C'erano tutte le finestre murate, tu vedessi che lavoro. Mi ricordo che sempre d'estate lui chiamava un ragazzino che gli andava a cercare i gamberi e lui pescava, era un omone grosso, aveva un grande pancione.

Certo! Perché infatti la volevano vendere lo zio Paolo e la zia Emilia. Volevano vendere tutto: lo zio Paolo per Fiesole e la zia Emilia perché non le importava niente.

• Aneddoti particolare della sua personalità?

Dopo la seconda guerra, nella casa di Antignano c'erano 21 famiglie sfollate tutte le finestre erano murate e avevano portato via tutto, perfino i tubi di rame, gli interni, un disastro. Noi e lo zio Paolo si trovava sistemazione nella torre mentre nel garage stava Guido. C'era qualche mobile, sai che una volta usavano i mobili con l'armadio con lo specchio e più sotto dei cassetti, si vede che qualche mobile era stato recuperato, erano stati messi tutti nel garage. Lo zio Guido non si poteva vede nello specchio e quindi l'aveva coperto con un cartone azzurro e lui mangiava e dormiva li.

Per noi bambini era molto simpatico ci raccontava le storie. Era lo zio più piacevole. Per noi lo zio Guido era un personaggio, mi piaceva moltissimo. Ci raccontava le cose strane per esempio noi siamo lì in una specie di golfo ad Antignano e allora lui ci raccontava

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