• Non ci sono risultati.

GUIDO PEYRON. ITINERARIO DI UN PITTORE DEL NOVECENTO

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "GUIDO PEYRON. ITINERARIO DI UN PITTORE DEL NOVECENTO"

Copied!
115
0
0

Testo completo

(1)
(2)
(3)

Indice generale

I. La famiglia Peyron...4

II. Guido Peyron...8

III. La pittura toscana, le correnti culturali e le strutture organizzative dell'arte nel novecento.Il confronto con Parigi...14

III.I. Verso il Novecento La Festa dell'Arte e dei Fiori...15

III.II Dal 1900 al 1920...17

III.II.I Le Avanguardie...19

III.III Dal 1920 al 1940...21

III.III.I La mostra Primaverile Fiorentina...23

III.III.II L'arte nel ventennio fascista...24

IV. Artisti e letterati fra il Novecento Toscano e Solaria...26

IV.I Solaria: rivista mensile di arte e letteratura...28

IV.I.I La vita letteraria...30

IV.II Il gruppo Novecento Toscano...32

V. Peyron nella vicenda dell'arte in Toscana...36

V.I Partecipazioni a mostre e concorsi 1926-1940...36

V.II Dal 1940 al 1960...55

V.III Partecipazioni a mostre e concorsi 1943-1957...58

VI. La poetica di Peyron. L'arte nella sua scrittura...63

VI.I I testi inediti di Peyron e la poesia di Montale a lui dedicata...63

VI.II La poetica...71

VI.II.I I temi: ritratti e nudi...77

VI.II.II I temi: fiori e paesaggi...80

VI.II.III Altri temi...84

VII Intervista...97 Conclusione...104 BIBLIOGRAFIA PRIMARIA ...106 BIBLIOGRAFIA SECONDARIA...109 SITOGRAFIA...112 ARCHIVI...112

(4)

Introduzione

La tesi ha come oggetto di studio la figura e la pittura di Guido Peyron, nato a Firenze a fine Ottocento e avvicinatosi alla pittura negli anni venti del Novecento grazie agli insegnamenti di Ludovico Tommasi. Attraverso la sua arte ha espresso i caratteri di un secolo complesso, nella Firenze che vive una rinascita culturale lontana dalle più famose avanguardie.

La critica coeva all'autore, non apprezzando le sue opere, ha portato a una progressiva esclusione delle sue ragioni artistiche dai testi che analizzano il Novecento toscano a partire dagli anni settanta fino ad oggi. Tutto questo nonostante che i critici vicini al pittore anche nel quotidiano della vita ne avessero esaltato le qualità artistiche.

Da questo primo approccio alla realtà odierna di un pittore trascurato dalla critica e poco valutato dal mercato nasce la necessità di una ricerca sulle fonti primarie che permettano uno sguardo complessivo e unificante dei problemi espressivi legati agli aspetti biografici. Lo studio li alterna e congiunge tra loro, con l'aiuto delle testimonianze di poeti, letterati, pittori e, non per ultimi, dei familiari a lui più vicini spiritualmente e anche nelle difficoltà del vivere.

I due filoni della ricerca, il primo legato alle pubblicazioni inerenti l'attività artistica del pittore, il secondo alle memorie scritte e orali sugli avvenimenti significativi, hanno trovato una guida non mai citata in questa veste per l'indagine su Peyron: è quella del massimo poeta del Novecento italiano, Eugenio Montale1. Ripercorrendo gli scritti di Montale su Peyron, «il mio mastro»2 (così il poeta ne scrive ancora venti anni dopo essere stato ritratto del 1928), si apre in realtà la visione di un pittore che vive la sua lunga e intensa vita culturale con gli scrittori Raffaello Franchi, Massimo Bontempelli, Arturo Loria, Emilio Gadda, Aldo Palazzeschi, Sebastiano Timpanaro, Giorgio Pasquali e i musicisti Luigi Dallapiccola e Mario Castelnuovo Tedesco. Solo per citarne alcuni da lui ritratti.

La fortuna di Peyron quindi è segnata per la sua importanza quasi unicamente dagli scritti di poeti, filologi e letterati. Dal necrologio di Montale del 1960, alla memoria del pittore e del suo fascino nel 2011 di Maria Luisa Spaziani (la “Volpe” di Montale) non mancano gli spunti per una ricerca. Ricerca mai svolta fino ad ora, che dà quindi ragione della sua novità rispetto alla letteratura già esistente e introduce con sostegni autorevoli la tesi che il 1 Gioanola, Elio, Montale. L'arte è la forma di vita di chi propriamente non vivi, Milano, Jaca Book, 2011 2 Isella, Dante, Eusebio e Trabucco. Carteggio di Eugenio Montale e Gianfranco Contini, Milano, Adelphi,

(5)

pittore dimenticato aveva in realtà tutte le caratteristiche per essere annoverato fra gli artisti importanti nel novecento fiorentino.

L'itinerario di Peyron è in questa tesi un viaggio attraverso i suoi dipinti, spesso rilegati nei magazzini di grandi musei o abbandonati nei sottoscala, e i suoi scritti non editi consultati negli incontri svolti nelle case di famiglia con nipoti e bisnipoti.

Episodi di ricerca avvenuti con il contributo dei curatori delle due fondazioni che hanno ricevuto in donazione Villa Peyron a Fiesole, oggi gestita dalla Fondazione Parchi Monumentali Bardini e Peyron, e la Torre Casa Campatelli a San Gimignano oggi gestita dal Fondo Ambiente Italiano. Una conferma di come la biografia dei Peyron sia strettamente legata alla vicenda culturale del nostro paese.

Di come Guido fosse legato alla famiglia, quasi esclusivamente per lui coniugata al femminile, abbiamo ancora la testimonianza diretta, registrata, della nipote settantenne, lucido ricordo, a tinte anche forti, dello zio prediletto.

L'archivio Peyron nella villa di famiglia a piazzale Michelangelo e la tomba di Guido nel parco di Fiesole, insieme a quella del fratello Paolo le uniche non ospitate nella antica cappella Peyron a Cesana Torinese, ricordano al ricercatore la qualità della vita che gli veniva permessa dalla nascita. Lo studio-abitazione in via degli Artisti testimonia invece la scelta di una vita avventurosa nei percorsi dell'arte.

Il primo capitolo della tesi ripercorre la vicende della famiglia Peyron, dalle settecentesche origini franco-piemontesi all'affermazione nel novero della borghesia industriale divenuta fiorentina all'Unità d'Italia.

Il secondo capitolo è quindi dedicato alla biografia del pittore e ne ricorda anche le basi della formazione.

Il terzo capitolo delinea la pittura Toscana all'interno delle correnti culturali e delle strutture organizzative italiane dell'arte del novecento, viste anche nel confronto con la capitale culturale d'Europa, Parigi.

Il quarto capitolo descrive la figura di Guido Peyron nell'ambiente artistico fiorentino, con la sua diretta partecipazione alla vita culturale e letteraria.

Il quinto capitolo colloca il pittore nelle vicende dell'arte Toscana, attraverso la sua partecipazione a mostre e concorsi.

Il sesto capitolo legge la poetica di Peyron con l'aiuto dei suoi scritti, alcuni dei quali inediti.

Il settimo capitolo è dedicato all'intervista registrata con la nipote Patrizia, ultima delle donne di famiglia, che hanno protetto la figura di Guido con amore, ammirazione ed una

(6)

certa complicità. Così la conclusione è affidata alle ultime memorie appena scritte, quelle di Maria Luisa Spaziani nel 2011.

La tesi prende spunto dalle acquisizioni storico-critiche dei saggi pubblicati da Francesca Cagianelli in occasione della mostra presso la galleria Pananti (Firenze), nel 2002, la quale, grazie alla collaborazione attiva e partecipata di Piero Pananti, da sempre convinto della validità del pittore fiorentino, insieme alla famiglia Peyron e al comune di Fiesole ha organizzato il primo momento di studio dopo quaranta anni di perdita della memoria.

Ho già ricordato in questa introduzione i due filoni della ricerca, che permettono di chiarire, con attenta riorganizzazione delle fonti l'importanza della pittura peyroniana nel suo contesto storico. In questa tesi nuovi apporti critici sono giunti dal campo letterario: si pensi ai saggi sui rapporti fra Eugenio Montale e Peyron pubblicati da Dante Isella, Elio Gioanola e Maria Luisa Spaziani arrivati fino al 2011. Oltre ad alcuni scritti inediti, come L'occhio

irrequieto, nonché l'intervista della più giovane delle nipoti e con l'aiuto di un percorso nei

luoghi della famiglia e della vita culturale della Firenze del secolo scorso, la tesi cerca di ridare giusta considerazione alla figura e alla pittura di Peyron.

Questa radicata convinzione, al termine del lavoro di ricerca, deriva dalla consapevolezza recata dalla lettura di un saggio di Gillo Dorfles del 1958 oggi ripubblicato «un giudizio critico attorno ad un'opera d'arte è non solo possibile ma necessario [...] tale giudizio peraltro non sarà né definitivo né inderogabile; muterà col tempo, con l'evoluzione sociale, con gli umori, con le condizioni economiche. Avrà dunque un mero valore indicativo. Non solo, ma tale giudizio sarà possibile e attendibile solo con la premessa d'una particolare omogeneità culturale, sociale, epocale. La sua validità potrà dipendere da ragioni d'ordine morale, da mutazioni del vocabolario storico, da modificazioni del linguaggio, ma la sua validità sarà dunque solo entro un particolare e circoscritto universo del discorso»3.

La consapevolezza delle problematiche sollevate dal mutare del giudizio trova conferma nel fatto che del pittore, dimenticato post mortem, già nel 1938 il più autorevole quotidiano d'oltre atlantico – The New York Times – in un saggio di critica a proposito dell'esposizione a Pittsburg dedicata all'arte contemporanea in undici paesi europei, scrive: «Guido Peyron's beautiful still-life of glassware»4

3 Martinello, Francesco, Giorno per giorno dell'arte, in “Il giornale dell'arte”, vol. XXXVI, n. 384, marzo 2018, cit., p. 6

(7)

I. La famiglia Peyron

Carlo Emanuele II di Savoia concesse a inizio del seicento numerosi sussidi governati-vi finalizzati ad aiutare nuove manifatture per la lavorazione della seta. In un primo momento approfittarono di questi aiuti economici i sudditi stessi, mentre in un secondo gli operatori esteri del settore furono interessati ad aprire le proprie manifatture nel territorio del regno di Sardegna5.

La famiglia Peyron, che già possedeva una manifattura a Lione, decise di aprirne un'altra a Cuneo, come testimoniano numerosi documenti conservati ancora oggi nell’Archi-vio Storico di Racconigi. I documenti conservati, oltre a testimoniare i movimenti economici della manifattura, presentano varie forme del cognome in un tentativo di italianizzarlo: tra i più frequenti si trovano Peijroni, Pejrone e Peironi6.

La manifattura italiana, supportata anche da quella ubicata a Lione, ebbe un periodo molto florido fino a metà del settecento. Il cambiamento si deve alle scelte politico-economi-che del governo sabaudo, quando decise di spostare gli interventi economici, investendo nelle banche. Questo comportò per la manifattura Peyron un progressivo abbandono delle fabbri-che, tre in totale, concentrandosi sopratutto sulla rivendita al pubblico7.

I Peyron continuarono però la produzione dei tessuti a Lione, scelta che portò a metà dell'ottocento all'unione in matrimonio di Giuseppe Antonio Peyron con Mari Clotilde Rey. Attraverso l'unione delle due famiglie si creò un forte gruppo impiantato sia in Francia che in Italia. La manifattura della famiglia Rey era rinomata in Francia per l'alta qualità dei suoi pro-dotti, comprovata sia dai numerosi premi vinti che dalla clientela di fascia sociale alta cui si rivolgevano. Le due fabbriche non andavano a danneggiarsi in quanto le manifatture operava-no su due ragioni sociali differenti, dedicate a mercati diversi8.

La famiglia Peyron si trasferì a Firenze nel 1864, in occasione dello spostamento della capitale da Torino, al seguito della corte sabauda. I Peyron continuarono a seguire una tradi-zione dei commercianti piemontesi nonché della famiglia Rey: aprirono infatti i proprio nego-5 Geoffrey, Symcox, Vittorio Amedeo II: l’assolutismo sabaudo 167nego-5-1730, Torino, Mondadori, 2003, pp.

97-98

6 Archivio Storico Di Racconigi, Industria, cat. XVIII, mazzo 327, fasc. 4 1702, cit. da Tinnirello, Gioele, Tra

lana e seta: due famiglie Peyron e una vocazione, Prato, Fondazione cassa di risparmio di Prato, 2013-2014,

p. 102

7 Picco, Leila, Il Settecento: affermazione della seta, in Bracco, Giovanni (a cura di), Torino sul filo della seta, Torino, Archivio storico della città di Torino, 1992, pp. 67-118

8 Tinnirello,Gioele, Tra lana e seta: due famiglie Peyron e una vocazione, Prato, Fondazione cassa di risparmio di Prato, 2013-2014

(8)

zio nella posizione più prestigiosa della città, acquistando un immobile in via de' Banchi, Pa-lazzo Mondragone, aprendo al pian terreno il negozio con ingresso in via Panzani, mentre i piani superiori erano adibiti ad abitazione e a uffici amministrativi. Successivamente compra-rono un immobile in piazza Indipendenza, lasciando Palazzo Mondragone adibito soltanto alla rivendita e agli aspetti amministrativi9.

Nel 1886, quando Giuseppe Antonio Peyron morì, la ditta fu ereditata dal figlio Ange-lo. Il forte sodalizio con la fabbrica Rey non venne a mancare, non solo per il legame di pa-rentela che si imponeva, ma per la specifica formazione dell'erede. Infatti il momento di mas-sima espansione dell'azienda fu proprio sotto la gestione di Angelo10.

Sul finire del decennio Angelo Peyron sposò Adele Fumagalli, figlia di un noto indu-striale milanese, da cui ebbe sei figli. Negli stessi anni, con la consulenza del potente suocero, acquistò un piccolo opificio nella piazza centrale di Prato e acquisì dalla famiglia Rey i negozi ubicati a Firenze e Roma. Lo spirito imprenditoriale lo portò ad aggiudicarsi le commesse del Regio Esercito e delle Ferrovie dello Stato: con questo arrivarono i primi riconoscimenti uffi-ciali. Grazie a questi elementi la rete distributiva si estese anche a Livorno11.

Angelo Peyron morì nel 1919 lasciando in eredità le aziende al figlio maggiore, Mario. Nonostante la mancata formazione dei figli e lo scarso interesse di essi mostrato verso l'A-zienda, questa continuò la propria produzione, anche durante i periodi bellici12. Mario Peyron fu l'unico interessato a portare avanti l'Azienda: dopo la sua prematura morte la responsabilità di essa passò al fratello minore, Paolo, e non al secondogenito Guido.

Paolo non mostrò un grande interesse per le sorti dell'Azienda, investendo sia tempo che denaro nella villa di famiglia a Fiesole, tutt'oggi conosciuta per lo splendido parco e le nu-merose opere ad esso legate13. Testimonianza di questo sono le numerose corrispondenze del lanificio, conservate oggi presso gli archivi di Villa Peyron: l'Unione Industriale di Prato e l'amministratore delegato dell'Azienda si mostravano preoccupati per la situazione che si sta-va creando, ovvero la mancata partecipazione dei Peyron alle sorti aziendali14.

9 http://www.palazzospinelli.org/architetture/scheda.asp?

denominazione=&ubicazione=&button=&proprieta=&architetti_ingegneri=Paolini+&pittori_scultori=&note _storiche=&uomini_illustri=&ID=1547, (accesso del 1/05/2018)

10 Archivio storico Di Firenze, Comune di Firenze, Affari generali 1886, CF40094, fasc. 10271, c.s.n., cit. da Tinnirello, Gioele, Tra lana e seta: due famiglie Peyron e una vocazione, Prato, Fondazione cassa di risparmio di Prato, 2014, p. 109

11 Peyron, Paolo, Il bosco di Fontelucente: il racconto del giardino e della villa di Paolo Peyron, Firenze, Polistampa, 1997, p.25

12 Tinnirello, Gioele, Tra lana e seta: due famiglie Peyron e una vocazione, Prato, Fondazione cassa di risparmio di Prato, 2014

13 Peyron, Paolo, Il bosco di Fontelucente: il racconto del giardino e della villa di Paolo Peyron, Firenze, Polistampa, 1997

14 Archivio Di Villa Peyron, Corrispondenza del Lanificio Val di Bisenzio, c.s.n., cit. da Tinnirello, Gioele, Tra

(9)

I figli di Angelo decisero in comune accordo di porre in affitto lo stabilimento di Per-nio. Il contratto firmato nel 1945 con Ennio Morelli, noto industriale pratese, non portò ai ri-sultati sperati: infatti l'anno successivo lo stabilimento venne chiuso. Il vero punto di rottura fu nello stesso anno quando l'amministratore delegato, stanco ormai della mancata partecipa-zione della famiglia alle sorti aziendali, decise di dare le dimissioni15.

Nel 1956 i fratelli decisero di vendere le proprie quote, facendo sì che la lavorazione delle fabbriche continuasse mantenendo il marchio Peyron, divenuto ormai simbolo di qualità dei prodotti; ma le aziende non erano più della famiglia. Solo nel 1960 le fabbriche vennero chiuse.

Complicata invece fu la sorte dei punti vendita: infatti la loro chiusura iniziò nel 1931 quando Mario Peyron decise di non riaprire quello di Livorno. Tra il 1940 e il 1950 se-guirono la chiusura dei negozi a Roma e Firenze, mentre il negozio in via Panzani, aperto quasi un secolo prima, lo rimase fino al 195616.

15 Archivio Di Villa Peyron, Corrispondenza del Lanificio Val di Bisenzio, c.s.n., cit. da G. Tinnirello, Tra lana

e seta: due famiglie Peyron e una vocazione, Prato, Fondazione cassa di risparmio di Prato, 2014, p. 115

16 Piunti, Gian Luigi, Un circolo vizioso: industria dell’abbigliamento e distribuzione in Italia tra le due

guerre, in Centro italiano per lo studio della storia del tessuto, Per una storia della moda pronta. Problemi e ricerche, Atti del V convegno internazionale CISST, Firenze, 1991, cit. da Tinnirello, Gioele, Tra lana e seta: due famiglie Peyron e una vocazione, Prato, Fondazione cassa di risparmio di Prato, 2014, p. 116

(10)
(11)

II. Guido Peyron

Quarto fra sei fratelli e sorelle, Guido Peyron nacque a Firenze il 15 gennaio del 1898, e lì morì all'età di sessantadue anni17. La formazione scolastica si svolse nell’ambito di indi-rizzi tecnico-industriali, in quanto avrebbe poi dovuto occuparsi della azienda di famiglia. I suoi studi furono interrotti dalla Prima guerra mondiale alla quale partecipò come volontario: arruolato come soldato semplice in artiglieria nel 1916 (51α compagnia della 47α divisione) nel 1917 combatté nel Carso e l’anno successivo sul Piave18. Alla fine della guerra fu conge-dato con il grado di tenente, insignito di una medaglia di bronzo.

Il padre Angelo aveva escluso Guido da alcune parti del patrimonio: infatti non gli fu lasciato alcun immobile, mentre la sua quota dell'Azienda fu liquidata per saldare i debiti da lui contratti. Dalla Azienda di famiglia rilevava una quota mensile di £100019.

17 Archivio Storico di Firenze, Comune di Firenze, Anagrafe, Fogli di famiglia presenti, CF 14646, c.s.n.; Mario Peyron, nato a Firenze il 2 luglio 1890, Livia Teresa Peyron nata a Firenze il 2 novembre 1891, Livia Peyron nata a Firenze il 20 ottobre 1893, Guido Peyron nato a Firenze il 15 gennaio 1898, Emilia Peyron, nata a Firenze il 18 febbraio 1902, Paolo Peyron nato a Firenze il 13 giugno 1911

18 Archivio Eredi Peyron, i luoghi sono deducibili dalle numerose lettere inviate da Guido ai suoi familiari, mentre la compagnia è attesta dalla documentazione militare.

19 Archivio Eredi Peyron, testamento Angelo Peyron

Antignano, 1919

Da sinistra: Guido Peyron, Emilia Peyron, Adele Fumagalli, Paolo Peyron e Angelo Peyron

(12)

La scelta del padre di liquidare in vita il patrimonio al figlio fu causata dalle ingenti somme che il pittore, al ritorno dalla guerra, spendeva e in acquisti di automobili di lusso e nelle abitudini da gentiluomo che aveva20. Di questo dilapidamento ne parleranno molti suoi contemporanei ed è attestato sia dai ricordi, sia dalle numerose lettere che Guido spediva agli amici più cari, nelle quali richiedeva delle somme di denaro che prometteva di restituire in maniera spedita. Nelle lettere pregava gli

amici di indirizzare a lui possibili acquirenti delle sue opere, senza dimenticare i numerosi acquisti fatti dai proprio familiari21.

L’interesse che Guido Peyron svilup-pò per l’arte è riassumibile dalle parole di Se-bastiano Timpanaro, il quale nel 1943 pubbli-cò una piccola biografia dell’artista, che con squisita maestria riesce a disegnare la sua evoluzione personale ed artistica. In questo testo si ricorda come Guido sia stato un gio-vane dedito al divertimento senza alcun inte-resse verso il mondo culturale22.

«Si potrebbe senza difficoltà ridurre la sua vita a storia edificante. Guido passa la giovinezza facendo il corridore d'automobile.

É uno scavezzacollo, che ha bisogno di correre sempre più veloce, fracassando macchine, dis-sipando una fortuna. Finalmente, stanco di donne, di lusso, di avventure, rompe ogni rapporto col mondo e si chiude in casa. Una notte gli si presenta una Dama, bella come l'Annunziata di Simone Martini, e gli offre silenziosa dei pennelli. La mattina dopo Peyron si sveglia pittore; e da allora rimarrà per sempre fedele alla consegna. In realtà, la storia è più complessa. Guido Peyron passa continuamente, si può dire giorno per giorno, dal mondo al sopramondo; e con-tinua ancora a correre. La sua arte nasce quando, lasciata la compagnia e il rumore, egli rima-ne con se stesso e si sente insieme scontento della vita e avido di eternità. Il suo mondo è fatto di sogni e di fantasmi ma nasce dalla vita»23.

20 Archivio Eredi Peyron, testimonianza orale

21 Gabinetto Vieusseux, Archivio Bonsanti, Fondo Vallecchi: la numerosa corrispondenza verte su questioni economiche

22 Timpanaro, Sebastiano, Peyron, Firenze, Parenti Editore, 1943. Il testo presenta uno dei tre disegni di Peyron conservati oggi al Museo della Grafica di Pisa, nella collezione Timpanaro

23 Ivi, cit. p.12

(13)

Tra i ricordi del primo periodo di Peyron sono di rilievo anche le parole di Giovanni Colaccichi, che aprono la mostra retrospettiva di Guido tenutasi nel 1966 e ripubblicate nel 2002 in occasione della mostra nella Galleria Pananti. Colaccichi lo descrive come un uomo che a un certo punto prese in mano la sua vita reinventandosi. Peyron, piuttosto stanco e delu-so dalle abitudini che fino ad allora aveva condotto, legate a uno stile di vita dovuto alla con-dizione sociale, decise di dedicarsi

totalmente all'arte.

Guido è ricordato come amante dei cavalli, della caccia, del cibo e del buon vino, avendo non per ultima la passione delle auto-mobili24. Una passione che lo portò a partecipare a molte competizioni, tra cui quella che lo coinvolse in un incidente stradale, provocando la morte di uno spettatore25. Ricorda Colaccichi «A quanto si racconta a

quel tempo, era incorso del tutto senza sua colpa, ma da cui era uscito con grande repulsione per quei micidiali veicoli, duratagli poi per lunghi anni»; continua poi delineando la strada in-trapresa dal pittore «Uno stile di vita vicino a un innato sprezzo per il pericolo, legato al desi-derio di cercarlo, il pericolo, un po’ per giuoco, un po’ per il desidesi-derio di provare sé a se stes-so. Più tardi doveva capire che la prova di se stesso poteva fornirla, e in modo più convincen-te, con le opere della sua mente e della sua mano»26.

Peyron trovò nel più anziano pittore Ludovico Tommasi un maestro e dietro i suoi con-sigli iniziò a dipingere nel 1924. Data importante in quanto il già affermato pittore aveva ab-bracciato gli stilemi del novecento e veniva elogiato per la propria pittura27. Grazie al maestro, Guido apprese i segreti di una pittura novecentesca che dalla tecnica all'uso del colore e l'inti-mità del soggetto gli permise di abbandonarsi con sicurezza sulla tela28.

Nel gennaio del 1922 sposò Laetitia Ferruta nello stesso giorno delle nozze della sorel-24 Colacicchi, Giovanni, Mostra retrospettiva del pittore Guido Peyron, Firenze, Istituto Poligrafico dello Stato

P.V, 1966 (catal. mostra, Firenze)

25 Archivio Eredi Peyron, testimonianza orale

26 Colacicchi, Giovanni, Mostra retrospettiva del pittore Guido Peyron, Firenze, Istituto Poligrafico dello Stato P.V, 1966 (catal. mostra, Firenze), cit. p. 1

27 Timpanaro, Sebastiano, Peyron, Firenze, Parenti Editore, 1943, p. 23

28 E' morto il pittore Guido Peyron, in “Il Giornale del Mattino”, 12 settembre 1960, p. 3 Pantelleria, anni quaranta

(14)

la Emilia Peyron, che così aveva voluto. Entrambi i matrimoni si conclusero poco tempo dopo29.

Allo scoppio della Seconda guerra mondiale Peyron si presentò, anche in questa occa-sione, come volontario con il grado di Tenente di artiglieria30. Dal 1942 tenne la cattedra di maestro di figura disegnata presso il Liceo artistico di Firenze, dove il pittore insegnò agli al-lievi una pittura contraria tanto alle “incomprensibili” avanguardie come alla pigrizia dell'ac-cademismo31.

A conclusione dell'impegno di una vita, Peyron ebbe un importante ricono-scimento del suo lavoro: infatti nel marzo del 1956 il collegio dell'Accademia Cle-mentina di Bologna approvò la sua nomi-na ad Accademico Clementino per la clas-se di pittura32.

L'11 settembre del 1960 Guido si spense all'ospedale di Careggi, dove era stato ricoverato qualche giorno prima. Il referto dell'Ospedale descrive la causa della sua morte come una complicazione bronco-polmonare33.

La notizia della morte di Guido Peyron si diffuse presto attraverso gli amici più stretti e i giornali fiorentini che ne diedero la triste notizia. «Peyron non fu soltanto un buon pittore, fu uno di quegli uomini sconcertanti nei quali la bohème artistica non aveva nulla di programmatico, ma era il segno volontario di una sete di vivere. Quanto alle sue ricette esse resteranno forse una chiave per penetrare il suo mondo. Conosceva la ta-vola ricca, ma preferiva la cucina popolare e d'invenzione. Dimessi i convitati, a notte fonda Peyron cominciava a dipingere e lavorava fino al mattino. Guai a chi andasse a trovarlo la 29 Archivio Eredi Peyron, testimonianza orale

30 Come risulta da una lettera inviata al pittore dal Comando Militare di Firenze nel 1958, nella quale il ministero della Difesa Marina riconosce la sua partecipazione alla campagna di guerra per l'anno 1941, di stanza a Pantelleria

31 E' morto il pittore Guido Peyron, in “Il Giornale del Mattino”, 12 settembre 1960, p. 3 32 Archivio Eredi Peyron, lettera ricevuta dall'Accademia Clementina il 28 marzo 1956 33 Archivio Eredi Peyron, referto ospedaliero

(15)

mattina. Trovava sulla porta questo cartello 'Peyron dorme e non vuole essere disturbato'»34. Nel 1966 fu organizzata a Firenze una mostra retrospettiva all'Accademia delle Arti del Disegno35, per ricordare il pittore «Uno dei più laboriosi e fecondi fra quanti hanno opera-to a Firenze nel tempo fra le due guerre, e anche uno di quelli che negli anni dopo la guerra hanno opposto al disordine e al disfacimento dell'arte, una propria opera fondamentale coe-rente, frutto di una precisa scelta, libera da ogni sollecitazione d'involuto intellettualismo e di venale interesse»36.

«Guido Peyron che diede a Montale i primi erudimenti nella scultura, fu con lui, nonostante una frequentazione non assidua, in rapporti di sincera amicizia, come si ricava an-che dal bel ritratto an-che il poeta ne scrisse dopo la morte»37.

«Guido non è stato forse un pittore di immenso talento, ma si considerava imbattibile come cuoco. Aveva sperperato un notevole patrimonio e fracassato non so quante macchine da corsa prima di rinchiudersi nel grande studio di via degli Artisti. Là dentro egli dipingeva quadri di bottiglie, nature morte, ritratti, e usciva molto raramente. [...] era un signore nato; e nato altrove sarebbe diventato un ufficiale di cavalleria di tipo polacco, capace di avventurarsi in arcione contro una fila di carri armati. Ma ai suoi tempi l'eroismo non era possibile. Provò ad accostarsi al fascismo ma se ne ritrasse con disgusto. Non ch'egli fosse democratico nel significato attuale della parola: l'eleganza era per lui un bisogno, l'etichetta un culto. E la folla non era pane per i suoi denti. Come cuoco toccò l'eccellenza dell'arte sua. Mediocre forchetta, non cucinava per sé ma per gli amici; alzava però un po' troppo il gomito per confortare la sua solitudine, e ne pagò forse le conseguenze»38. Necrologio che ha in realtà l'andamento di un epinicio.

34 E' morto il pittore Guido Peyron, in “Il Giornale del Mattino”, 12 settembre 1960, p. 3

35 Memorie e giudizi critici ripresi puntualmente nella mostra, Guido Peyron. Dipinti provenienti da raccolte

fiorentine, tenutasi a Firenze nel 1991

36 Colacicchi, Giovanni, Mostra retrospettiva del pittore Guido Peyron, Firenze, Istituto Poligrafico dello Stato P.V, 1966 (catal. mostra, Firenze), cit. p.1

37 Isella, Dante, Eusebio e Trabucco. Carteggio di Eugenio Montale e Gianfranco Contini, Milano, Adelphi, 1997, cit., p. 185

38 Isella, Dante, Eusebio e Trabucco. Carteggio di Eugenio Montale e Gianfranco Contini, Milano, Adelphi, 1997, cit., p. 186

(16)

Guido Peyron, Ritratto di Eugenio Montale, 1930, olio su tela, 80x100 cm, collezione privata

(17)

III. La pittura toscana,

le correnti culturali e le strutture organizzative dell'arte

nel novecento.

Il confronto con Parigi

«Nella Parigi d'inizio Novecento, capitale culturale d'Europa, irrompono sette italiani: Giorgio de Chirico, suo fratello Alberto Savinio, Gino Severini, Mario Tozzi, Massimo Campigli, Renato Paresce e Filippo di Pisis. Sono Les Italiens de Paris; e presto rubano la scena ai francesi che li chiamano con disprezzo “metechi”. Fondano o contribuiscono a fondare generi -la metafisica, il futurismo- innovano le avanguardie, conoscono e si scontrano con Picasso, Matisse, Braque [...]. E nei café bevono assenzio con un ebreo livornese, Amedeo Modigliani. [...]

Sono gli anni in cui nasce la pittura moderna. Pare che le energie del secolo che chiuderà il millennio siano concentrate nel cuore dell'Ȋle-de-France, come i poteri magici all'epoca dei templari. Artisti, poeti, scrittori e musicisti inventano nuove espressioni, smontano linee, mescolano colori, suoni, mutano pelle e sostanza alla realtà così come era stata pensata e rappresentata fino a quel momento. Una rivoluzione culturale dentro a quella sociale e industriale, in anticipo su quella politica.

È la vigilia di una guerra che farà crollare tre imperi secolari: quello austroungarico, quello ottomano, quello zarista; la carta geografica dell'Europa e del Mediterraneo sarà sconvolta, mentre in Russia il potere passerà ai Soviet. Anche i confini dell'uomo e della fisica vengono rivoluzionati come mai prima, con la scoperta dell'inconscio e dell'atomo, dell'energia rimossa o nascosta dentro noi e al cuore di ogni cosa»39.

L'introduzione di Rachele Ferrario, curatrice della mostra bolognese del gennaio 2018 dedicata ai pittori che vivevano della Parigi dei primi decenni del Novecento, permette l'avvio di una riflessione nelle scelte artistiche dei pittori fiorentini. Quanto all'analisi delle strutture organizzative dell'arte, la mostra milanese Post Zang Tumb Tuum. Art, life, politics Italie

1918-1943 è l'itinerario che permette con straordinaria esemplificazione una migliore

(18)

comprensione delle ragioni scelte che hanno condizionato l'evoluzione dell'arte italiana fra le due guerre.

III.I. Verso il Novecento.

La Festa dell'Arte e dei Fiori

Il passaggio tra l'Ottocento e il Novecento fu segnato, in campo artistico, in Toscana da una forte ambiguità. Gli artisti trovavano ispirazione da due correnti differenti, chi seguì le lezioni di Giovanni Fattori e chi invece guardò con interesse a ciò che succedeva oltralpe40.

Il secolo si aprì con una moltitudine di nuovi stili e correnti artistiche, l'arte assunse così nuove negazioni, nuove ironie, nuove contaminazioni di materia e di concetto41. Questi elementi garantirono l'incredibile varietà delle correnti artistiche. Altro fattore importante, proprio per la differenziazione, fu il localismo che portò gli artisti a ibridare forme nuove con la tradizione locale42.

La possibilità espressiva dell'arte ottocentesca nelle sue differenti declinazioni nazio-nali e non, ebbe inedita occasione di confronto a Firenze tra il 1896 e il 1897, nella rassegna d'arte chiamata Festa dell'Arte e dei Fiori43.

La Festa inaugurata nel dicembre del 1896 si concluse nel marzo del 1897; organizzata nel centro storico della città, occupava un vasto spazio urbano. La zona designata fu il prose-guimento di via dei Pescioni, da via Corsi a via Teatina fino alla Canonica di San Gaetano, mentre alla Galleria di Palazzo Davanzati veniva ospitato il salone dei rifiutati44. L'esposizio-ne fu allestita in occasioL'esposizio-ne del cinquantesimo anniversario delle fondazioni della Società di Orticultura e della Società delle Belle Arti: entrambe raccolsero ambiziosamente tutte le prin-cipali tendenze artistiche nazionali e internazionali degli ultimi cinquant'anni. Si trattò di un'i-niziativa artistica e turistico-commerciale, impostata sul connubio tra arti visive, artigianato artistico e curiosità botaniche.

Il pubblico fu attratto anche dalle altre numerose attività svolte in punti dislocati della 40 Uzzani, Giovanna, La Toscana 1900-1945, in Pirovano, Carlo (a cura di), La pittura in Italia-Il novecento\1,

Milano, Electa, 1992-1994, p. 380-429, cit., p. 380

41 Campana, Rossella, La Toscana e il Novecento, Pisa, Pacini, 2001

42 Pirovano, Carlo, La pittura in Italia-Il novecento\1, Milano, Electa, 1992-1994, p. 12-19

43 Uzzani, Giovanna, La Toscana 1900-1945, in Pirovano, Carlo (a cura di), La pittura ..., p. 380-429 44 Pratesi, Mauro, Festa dell'Arte e dei Fiori, in “Prospettiva”, vol. II, n. 57, aprile 1989, pp. 5-10

(19)

città che garantivano un intrattenimento artistico-culturale continuo45. Questa nuova imposta-zione fece emergere ancora di più la rilevanza e la qualità delle proposte, ponendosi così come diretta interlocutrice tra la prima e la seconda Biennale della città di Venezia. Le opere esposte si dividevano in due gruppi: le ricerche internazionali e quelle nazionali, in ambito lo-cale emerse un elemento di regionalismo46.

Firenze attraverso questo fervore espositi-vo incentivava il dibattito culturale, si arricchi-va di una propria rivista, “Il Marzocco”, che sì fece portavoce del gusto nazionale e interna-zionale47. Nelle sue pagine scrittori, artisti e critici si cimentavano in dibattiti, cronache, confronti e polemiche per delineare le sorti dell'arte contemporanea con una ricchissima rassegna stampa. Gli argomenti così trattati fu-rono la base di confronto e di stimolo per inte-re generazioni48.

Dalle numerose rassegne stampa del tem-po, emerse che in ambito internazionale, le opere maggiormente apprezzate furono quelle inglesi ed, più timidamente, quelle francesi, mentre in ambito nazionale il gruppo toscano fu quello che presentò il maggior numero di opere. Gli espositori toscani rappresentarono gli elementi tipici delle ultime ricerche, qualità incarnate dalla pittura di Ludovico Tommasi. Le sue opere furono considerate tra i migliori episodi di superamento del verismo49.

Emerse così agli occhi della critica più attenta un'anima di toscanità che si delineava attraverso la linea di scabro realismo e venata essenzialità arcaica e solenne. Elementi delle nuove ricerche artistiche che furono l'origine delle imminenti avanguardie novecentesche to-scane.

45 Uzzani, Giovanna, La Toscana, Venezia, Marsilio, 1991, cit., pp. 8-9

46 Pratesi, Mauro, Festa dell'Arte e dei Fiori, in “Prospettiva”, vol. II, n. 57, aprile 1989, pp. 5-10

47 Uzzani, Giovanna, Artisti e letterati fra il Novecento toscano e Solaria, in “Bollettino d'Arte”, vol.VI, n. 3, settembre 1986, pp.65-102, cit., p. 67

48 Uzzani, Giovanna, La Toscana, Venezia, Marsilio, 1991, cit., p. 10

49 Pica, Vittorio, L'arte europea a Firenze. IX, I pittori toscani, in “Il Marzocco”, vol. II, n. 13, 2 maggio 1897, pp. 15-17

(20)

Le premiazioni segnarono per l'esposizione fiorentina un bilancio negativo, delu-dendo i numerosi artisti che videro premiati i gusti più tradizionalisti registrando così ancora tanta insensibilità ad ogni rinnovamento50.

III.II Dal 1900 al 1920

La pittura moderna era lontana ormai dalle ideologie di rivoluzione politica e di pro-gresso civile in cui era nata, anche se gli ideali romantico-idealisti erano continuati a soprav-vivere grazie ai Macchiaioli e agli Impressionisti51.

L'analisi sia dei rapporti nel contesto territoriale toscano, sia dei rapporti tra gli am-bienti artistici emergenti, quelli centrali e anche le loro articolazioni periferiche, ha permesso di porre a confronto i numerosi tessuti artistici. Infatti l'operazione di rilettura per ambienti culturali locali, dello spessore di vicende ormai secolari che costituiscono il panorama artisti-co nazionale, ha fatto si che si delineasse un panorama vasto che fu l'effettiva diramatura del-l'arte italiana novecentesca. Ciò ha reso possibile anche il recupero di numerose personalità artistiche di consistenza maggiore o minore, portando a definire l'ambiente di formazione una delle caratteristiche principali nella suddivisione novecentesca; il confine non più geografico-amministrativo veniva delineato attraverso la cultura condivisa. Gli artisti rispondevano così non soltanto alla specifica forza creativa, ma svilupparono un'arte che si legava alle tradizioni culturali del luogo di formazione52. Da un'arte che affermava la necessità di una riproduzione oggettiva ed impersonale della realtà, gli artisti ricercano ora una nuova arte caratterizzata dall'indagine e dall'analisi della realtà53, mentre la connessione studiata tra arte e vita, dove la prima ricopriva un ruolo centrale nella seconda, fu la causa del fiorire di numerosi gruppi im-pegnati nella difesa del patrimonio artistico cittadino54.

I primi decenni del Novecento furono quindi segnati dalla nascita di numerose riviste in ambito critico, artistico e filosofico55, che offrirono la possibilità a numerosi campi artistici di poter continuare i propri studi, dall'antiquaria alla grafica56. Le riviste diventarono non solo 50 Uzzani, Giovanna, La Toscana, Venezia, Marsilio, 1991, cit., pp. 18-22

51 Somarè, Enrico, Novecento, in ”Il Novecento Italiano”, vol. I, n. 2, estate 1926, pp. 11-21 52 Uzzani, Giovanna, La Toscana, Venezia, Marsilio, 1991, cit., pp. XVI-XVIII

53 Fernando, Marco, Un popolo di artisti, in Mazzocca, Ferdinando (a cura di), Novecento, arte e vita in Italia

tra le due guerre, Milano, Silvana Editoriale, 2013, pp. 240-252

54 Mostra novecento italiano, Milano, Galleria d'Arte Milano, 1928, (catal. mostra, Milano), cit., p. 5 55 Corti, Vittorio, Il mondo di Solaria, Torino, Il Grappolo, 1990, cit., p. 20

(21)

strumento di comunicazione ma luogo di dibattito, che favorì la mobilità delle collaborazioni e delle condivisioni57.

La situazione in letteratura era ben diversa: le nuove ricerche non riuscirono a sanare il divario e il contrasto tra tradizione e modernità. Il letterato si trovò in una sorta di isolamento intellettuale, dove l'unico periodico che cercò di far fronte a questa emarginazione fu “Solaria”58.

Furono gli articoli promossi dalle riviste a portare al centro dell'interesse culturale Fi-renze. Insieme al più famoso “Il Marzocco” nacquero “Leonardo”, “Hermes”, “Il Regno”, “Michelangiolo” e “Vita d'Arte”. Le numerose riviste furono sensibili alle problematiche arti-stiche e culturali contemporanee, dove il continuo scambio di idee nella diversità di carattere e di ricerca fu di fondamentale importanza per la cultura e il dibattito artistico. Furono gli anni dove si iniziò a delineare uno stretto rapporto tra il mondo delle lettere, quello della filosofia e quello delle arti figurative59.

Il capoluogo toscano attraverso i numerosi concorsi e il fervore espositivo, caratteriz-zante il primo ventennio del novecento, recuperò il ruolo di città cosmopolita; le numerose mostre organizzate come la Secessione di palazzo Corsini nel 1904 e la Mostra dell'Arte To-scana nel 1905 furono solo una parte del nuove interesse verso la città.

Altro luogo di incontro e di dibattito furono i 'caffè'. Da fine Ottocento al 1920 fu di fondamentale rilievo il Caffè Michelangiolo60. In questi ambienti circolavano numerosi artisti stranieri di ogni provenienza, che cercavano nel capoluogo toscano nuove ispirazioni, costi-tuendo motivo di dibattito e di aggiornamento per i fiorentini di nascita e di adozione61, basti ricordare Roberto Longhi e Giorgio de Chirico entrambi trasferiti a Firenze e destinati a dare un'impronta determinante agli sviluppo artistici nazionali62.

L'arte fiorentina rimase sempre legata agli echi del grande passato63, proponendo una certa continuità. Lo studio proposto dagli artisti cercava di cogliere quegli elementi stilistici che avevano fatto grande il Seicento e l'Ottocento64. Si apriva così una divaricazione all'inter-no di quella generazione che era nata con l'arte del tardo Giovanni Fattori e quella che pur ri-57 Corti, Vittorio, Il mondo di Solaria, Torino, Il Grappolo, 1990, cit., p. 7

58 Bardazzi, Elena, Motivi e figure nell'arte Toscana del XX secolo, Pisa, Pacini, 2000, cit., p. 60 59 Campana, Rossella, La Toscana e il Novecento, Pisa, Pacini, 2001, cit., p. 13

60 Bargellini, Piero, Caffè Michelangiolo, Firenze, Vallecchi editore, 1944, cit., p. 2

61 Nebbia, Ugo, La pittura del novecento, Milano, Società editrice libraria, 1946, cit., p. 300 62 Uzzani,Giovanna, La Toscana, Venezia, Marsilio, 1991, cit., pp. 78-79

63 Campana, Rossella, La Toscana e il Novecento, Pisa, Pacini, 2001, cit., p. 13

(22)

prendendo gli stilemi antichi li filtrava attraverso le nuove forme di arte: basti ricordare Ar-dengo Soffici che si avvalse di Cézanne per superare i maestri ottocenteschi e tornare alla grandezza di Giotto e di Masaccio, mentre Giovanni Costetti avrebbe filtrato Cézanne attra-verso le forzature cromatiche dei Fauve in declinazione espressionista65.

III.II.I Le Avanguardie

La Toscana aveva maturato una propria riflessione critica e letteraria sul tema della macchina e della città industriale proposta da Mario Morasso, il quale anticipò il mito della modernità e di altre numerose tematiche riprese dalla corrente Futurista66: nella regione stava infatti iniziando solo nel primo novecento una industrializzazione adeguata ai tempi. Gli arti-sti toscani rinunciarono a farsi interpreti dei nuovi temi continuando a preferire i pittori di for-mazione ottocentesca. Non mancarono numerose adesioni alla sperimentazione futurista o cu-bista, ma gli artisti non spezzarono il rapporto con la tradizione, confermando gli interessi per la figurazione e la ricerca di un'armonia compositiva dell'opera67. Giovanni Papini ispiratore del «futurismo toscano», presagì però la sterilità del movimento: il futurismo, secondo lui, si sarebbe esaurito in quanto si era posto come obbiettivo il distacco dalla natura, elemento che si poteva ritrovare soltanto nello studio delle tecniche pittoriche tradizionali68.

Numerose riviste divennero interpreti delle idee moderne e nazionaliste futuriste. “Il Regno” e “Il Marzocco” si fecero promotori delle nuove tematiche ispirate ai miti dell'era mo-derna69, mentre Ardengo Soffici nelle sue pubblicazioni propose la pittura di Cézanne come una possibile alternativa alla decadenza e alla disgregazione di valori e forme rappresentati dal Futurismo, definendo il movimento futurista «delusione sdegnosa». Le due fazioni, tosca-na, supportata da Ardengo Soffici e Primo Conti, e lombarda, sostenuta Umberto Boccioni e Filippo Tommaso Marinetti, iniziarono così a pubblicare numerosi articoli erosivi e di provo-cazione, che aprirono la strada alla incolmabile divergenza tra milanesi e fiorentini. Solo nel 1913 con la fondazione della rivista “Lacerba”, di influenza futurista ma aperta comunque al dibattito, vi fu un riavvicinamento delle due fazioni70.

65 Longhi, Roberto, La scultura futurista di Boccioni, Firenze, Libreria della Voce, 1914 66 Uzzani,Giovanna, La Toscana, Venezia, Marsilio, 1991, cit., pp. 88-89

67 Uzzani, Giovanna, La Toscana 1900-1945, in Pirovano, Carlo (a cura di), La pittura ..., p. 380-386 68 Camerino, Giuseppe Antonio, Soffice Ardengo, in ”Enciclopedia Italiana Treccani” - IV Appendice, 1981,

p.15

69 Uzzani, Giovanna, La Toscana..., pp.88-89

(23)

Fra i giovani frequentatori delle iniziative lacerbiane e delle altre numerose mostre mossero i primi passi gli artisti che avrebbero segnato la pittura degli anni fra le due guerre mondiali come Ottone Rosai, Primo Conti, Achille Lega e Baccio Maria Bacci.

Gli echi maggiori del Futurismo in Toscana si ebbero nel primissimo dopoguerra. Le poche adesioni dei toscani al Secondo Futurismo si mostravano comunque non parallele alle interpretazioni nazionali71.

71 Uzzani, Giovanna, La Toscana..., p.226

Ardengo Soffici (1879-1964), I pini, 1924, olio su tela, 93,5x94,5 cm, Banca Monte dei Paschi di Siena

(24)

III.III Dal 1920 al 1940

La Prima guerra mondiale fu un avvenimento che provocò una profonda rottura nella cultura dell'uomo e di conseguenza anche nelle attività intellettuali. Ripercorrendo le espe-rienze artistiche prebelliche, dove nelle opere si ricercava la modernità e il futuro, si contrap-pone il periodo postbellico dove l'arte ricerca nel passato una nuova chiave d'interpretazione per il futuro72. Le circostanze culturali postbelliche fanno emergere nuove tematiche attraver-so un rapporto differente con le tradizioni nazionali e locali.

Gli sviluppi si aprirono in due direzioni: chi ripercorse le avanguardie storiche e chi ri-vestì la propria arte di valori locali. Le concezioni che si posero alla base di entrambi i casi si allontanano dal concetto del “ritorno all'ordine”, un tipo di arte che caratterizzò il ventennio successivo alla guerra riproponendo la centralità della tradizione, del classicismo e della fe-deltà figurativa. I nuovi artisti interpretarono le proprie realtà pittoriche in una ricerca di fonti passate. Le motivazioni di ricercare nel passato una nuova arte vennero delineate da Raffaello Franchi, per il quale gli artisti nel dopoguerra sentirono il bisogno di cancellare ogni antino-mia fra arte e realtà, facendo convergere così nello studio della tradizione i bisogni della mo-dernità73.

«'Il mondo, va a destra' scrive Ugo Ojetti nel catalogo della collettiva Arte italiana

contemporanea del 1921. 'Non è questo il luogo per dire quando e dove e perché questo sia

vero in politica. Ma se per cominciare diciamo che il mondo tende all'ordine e alla disciplina e alla pace, ci si troverà tutti d'accordo. [...] l'arte lo annunciava anche prima della guerra ma al-lora poteva essere solo una moda passeggera'. [...] Ojetti riconobbe i nuovi valori artistici che stavano dilagando in Europa: incantesimo dell'antico, ritorno al mestiere, lo studio della figura umana, chiave e il metro del mondo, ma innanzitutto la 'restaurazione della ragione e della co-scienza dell'artista sulla realtà. Nella catastrofe della Grande Guerra, sono gli artisti prove-nienti dalle avanguardie a volgere lo sguardo in direzione del “ritorno all'ordine”»74

La Toscana si presenta in questo periodo tra i più fecondi attraverso numerosi articoli di dibattito artistico-culturale, riguardanti elementi che sfuggirono alle prospettive di studio nazionale, come le ricerche sulla scultura etrusca. I nuovi studi archeologici stavano superan-72 Uzzani, Giovanna, La Toscana, Venezia, Marsilio, 1991, cit., p.227

73 Del Guercio, Antonio, La pittura del novecento, Roma, Utet, 1980, cit., p.65

74 Morelli, Francesca, Una musa magica, malinconica e ribelle, in “Il giornale dell'arte”, vol. XXXV, n. 385, novembre 2017, pp. 1-3

(25)

do il preconcetto dell'eccellenza della civiltà ellenica per la cultura mediterranea. Le opere dell'area fiorentina furono profondamente influenzate da questi studi, ma non ebbero subito un riscontro nelle prospettive nazionali. La dimensione del passato si configura quindi in To-scana su due livelli distinti: il primo fu il culto del prestigio rinascimentale fiorentino come nuovo elemento per la rinascita; l'altro quello popolare che mira alla rivendicazione di un'au-tenticità culturale ed antropologica75.

Le prime significative manifestazioni furono le due esposizioni della Primaverile Fio-rentina, nelle quali si proponeva una riattualizzazione delle pitture seicentesche, settecente-sche e ottocentesettecente-sche. Queste mostre furono la base del futuro gruppo Novecento Toscano i cui membri, come Baccio Maria Bacci e Felice Carena, attraverso la visione offerta dalle esposi-zioni condivisero un retaggio caravaggesco. Del pittore famoso vennero apprezzati per la ri-cerca compositiva, lo studio del chiaro-scuro, l'esaltazione dei mezzi pittorici e il dato reali-sta76.

Negli anni venti le ricerche artistiche tornarono a risuonare nelle parole degli intellet-tuali toscani o di passaggio. Vennero eletti nuovi luoghi di confronto come la Biblioteca Filo-sofica e il caffè delle Giubbe Rosse, erede del più famoso Caffè Michelangiolo, nonché lo stu-dio del pittore Gianni Vagnetti, in piazza Donatello. Divennero luoghi di incontro e di comuni esperienze della nuova cultura, nei quali si posero le basi per la nascita sia della rivista “Sola-ria” che del gruppo Novecento Toscano77. Dall'incontro di numerose personalità nacque nel 1924 il mensile “Rivista di Firenze” negli articoli i critici esprimevano la necessità di un'arte dello spirito e auspicavano un ritorno dei grandi ideali artistici78.

Sul finire di quegli anni venti l'intervento del governo fascista impose un controllo sempre più serrato sulla cultura. Ciò costrinse gli intellettuali a dover agire in un ambito sem-pre più ristretto79. Fu l'ambiente milanese ad essere eletto come uno dei movimenti rappresen-tativi della pittura italiana novecentesca80. La pittura milanese si determinò nella passione per 75 Uzzani, Giovanna, La Toscana, Venezia, Marsilio, 1991, cit., pp. XXIV-XXV

76 Uzzani, Giovanna, La Toscana 1900-1945, in Pirovano, Carlo (a cura di), La pittura in Italia-Il novecento\1, Milano, Electa, 1992-1994, p. 380-429, cit., p. 406

77 Uzzani, Giovanna, La Toscana..., pp. 127-130

78 Uzzani, Giovanna, La Toscana 1900-1945, in Pirovano, Carlo (a cura di), La pittura..., pp. 404-406

79 Cioli, Monica, L'arte italiana fra nazionalismo fascista e universalismo europeo, in Mazzocca, Ferdinando (a cura di), Novecento, arte e vita in Italia tra le due guerre, Milano, Silvana Editoriale, 2013, pp. 350-358, cit., p. 354

80 Costantini, Vincenzo, Pittura italiana contemporanea dalla fine dell'800 ad oggi, Milano, Hoepli, 1934, cit., p. 241

Il gruppo presentava un programma vago che non presupponeva finalità e tendenze esclusive: esso andava dalla pittura nitida di Dudreville o dalle stilizzazioni di Sironi al concettualismo di Bucci; dal neoclassicismo non privo d'interesse naturalistico di Funi al quadro borghese di Malerba; dalle fresche improvvisazioni pittoriche di Marussig alla rapidità, alle deformazioni e agli arcaismi formali di Salietti

(26)

il volume, il rilievo, l'attenzione alla terza dimensione e il ritorno in auge della figura umana81.

III.III.I La mostra Primaverile Fiorentina

La mostra Primaverile Fiorentina ebbe due edizioni: la prima nel 1920, organizzata a Palazzo Pitti mentre la seconda nel 1922, allestita presso il Palazzo delle Esposizioni in Piazza San Gallo. Quella organizzata nel 1920 fu di fondamentale importanza per la formazione del successivo movimento artistico. L'evento proponeva un con-fronto tra arte del Seicento, Settecento, Ottocento e arte contemporanea, per-mettendo nuovi spunti di riflessione. Quella tenutasi due anni dopo si propo-se ambiziosamente di organizzare un'a-nalisi dell'evoluzione artistica nazionale del dopoguerra in una fertile interdisci-plinarità fra arte e lettere, nell'intento di rintracciare il filo di una tradizione che da Masaccio a Caravaggio, da Coubert a Cézanne e a Fattori giungeva fino alla contemporaneità82.

All'esposizione del 1922 accanto ai maggiori rappresentanti delle ultime ri-cerche si avanzavano significative pro-poste sulla pittura dell'ottocento tosca-no, attraverso le opere di Silvestro Lega e di Telemaco Signorini accompagnati da Antonio Mancini e dai fratelli, Ludovico e Angiolo, Tommasi83, ma la sala che segnò i giovani artisti fu quella dedicata a Caravaggio: il confronto con Cézanne, supportato da numerosi articoli di Ar-dengo Soffici, veniva accolto e interpretato come presupposto delle nuove esperienza artisti-81 Sarfatti, Margherita, Segni, colori e luci, Bologna, Minerva, 1925, cit., p. 126

82 Uzzani, Giovanna, La Toscana, Venezia, Marsilio, 1991, cit., pp. 124-125

83 Uzzani, Giovanna, La Toscana 1900-1945, in Pirovano, Carlo (a cura di), La pittura in Italia-Il novecento\1, Milano, Electa, 1992-1994, p. 380-429, cit., pp. 408

Manifesto: dell'Esposizione Primaverile Fiorentina; Fiera del Libro e Mostra del Seicento

(27)

che84.

Gli artisti invitati ad esporre in entrambe le occasioni confermarono la tendenza fio-rentina a fondersi con episodi artistici seicenteschi e ottocenteschi, elementi che vennero defi-niti tipici della toscanità, eredi della essenzialità e della naturalezza dei grandi classici85. En-trambe le mostre incisero quindi sulle scelte degli artisti del tempo, come pure nel collezioni-smo e nel mercato antiquario, anticipando la riproposta dell'Ottocento86.

III.III.II L'arte nel ventennio fascista

Il regime fascista celebrava l'arte come elemento costituzionale, che doveva plasmare la società e rafforzare la grandezza del paese; così le finalità del governo e dei movimenti createsi nel Novecento condividevano la tendenza a ricercare ideali di purezza e stabilità, di classicità moderna e di sintesi87. Sia il regime che i gruppi nati in questi anni, con le loro nu-merose rivendicazioni condivisero lo stesso spirito: entrambi individuavano non solo l'impor-tanza ma il ruolo politico dell'artista. Su questa condivisione sono nate numerose polemiche sui rapporti che intercorsero tra intellettuali e le organizzazioni fasciste, tra cultura di élite e cultura di massa. Le posizioni degli studiosi sono essenzialmente due: da una parte ci fu chi ha sostenuto che durante il fascismo la cultura non era di regime; dall'altra parte chi ha am-pliato il concetto di cultura, comprendendovi anche le istituzioni fasciste utilizzate per indot-trinare i narratori, i poeti e gli artisti88.

Evento di fondamentale importanza di questo periodo fu la fondazione di numerosi sindacati: il modello su cui nascevano si fondava sulle più vecchie corporazioni artistiche, la più importante delle quali nacque nel 1895 a Venezia: la Biennale di Venezia89. Essa legava la propria ragione di vita all'economia della Serenissima proponendo così una lotta per la supre-mazia artistica con le altre città italiane90. Le corporazioni assumevano ruoli e attività diverse

84 Uzzani, Giovanna, La Toscana..., p. 125

85 Corti, Vittorio, Il mondo di Solaria, Torino, Il Grappolo, 1990, cit., p. 15 86 Uzzani, Giovanna, La Toscana, Venezia, Marsilio, 1991, cit., p. 125

87 Cioli, Monica, L'arte italiana fra nazionalismo fascista e universalismo europeo, in Mazzocca, Ferdinando (a cura di), Novecento, arte e vita in Italia tra le due guerre, Milano, Silvana Editoriale, 2013, pp. 350-358, cit., pp. 354-355

88 Salvagnini, Sileno, Artisti, mostre e colpi bassi nel Ventennio fascista, in “Arte”, vol. CXXII, n. 11, settembre 1992, pp. 71-78

89 Cioli, Monica, L'arte italiana fra nazionalismo fascista e universalismo europeo, in Mazzocca, Ferdinando (a cura di), Novecento..., p. 356

(28)

a seconda di dove si erano sviluppate e delle problematiche affrontate. In Toscana essa si op-poneva attraverso numerose attività culturali alla demagogia politica; quello lombardo invece puntava a una produzione di qualità italiana per inserirsi nel mercato europeo91.

Spinti da un'idea comune di arte e dalla tutela degli artisti stessi il 27 ottobre 1925 la critica d'arte Margherita Sarfatti e l'avvocato Giacomo Di Giacomo insieme al pittore Carlo Carrà si presentarono al Duce a nome delle numerose corporazioni lombarde, per richiedere una nuova struttura politico-organizzativa per l'arte: si domandava una più netta divisione del-la Direzione Generale delle Belle Arti; poiché le prevenzioni burocratiche, ottime per del-la con-servazione e la tutela dell'arte antica, patrimonio da conservare, non erano adatte al carattere dinamico e propulsivo della nuova arte. Proposero quindi che la Direzione, facente parte del Ministero della pubblica istruzione, fosse suddivisa in due specifiche branche: una riguardante l'arte antica e l'altra esclusivamente quella moderna-contemporanea. Carlo Carrà richiese poi un rinnovamento per dare spazio concreto all'artista, riconoscendolo come figura economica attraverso un modo espositivo e creativo disciplinato, da attuare nel riordinamento delle strut-ture espositive ed organizzative nonché attraverso un nuovo coordinamento degli istituti di credito artistico92, elementi accolti nelle prime leggi, in ambito di tutela, del 192693.

Nel 1927 si ebbe l'istituzione dei sindacati che avevano il compiti di disciplinare e vi-gilare sull'arte italiana all'interno del confine e di propulsione e propaganda per l'estero. Il fio-rire di numerose esposizioni locali fu quindi razionalizzato dal Sindacato di base provinciale, che attraverso una serie di leggi e decreti ottenuti riuscì a migliorare la situazione economica dei partecipanti ai concorsi.

Nel 1928 nacque nella rivista “Critica fascista” un forte dibattito per meglio defi-nire i compiti dei sindacati artistici nei quali intervenne anche Giuseppe Bottai94.

Le mostre sindacali furono strumento di monitoraggio in campo artistico, di promo-zione e di controllo della cultura da parte del regime. Il sistema espositivo fascista si pro-spettava come una struttura gerarchica piramidale, al vertice della quale si trovava la Bien-nale d'arte della città di Venezia, mostra a carattere internazioBien-nale, al di sotto la Quadrienna-le di Roma e la TriennaQuadrienna-le di arti decorative di Milano ed infine al gradino più basso vi erano 91 Salvagnini, Sileno, Artisti, mostre e colpi bassi nel Ventennio fascista, in “Arte”, vol. CXXII, n. 11, settembre

1992, pp.71-78, cit., p.72

92 Fossati, Paolo, Pittura e scultura fra le due guerre, in Zeri, Federico (a cura di), Storia dell'arte italiana, Torino, Giulio Einaudi Editore, 1982, pp. 175-262, cit., pp. 175-176

93 Salvagnini, Sileno, Il sistema delle arti in Italia 1919-1943, Bologna, Minerva edizioni, 2011

94 Salvagnini, Sileno, Artisti, mostre e colpi bassi nel Ventennio fascista, in “Arte”, vol. CXXII, n. 11, settembre 1992, pp. 71-78

(29)

le esposizioni sindacali. Queste erano articolate in provinciali, che costituivano un primo grado, in cui tutti gli iscritti al sindacato erano ammessi almeno con un'opera; e regionali inaugurate ogni anno nelle città principali di ognuna delle diciotto regioni, con artisti sele-zionati da una giuria formata principalmente da pittori e scultori iscritti al sindacato95.

Ripercorrendo la storia delle esposizioni sindacali, si evidenzia l'efficienza del Sinda-cato Regionale Toscano, il più attivo e precoce. I risultati furono ottenuti anche grazie alla fre-netica attività di promozione dell'indirizzo espressivo volto alla valorizzazione di una ricerca locale. In Toscana le opere prodotte si caratterizzavano attraverso il recupero e il sostegno ad una nuova forma di naturalismo, classificata come discendente dai Macchiaioli96. Solo nel 1930 i sindacati riuscirono, attraverso una serie di decreti legge, a soppiantare le vecchie cor-porazioni e le società, anche se fu nel 1933 che i sindacati raggiunsero l'apice della propria potenza e ogni artista era segnato nelle liste. Ciò coincise con le iniziative dittatoriali, non solo politiche, attuate da Mussolini che iniziò a porre numerose restrizioni anche in campo culturale: gli artisti iniziarono una iconografia retorica mostrando nelle opere, esposte alle mostre sindacali, una strada ispirata alla monografia del regime e alla celebrazione delle im-prese fasciste.

IV. Artisti e letterati

fra il Novecento Toscano e Solaria

Il Novecento e “Solaria” nascevano senza un programma definito, ma condivisero gli stessi ideali culturali come il recupero del passato e l'unione tra arte e scrittura, filtrati attra-verso una visione personale della realtà. Interessati alla dimensione autobiografica, emotiva e sentimentale le ricerche si incentrarono così sul carattere naturalistico dell'arte e sull'evidenza espressiva del racconto. Acquistavano un interesse sempre maggiore per l'introspezione rinun-ciando all'idealizzazione e allo stilismo. Numerosi sono i personaggi che aderirono volontaria-mente a questi ideali, tutti concordi nel puntualizzare l'importanza di un'arte come vita97.

95 Uzzani, Giovanna, La Toscana, Venezia, Marsilio, 1991, cit., p. 125

96 Massagli, Gioele, Le mostre promosse dal sindacato fascista delle belle arti, Mazzocca, Ferdinando (a cura di), Novecento, arte e vita in Italia tra le due guerre, Milano, Silvana Editoriale, 2013, pp. 77-84, cit., p. 80 97 Uzzani, Giovanna, Artisti e letterati fra il Novecento Toscano e Solaria, in “Bollettino d'arte”, vol. VII, n.

(30)

“Solaria” nacque nel 1926 da numerose convinzioni come il desiderio di apertura della cultura italiana nello spazio europeo, nonché lo studio e il recupero dell'antico, che furono ele-menti che furono concordati da tre universitari poco più che ventenni: Alberto Carocci, Gian-siro Ferrara e Leo Ferrero98. Mentre il gruppo Novecento Toscano aveva iniziato a condivide-re numerosi stilemi nel 1919, come documentato da Franco Dani in occasione dell'esposizione organizzata nei locali di Palazzo Antinori a Firenze, scoprendo nella pittura di Guido Ferroni, Arturo Checchi, Franco Dani, Carlo Sensani, Piero Bernardini e Romano Romanelli un ele-mento di toscanità nei partecipanti, ritrovato nella riscoperta personale dell'arte ottocentesca. Intorno a questo gruppo ben presto si unì un nucleo più ampio di pittori toscani, quali Alberto Caligiani, Silvio Pucci, Giovanni Colacicchi, Baccio Maria Bacci, Ennio Pozzi, Felice Care-na, Onofrio Martinelli, Gianni Vagnetti, Guido Peyron, Bruno Bramanti e gli scultori Marino Marini e Italo Griselli, nella seconda metà degli anni venti99. L'interesse per l'Ottocento, pro-posto sia dalla rivista che dal gruppo Novecento Toscano, non rimase esclusivo della cerchia fiorentina, ma andava anticipando un indirizzo di studio ufficializzato nel 1934, quando il se-gretario della Biennale di Venezia, Antonio Maraini, elogiò, come nuovo campo di interesse, la peculiarità del carattere naturalistico e dei riscoperti valori espressivo-narrativi100.

Il gruppo di artisti nacque ufficialmente nel 1926, quando presero in affitto la Bottega d'Arte, nella centrale via Roma, nel tentativo di creare un sindacato artistico che rifletteva l'indirizzo toscano, pur rispettando le scelte stilistiche individuali101. I progetti condivisi con “Solaria” furono la ricerca di un sodalizio che si fondava sul progetto di interdisciplinarità tra letteratura e arti figurative, dove Raffaello Franchi si impose come attivo intermediario fra i due campi di interesse. La crescente familiarità di Franchi con il gruppo Novecento Toscano fece sì che numerosi artisti partecipassero attivamente alla rivista attraverso articoli o disegni, un sodalizio attestato fin dal primo numero pubblicato102.

Attraverso “Solaria” nacque a Firenze la consuetudine, divenuta poi usuale nelle Rivi-ste del settore, di ospitare piccoli disegni, incisioni e xilografie in tavole fuori testo o inserite tra i brani di critica. Le rappresentazioni non venivano più intese come elementi decorativi, ma acquistarono una rilevanza al pari delle pagine scritte103.

98 Corti, Vittoria, Il mondo di Solaria, Torino, Il Grappolo, 1990, cit., p. 44-45

99 Uzzani, Giovanna, Artisti e letterati fra il Novecento Toscano e Solaria, in “Bollettino d'arte”, vol. VII, n. 35-36, 1986, pp. 65-102

100 Uzzani, Giovanna, La Toscana 1900-1945, in Pirovano, Carlo (a cura di), La pittura in Italia-Il novecento\1, Milano, Electa, 1992-1994, p. 380-429, cit., pp. 412

101 Uzzani, Giovanna, La Toscana, Venezia, Marsilio, 1991 102 Uzzani, Giovanna, Artisti e letterati..., p. 82

(31)

Tra le pagine si annoverano i maggiori esponenti del gruppo Novecento Toscano come le xilografie di Bruno Bramanti, i disegni compiuti da Giovanni Colacicchi, Guido Peyron, Onofrio Martinelli e Baccio Maria Bacci e gli schizzi ed i bozzetti occasionali di Italo Grisel-li, Libero Andreotti e di Franco Dani.

I rapporti tra i letterati solariani e gli artisti toscani portarono all'istituzione di un pre-mio di critica letteraria dove la giuria era composta da personaggi di ambito solariano. Il con-corso chiamato anch'esso Solaria, divenne poi noto con il nome della nota trattoria in cui i giurati si riunivano, l'Antico Fattore104.

IV.I Solaria: rivista mensile di arte e letteratura

“Solaria” fin dal primo numero si presentava divisa in tre parti; cominciava con le ope-re di fantasia, attraverso un'antologia di narratori con qualche rara poesia; la seconda parte era dedicata ai saggi critici ed infine vi era lo zibaldone, con recensioni più brevi.

Numerosi furono i parallelismi con riviste locali e nazionali come “La Voce”, “Baretti” e “La Ronda”, le quali condivisero gli insegnamenti critici. Sul versante ideologico-artistico opposto alle idee promosse da “Solaria” risultava, anche se aveva mitigato l'impostazione di propaganda fascista, la rivista “Il Selvaggio”, nelle cui pagine si trovavano le testimonianze grafiche di Carlo Carrà, Ottone Rosai e Achille Lega. Le iniziative artistiche proposte da “Il Selvaggio” si ricollocarono nella fondazione della galleria omonima in via San Zanobi a Fi-renze che, seguendo i passi della più anziana rivista “Lacerba”, divenne luogo di esposizione artistica 105.

I solariani rifuggivano dal riferimento passivo del passato, intendevano la tradizione come una riflessione dinamica della cultura, notarono però la necessità di modellare l'espe-rienza anche su voci straniere, che conduceva ad una posizione di compromesso tra la tradi-zione e la modernità, tra il passato e il presente106. Altro elemento affrontato fu la critica, una disciplina giovane e priva ancora di una tradizione. La difficoltà della critica risiedeva nelle divergenti posizioni degli artisti contemporanei che si dibattevano per un'espressione attaccata 104 Uzzani, Giovanna, Artisti e letterati fra il Novecento Toscano e Solaria, in “Bollettino d'arte”, vol. VII, n.

35-36, 1986, pp. 65-102, cit., pp. 74-78

105 Uzzani, Giovanna, La Toscana 1900-1945, in Pirovano, Carlo (a cura di), La pittura in Italia-Il novecento\1, Milano, Electa, 1992-1994, p. 380-429, cit., p. 414

106 Scotti, Manuela, Solaria e solarismo nella cultura italiana del secondo dopo guerra, in Manghetti, Giorgio (a cura di ), Gli anni di Solaria, Verona, Bi § Gi, 1986, pp. 165-170, cit., p. 167

(32)

ai sentimenti e all'emotività107. L'aprirsi verso l'Europa rappresentò un punto fermo della poli-tica solariana, anche se si esercitò, a parte qualche traduzione, solo in maniera teorica attraver-so saggi critici. Questo europeismo andava in due direzioni: portare oltralpe l'Italia e aprirla alle letterature straniere108.

Le motivazioni della cessazione di Solaria possono essere riassunte in tre elementi. Una fu proprio il programma impreciso che portò le diverse prospettive personali a creare numerose divergenze, sebbene proprio questo elemento non permise l'im-mobilità delle idee. La seconda causa si lega alla fama del poeta Eugenio Montale che dominò “Solaria” con le sue pubblica-zioni. Il successo che Montale acquistò gli consentì non solo di imporre i suoi versi, ma anche di decidere come critico chi aveva diritto di pubblicare sulla rivista. Il 4 agosto del 1930 Bonsanti scriveva a Ca-rocci dell'ormai evidente rapporto che Montale aveva con “Solaria”: più interes-sato alla parte riservata a lui che alle cose che venivano pubblicate. Oltre alle nume-rose divergenze che si stavano creando, non solo tra i collaboratori, intervenne anche la cen-sura fascista109.

Dopo il 1929 “Solaria” rinnovò il proprio organico, cambiò e ampliò i collaboratori e la veste tipografica, disperdendo il felice sodalizio che si era creato tra uomini di lettere e arti-sti, che si riversarono in altre riviste toscane di tendenza come “Il Bargello” e “Il Frontespi-zio” che acquistarono sempre più fama, proponendo un'analoga interdisciplinarità di interes-si110.

La chiusura nel 1936 di “Solaria” fu preceduta da un'agonia di due anni, legata an-107 Uzzani, Giovanna, Artisti e letterati fra il novecento toscano Solaria, in “Bollettino d'arte”, vol. VII, n.

35-36, 1986, pp. 65-102, cit., p. 90

108 Corti, Vittoria, Il mondo di Solaria, Torino, Il Grappolo, 1990, cit., pp. 58-62 109 Ibidem, pp. 65-70

110 Uzzani, Giovanna, La Toscana 1900-1945, in Pirovano, Carlo (a cura di), La pittura in Italia-Il novecento\1, Milano, Electa, 1992-1994, p. 380-429, cit., p. 411

(33)

che alla sua crisi finanziaria. La situazione che “Solaria” lasciò era deludente: i solariani pas-sarono in massa alla rivista “Letteratura” diretta da Alessandro Bonsanti, la quale si proclamò erede della più anziana rivista, mantenendo oltre che il numero di collaboratori anche la strut-tura della stessa; ma gli argomenti e temi trattati furono dedicati alla cronaca artistica del regi-me111.

IV.I.I La vita letteraria

Peyron venne introdotto nell'ambiente culturale fiorentino del primo dopoguerra dal maestro Ludovico Tommasi. Guido divenne assiduo frequentatore del caffè delle Giubbe Ros-se, entrò nel dibattito culturale partecipando in prima persona al rinnovamento fiorentino. Le amicizie strette in questi anni lo portarono a collaborare attivamente alla rivista “Solaria”112.

Gli anni di “Solaria” furono importanti per Peyron: fu allora che incontrò l'editore Val-lecchi, decisivo poi per la sua carriera. Insieme alla famiglia Vallecchi parteciperà anche a nu-merosi cenacoli, nei quali si dibattevano le più varie tematiche che spaziavano dalla gastrono-mia alla editoria. Quegli incontri furono testi-moniati sia dai numerosi ritratti che Peyron ese-guiva sia dagli inviti che spediva e che riceve-va113.

L'adesione al gruppo Novecento Toscano permise a Peyron di mostrare attraverso i suoi quadri lo spirito del tempo in cui viveva. Già agli inizi degli anni trenta Peyron risulta vicino a letterati come Raffaello Franchi e Eugenio Montale, a pittori come Baccio Maria Bacci e Ottone Rosai ed al musicista Luigi Dallapicco-la. Interessante notare come sia nel quadro di Peyron, Gli Amici dell'Atelier che in quello di Baccio Maria Bacci, Pomeriggio a Fiesole

111 Corti, Vittoria, Il mondo di Solaria, Torino, Il Grappolo, 1990

112 I disegni di Peyron sulla rivista si posso trovare: vol. IV, n. 5, marzo 1929, pag. 17; vol. IV, n. 6, aprile 1929, pag. 51; vol. VII, n. 1, settembre 1932, pag. 29

113 Archivio Eredi Peyron, lettere di ringraziamento degli inviti

Figura 1: Baccio Maria Bacci (1888-1974), Pomeriggio a Fiesole, 1926-29, olio su tela, 224x180 cm, Galleria degli Uffizi-Firenze

Riferimenti

Documenti correlati

Il premio si paga entro il 16 febbraio e l’invio online delle dichiarazioni retributive deve essere effettuato entro il 16 marzo.. I termini sono validi anche per il

I membri del Comitato dei garanti saranno proposti all'assemblea nazionale da almeno 10 (dieci) soci attivi, dal Consiglio dell' Associazione, dai soci sostenitori e dai

Questi comandi possono essere concatenati in sequenze in modo da permettere al robot di compiere vari percorsi; per esempio la sequenza di comandi descritta dalla

In sintesi il progetto si propone di: - educare alla carità; - educare alla respon- sabilità civile ed ecclesiale; - formare i professionisti del futuro con uno sguardo

In varie università, sia italiane che straniere, sono state condotte molte indagini e ricerche che confermano questo dato: le donne passano molte più ore rispetto al partner

6) Il termine per partecipare e inviare il materiale è il 28 febbraio 2022. Gli elaborati saranno valutati fino all’annuncio dei vincitori. I racconti saranno letti e valutati, da

1. Ai sensi dell’articolo 142, comma 1, lettera b), del Codice sono sottoposti a vincolo paesaggistico i territori contermini ai laghi compresi in una fascia di rispetto

OGGETTO: Approvazione schema di protocollo di intesa tra Regione Lazio, Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo e Roma Capitale, avente ad oggetto l’espressione