CAPITOLO 3. SOGGETTIVITÀ GIURIDICA E RESPONSABILITÀ PER FATTO
2. Am I not a man and a brother?
possibile? – 5. Imputabilità del fatto dannoso. – 5.1 Quali sanzioni?
1. Una vexata quaestio.
Se in molti casi la massima secondo cui nihil novi sub sole est corrisponde all’affermazione retorica di colui che vuole ostentare indifferenza e disincanto verso le incognite del futuro, quando si tratti della disputa dottrinale circa la possibilità o meno di attribuire soggettività giuridica a un’Intelligenza Artificiale, l’antico brocardo risponde pienamente a verità. Un simile dibattito ha infatti visto protagonisti gli studiosi della materia sin dagli albori della stessa.
Per potersi esprimere in senso favorevole o contrario, la questione da risolvere preliminarmente era la medesima che aveva visto contrapposti i sostenitori dell’Intelligenza Artificiale forte, convinti di poter fedelmente replicare su supporto sintetico i processi cerebrali umani198, e gli esponenti della scuola dell’Intelligenza Artificiale debole, i quali scorgevano nel computer soltanto una pallida imitazione del cervello. Si trattava in sostanza di stabilire se anche una macchina potesse pensare.
Fu probabilmente Hilary Putnam a indagare per primo la vita mentale di alcune macchine199 , giungendo a formulare l’ipotesi dell’isomorfismo psicologico tra uomo e macchina intelligente200. Tale visione consentirebbe di individuare anche in un artefatto, dotato di quello che potrebbe essere descritto come “pensiero”, il centro di imputazione di diritti e obblighi giuridici.
198 Molto chiara l’affermazione di Asimov in proposito: ci sono persone
straordinarie che sono dei geni. Tuttavia arrivano a esserlo soltanto perché gli atomi e le molecole all’interno del loro cervello sono disposti secondo un ordine particolarmente complesso. Non c’è niente nel loro cervello se non atomi e molecole. Se disponessimo gli atomi e le molecole nello stesso ordine all’interno di un computer, i prodotti della genialità dovrebbero essergli possibili. Cfr. Isaac Asimov, I nostri intelligenti attrezzi, in Visioni di robot, Op. Cit. pag. 328
199 Hilary Putnam, Mente, linguaggio e realtà, Adelphi, 1987, Milano, pp. 439 ss. 200 Giancarlo Taddei Elmi, Soggettività artificiali e diritto, Relazione tenuta il 3
giugno 2004 in occasione della chiusura del Master sul Diritto delle nuove tecnologie informatiche organizzato dal CSIG sezione di Firenze, reperibile all’indirizzo
http://www.altalex.com/documents/news/2004/06/25/soggettivita-artificiali- e-diritto
Anche la letteratura, oltre alla scienza, ha espresso la propria opinione in materia: la quasi totalità della produzione fantascientifica del più volte ricordato Isaac Asimov è segnata dal netto contrasto fra personaggi, solitamente gli antagonisti, convinti che i robot siano soltanto un ammasso di lamine di acciaio e fili di rame animato dall’elettricità201 e personaggi, connotati positivamente, disposti ad accettare l’idea che un robot sia a tutti gli effetti una persona, meritevole di riposarsi e di godere del clima natalizio202.
Lo scontro fra queste due visioni contrapposte è portato ai suoi estremi nel racconto L’uomo bicentenario203 , dove sono narrate le vicissitudini dell’androide Andrew Martin, fermamente deciso a ottenere il riconoscimento, da parte di un tribunale, della propria capacità giuridica. La vicenda si conclude positivamente, ma con un prezzo altissimo per il protagonista: egli, al fine di ottenere una sentenza favorevole, si spinge a sostituire progressivamente le componenti metalliche del proprio corpo con materiale organico, fino a raggiungere una condizione biologica analoga a quella dell’uomo ed essere condannato al suo stesso destino di morte.
201 Isaac Asimov, Robbie, in Visioni di robot, Op. Cit., pag. 62
202 Isaac Asimov, Natale senza Rodney, in Visioni di robot, Op. Cit., pag. 304
203 Il fortissimo impatto che, per la tematica affrontata, il racconto ebbe
sull’immaginario collettivo si evince anche dalla realizzazione dell’omonimo film di Chris Columbus prodotto nel 2000 sulla base della short story di Asimov.
Qualcosa di simile è recentemente accaduto in Arabia Saudita, paese che, in occasione della Future Investment Initiative tenutasi a Riad nel 2017, ha deciso di concedere la cittadinanza a Sophia, un androide progettato dalla Hanston Robotics di Hong Kong204. L’iniziativa, a carattere eminentemente pubblicitario, non sembra destinata ad avere significativi risvolti pratici nell’immediato, ma è rivelatrice di quella che potrebbe essere la direzione intrapresa in un futuro prossimo dai legislatori a livello mondiale. In chiusura del precedente capitolo si è infatti ricordata la Risoluzione del 16 Febbraio 2017 con la quale il Parlamento europeo ha esortato la Commissione a vagliare l’ipotesi di introdurre uno status giuridico specifico per i robot nel lungo termine.
Nel mondo scientifico non si è ancora raggiunta in proposito unanimità di vedute, tanto è vero che, in risposta all’iniziativa dell’Europarlamento, numerosi esperti di Intelligenza Artificiale hanno sottoscritto un appello volto a mettere in guardia i policy maker del Vecchio Continente nei confronti di una scelta giudicata inappropriata e priva di senso sia da un punto di vista etico che legale, in grado di violare i diritti umani e sintomatica di una percezione dei robot distorta
204 Silvia Morosi, L’Arabia Saudita dà la cittadinanza a Sophia, una donna robot, Il
Corriere della Sera, 30 Ottobre 2017, in
https://www.corriere.it/tecnologia/17_ottobre_30/arabia-saudita-da- cittadinanza-sophia-donna-robot-ec459068-bd47-11e7-b457-
66c72633d66c.shtml
dalla science-fiction e da alcuni recenti annunci sensazionalistici della stampa205.
Ad essere stati influenzati dalla science-fiction, quella di valore più che dubbio, cronologicamente anteriore alla rivoluzione apportata in quel campo letterario da figure quali Asimov, sembrano in realtà proprio i firmatari dell’appello. Essi sono con tutta evidenza caduti in quella che Luciano Floridi, Professore ordinario di Filosofia ed Etica dell’Informazione presso la Oxford University, ha definito come una falsa sfida, sostenuta da alcuni per impreparazione o, peggio, malafede206. 205 Vittorio Sabadin, L’appello degli scienziati contro lo stato giuridico dei robot, La Stampa, 14 Aprile 2018, in http://www.lastampa.it/2018/04/14/esteri/lappello-degli-scienziati-contro-lo- stato-giuridico-dei-robot-ONSgF09cAAkLuZcK1vpdwK/pagina.html
206 La citazione si è ricavata dall’intervento, intitolato L’intelligenza Artificiale.
Cosa cambierà nella nostra società e nella nostra vita, tenuto dal Professor Floridi presso il Politecnico di Torino in data 14 Novembre 2017. Il filmato dell’intervento è reperibile nella sua interezza sulla piattaforma YouTube, all’indirizzo https://www.youtube.com/watch?v=4JN_Dr1vPhk
Il riferimento è a tutti coloro che perseverano nel rappresentare l’Intelligenza Artificiale come una potenziale minaccia per la nostra specie, dipingendo un futuro distopico abitato da crudeli robot decisi a ridurre in schiavitù il genere umano per poi distruggerlo207.
Benché simili preoccupazioni meritino di essere considerate come interrogativi legittimi e non come irrazionali paure, si presenta oggi in tutta la sua urgenza la necessità di elaborare interventi normativi indirizzati all’aggiornamento di un panorama legislativo ormai risalente nel tempo e inadeguato, per ovvie ragioni, di fronte ai repentini cambiamenti della società. L’Intelligenza Artificiale ha fatto il proprio ingresso nella vita quotidiana di gran parte della popolazione, ponendo agli operatori giuridici questioni fino a poco tempo fa riservate alla fantascienza.
Si pensi alla tutela giuridica delle opere dell’ingegno: il legislatore del secolo scorso non poteva certamente immaginare che attività, come appunto la creazione artistica, tradizionalmente riservate in via esclusiva
207 Il tema conosce oggi una vasta eco mediatica, sostenuta anche da firme
autorevoli. Si citano, a titolo d’ esempio, due pubblicazioni fra le moltissime: Kevin Gold, Norvig vs. Chomsky and the Fight for the Future of AI, Tor.com, 21 Giugno 2011, in https://www.tor.com/2011/06/21/norvig-vs-chomsky-and- the-fight-for-the-future-of-ai/; Caleb Sharf, L'intelligenza artificiale è una minaccia?, Le Scienze, 21 Febbraio 2015, in http://www.lescienze.it/news/2015/02/21/news/intelligenza_artificiale_minac cia_ia_evoluzione_internet-2493790/
In ogni caso, è sufficiente interrogare un qualsivoglia motore di ricerca con la
combinazione dei termini “Intelligenza Artificiale” e “minaccia” per ottenere una rassegna di teorie i cui toni variano dal catastrofico al complottistico.
all’essere umano, potessero essere svolte oggi da macchine intelligenti208. Ecco allora che, mentre la legge 633/1941209 si limita a riconoscere e garantire il diritto d’autore a favore di persone fisiche e giuridiche, oggi un robot può comporre brani musicali per un album o scrivere una sceneggiatura per un film senza poter avanzare alcuna pretesa economica210.
Ma si pensi anche e soprattutto al settore della responsabilità civile e penale: se il robot impiegato lungo la catena di montaggio di una fabbrica, dopo aver erroneamente classificato un operaio umano come un potenziale ostacolo, lo colpisce e lo uccide, chi sarà chiamato a risponderne211? Se un’automobile a guida completamente automatizzata, mentre il conducente è legittimamente intento a leggere il giornale,
208 Per una trattazione diffusa dell’argomento, si rimanda a Annemarie Bridy,
Coding Creativity: Copyright and the Artificially Intelligent Author, in Stanford Technology Law Review, Vol. 5, 2012
209 Gazzetta Ufficiale 16 luglio 1941, n. 166. Legge 22 aprile 1941, n. 633.
Protezione del diritto d'autore e di altri diritti connessi al suo esercizio.
210 Lorenzo Attolico, Profili giuridici delle opere dell’ingegno create da intelligenze
artificiali, in AA. VV., Attualità del diritto d'autore. Studi in onore di Giorgio Assumma, Bibliografica Giuridica Ciampi, 2018, Roma
211 L’esempio non è puramente immaginario, ma è tratto dal saggio di Gabriel
Hallevy, The Criminal Liability of Artificial Intelligence Entities. From Science Fiction to Legal Social Control, in Akron Intellectual Property Journal, 2010, Vol. 4. L’autore prende spunto per la propria riflessione da un incidente verificatosi con dinamiche analoghe a quelle sopra illustrate in una fabbrica giapponese nel 1981. Eventi simili continuano a verificarsi, suscitando i medesimi interrogativi. Si ricorda da ultimo l’incidente mortale verificatosi nello stabilimento Volkswagen di Baunatal. Cfr. Stefano Pezzini, Robot uccide operaio in fabbrica, La Stampa, 3 Luglio 2015, in http://www.lastampa.it/2015/07/03/italia/robot-uccide- operaio-in-fabbrica-SIYuspZhMKN7uUqIwXzPcM/premium.html; Paolo di Stefano, L’incubo dei robot cattivi, Il Corriere della Sera, 3 Luglio 2015, in https://www.corriere.it/esteri/15_luglio_03/operaio-ucciso-robot-germania- 8cb182f6-215e-11e5-be97-5cd583b309bb.shtml
decide di compiere una certa manovra a seguito della quale un pedone viene bruscamente urtato, il risarcimento dei danni potrà sempre essere richiesto nei confronti del produttore del mezzo?
Come già anticipato, non si è finora giunti a una risposta univoca, di cui però adesso si avverte urgente il bisogno. Gli studiosi del XX secolo erano confortati dal fatto che no existing computer program currently possesses the sort of capacities that would justify serious judicial inquiry into the question of legal personhood212. Lo scenario è però radicalmente mutato e nel prosieguo di questo lavoro si tenterà di dimostrare innanzitutto la possibilità, perlomeno teorica, di attribuire capacità giuridica a una Intelligenza Artificiale, per poi soffermare l’attenzione sul tema dell’imputabilità del fatto dannoso.
2. Am I not a man and a brother?
È opinione di molti che anche i robot più evoluti, in quanto pur sempre artefatti, debbano essere considerati null’altro se non proprietà del loro creatore213. L’argomentazione in esame risente fortemente delle riflessioni del giusnaturalista John Locke, il quale, discutendo della proprietà, sostiene che ognuno possiede il frutto del proprio lavoro214.
212 Lawrence B. Solum, Op. Cit., pag. 1 213 Ivi, pag. 18
214 John Locke, Two Treatises of Government, Cambridge University Press, 1988,
Tuttavia, anche autori che non avevano certo letto l’opera di Locke erano giunti a conclusioni analoghe. Un esempio è rappresentato da Cartesio, laddove afferma che si può ben concepire che una macchina sia fatta in modo tale da proferire parole […], ma non si può immaginare che possa combinarle in modi diversi per rispondere al senso di tutto quel che si dice in sua presenza, come possono fare gli uomini, anche i più ottusi215. Con tutta probabilità, l’osservazione del filosofo fu suggerita dalla vista di uno degli automi che tanta fortuna ebbero in Europa tra XVII e XVIII secolo. Le realizzazioni di celebri artigiani, il più famoso dei quali è senza dubbio ancora oggi il francese
Jacques de Vaucanson216 , non pretendevano certo di riprodurre
l’intelligenza umana, ma, data la tecnologia disponibile al tempo, si limitavano a imitare un suonatore di tamburo o un bambino nell’atto di scrivere una lettera217.
I progressi della scienza hanno permesso di spingersi ben oltre, ma è ancora forte la tentazione di considerare i robot, se non meri artifici inanimati, tutt’al più alla stregua degli instrumenti genus vocale descritti
215 René Descartes, Discorso sul metodo (1637) , Mondadori, 2006, Milano, pp. 54-
55
216 Basti pensare che le vicende narrate nel film La migliore offerta (2013, regia di
Giuseppe Tornatore) traggono origine proprio dal ritrovamento di un automa attribuito, seppur erroneamente, a Vaucanson.
217 Alessandro Restelli, Androidi musicali del XVIII secolo. Tra scienza ed
attrazione, ricerca pubblicata dall’Università di Milano e reperibile all’indirizzo http://users.unimi.it/gpiana/dm12/restelli-androidi/androidi.pdf
da Varrone218 e dunque di schiavi, indipendentemente dal loro livello di complessità. Se da un lato, infatti, il crescente antropomorfismo di alcune intelligenze artificiali ci spinge ad interagire con loro in modo maggiormente empatico219 , dall’altro, il fatto che esse possano comprendere il linguaggio naturale220 e interagire con noi servendosene a loro volta ci porta ad assumere il ruolo del padrone che esige assoluta efficienza e lealtà dal proprio servitore. Un tempo, quando i computer erano macchine sotto molti aspetti ancora misteriose, ci si accostava a loro quasi con reverenza e con lo stesso timoroso rispetto si inserivano le stringhe di programmazione che consentivano di porre una domanda e ottenere una risposta. Oggi, per rivolgersi all’assistente virtuale Alexa, sviluppato da Amazon, o alla forse più nota Siri, creata da Apple, non c’è alcun bisogno di ricorrere a un linguaggio formale: basta un secco comando della voce e poi anche un bambino potrà avere a disposizione
218 Marco Terenzio Varrone, De re rustica, Liber I, 17 219 Cfr. supra nota 43
220 Per linguaggio naturale, contrapposto a quello di programmazione, si intende
qualsiasi lingua, scritta o parlata, che si è formata ed evoluta attraverso il continuo uso da parte degli esseri umani. Per una macchina comprendere il linguaggio naturale ha rappresentato, almeno fino ad oggi, un’ardua sfida. Si consideri l’enunciato “they are flying airplanes”. Esso è caratterizzato da un’ambiguità di fondo e un traduttore automatico, che non fosse in grado di comprendere il contesto in cui viene pronunciato, potrebbe alternativamente tradurlo come “sono degli aerei in volo” o “stanno facendo volare degli aerei”. Per approfondire la tematica si rimanda a Jesse Emspak, Computers Can Sense Sarcasm?, in Scientific American, 26 Agosto 2016, in https://www.scientificamerican.com/article/computers-can-sense-sarcasm- yeah-right/
tutti i benefici della tecnologia, senza alcuna necessità di conoscere le buone maniere221.
Ad ogni modo, chi sostiene l’equazione che accosta schiavi e robot dovrebbe considerare un dato significativo: sebbene l’idea che uno schiavo rappresenti una semplice res, ontologicamente impossibilitata ad essere portatrice di qualsivoglia diritto, sia diffusa e radicata, essa non risponde al vero. Sarà sufficiente considerare gli esempi di due fra le maggiori potenze schiavistiche della Storia: Roma antica e gli Stati Uniti negli anni antecedenti la Guerra Civile.
Lo schiavo romano222, così come i figli che non fossero ancora stati emancipati223, era sottoposto alla potestas del pater familias e gli era riconosciuta unicamente la capacità di agire, non quella giuridica. Poteva però essergli innanzitutto concesso da parte del dominus un peculium profecticium, ovvero un piccolo patrimonio. Il padrone, in quanto dotato di capacità giuridica, conservava la responsabilità, nei limiti del peculio stesso, per le obbligazioni contratte dallo schiavo, cui erano comunque riconosciute le facoltà di amministrare e godere della somma
221 Una divertente e allo stesso tempo molto acuta riflessione in merito viene
proposta da Ken Gordon, Cortesie tra esseri umani e assistenti digitali, Internazionale, 1/7 Giugno 2018, Numero 1258, pag. 105
222 Gaio, in apertura delle sue Institutiones, precisa subito che et quidem summa
divisio de iure personarum haec est, quod omnes homines aut liberi sunt aut servi. Cfr. Gaio, Institutiones, Liber I, 9-12
223 La Roma primitiva non conosceva la schiavitù, ecco perché la dominicia
attribuitagli224. In secondo luogo, il servus poteva sempre essere manumesso dal proprio dominus e acquistare così la condizione di uomo libero e di cittadino225.
Gli schiavi dell’America del nord non venivano considerati dalla legge come soggetti di diritto226, in linea con le riflessioni condotte da illustri pensatori del calibro di Voltaire, acceso sostenitore delle teorie che vedevano l’uomo bianco e quello di colore come appartenenti a razze distinte e non qualitativamente equivalenti227. Ora, la diffusa convinzione di trovarsi di fronte a due entità biologicamente distinte 228 e gerarchicamente ordinate non ha impedito la nascita di un vasto movimento d’opinione, in America e in Europa, a sostegno dell’abolizione della schiavitù. Nel 1787 venne costituita a Londra la Society for the Abolition of the Slave Trade e come primo risultato fu ottenuta la soppressione della tratta transatlantica (1807). Occorse invece quasi un secolo per arrivare alla Conferenza di Bruxelles (1890), in occasione della quale le stesse potenze che, con grande profitto, avevano
224 Remo Martini, Stefania Pietrini, Appunti di diritto romano privato, CEDAM,
2013, Padova, pag. 219
225 Ivi, pag. 27
226 Helen Catterall (a cura di), Judicial Cases Concerning Slavery and the Negro,
Carnegie Institute, 1926, Washington D.C., pp. 247-248
227 Leon Poliakov, Il mito ariano, Rizzoli, 1976, Milano, pag. 199
228 Bisogna ricordare che la conferma dell’esistenza del DNA si ebbe, dopo quasi
un secolo di ricerche, soltanto nel 1953, grazie agli studi di Watson e Crick. (Cfr. J. D. Watson, F. H. C. Crick, Molecular Structure of Nucleic Acids. A Structure for Deoxyribose Nucleic Acid, Nature, 25 Aprile 1953, Vol. 171, pp. 737-738)
a lungo controllato e gestito la tratta, si facevano garanti della soppressione globale della schiavitù229.
La mobilitazione abolizionista si è servita di strumenti tradizionali, come discorsi pubblici e iniziative di lobbying parlamentare, ma anche di materiale propagandistico: è ancora presente con forza nell’immaginario collettivo il medaglione realizzato da Josiah Wedgwood e divenuto la bandiera del movimento antischiavista230. Si tratta di un cerchio con al centro un uomo dai tratti africani ritratto mentre, in ginocchio e incatenato, domanda e quasi implora: “Am I not a man and a brother?”. L’invito, accolto in gran parte del Pianeta231, è ad abbandonare le distinzioni di status basate su presunte differenze biologiche o estetiche, per considerare quanto accomuna tutti gli esseri umani.
Ciò che è accaduto agli schiavi nel corso della storia non potrebbe verificarsi nuovamente a favore di un’Intelligenza Artificiale? Non potrebbe esserle dapprima riconosciuta una seppur limitata capacità di agire, fino a maturare la convinzione che un’entità dotata di un pensiero in tutto simile a quello umano può vantare diritti ed essere chiamata a rispettare doveri in maniera non diversa da un uomo?
229 Gino Satta, Schiavitù, in Parolechiave, Fascicolo 1, Gennaio-Giugno 2016, pp.
11-12
230 Ivi, pag. 12
231 Il ricordato saggio di Gino Satta prende le mosse da un’analisi delle tante