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Veicoli a guida autonoma e responsabilità per fatto illecito delle Intelligenze Artificiali.

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Academic year: 2021

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INDICE

INTRODUZIONE ... 1

CAPITOLO 1. L’INTELLIGENZA ARTIFICIALE, LA ROBOTICA E I VEICOLI A GUIDA AUTONOMA ... 7

1. Questioni definitorie. ... 7

2. (segue) L’approccio pragmatico di Alan Turing. ... 10

2.1 Il gioco dell’imitazione. ... 12

3. John Searle, la Chinese Room e la IA Debole. ... 13

3.1 Un paragone infondato. ... 15

4. Solo un gioco? ... 17

4.1. Il problema della conoscenza. ... 18

4.2. La logica dei predicati del primo ordine. ... 19

5. Machine learning. ... 21

5.1 Sviluppi e applicazioni del machine learning. ... 23

6. La robotica: un corpo per un’anima. ... 26

7. (segue) Il business della robotica ... 29

8. Molti benefici in molti settori: la domotica. ... 31

8.1 Robotica e healthcare ... 33

9. Un futuro senza lavoro? ... 36

10. Auto a guida autonoma: un futuro senza l’uomo. ... 38

10.1 Un’attività rischiosa ... 39

10.2 La tecnologia della driverless car. ... 42

10.3 Le promesse della driverless car technology. ... 45

10.4 Un terreno fertile per la ricerca. ... 47

10.5 Quale scenario per l’Europa? ... 50

CAPITOLO 2. GUIDA AUTONOMA E RESPONSABILITÀ CIVILE PER DANNI DA CIRCOLAZIONE STRADALE ... 54

1. Un problema sempre più attuale. ... 54

2. L’Italia: tra Codice Civile e avanguardia tecnologica. ... 56

2.1 Il (nuovo) ruolo del produttore. ... 58

2.2 Il decreto smart road e il futuro della ricerca. ... 61

3. I (maldestri) tentativi del Regno Unito e della Germania. ... 66

4. Quale forma di responsabilità? ... 70

4.1 Il modello statunitense. ... 72

4.2 Il modello italiano ed europeo. ... 76

4.3 La via da percorrere. ... 82

5. Ripensare la mobilità. ... 85

6. Scenari futuri: oltre la responsabilità del produttore. ... 88

CAPITOLO 3.SOGGETTIVITÀ GIURIDICA E RESPONSABILITÀ PER FATTO ILLECITO DELLE INTELLIGENZE ARTIFICIALI ... 92

1. Una vexata quaestio. ... 92

2. Am I not a man and a brother? ... 99

3. Mancanze. ... 105

3.1 Copia e originale. ... 106

3.2 Libera volontà. ... 109

4. L’unica equazione possibile? ... 113

5. Imputabilità del fatto dannoso. ... 118

5.1 Quali sanzioni? ... 123

BIBLIOGRAFIA ... 127

SITOGRAFIA ... 134

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INTRODUZIONE

Due sogni, più di altri, hanno da sempre spinto la fantasia dell’Uomo oltre i limiti segnati dalla realtà contingente. Il primo è rappresentato dal desiderio di ricreare la vita in modo artificiale, non legato cioè alle regole biologiche assegnate dalla Natura alla nostra specie.

La letteratura mondiale, a partire dai poemi omerici, è ricca di testimonianze in tal senso. Nel diciottesimo libro dell’Iliade, infatti, vengono descritte così le aiutanti del dio greco Efesto: ancelle, tutte d’oro, e a vive/Giovinette simíli, entro il cui seno/ Avea messo il gran fabbro e voce e vita/E vigor d’intelletto e delle care/Arti insegnate dai Celesti il senno.

Sono moltissimi gli esempi che si potrebbero ancora citare, passando per il Golem del rabbino Loew e la creatura del Dottor Frankenstein, fino agli automi descritti dal drammaturgo Karel Capek nel suo R.U.R., acronimo per Rossum’s Universal Robots, il testo teatrale del 1921, in cui per la prima volta compare la parola robot, di etimo cecoslovacco e traducibile grossomodo con “lavoro forzato”, impiegata per indicare un essere umano artificiale.

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I robot di Capek conobbero una grandissima fortuna grazie al loro impiego in numerosi racconti fantascientifici scritti nei primi decenni del XX secolo. La quasi totalità di essi era tuttavia percorsa da quella che Isaac Asimov, il padre della robotica, ha definito “sindrome di Frankenstein”, ovvero la costante paura che l’essere artificiale potesse ribellarsi al suo creatore e infine distruggerlo, come del resto accade anche nella vicenda del Golem e in quella narrata in R.U.R.

Fu proprio Asimov ad inaugurare, con il suo racconto del 1939 Robbie, una nuova stagione letteraria destinata a influenzare grandemente l’immaginario collettivo. A partire da quella data, che assumiamo come simbolico spartiacque, i robot non vengono più pensati e presentati come potenziali minacce al genere umano, ma come utili collaboratori nei campi più disparati dell’esistenza: dall’educazione alla sanità, dalla cura dell’infanzia al mondo dei trasporti.

È quest’ultimo settore in particolare a riportarci al tema di apertura di questa introduzione. Il secondo sogno che ha costantemente stimolato l’immaginario umano è infatti proprio quello della velocità, ovvero la possibilità di muoversi sul Pianeta sfidando ancora una volta le leggi della fisica e della biologia, come ci indicano chiaramente il mito di Icaro o la bicicletta immaginata da Leonardo da Vinci.

Entrambe le aspirazioni cui abbiamo accennato, automazione e velocità, si sono oggi trasformate in realtà e si sono incontrate, come

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prospettato da Asimov nei suoi racconti, proprio nel mondo dell’automotive.

I veicoli immaginati per la prima volta nel 1886 dall’ingegnere Carl Benz corrono oggi sulle nostre strade richiedendo un intervento sempre minore da parte di un conducente umano, progressivamente sostituito nelle sue funzioni da un software capace di svolgere compiti essenziali quali regolare la velocità, evitare improvvise uscite di strada o individuare il percorso più breve per raggiungere la destinazione desiderata.

Siamo in sostanza di fronte a uno dei robot descritti da tanta letteratura del Novecento: un automa, non necessariamente dotato di un aspetto esteriore antropomorfo, capace di svolgere, più rapidamente e con maggiore efficienza, quei compiti che soltanto gli uomini, tra gli esseri viventi, riescono ad assolvere.

Come dobbiamo però rapportarci ad esso? Bisogna immaginarlo come un mero esecutore di istruzioni dettagliatamente e inesorabilmente impresse nei suoi circuiti dal costruttore o piuttosto come un essere dotato della facoltà di compiere scelte autonome e quindi, in ultima analisi, sottratto all’eterodirezione della propria condotta?

I risvolti giuridici variano molto a seconda che si decida di seguire l’una o l’altra impostazione. Nel primo caso, un anomalo funzionamento da parte dell’automa potrebbe essere imputabile esclusivamente a un

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errore nella progettazione o nella realizzazione della macchina stessa, errore le cui conseguenze, in caso di evento dannoso, verrebbero con tutta evidenza addossate al costruttore.

Se si dovesse invece giungere al riconoscimento, in capo all’automa, di quello che possiamo definire, senza impiego di terminologia tecnica, come “libero arbitrio”, il quadro muterebbe radicalmente, in quanto sarebbe ragionevole attendersi che sia lo stesso automa chiamato a rendere conto del prodotto delle proprie azioni.

Nelle pagine che seguono si tenterà di descrivere più dettagliatamente proprio tali questioni: la nascita e lo sviluppo dell’Intelligenza Artificiale, la sua applicazione all’industria dell’autoveicolo e le conseguenti ricadute etico-giuridiche, con una specifica attenzione nei confronti della responsabilità civile connessa con la circolazione stradale.

L’analisi verrà condotta calando le problematiche considerate all’interno della disciplina normativa attualmente vigente nel nostro Paese, allo scopo di indagare se essa offra strumenti idonei a fornire efficaci soluzioni alle criticità che verranno progressivamente poste in evidenza.

Qualora il quadro giuridico di riferimento dovesse rivelarsi in parte inadeguato di fronte alle sfide incalzanti della modernità, tenteremo di proporre alcune modeste soluzioni suggerite dalla lettura dei più

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recenti e autorevoli contributi del mondo accademico e giurisprudenziale, sempre accompagnati in questo percorso di indagine dalle invenzioni letterarie del già ricordato Isaac Asimov, anticipatrici di dilemmi futuri e utili spunti per la loro soluzione.

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⎯ Adesso le Macchine capiscono quello che l’Umanità per tanto tempo non ha capito. Nessuno potrà fermarle, dal momento che gestiscono i fattori in gioco come questi ultimi hanno sempre gestito le vicende della Società Umana. […]

⎯ È terribile!

⎯ Forse è fantastico. Pensi che d’ora in poi tutti i conflitti saranno evitabili. Solo le Macchine saranno inevitabili. Isaac Asimov, Conflitto evitabile, 1950

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CAPITOLO PRIMO

L’INTELLIGENZA ARTIFICIALE, LA ROBOTICA E I VEICOLI A GUIDA AUTONOMA

SOMMARIO: 1. Questioni definitorie. – 2. (segue) L’approccio pragmatico di Alan Turing. – 2.1 Il gioco dell’imitazione. – 3. John Searle, la Chinese Room e la IA debole. - 3.1 Un paragone infondato. – 4. Solo un gioco? – 4.1 Il problema della conoscenza. – 4.2 La logica dei predicati del primo ordine. – 5. Machine learning. – 5.1 Sviluppi e applicazioni del machine learning. – 6. La robotica: un corpo per un’anima. – 7. (segue) Il business della robotica. – 8. Molti benefici in molti settori: la domotica. – 8.1 Robotica e healthcare – 9. Un futuro senza lavoro? – 10. Auto a guida autonoma: un futuro senza l’uomo. – 10.1 Un’attività rischiosa. – 10.2 La tecnologia della driverless car. – 10.3 Le promesse della driverless car technology. - 10.4 Un terreno fertile per la ricerca. - 10.5 Quale scenario per l’Europa?

1. Questioni definitorie.

Tentare di individuare una definizione soddisfacente e al medesimo tempo scientificamente rigorosa per il termine Intelligenza Artificiale non è mai stato compito facile neppure per le personalità di spicco in questo ambito del sapere. Molti sono stati i tentativi in tal senso che si sono rivelati piuttosto deludenti.

Elaine Rich, autore di un manuale universitario sotto alcuni aspetti ancora attuale, definisce l’Intelligenza Artificiale come lo studio che ha come scopo quello di mettere in grado i calcolatori di fare cose in cui,

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per il momento, gli esseri umani sono più abili1. Oltre a essere piuttosto vaga, la definizione appena ricordata sembra poter essere contraddetta da una semplice osservazione: una stampante 3D, strumento piuttosto diffuso al giorno d’oggi, è in grado di riprodurre svariati oggetti in tre dimensioni e con una cura di dettagli di gran lunga superiore a quella realizzabile dalla maggior parte degli esseri umani (compreso l’autore del presente scritto). Cionondimeno si stenterebbe ad accostare ad una stampante 3D l’aggettivo “intelligente”2.

Altri autori hanno invece preferito concentrarsi sugli attributi che ci si attenderebbe essere in possesso di un’entità qualificabile come intelligente. Gabriel Hallevy, per citare un esempio, stila un elenco in cui si ricomprendono rispettivamente la capacità di comunicare, la consapevolezza di sé, la consapevolezza dell’ambiente esterno, un comportamento diretto al raggiungimento di un obiettivo e, infine, la creatività, intesa come l’abilità di intraprendere un’iniziativa alternativa qualora quella originaria si sia dimostrata fallimentare con riguardo al raggiungimento dello scopo prefissato3.

1 E. Rich, Intelligenza Artificiale, McGraw-Hill, 1986, Milano, pag. 15

2 Per una disamina approfondita dello strumento Cfr. Bernhard Mueller, Additive

Manufacturing Technologies – Rapid Prototyping to Direct Digital Manufacturing, Assembly Automation, Vol. 32, 2012; Nora F. Engstrom, 3-D Printing and Product Liability: Identifying the Obstacles, University of Pennsylvania Law Review Online, Vol. 162, 2013

3 Gabriel Hallevy, The Criminal Liability of Artificial Intelligence Entities – from

Science Fiction to Legal Social Control, Akron Intellectual Property Journal, Vol. 4, 2010, pp. 175 ss.

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Anche questo catalogo, seppur senza dubbio molto suggestivo, presta il fianco a facili obiezioni. Si potrebbe per esempio domandare cosa esattamente si intenda per consapevolezza di sé o dell’ambiente circostante e quali dovrebbero essere le azioni necessarie al fine di dimostrare di possederle entrambe.

Non si vuole certamente svolgere qui un esercizio meramente retorico o svilire importanti contributi dottrinali, quanto piuttosto evidenziare un problema preliminare cui nemmeno John McCarthy, per sua stessa ammissione4, ha saputo dare risposte universalmente accettate dalla comunità scientifica5.

Il nome di McCarthy non viene citato casualmente, in quanto egli, insieme a figure quali Marvin Minsky della Harvard University, Nathaniel Rochester della I.B.M. Corporation e Claude Shannon dei Bell Telephone Laboratories, fu una delle figure di spicco della Conferenza di Dartmouth, tenutasi in California nell’estate del 19566 e

unanimemente considerata come l’inizio ufficiale dell’era

dell’Intelligenza Artificiale.

4 John McCarthy, What is Artificial Intelligence?,

http://www-formal.stanford.edu/jmc/whatisai.pdf

5 Matthew U. Scherer, Regulating Artificial Intelligence Systems: Risks, Challenges,

Competencies and Strategies, Harvard Journal of Law & Technology, Vol. 29, 2016

6 John McCarthy, Marvin L. Minsky, Nathaniel Rochester, Claude E. Shannon, A

Proposal for the Dartmouth Summer Research Project on Artificial Intelligence,

1955, in

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2. (segue) L’approccio pragmatico di Alan Turing.

L’idea accomunante gli scienziati riunitisi a Dartmouth7 era che i processi del pensiero potessero aver luogo al di fuori della mente umana e che il miglior modo per riprodurre quei processi fosse il computer8.

La medesima tesi era condivisa dal matematico Alan Turing, il quale, nel celebre articolo On Computable Numbers, with an Application to the Entscheindungsproblem (1936), introduce la figura delle macchine calcolatrici astratte, dette in seguito appunto Macchine di Turing (MT)9.

Le MT sono macchine astratte nel senso che non viene assolutamente presa in considerazione nella loro descrizione la componente hardware, ovvero la realizzazione fisica, materiale, da cui dipendono, ad esempio, le dimensioni della memoria o i tempi di calcolo. La macchina ipotizzata opera i suoi calcoli servendosi di un nastro monodimensionale di lunghezza variabile sia a sinistra sia a destra , suddiviso in celle come un quaderno di aritmetica per bambini10. Ogni cella contiene un simbolo indicante un’operazione di calcolo (fig.1).

7 McCarthy afferma esplicitamente che ogni aspetto dell’apprendimento o

ogni altra caratteristica dell’intelligenza può essere descritta in modo talmente preciso da consentire la costruzione di una macchina in grado di simularla, Cfr. John McCarthy, Marvin L. Minsky, Nathaniel Rochester, Claude E. Shannon, Op. Cit.

8 Graziella Tonfoni Schneider, Introduzione, in John R. Searle, Menti, cervelli e

programmi. Un dibattito sull’Intelligenza Artificiale, Clup, 1984, Milano, pag. 15

9 Marcello Frixione, Algoritmi, macchine di Turing e computabilità, in Gianni

Vercelli, Renato Zaccaria, Informatica, Editoriale Scientifica, 1998, Napoli, pag. 3

10 Alan Turing, On Computable Numbers, with an Application to the

Entscheindungsproblem, in

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L’insieme di tali simboli, che possiamo definire come l’alfabeto della MT e schematizzare in questi termini

∑≡⎨S1, S2, …, Sn⎬

rappresenta un insieme finito, cui tuttavia può essere aggiunto un numero indefinito di nuovi simboli ricavati dalla ricombinazione di quelli dati, analogamente a quanto avviene nella numerazione decimale mediante cifre arabe11.

fig.1-Rappresentazione di una MT proposta da M. Frixione

Pochi anni prima della Conferenza, nello scritto Computing Machinery and Intelligence, Turing sostiene che macchine del tutto simili a quelle già descritte nel 1936 saranno in grado, in un futuro prossimo, di imitare qualsiasi attività cognitiva umana. Tale visione, in base alla quale ogni attività mentale sarebbe simulabile da un dispositivo

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dotato della medesima potenza computazionale di una MT, può essere formulata nel modo seguente: ogni attività cognitiva è T-computabile12.

Giunto a questa conclusione, il matematico britannico ritiene del tutto superfluo tentare di definire l’intelligenza o domandarsi se una macchina possa pensare e propone un approccio squisitamente pragmatico alla questione: riterremo intelligente una macchina ogniqualvolta essa, attraverso il proprio comportamento, ci convinca di essere tale.13

2.1 Il gioco dell’imitazione.

Nell’immaginario di Turing la macchina, per guadagnarsi l’appellativo di intelligente, dovrà cimentarsi in un gioco di imitazione con uno sfidante umano.

A entrambi i partecipanti vengono rivolte alcune domande da parte di un giudice di gara posto in un’altra stanza rispetto a quella dove si trovano gli sfidanti e quindi non in grado di distinguere l’uomo dall’artefatto. Le domande possono vertere su qualsiasi argomento e ciascun concorrente, attraverso le proprie risposte, deve convincere il giudice circa la propria natura umana. Se il giudice sarà tratto in inganno

12 Ivi, pag. 14

13 Lawrence Solum, Legal Personhood for Artificial Intelligences, North Carolina

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almeno nella metà dei turni di gioco, allora la macchina dovrà essere a pieno titolo qualificata come intelligente14.

3. John Searle, la Chinese Room e la IA Debole.

La validità dell’esperimento proposto da Turing viene radicalmente contestata da John Searle, professore presso il Dipartimento di Filosofia dell’Università di Berkeley15.

Searle, dopo aver premesso di non possedere alcuna conoscenza in merito alla lingua cinese, immagina di essere rinchiuso in una stanza al cui interno si trovano alcuni testi scritti appunto in cinese e pertanto a lui non comprensibili.

In un secondo momento, nella stanza viene introdotto un manuale, questa volta scritto in inglese, che contiene le indicazioni per decifrare gli ideogrammi presenti nel primo testo e per ricombinarli così da formulare frasi di senso compiuto che saranno trasmesse poi all’esterno.

Chi si trovi al di là della porta e veda giungere i messaggi scritti correttamente in cinese sarà portato a credere che all’interno della stanza si trovi un madrelingua cinese.

Accadrebbe qualcosa di analogo, continua Searle, se operassimo una sostituzione dei protagonisti del racconto. Immaginiamo infatti che

14 per una descrizione completa del gioco dell’imitazione Cfr. Ivi, pag. 2 15 John R. Searle, Menti, cervelli e programmi. Un dibattito sull’Intelligenza

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ad essere rinchiuso sia un computer e che al posto di un manuale di istruzioni vi sia un programma ideato per rendere il computer stesso capace di formulare e trasmettere testi di senso compiuto servendosi degli ideogrammi cinesi: i destinatari dei messaggi sarebbero portati a credere di aver a che fare ancora una volta con un essere umano e non con una macchina, benché questa si limiti ad eseguire le operazioni indicategli dal programmatore.

Nell’ottica del filosofo, dunque, non sono condivisibili le teorie sostenute dalla scuola della cosiddetta Intelligenza Artificiale Forte, in forza delle quali il computer non è semplicemente uno strumento nello studio della mente; piuttosto, se opportunamente programmato è realmente una mente, nel senso che i computer, cui siano stati dati i programmi giusti, capiscono e hanno altri stati cognitivi16.

Meritevole di sostegno sarebbe invece la corrente di pensiero nota come Intelligenza Artificiale Debole, secondo cui potrebbero essere costruite esclusivamente macchine in grado di simulare il comportamento umano, senza però aspirare a eguagliarlo o, addirittura, superarlo.

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3.1 Un paragone infondato.

L’argomentazione proposta da Searle sembra essere molto convincente. Dobbiamo allora arrenderci all’idea che l’espressione “macchine intelligenti” sia soltanto un ossimoro? Dobbiamo ritenere che il sogno degli scienziati riuniti a Dartmouth, ovvero comprendere il funzionamento del cervello umano e riprodurlo senza l’ausilio di un supporto biologico, fosse una chimera condannata per sempre ad un destino di irrealizzabilità?

A questi interrogativi si deve dare, ad avviso di chi scrive, risposta negativa per una ragione di ordine logico. Si consideri ancora per un istante il racconto della Stanza Cinese. L’operazione svolta dal computer non è posta in correlazione con alcuno stimolo esterno. Il programma fa memorizzare alla macchina una serie di caratteri. Sarà poi sempre il programma a indicare come comporre tali caratteri in modo da formare frasi di senso compiuto, ovvero semanticamente corrette. Tale operazione è sufficiente per la buona riuscita dell’esperimento: i destinatari dei messaggi saranno tratti in inganno.

Nell’esperimento ideato da Turing, al contrario, la macchina non si limita a riproporre pattern linguistici predeterminati e svincolati da qualsivoglia contesto, ma deve partecipare al gioco servendosi delle proprie competenze sintattiche per formulare risposte di senso compiuto sempre adeguate alle nuove domande del giudice.

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Un semplice esempio potrà chiarire quanto sopra esposto. Nel caso della Stanza Cinese, per convincere coloro posti al di là della porta che al suo interno si trovi un madrelingua cinese, sarebbe sufficiente che pervenissero loro messaggi sintatticamente e semanticamente corretti, indipendentemente dal loro contenuto. “La capitale della Federazione Russa è Mosca” sarebbe utile allo scopo tanto quanto “Il 41° Presidente degli Stati Uniti fu George Bush Senior”.

Immaginiamo invece che, nel gioco dell’imitazione, alla domanda del giudice “Quale strumento viene solitamente impiegato per la cottura delle torte?”, seguisse la risposta “La capitale della Federazione Russa è Mosca”. Si tratta senza dubbio di un enunciato morfosintatticamente esatto, ma al tempo stesso privo di correlazione con la domanda posta ai concorrenti: il giudice di gara avrebbe gioco facile nello stabilire che chi ha formulato quella risposta non è il concorrente umano.

In conclusione, risulta del tutto evidente come l’argomentazione condotta da Searle non sia idonea a contraddire le ipotesi formulate da Turing, in quanto fondata su di un paragone fra elementi non omogenei (la Stanza Cinese e il gioco dell’imitazione) e dunque incomparabili.

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4. Solo un gioco?

Ora, anche nel caso in cui si dovesse sostenere il predominio dell’Intelligenza Artificiale Forte, sarebbe inevitabile domandarsi a che scopo verrebbero fedelmente riprodotti per via artificiale i processi propri del cervello umano: forse per riuscire vincitori in una sfida di abilità fra scienziati?

La risposta non può certamente essere questa. Scopo dell’Intelligenza Artificiale è piuttosto quello di essere impiegata in diversi settori per risolvere problemi complessi secondo parametri di rapidità ed efficienza almeno pari, quando non superiori, a quelli umani.

Qualcuno potrebbe far notare come in realtà uno dei primissimi impieghi dei calcolatori elettronici si sia registrato in un contesto apparentemente futile, ovvero quello dei giochi quali gli scacchi o la dama17. Anzi, Charles Babbage, prima ancora che simili calcolatori fossero realizzati, pensava che la Macchina Analitica da lui immaginata avrebbe potuto essere programmata proprio per giocare una partita a scacchi. Nel programma stilato per la Conferenza di Dartmouth, inoltre, il gioco degli scacchi trova una menzione esplicita18 e, in tempi a noi più vicini, il programma Deep Thought, sviluppato dalla Carnegie University e perfezionato dalla I.B.M., ha affrontato, pur riuscendone sconfitto, lo

17 Elaine Rich, Op. Cit., pp. 135 ss.

18 John McCarthy, Marvin L. Minsky, Nathaniel Rochester, Claude E. Shannon, Op.

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scacchista di fama mondiale Garry Kasparov19. Non più di un decennio fa, infine, il colosso dell’elettronica di consumo Microsoft, al culmine di una battaglia commerciale condotta con Sony Corporation e Nintendo, ha lanciato sul mercato il dispositivo Kinect che, sfruttando le più innovative tecnologie, consente al giocatore di videogames di interagire con la console di gioco utilizzando esclusivamente i movimenti del proprio corpo, senza la necessità di impugnare alcun dispositivo fisico, quale un comune joystick20.

4.1. Il problema della conoscenza.

Vi è una ragione fondamentale per cui il dominio dei giochi è da sempre risultato molto adatto ad un’esplorazione dell’intelligenza delle macchine: ingaggiando una partita con esse, risulta piuttosto semplice misurarne il successo o il fallimento nello scopo assegnato.

Resta, tuttavia, un problema di non facile soluzione. Contrariamente a quanto si potrebbe immaginare, infatti, anche i giochi più diffusi, come sicuramente sono gli scacchi, richiedono una grande quantità di conoscenza. Sarà sufficiente svolgere un semplice calcolo: uno scacchista ha mediamente 35 mosse a disposizione per ogni turno. In una partita media ogni giocatore può compiere circa 50 mosse. Dunque,

19 Lawrence Solum, Op. Cit., pag. 2

20 Martin Ford, Rise of the Robots. Technology and the Threat of a Jobless Future,

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per esaminare l’albero completo del gioco, si dovrebbero esaminare approssimativamente 35100 posizioni21.

4.2. La logica dei predicati del primo ordine.

Appurato che uno dei problemi più importanti nel campo dell’Intelligenza Artificiale è costituito dalla grande quantità di conoscenza necessaria per risolvere questioni complesse22, veniamo adesso alla seconda questione. Per potere essere adeguatamente manipolata e trasfusa all’interno di un elaboratore elettronico, tale conoscenza deve essere rappresentata per mezzo di formalismi flessibili, fra i quali, almeno agli albori dell’Intelligenza Artificiale, sembra essere stato prescelto il formalismo logico.

Scrive infatti Robert Kowalski che employed as a language for communicating with computers, logic is higher-level and more human-oriented than other formalism specifically developed for computers23.

Il formalismo logico, e in particolar modo la logica dei predicati del primo ordine, rappresenta un potente strumento grazie al quale derivare nuova conoscenza a partire da quella già acquisita, attraverso il

21 Elaine Rich, Op. CIt., pag. 36

22 per una disamina esaustiva dei problemi connessi con la rappresentazione

della conoscenza Cfr. Massimo Costa, La rappresentazione della conoscenza nei sistemi esperti, Tesi di laurea edita, Università Degli Studi di Genova, AA 1987/1988

23 Robert Kowalski, Preface, in Logic for Problem Solving, North Holland, 1979,

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procedimento di deduzione matematica24. Il valore di verità del nuovo enunciato sarà determinato dal fatto che esso consegue dagli enunciati già noti e sulla cui verità non si controverta.

Si consideri un tipico esempio di sillogismo: a) Tutti i toscani sono italiani (premessa maior) b) Tutti gli italiani sono europei (premessa minor) c) Tutti i toscani sono europei (conclusione)

Possiamo affermare che la conclusione c è vera in quanto consegue logicamente dagli enunciati a e b.

È possibile tentare ora di tradurre in termini formali il sillogismo proposto. Dati i seguenti operatori logici

B Ù

possiamo affermare che

∀x (Px ⇒ Qx) (premessa maior)

∀x (Qx ⇒ Rx) (premessa minor)

∀x (Px ⇒ Rx ) (conclusione)

24 per una introduzione alla logica dei predicati Cfr. Dario Palladino, Logica e

didattica, dispense del Dipartimento di Filosofia dell’Università di Genova, in http://www.dif.unige.it/epi/hp/pal/IRRE-RelazW8.pdf _costanti individuali: _variabili individuali: _costanti predicative _connettivi proposizionali: _quantificatore universale/esistenziale: _parentesi aperta e chiusa:

a, b, c, … x, y, z, … P, Q, R, … ¬, ∧, ∨, ⇒, ⇔ ∀, ∃ ( )

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5. Machine learning.

È importante sottolineare come nel corso degli anni siano state proposte svariate tecniche di rappresentazione della conoscenza (reti semantiche, regole di produzione, frames)25.

Non è tuttavia questa la sede per darne conto dettagliatamente, anche perché, indipendentemente dalla tecnica impiegata, resta pur sempre un grande limite. La conoscenza posseduta dal calcolatore è determinata dagli input immessi dal programmatore e gli eventuali nuovi enunciati, derivando da premesse già note, non apportano in realtà nuova conoscenza.

Ci troviamo, in ultima analisi, di fronte ad una situazione simile a quella di un allievo rinchiuso in una stanza senza finestre e senza alcuna possibilità di contatto con l’esterno, se non per mezzo dei libri che gli vengano periodicamente consegnati. Egli potrà apprendere solo quanto vi troverà scritto e l’elaborazione di nuovi concetti sarà inevitabilmente il frutto di una deduzione, più o meno rigorosamente condotta, a partire da concetti noti. L’allievo, come la macchina, è in sostanza incapace di acquisire nuova conoscenza.

25 Marvin Minsky, A Framework for Representing Knowledge. MIT-AI Laboratory

Memo 306, June, 1974, consultabile in http://courses.media.mit.edu/2004spring/mas966/Minsky%201974%20Frame work%20for%20knowledge.pdf

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A proposito della Macchina Analitica di Babbage, è stato opportunamente notato che essa non ha alcuna pretesa di creare qualcosa. Essa può fare qualunque cosa noi sappiamo come ordinarle di fare26. Ma una macchina può dirsi intelligente fin tanto che si limiti ad eseguire pedissequamente quanto le viene impartito?

Senza dubbio no, dal momento che l’apprendimento, definito in Psicologia come il cambiamento nel comportamento di un soggetto in una data situazione determinato da sue ripetute esperienze di quella situazione27, viene considerato come una delle caratteristiche essenziali dell’intelletto umano28.

Il dilemma è antico tanto quanto l’Intelligenza Artificiale stessa. Fu infatti Arthur Samuel, uno degli scienziati presenti a Dartmouth, a coniare nel 1959 l’espressione machine learning29, per indicare l’abilità di un calcolatore elettronico di ricavare in maniera autonoma un nuovo modello di comportamento a partire dalla raccolta di dati30. Si deve sempre a Samuel l’elaborazione del primo programma dotato di una tale

26 A. Lovelace, Notes upon L.F. Menabrea’s Sketch of the Analitycal Engine Invented

by Charles Babbage, in P. Morris, E. Morrison, Charles Babbage and His Calculating Engines, Dover, 1961, New York, pag. 284

27 Lucia Mason, Psicologia dell’apprendimento e dell’istruzione, Il Mulino, 2006,

Bologna, pp. 11 ss.

28 Cary Coglianese, David Lehr, Regulating by Robot: Administrative Decision

Making in the Machine-Learning Era, Georgetown Law Journal, Vol. 105, 2017, pp. 1149 ss., reperibile in http://ssrn.com/abstract=2928293

29 Arthur Samuel, Some Studies in Machine Learning Using the Game of Checkers,

IBM Journal of Research and Development, Vol. 3, 1959, pp. 210-229.

30 Phil Kim, Machine Learning, in MATLAB Deep Learning, Apress, 2017, Berkeley,

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qualità. Si trattava nello specifico di un programma per il gioco degli scacchi che migliorava le proprie prestazioni basandosi sull’esperienza raccolta nel corso delle partite giocate31.

5.1 Sviluppi e applicazioni del machine learning.

La nostra epoca viene spesso definita come epoca dei big data32, caratterizzata cioè da una sempre più imponente mole di dati provenienti da sorgenti eterogenee e che pongono interrogativi circa le modalità più adatte per estrarli, archiviarli e trarne un qualche vantaggio.

Viene qui in soccorso proprio il machine learning, che viene oggi suddiviso in quattro categorie33. La prima viene definita supervised learning e consiste nel fornire alla macchina una serie di input cui vengono associati gli output desiderati. La macchina identifica il pattern logico che collega l’input A all’output B e sarà in grado di applicare il medesimo ragionamento qualora si trovi di fronte ad un nuovo input, simile ad A, al quale non sia già stato abbinato in partenza l’output desiderato.

31 Arthur Samuel, Op. Cit.

32 Davide Colombo, Ecco come algoritmi e big data misurano in tempo reale fiducia

e inflazione, Il Sole 24 Ore, 06 Luglio 2018, http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2018-07-05/ecco-come-algoritmi-e-

big-data-misurano-tempo-reale-fiducia-e-inflazione-174634.shtml?uuid=AEXZmeHF; Martin Ford, Op. Cit., pag. XV

33 per la descrizione delle varie tipologie di machine learning si è fatto riferimento

a Kimberly Nevala, The Machine Learning Primer. A SAS Best practice e-book, https://www.sas.com/content/dam/SAS/en_us/doc/whitepaper1/machine-learning-primer-108796.pdf

(25)

Gli impieghi di tale tecnica vanno dalla classificazione dei consumatori in base alle loro preferenze, alla loro storia personale e al loro comportamento34, fino alla determinazione del livello di rischio per un paziente di incorrere in una complicazione medica35.

La seconda tipologia è il cosiddetto semi-supervised learning, in base al quale alla macchina vengono forniti una serie di input forniti dei corrispettivi output e una serie di input isolati, cui la macchina provvederà ad associare un output basandosi sulle relazioni già perfezionate fornite dal programmatore.

Anche in questo caso gli usi sono molteplici e spaziano

dall’identificazione di immagini caratterizzate da contenuti

potenzialmente offensivi, alla catalogazione dei siti web in base ai criteri più diversi36.

Con l’espressione unsupervised learning si indica la terza categoria di machine learning, quella ideata basandosi sulle modalità attraverso cui gli uomini osservano comunemente il mondo. Alla macchina viene fornita una grande quantità di dati senza le relative risposte: sarà il calcolatore, attraverso la propria analisi, a dover stabilire

34 Cade Metz, Now Anyone Can Tap the AI Behind Amazon’s Recommendations,

Wired, 9 Aprile 2015, https://www.wired.com/2015/04/now-anyone-can-tap-ai-behind-amazons-recommendations/

35 W. Nicholson Price, Regulating Black-Box Medicine, Michigan Law Review, Vol.

116, Iss. 3, 2017, pp. 421 ss.

36 Fabio Maiani, Applicazioni e limiti della classificazioni di immagini con reti

neurali convoluzionali in dispositivi mobili, Tesi di laurea edita, Università di Padova, AA 2015/16

(26)

connessioni e correlazioni, tanto più accurate quanto maggiori saranno i dati progressivamente forniti.

L’unsupervised learning si è dimostrato utile, ad esempio, nell’identificazione di potenziali anomalie in rete che potrebbero rappresentare l’indizio della commissione di un’attività criminosa37.

La quarta e ultima categoria è rappresentata dal reinforcement learning, equivalente ad insegnare un nuovo gioco a un individuo. Vengono chiaramente fissate le regole e l’obiettivo, ma il risultato di ogni partita dipenderà dal giudizio del giocatore (nel nostro caso la macchina), che modificherà il proprio comportamento in base all’ambiente circostante e alle abilità dell’altro giocatore.

Il reinforcement learning consente, per citare uno dei possibili impieghi, di individuare il percorso ottimale da A a B basandosi sulle attuali condizioni di traffico, tempo atmosferico e altre possibili variabili38.

37 M. Carminati, R. Caron, F. Maggi, I. Epifani, S. Zanero, BankSealer: An Online

Banking Fraud Analysis and Decision Support System, Atti del convegno International Information Security Conference, Giugno 2014, Marrakech, Springer, Berlino-Heidelberg, pp. 380-394

38 Alexis Madrigal, The Trick That Makes Google's Self-Driving Cars Work, The

Atlantic, 15 Maggio 2014,

https://www.theatlantic.com/technology/archive/2014/05/all-the-world-a-track-the-trick-that-makes-googles-self-driving-cars-work/370871/

(27)

6. La robotica: un corpo per un’anima.

Nel percorso che abbiamo seguito sinora nel tentativo di tracciare una descrizione attendibile di cosa sia l’Intelligenza Artificiale, non abbiamo mai dovuto affrontare questioni, per così dire, hardware. Esattamente come per il caso delle Macchine di Turing, si è parlato di replica artificiale delle funzioni dell’encefalo umano attraverso generici computer o calcolatori elettronici, senza affrontare le modalità attraverso cui un non meglio identificato insieme di bit possa assumere la forma di un corpo fisico composto da atomi39.

A occuparsi della questione è una disciplina ben precisa: la robotica. Assunto che la robotica è quella branca della tecnologia che tratta della progettazione, della costruzione e dell’impiego pratico dei robot40, si tratta ora di verificare se esista o sia possibile individuare una definizione universalmente accettata di robot.

L’Oxford Dictionary, della cui autorevolezza nessuno potrebbe ragionevolmente dubitare, definisce un robot innanzitutto come a machine resembling a human being and able to replicate certain human

39 Ryan Calo, Robotics and the Lessons of Cyberlaw, California Law Review, 2015,

Vol. 103, pag. 537

40 voce Robotics, in Oxford Dictionary, consultabile alla pagina

(28)

movements and functions automatically41. La prima caratteristica ad essere posta in evidenza è dunque quella dell’antropomorfismo del robot.

Si deve certamente riconoscere come spesso i progettisti attribuiscano ai robot fattezze umane, in modo da poter rendere psicologicamente più semplice per noi stabilire un’interazione con loro42. Numerosi studi indicano infatti che gli esseri umani sono naturalmente portati a interagire con strumenti tecnologici antropomorfi come se questi ultimi fossero vere e proprie persone43. A conferma di questa ipotesi si possono citare anche i risultati di una recente ricerca condotta dalla Stanford University, stando alla quale tanto più un robot è antropomorfo, tanto maggiore sarà l’elogio o il biasimo che il suo utilizzatore umano gli rivolgerà in caso rispettivamente di successo o fallimento nello svolgimento del compito assegnatogli.44

Tuttavia, è la stessa esperienza quotidiana a fornirci numerosi esempi di robot che non assomigliano affatto ad un essere umano. Si consideri il caso di Roomba, il dispositivo per la pulizia dei pavimenti

41 Robot, Oxford Dictionary, https://en.oxforddictionaries.com/definition/robot 42 Ryan Calo, People Can Be so Fake: A New Dimension to Privacy and Technology

Scholarship, Pennsylvania Law Review, 2010, Vol. 114, pp 828-829

43 B. Reeves, C. Nass, The Media Equation: How People Treat Computers, Television

and New Media Like Real People and Places, Cambridge University Press, 1996, New York

44 V. Groom, L. Takayama, P. Ochi, C. Nass,

I Am My Robot: the Impact of Robot-Building and Robot Form on Operators, Atti del convegno International Conference on Human-Robot Interaction, 2009, San Diego, California, pp. 31-36, http://www.leilatakayama.org/downloads/Takayama.RobotAttachment_HRI200 9_prepress.pdf

(29)

oggigiorno presente in molte delle nostre case. Chiunque non stenterebbe a definire Roomba come un robot a tutti gli effetti, sostenuto in questo da due dati significativi: la società di produzione si chiama iRobot45 e uno dei suoi fondatori è Rodney Brooks, uno dei più famosi ricercatori nel campo della robotica presso il Massachusetts Institute of Technology (MIT)46.

Il dato dell’antropomorfismo sembra dunque rivestire, in fin dei conti, un ruolo meno centrale di quanto ci si sarebbe potuti attendere. Passiamo allora al secondo elemento fornito dall’Oxford Dictionary nella descrizione di un robot, ovvero l’abilità da parte di quest’ultimo di replicare automaticamente alcune movenze e funzioni umane.

È molto curioso il fatto che Isaac Asimov, riconosciuto dallo stesso Oxford Dictionary come il padre del termine robotica47, si scagli contro una simile nozione di robot, sostenendo che in base a questo ragionamento, qualsiasi macchina potrebbe essere considerata un robot. Una sega elettrica taglia il legno più velocemente di un uomo e un martello pneumatico buca una superficie dura più rapidamente di quanto non riesca a fare un uomo a mani nude48.

45 inoltre la iRobot, nel presentare il proprio prodotto, utilizza esplicitamente

l’espressione “robot aspirapolvere”, Cfr. http://www.irobot.it/roomba/

46 Martin Ford, Op. Cit., pag. 24

47 Cfr. https://en.oxforddictionaries.com/definition/robotical

48 Isaac Asimov, Introduzione: cronache robotiche, in Visioni di robot, Il Saggiatore,

(30)

Ci troviamo di nuovo al punto di partenza. Abbiamo ben chiaro di cosa si occupi la robotica e ciononostante non riusciamo a definire efficacemente un robot. Ecco allora che Isaac Asimov giunge nuovamente in nostro aiuto proponendo la seguente definizione, esente dalle criticità prima messe in luce: un robot è una macchina computerizzata capace di svolgere quei compiti che soltanto gli uomini, tra gli esseri viventi, riescono ad assolvere. Compiti di una tale complessità che nessuna macchina non computerizzata è in grado di affrontare49.

7. (segue) Il business della robotica

Sebbene già nel corso degli anni ’80 del secolo scorso si fosse manifestata, almeno negli Stati Uniti, quella che alcuni autori definiscono, in maniera evocativa, come una vera e propria robot fever50, i considerevoli costi connessi con lo sviluppo delle tecnologie necessarie hanno fatto sì che per molti anni la robotica sia stata pressoché sinonimo di industria militare e non abbia conosciuto una diffusione su larga scala51.

Oggi si può invece affermare che anche il settore privato, in particolare quello dell’elettronica di consumo, ha compiuto

49 Ivi, pp. 7-8

50 Ryan Calo, Op. Cit., 527

51

(31)

importantissimi passi in avanti nel settore, tanto che la robotica rappresenta una delle più significative innovazioni del nostro secolo e si appresta a modificare radicalmente la nostra economia e la nostra società52.

Soffermiamoci per un istante sul primo versante, quello economico. Stando ai dati forniti dalla International Federation of Robotics, un totale di 31.464 robot, per un valore complessivo di 1,8 miliardi di dollari, sono stati ordinati dalle industrie nordamericane nel corso del 2015, facendo registrare un incremento del 14% in termini di unità vendute e un incremento dell’11% in termini di giro d’affari rispetto all’anno precedente. Anche le vendite ai privati hanno stabilito un nuovo record, grazie alle 28.049 nuove unità vendute nel solo Nord America per un valore di circa 1,6 miliardi di dollari. In questo caso, sempre rispetto al 2014, l’aumento di vendite è pari 10% mentre i ricavi crescono del 9%53.

Le prestazioni dei mercati asiatici non sono naturalmente meno sorprendenti. Hanno la propria sede in Cina importanti aziende che

52 Andrea Bertolini, Enrica Palmerini, Regulating robotics: a challenge for Europe,

pag. 171, saggio reperibile in

http://www.europarl.europa.eu/RegData/etudes/IDAN/2014/509987/IPOL_ID A(2014)509987(ANN01)_EN.pdf

53 International Federation of Robotics, North American Robotics Market Sets New

Records in 2015, https://ifr.org/ifr-press-releases/news/north-american-robotics-market-sets-new-records-in-2015

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operano nel settore della robotica, quali Dji54, Siasun55 e Estun Automation56. Quello sudcoreano è stato invece uno dei primissimi governi al mondo a intraprendere, attraverso l’Intelligent Robots Development and Distribution Promotion Act (IRDDPA) del 28 Marzo 2008, un’azione concreta volta a favorire lo sviluppo delle tecnologie legate alla robotica57.

Possiamo in conclusione affermare che grandi aziende di tutto il mondo, dalla tedesca Kuka58 all’inglese Dyson59, per arrivare ai giganti della rete Amazon e Google, stanno effettuando con successo grandi investimenti in questa direzione.

8. Molti benefici in molti settori: la domotica.

La robotica viene oggi applicata nei campi più disparati del vivere quotidiano, garantendo agli utenti un complessivo miglioramento della qualità della vita.

Il primo esempio da citare è forse quello della domotica o home automation, quel ramo della robotica che tenta di armonizzare al meglio le esigenze di efficienza e comfort degli abitanti di un immobile. Originariamente, attraverso la raccolta in un computer centrale di dati 54 https://www.dji.com/ 55 http://www.siasun-in.com/en/ 56 http://en.estun.com/ 57 Andrea Bertolini, Enrica Palmerini, Op.Cit., pag. 100 58 https://www.kuka.com/it-it 59 https://www.dyson.it/

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riguardanti l’ambiente interno e circostante, venivano automaticamente controllati i livelli di riscaldamento, ventilazione e condizionamento dell’aria (HVAC), così come i livelli di illuminazione e i segnali di allarme provenienti da sistemi antincendio e antifurto60.

Attualmente si è raggiunta una nuova frontiera, rappresentata dal cosiddetto Internet of Things (IoT), concetto che sta ad indicare come tutti i dispositivi elettronici presenti in un’abitazione possano essere connessi alla rete internet per dialogare fra loro (machine-to-machine connectivity o M2M) e con il mondo esterno grazie a un incessante scambio di dati61.

Le ricadute pratiche sono numerose e vanno da quelle più semplici, come far sì che la sveglia del mattino suoni prima rispetto all’orario programmato qualora le condizioni metereologiche o di traffico siano sfavorevoli62, fino a quelle più complesse. Per citare un esempio, è possibile che un dispositivo riceva costanti aggiornamenti sulle variazioni del prezzo dell’energia elettrica e modifichi di

60 Rita Yi Man Li, The usage of Automation System in Smart Home to provide a

Sustainable Indoor Environment: A Content Analysis in Web 1.0, International Journal of Smart Home, 2013, Vol. 7, pp. 47 ss.

61 T. Saravanan et al., IOT Based Smart Home Design for Power and Security

Management, Asian Journal of Applied Science and Technology (AJAST), 2017, Vol. 1, pp. 260-264

62 Casaleggio Associati, L’evoluzione di Internet of Things, report del Febbraio

2011 consultabile in

(34)

conseguenza il proprio funzionamento adattandolo a una finalità di ottimizzazione dei consumi e dei costi63.

Inoltre, due fra le maggiori aziende che si occupano di elettronica, Apple64 e Samsung65, hanno recentemente rilasciato un’applicazione che consente al proprietario di casa di monitorare gli elettrodomestici e di interagire con loro servendosi esclusivamente del proprio smart phone.

8.1 Robotica e healthcare.

In una fase storica caratterizzata da un progressivo aumento della speranza di vita e da un costante rallentamento delle nascite66, la nostra società è chiamata a confrontarsi con nuove sfide riguardanti la crescente domanda di assistenza sanitaria, l’esiguità di fondi e operatori e i sempre maggiori oneri gravanti sulle famiglie delle persone malate o disabili67.

La robotica può giocare un ruolo chiave anche in questo campo, in almeno tre direzioni: la chirurgia, la realizzazione di protesi e l’assistenza personale.

Per quanto riguarda la robot-assisted surgery, si tratta di un insieme di tecnologie di avanguardia che consentono al chirurgo di

63 Rita Yi Man Li, Op. Cit., pag. 49

64 Jesse Feiler, Learn Apple HomeKit on iOSA. Home Automation Guide for

Developers, Designers, and Homeowners, Apress, 2016, New York

65 Cheonshik Kim et al., Special issue: Advanced technology for smart home

automation and entertainment, in Personal and Ubiquitous Computing, 2018, Vol. 22, pp. 1–2

66 ISTAT, Sessant’anni di Europa, report del 2016 consultabile in

https://www.istat.it/60annidieuropa/popolazione.html

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realizzare un intervento manovrando, anche a grande distanza68, un robot non autonomo, ma in grado di eseguire con estrema precisione i compiti impartitigli. L’esempio più famoso al riguardo è senza dubbio rappresentato dal da Vinci Surgical System, prodotto dalla Intuitive Surgical69.

Sebbene tale sistema prometta indubbi vantaggi, quali la drastica riduzione dell’invasività dell’intervento e della degenza ospedaliera, in futuro dovranno essere superati gli ostacoli alla sua diffusione costituiti dall’elevato costo delle apparecchiature e dal lungo e complesso iter di formazione necessario per i medici che vogliano servirsene.

Ricco di interessanti suggestioni è anche il settore delle protesi robotiche, il cui aspetto più rilevante e complesso risiede nell’interazione tra il cervello e la macchina. La protesi robotica è infatti controllata attraverso un’interfaccia cervello-macchina che interpreta i segnali biologici generati dal paziente e li traduce in comandi che verranno eseguiti dall’arto artificiale70.

Il terzo e ultimo sottoinsieme dell’healthcare che vogliamo qui indagare è quello della robotica applicata all’assistenza personale e in

68 E. Palmerini et al., Guidelines on Regulating Robotics, pag. 97, in

http://www.robolaw.eu/RoboLaw_files/documents/robolaw_d6.2_guidelinesreg ulatingrobotics_20140922.pdf

69 per una più dettagliata descrizione dello strumento si rimanda a

http://www.davincisurgery.com/

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particolar modo alla tutela di anziani, malati o disabili che necessitino di assistenza giornaliera continua.

A livello sovranazionale la Commissione Europea ha finanziato a questo proposito il progetto ROBOT-ERA, il cui scopo dichiarato è to develop […] a plurality of complete advanced robotic services, integrated in intelligent environments, which will actively work in real conditions and cooperate with real people and between them to favour independent living, improve the quality of life and the efficiency of care for elderly people71.

In seno a tale progetto è già stata immaginata una piattaforma complessa di assistenza domestica che prevede la presenza di tre figure: un primo robot capace di muoversi attraverso le strade di un centro cittadino e acquistare beni da consegnare al secondo robot. Questi funge da intermediario con il terzo robot, che si trova all’interno dell’abitazione e può essere controllato a distanza da operatori sanitari in grado di intervenire in caso di emergenza72.

71 si rimanda alla pagina istituzionale del Progetto,

http://www.robot-era.eu/robotera/

(37)

9. Un futuro senza lavoro?

Nonostante, come messo in evidenza, la robotica possa apportare numerosi vantaggi all’umanità e rappresenti oggi un significativo giro d’affari, alcuni autori ne mettono in risalto le possibili ricadute negative sul versante sociale.

In realtà l’allarme era stato lanciato già in tempi non sospetti. Il 22 Marzo 1964 un gruppo di scienziati e giornalisti, noto come Ad Hoc Commitee on the Triple Revolution, aveva infatti consegnato al Presidente statunitense Lyndon Johnson un memorandum identificante quelle che, a lungo termine, si sarebbero potute rivelare serie minacce per la stabilità della Nazione73.

Due delle tre forze rivoluzionarie menzionate nel report, ovvero le armi nucleari e il movimento per il riconoscimento dei diritti civili degli afroamericani, seppure ancora di grande attualità, esulano dalla nostra analisi. Ci tocca invece da vicino il terzo punto, quello riguardante l’automazione nel settore industriale. I firmatari del documento affermano che a new era of production has begun. […] The cybernation revolution has been brought about by the combination of the computer and the automated self-regulating machine. This results in a system of

73 Frank Levy, Richard Murnane, The New Division of Labor: How Computers Are

(38)

almost unlimited productive capacity which requires progressively less human labor74.

Preso atto dell’ormai avvenuta rivoluzione determinata dall’ingresso nel ciclo produttivo di nuove macchine computerizzate, il Comitato si spinge quindi a formulare due previsioni piuttosto allarmanti: un aumento potenzialmente illimitato della capacità produttiva e una progressiva riduzione della manodopera umana.

A più di cinquanta anni di distanza, tali ipotesi sembrano sfortunatamente essere confermate dagli attuali dati sull’occupazione. Il 2 Gennaio 2010 il Washington Post ha affermato che la prima decade del ventunesimo secolo si è conclusa per gli Stati Uniti con la creazione di zero nuovi posti di lavoro75. A riprova del trend negativo, il Bureau of Labor Statistics prevede, per il decennio 2016-2026, una crescita annua della produzione pari al 2.2%, mentre stima che l’occupazione aumenterà soltanto dello 0.6%76.

74 Ivi, pag. 1

75 Martin Ford, Introduction, in Op. Cit., pag. XI

76 Bureau of Labor Statistics, Projections overview and highlights: 2016–26,

Ottobre 2017, in https://www.bls.gov/opub/mlr/2017/article/projections-overview-and-highlights-2016-26.htm

(39)

Come sarebbe naturale attendersi, le perdite maggiori si sono avute e si avranno nel settore manifatturiero77 e dei servizi, dove personale non altamente qualificato può facilmente essere sostituito da una macchina.

Quando infatti i lavoratori dei fast-food, nell’estate del 2013, sono scesi in piazza a New York e in altre città americane per chiedere l’introduzione con legge di un salario minimo garantito, l’Employment Policies Institute ha ricordato dalle pagine del Wall Streat Journal che i robot potrebbero presto rimpiazzare anche i lavoratori del settore della ristorazione che dovessero avanzare nuove pretese economiche78.

10. Auto a guida autonoma: un futuro senza l’uomo.

Esiste tuttavia un caso nel quale il progressivo ridursi dell’intervento umano appare non solo prevedibile ma addirittura auspicabile. Si tratta di un’attività che ha conosciuto una diffusione capillare solo a partire dalla seconda metà del secolo scorso: stiamo parlando della guida degli autoveicoli.

77 Il Bureau of Labor Statistic stima che fra il 2006 e il 2016 siano stati persi 1,8

milioni di posti di lavoro, mentre si attende un ulteriore calo di 736.400 unità nel

decennio 2016-2026, si rimanda sempre a

https://www.bls.gov/opub/mlr/2017/article/projections-overview-and-highlights-2016-26.htm 78 A. Abrahamian, U.S. fast-food workers protest, demand a 'living wage’, Reuters, 29 Agosto 2013, https://www.reuters.com/article/us-usa-restaurants-strike/u-s-fast-food-workers-protest-demand-a-living-wage-idUSBRE97S05320130829

(40)

10.1 Un’attività rischiosa

La circolazione stradale, pur essendo vitale per la nostra società, comporta inevitabilmente molti rischi79. Sono rivelatrici in tal senso le statistiche che la National Highway Traffic Safety Administration (NHTSA), ente alle dipendenze dello U.S. Department of Transportation (DOT), ha elaborato basandosi sul campione degli automobilisti statunitensi.

Stando agli studi condotti dalla NHTSA80, la percentuale di incidenti stradali mortali ha conosciuto il suo maggior incremento, pari al 9,4%, nel biennio 1963-1964. Tale dato non stupisce, considerato il fatto che proprio in quegli anni, rappresentativi anche in Italia del cosiddetto “boom economico”, l’automobile iniziava ad essere uno strumento accessibile a molti e quindi diffuso su larga scala.

Con il passare del tempo e la progressiva introduzione dei sistemi di sicurezza passiva, quali cinture di sicurezza, poggiatesta e airbag, ideati per diminuire le conseguenze negative dell'incidente, una volta che questo si sia verificato81, si è assistito a un graduale calo delle

79 Angela D’Angelo, La responsabilità civile nella circolazione stradale, in Danno e

responsabilità, N. 8-9, 2007, pag. 867

80 NHTSA’s National Center for Statistics and Analysis, 2016 Fatal Motor Vehicle

Crashes: Overview, report dell’Ottobre 2017, consultabile in https://crashstats.nhtsa.dot.gov/#/

81 Automobile Club d’Italia, Cosa si intende per sicurezza passiva, in

http://www.aci.it/laci/sicurezza-stradale/sistemi-di-sicurezza-passiva/cosa-si-intende-per-sicurezza-passiva.html

(41)

percentuali: nel biennio 2014-2015 gli incidenti mortali sono aumentati dell’8,4%, mentre nel biennio 2015-2016 l’incremento è stato del 5,6%82. Sebbene si tratti in ogni caso di più di 37.000 vittime83, da una prima e superficiale lettura parrebbe emergere un trend positivo. Se però tentiamo un’analisi più approfondita, possiamo individuare un dato per nulla rassicurante.

Prendendo in considerazione le vittime di incidenti stradali rispettivamente del 2007 e del 2016, si osserva infatti come nel primo caso pedoni e ciclisti rappresentino il 13% del totale, percentuale che nel secondo caso è pari invece al 18%. Se oltre a ciclisti e pedoni si considerano poi anche i motociclisti e, più in generale, tutti coloro che si trovavano all’esterno del veicolo al momento di un incidente, notiamo che le vittime ascrivibili alla categoria dei non occupanti, che rappresentavano il 20% del totale nel quadriennio 1996-2000, rappresentano oggi il 33%: nel solo 2016 le morti di pedoni sono aumentate del 9% rispetto all’anno precedente e quelle dei motociclisti del 5,1%84.

82 V. supra nota 80, pag. 1

83 La situazione in Europa non appare migliore. Nel 2017 si sono contate 25.300

vittime a seguito di incidenti stradali. Si rimanda a questo proposito ai dati forniti

dalla Commissione Europea e consultabili in

https://ec.europa.eu/transport/modes/road/news/2018-05-17-europe-on-the-move-3_en

84 V. supra nota 80, pp. 3-6.

Analogamente, la recentissima indagine pubblicata dall’ISTAT e riguardante l’anno 2017, mostra come le morti fra i pedoni siano aumentate del 5,3% e quelle

(42)

Come si possono interpretare i dati appena illustrati? Non vi è dubbio che il progresso tecnologico, come visto, abbia consentito la creazione di strumenti capaci di garantire in misura sempre maggiore l’incolumità di chi si trovi all’interno di un’automobile, anche in caso di grave incidente. Non si sono però sviluppate parallelamente le abilità di guida dei conducenti, tant’è vero che, ad oggi, il 94% degli incidenti mortali trova la propria causa nell’errore umano85. Per contro, hanno preso campo condotte altamente irresponsabili, come la guida distratta, in stato d’ebbrezza o a velocità superiori a quelle consentite dalla legge86.

A fare le spese di questa difficile situazione sono inevitabilmente gli utenti della strada più deboli, quali appunto ciclisti, motociclisti e pedoni, tanto che anche il legislatore italiano si è visto costretto ad

fra i motociclisti dell’11,9%. Cfr. ISTAT, Comunicato stampa. Incidenti stradali in Italia, in https://www.istat.it/it/archivio/219637

85 NHTSA, Introductory Message, in Automated Driving Systems 2.0. A Vision for

Safety, focus consultabile in

https://www.nhtsa.gov/sites/nhtsa.dot.gov/files/documents/13069a-ads2.0_090617_v9a_tag.pdf

86 L’ISTAT stima che, degli incidenti verificatisi in Italia nel 2017, il 16% sia stato

causato da guida distratta e il 10,3% da velocità troppo elevata. Gli incidenti correlati all’abuso di alcol o di sostanze stupefacenti rappresentano invece rispettivamente il 7,8% e il 2,9% del totale. Cfr. supra nota 84.

Negli Stati Uniti, nell’anno 2016, la NHTSA stima che gli incidenti mortali causati da distrazioni siano stati il 6%, quelli dovuti ad abuso di alcool il 28% e quelli correlati con un eccesso di velocità il 27%. Cfr. NHTSA, Recent NCSA Publications, in https://crashstats.nhtsa.dot.gov/#/

(43)

intervenire attraverso l’introduzione, con legge 23 Marzo 2016 n. 4187, dei nuovi delitti di omicidio e lesioni stradali, proprio nel tentativo di scoraggiare certe ipotesi di guida spericolata88.

10.2 La tecnologia della driverless car.

In questo quadro di complessiva criticità, che coinvolge Vecchio e Nuovo Continente, può venire in nostro aiuto una particolare applicazione dell’Intelligenza Artificiale: l’auto a guida autonoma.

La Society of Automotive Engineers (SAE) ha individuato ben sei possibili livelli di automazione di un veicolo, da zero a cinque89. Il livello zero è quello in cui il conducente umano assolve pienamente a tutti i compiti di guida, mentre nel caso del livello sei il veicolo stesso è in grado di agire in maniera del tutto autonoma in qualsiasi circostanza, sebbene al conducente possa essere lasciata la facoltà di passare ai comandi manuali.

Come l’esperienza ci insegna, quando si appresta a impartire la prima lezione pratica presso un’autoscuola, l’istruttore ricorda in primo luogo all’allievo la necessità di impiegare al meglio i propri sensi, in particolare la vista e l’udito, in modo da avere sempre una chiara rappresentazione dell’ambiente circostante e poter agire di conseguenza.

87 Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana,

http://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2016/03/24/16G00048/sg

88 Davide Bianchi, I nuovi delitti di omicidio e lesioni stradali. Commento alla l. 23

Marzo 2016, n. 41, in Studium Iuris, N. 6, 2016, pag. 679

(44)

In un veicolo a guida completamente autonoma si verifica lo stesso fenomeno: una pluralità di dispositivi, ognuno con un proprio scopo e un proprio funzionamento, agiscono in combinazione fra loro per fornire una rappresentazione fedele dell’ambiente esterno al mezzo. Sulla base di tale rappresentazione i computer di bordo prenderanno le proprie decisioni di guida, coerentemente con i parametri stabiliti dal programmatore del software.

Gli environmental sensors impiegati in un veicolo autonomo sono essenzialmente quattro90: sensori a ultrasuoni, radar a lungo raggio, laser scanner e fotocamere. I sensori a ultrasuoni, solitamente collocati all’interno dei paraurti, sfruttano onde con frequenza superiore ai 20kHz. Essi possono determinare la distanza degli oggetti dal veicolo basandosi su una semplice procedura, ovvero calcolando il lasso di tempo intercorso fra l’emissione dell’onda e il ritorno dell’onda stessa, riflessa dall’oggetto in quesitone.

90 Michal Taraba et al., Utilization of modern sensor in autonomous vehicles, Atti

del convegno ELEKTRO 2018, 21-23 Maggio 2018, Mikulov, Repubblica Ceca,

reperibili in

http://ieeexplore.ieee.org/stamp/stamp.jsp?tp=&arnumber=8398279&isnumbe r=8398234; per un’analisi più dettagliata e specialistica delle tecnologie impiegate dalle vetture a guida autonoma si rimanda al seguente focus curato dal Dipartimento di Ingegneria Meccanica dell’Università di Budapest: Péter Gáspár et al., Highly Automated Vehicle Systems, reperibile in http://www.mogi.bme.hu/TAMOP/jarmurendszerek_iranyitasa_angol/

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Possiamo esprimere l’operazione con la formula

dove c sia la velocità della luce e t il tempo intercorso fra le due onde. I sensori a ultrasuoni, potendo rilevare oggetti in un raggio di lunghezza variabile tra i 25 e i 400 centimetri, vengono sfruttati principalmente durante le manovre di parcheggio.

I radar a lungo raggio, pur servendosi dello stesso principio dei sensori a ultrasuoni, sono capaci di rilevare oggetti posti anche a grande distanza dal veicolo e di calcolarne la velocità relativa. Quest’ultima operazione, di fondamentale importanza nella circolazione stradale, è resa possibile dal cosiddetto effetto Doppler, in base al quale la variazione nella lunghezza e nella frequenza di un’onda permette all’osservatore di capire se l’oggetto considerato sia in avvicinamento o si stia allontanando.

I laser scanner o LIDAR differiscono leggermente dai due precedenti strumenti. Se questi ultimi si servono infatti di onde sonore, i LIDAR sfruttano un fascio di luce. Sebbene anch’essi siano impiegati per ottenere una rappresentazione in 3D dell’ambiente di guida, non possono, per ovvie ragioni, calcolare la posizione di oggetti trasparenti.

c • t d = ⎯⎯⎯⎯

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