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L’ambito di applicazione e i destinatari

2. Il ruolo della cassa integrazione guadagni

1.1 L’ambito di applicazione e i destinatari

Come si è già avuto modo di accennare, l’istituto della cassa integrazione non ha portata generale. Ciò significa che esso non si applica indiscriminatamente a tutte le imprese, di qualsiasi dimensione o di qualsiasi settore produttivo esse siano.

Esaminando l’intervento ordinario, la prima regolamentazione nazionale è stata data tramite il d.lgs.lgt. n. 788/1945, il quale si rivolgeva agli “operai dipendenti da imprese industriali”. Si definiva, quindi, sia l’ambito oggettivo, sia l’ambito soggettivo dell’intervento.

Per quanto riguarda l’ambito oggettivo, questo delimita le imprese che possono essere destinatarie del trattamento, individuandole sulla base della dimensione (vale a dire del numero di dipendenti) e sulla base dell’attività svolta. L’originaria disciplina della cassa integrazione ordinaria prevedeva che essa si applicasse alle sole imprese industriali, senza però specificare ulteriormente il requisito. Così il d.lgs.C.P.S. n. 869/1947, all’art. 3 (come modificato dalla l. n. 464/1972 e dalla l. n. 270/1988), ha disposto che non rientrano tra le imprese potenzialmente destinatarie della cassa integrazione ordinaria: “le imprese armatoriali di navigazione o ausiliarie dell’armamento, le imprese ferroviarie, tranviarie e di navigazione interna, nonché le imprese esercenti autoservizi pubblici di linea tenute all’osservanza delle leggi 24 maggio 1952, n. 628 e 22 settembre 1960, n. 1054, o che comunque iscrivono il personale dipendente al Fondo di previdenza del personale addetto ai pubblici servizi di trasporto; le imprese di spettacoli; gli esercenti la piccola pesca e le imprese per la pesca industriale; le imprese artigiane ritenute tali agli effetti degli assegni familiari; le cooperative, i gruppi, le compagnie e carovane dei facchini, portabagagli, birocciai e simili; le imprese industriali degli enti pubblici, anche se municipalizzate, e dello Stato”. Non sono ammesse alla cassa integrazione ordinaria nemmeno le imprese del terziario, quelle del credito, le imprese di assicurazione e di servizi tributari, le imprese esercenti impianti di trasporto a fune (l. n. 608/1996). Ancora oggi, dunque, questo istituto resta limitato al solo settore industriale1: la l. n. 164/1975, che contiene la disciplina dell’intervento ordinario, fa infatti ancora riferimento unicamente alle imprese industriali. In particolare, Mimmo2 riporta che esso spetta: alle aziende industriali, manifatturiere, di trasporti, estrattive, di installazione di impianti, produzione e distribuzione dell’energia, acqua e

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Sebbene nel corso degli anni sessanta e settanta siano state introdotte gestioni separate per l’edilizia e l’agricoltura.

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gas, alle cooperative di produzione e lavoro, alle industrie boschive, forestali e del tabacco, alle imprese addette al noleggio e alla distribuzione dei film e allo sviluppo e stampa di pellicola cinematografica, alle aziende industriali per la frangitura delle olive per conto terzi, alle imprese produttrici di calcestruzzo preconfezionato, alle imprese addette agli impianti elettrici e telefonici e alle imprese addette all’armamento ferroviario.

La norma non prevede espressamente un limite dimensionale per le imprese che possono accedere alla cassa integrazione ordinaria, si può quindi ritenere che tutte le imprese industriali di cui sopra siano potenziali destinatarie di questo intervento, senza limiti e indipendentemente dal numero di dipendenti. A tal proposito, però, Cinelli3 sostiene che vi sia un requisito numerico indirettamente deducibile dal dettato della legge 20 maggio 1993, n. 236, laddove essa prevede che nelle aree di declino industriale le integrazioni salariali ordinarie relative alle contrazioni ed alle sospensioni dell’attività produttiva possono essere concesse per ventiquattro mesi in un triennio se l’impresa occupa da cinque a cinquanta dipendenti (art. 7, 6° co). L’autore citato, dunque, giunge alla conclusione che i trattamenti ordinari di cassa integrazione possano essere assegnati solo a imprese che impieghino più di cinque dipendenti.

Per quanto concerne l’ambito soggettivo, invece, questo indica quali lavoratori, dipendenti delle imprese che rientrano nel campo oggettivo di applicazione, possono godere del trattamento di integrazione salariale. Nemmeno in questo caso può dirsi che tale istituto abbia carattere generale, poiché alcune categorie di lavoratori sono escluse dal beneficio. Tutti i provvedimenti legislativi in materia di cassa integrazione ordinaria (in particolare il d.lgs.lgt. n. 788/1945, il d.lgs.C.P.S. n. 869/1947 e la l. n. 164/1975) hanno sempre limitato l’intervento previdenziale alla sola categoria degli operai, assunti a tempo indeterminato o a termine, lasciando senza tutela in caso di sospensione dell’attività produttiva o di riduzione dell’orario di lavoro gli impiegati, i quadri, i dirigenti e gli apprendisti. Peraltro il d.lgs.C.P.S. del 1947 ha previsto che gli operai destinatari del beneficio siano anche quelli di altri settori dipendenti da imprese industriali, addetti a lavorazioni accessorie connesse direttamente con l’attività delle aziende stesse, ovvero addetti a lavorazioni stagionali o a lavorazioni soggette a periodi di disoccupazione stagionale o a normali periodi di sospensione. Senonché la l. n. 223/1991, all’art. 14, 2° co., ha stabilito che “le disposizioni in materia di trattamento ordinario di integrazione salariale per gli operai dell’industria […] sono estese ai lavoratori appartenenti alle categorie degli impiegati e dei quadri”. Inoltre, possono essere ammessi alla cassa integrazione anche i lavoratori assunti con contratto di inserimento nonché i lavoratori soci e non soci delle cooperative di produzione e di lavoro, che svolgano attività similare

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a quella degli operai delle imprese industriali4. Ad oggi, quindi, rimangono esclusi dall’applicabilità della cassa integrazione guadagni ordinaria i dirigenti, gli apprendisti (peraltro già l’art. 21 della l. 19 gennaio 1955, n. 25 non estendeva la cassa integrazione a questa tipologia di lavoratori), i lavoratori a domicilio per espressa previsione dell’art. 9 della l. 18 dicembre 1973, n. 877 e gli autisti addetti esclusivamente al servizio personale del titolare dell’impresa o della sua famiglia (come da circolare INPS n. 52921 del 19 giugno 1959).

In ogni caso non bisogna dimenticare che i lavoratori per i quali è possibile chiedere l’ammissione al trattamento di integrazione salariale sono unicamente i lavoratori subordinati5

, essendo esso inapplicabile a quelli autonomi. Non possono accedere a tale tutela nemmeno i lavoratori parasubordinati come i collaboratori coordinati e continuativi o i lavoratori occasionali. Numerose sono le voci che chiedono un’estensione in questo senso della disciplina: tra queste, il direttore della Cgia di Mestre, in un comunicato stampa del 29 marzo 2013, denuncia la necessità di “allargare l’impiego di alcuni ammortizzatori sociali anche ai lavoratori autonomi”6

; Zilio Grandi e Sferrazza auspicano l’intervento di una nuova riforma che parta “dalla considerazione di quella che è ormai l’effettiva composizione del mercato del lavoro e, in particolare, della segmentazione dello stesso, specie con riferimento al divario tra lavoratori garantiti e lavoratori atipici o flessibili”7

, nella quale non solo la diversa tipologia dei contratti di lavoro, ma anche l’appartenenza settoriale e la dimensione dell’impresa, non siano più “condizioni preclusive dei diritti, ma soltanto meri elementi di differenziazione”8, poiché “la rotta irrinunciabile non può che essere quella della estensione

tendenzialmente universalistica delle tutele, in attuazione dei principi di solidarietà ed equità cui è informato il nostro ordinamento costituzionale”9. Ancora nel 2007, Miscione affermava che “gli

ammortizzatori sociali non possono essere riservati a pochi o molti, ma debbono essere estesi a tutti. Non possono non essere «universali»”, non intendendo però un “esasperato egualitarismo”, bensì una armonizzazione delle tutele che eviti “odiose discriminazioni soggettive”10

.

4 Quest’ultimi erano già stati compresi dall’art. 5 del d.lgs.C.P.S., n. 869/1947.

5 Nell’ambito del lavoro subordinato, la circolare INPS n. 41 del 2006 specifica la disciplina dei nuovi contratti di

lavoro introdotti dal d.lgs. n. 276 del 2003. I lavoratori intermittenti hanno diritto all’integrazione salariale solo se hanno risposto alla chiamata del datore di lavoro prima del verificarsi della causa determinante l’intervento integrativo (poiché in questo caso il rapporto di lavoro è iniziato); i lavoratori con contratto di lavoro ripartito sono assimilati ai lavoratori part-time, dunque l’integrazione spetta in base alla ripartizione dell’orario di lavoro; in caso di contratto di appalto, l’integrazione può essere concessa ai dipendenti dell’appaltatore. Ai lavoratori con contratto di somministrazione non spetta l’integrazione salariale in quanto essi sono dipendenti dall’agenzia di somministrazione (e non dell’azienda utilizzatrice), la quale non rientra tra le aziende destinatarie della cassa integrazione. In caso di distacco, invece, nel caso in cui l’azienda presso cui il lavoratore è distaccato usufruisca delle integrazioni salariali, queste ultime non gli spettano in quanto egli rimane a tutti gli effetti dipendente dell’azienda di origine.

6 Cgia di Mestre, comunicato stampa 29 marzo 2013. 7 Zilio Grandi, Sferrazza, op. cit., p. 62.

8 Ivi, p. 63. 9

Ivi, p. 65.

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Per l’accesso alla cassa integrazione ordinaria, non sono comunque previsti requisiti di anzianità né è necessario che il lavoratore abbia un contratto a tempo pieno, essendo destinatari anche i lavoratori part-time.